CAPECELATRO, Alfonso
Nacque a Marsiglia, il 5 febbr. 1824, da Francesco, duca di Castelpagano e marchese di Ripa, e da Maddalena Sartorelli.
Francesco (1784-1863) aveva partecipato giovanissimo alla rivoluzione del 1799 e poi aveva collaborato come ufficiale di marina con il regime murattiano. In seguito aderì alla carboneria partecipando anche ai moti del 1820, cosicché l'anno seguente la repressione borbonica lo costrinse ad abbandonare Napoli per rifugiarsi prima a Malta e poi a Marsiglia, ove rimase fino al 1826, per trasferirsi poi a Roma e quindi ad Ancona. Soltanto nel 1831 ebbe la possibilità di tornare a Napoli, senza tuttavia poter ricoprire cariche pubbliche o militari. Preferì allora ritirarsi con la famiglia a San Paolo Belsito, presso Nola.
Il C. frequentò a Napoli il collegio diretto da F. P. De Meis, e successivamente, nel 1840, entrò nell'oratorio di S. Filippo Neri, ove studiò scienze teologiche e morali sotto la guida di mons. Salzano.
L'oratorio di S. Filippo era uno dei più importanti centri di studio e di cultura napoletani. La biblioteca dell'oratorio fu la prima biblioteca pubblica di Napoli, ricca di decine di migliaia di volumi e centinaia di manoscritti. Peso notevole vi esercitarono l'abate Tosti e C. Troya, e, anche dopo la loro morte, l'oratorio napoletano rimase il centro della tradizione storiografica neoguelfa. Qui il C. rimase e lavorò a lungo, fino al 1879, quando venne chiamato a Roma da Leone XIII.
Per opera dei padri dell'oratorio, uscì, nel 1869, il primo volume degli Studi di Carlo Troya intorno agli Annali d'Italia del Muratori, con una prefazione del C. stesso. Il secondo volume uscì nel 1877. Durante la sua lunga permanenza a Napoli il C. ordinò, insieme con i padri Mandarini e Spaccapietra le carte e le memorie del Troya.
Il 29 maggio 1847 il C. venne ordinato sacerdote dall'arcivescovo di Napoli card. Riario Sforza. Frequenti furono i suoi viaggi presso l'abbazia di Montecassino ove strinse rapporti di amicizia con molti padri benedettini, tra cui il de Vera e il Tosti. Soprattutto quest'ultimo contribuì non poco a indirizzare il C. verso gli studi storici. Lavorando assiduamente presso l'archivio di Montecassino e presso la biblioteca dell'oratorio di S. Filippo, il C. compose i suoi primi lavori storici: Storia di s. Caterina da Siena e del papato dei suoi tempi (Napoli 1856) e Storia di s. Pier Damiani e del suo tempo (Firenze 1862).
Si tratta di opere a carattere agiografico e apologetico, in cui tuttavia la personalità dei santi è inquadrata nella realtà storica, politica e religiosa. Particolare rilievo viene dedicato alla funzione nazionale svolta dal Papato in Italia nel Medioevo. Tali biografie sono scritte con stile aulico, spesso involuto; uno stile che risente l'influenza della scuola del Puoti, che il C. con il passare degli anni corresse, temperandone gli eccessi, sino a raggiungere una perfezione stilistica che venne apprezzata dallo stesso Carducci. Alle prime due opere seguirono altri volumi intorno a temi storico-religiosi, ove è facile cogliere motivi che furono cari alla storiografia neoguelfa, dal Troya al Balbo. Ricordiamo: Newman e la religione cattolica in Inghilterra ovvero l'Oratorio inglese (Napoli 1859), un libro che ebbe fortuna in Italia e fuori, tanto che nel 1886venne ristampato con alcune modifiche chelo resero più conciso ed efficace; Errori di Renan nella Vita di Gesù (Genova 1864), la Vita di s. Filippo Neri (Napoli 1887), La vita del p. Ludovico da Casoria (Napoli 1887)e La vita di s. Alfonso M. de' Liguori (Roma 1889).
Per il suo orientamento politico, il C. venne definito l'ultimo esponente "di quella scuola neoguelfa che in tutta Italia, a Napoli specialmente, ebbe... numerosi seguaci, uomini di grande cultura e di animo eletto" (V. Riccio, Saggi biografici, Milano 1924, p. 62).Fu benvisto presso la casa reale, conobbe e fu amico di A. Manzoni, N. Tommaseo, G. Capponi, p. Zocchi, A. Fogazzaro, F. Sclopis, C. Guasti, A. Conti e il Bernardi. Anche tra uomini politici e di cultura stranieri ebbe amici ed estimatori, tra cui mons. Dupanloup, Montalembert, il card. Mercier, Newman e lo stesso Gladstone. Fu particolarmente legato al gruppo dei conciliatoristi napoletani, come E. Cenni, F. Persico, V. Fornari, il p. Ludovico da Casoria.
Il suo atteggiamento favorevole all'unità nazionale lo portò anche a svolgere un importante ruolo all'indomani dell'arrivo di Garibaldi a Napoli e dell'annessione del Regno borbonico alla monarchia sabauda. Nel settembre del 1860 si ebbe, infatti, uno scontro tra l'autorità ecclesiastica, rappresentata dal card. Riario Sforza, e l'autorità politica, rappresentata dal luogotenente Farini. Avendo l'arcivescovo, il 7 settembre, espresso in una lettera ai fedeli la sua opposizione al nuovo ordine politico ed avendo rifiutato di ammettere alla celebrazione eucaristica tutti i sacerdoti che avevano seguito Garibaldi, fu costretto ad abbandonare Napoli. L'episodio provocò vivaci reazioni presso i cattolici napoletani; solo attraverso la mediazione del C. e del p. Ludovico da Casoria fu possibile ottenere dal Farini ampie garanzie che convinsero l'arcivescovo a rientrare a Napoli. Una nuova mediazione fu tentata dal C. nel 1866, per il ritorno del cardinale dopo un nuovo e più lungo esilio, ma, questa volta senza successo.
Il C. collaborò in questi anni anche alla più importante rivista conciliatorista italiana, gli Annali cattolici di Genova, fondata nel 1862 da P. M. Salvago e M. da Passano. Dal 1865 al 1886, assieme al Cenni e a Ludovico da Casoria, fu l'animatore della rivista napoletana La Carità, in cui si auspicava l'abbandono della protesta intransigente dei cattolici nei confronti dello Stato liberale e un attivo inserimento nella vita politica del paese.
I redattori e i collaboratori della Carità cercarono non la polemica ma punti di convergenza con le forze del liberalismo moderato. Lo stesso C. spiegò, in un articolo apparso nel 1868, il carattere ispiratore del periodico napoletano: "Innanzi tutto ci proponemmo di tenerci lontano, il più possibile dalla lotta quotidiana e minuta, ... invece ci studiammo di guardare i fatti, in guisa da porre l'occhio specialmente ai varj falsi principj che informano la vita morale e civile delle nazioni massime in Italia" (Scritti vari, Roma 1902, p. 305).
Favorevole all'intervento dei cattolici nelle elezioni politiche, osteggiò la formula di don Margotti "né eletti né elettori". Riteneva la partecipazione cattolica alle urne una buona arma in mano ai cattolici, che avrebbe permesso di far entrare in Parlamento uomini di provata fede, capaci di esplicare una politica più favorevole ai cattolici e di attenuare le spinte anticlericali dei governi liberali, eliminando "la divisione tra l'Italia dei vincitori e l'Italia dei vinti, tra l'Italia di coloro che amano la Chiesa e l'Italia di coloro che la odiano". Aggiungeva il C.: "le libertà civili e politiche senza religione si trasformano in licenza, in tirannide e in continuo incentivo di guerra" (L'ora presente, Roma 1908, p. 18).Solo una soluzione concordataria avrebbe potuto, secondo il C., risolvere l'annoso contrasto tra Stato e Chiesa in Italia.
Una volta tramontato definitivamente il sogno neoguelfo, il C. si era avvicinato al gruppo dei cosiddetti conservatori nazionali. Con molti di essi ebbe contatti e rapporti: partecipò anche, nel maggio 1873, a un incontro, organizzato da P. Campello della Spina, svoltosi all'hotel Washington di Napoli, al quale presero parte i maggiori esponenti del gruppo conservatore cattolico napoletano, con lo scopo di porre le basi per la pubblicazione di un giornale conservatore a Napoli. L'iniziativa, però, non ebbe il seguito sperato.
Pur non nascondendo simpatie verso i gruppi conciliatoristi, il C. mantenne sempre una posizione autonoma, cercando di non assumere atteggiamenti che potessero essere considerati contrari alla linea politica seguita dalla S. Sede. Tanto che, quando nel 1887 il padre Tosti pubblicò il noto opuscolo dal titolo La Conciliazione, condannato dal Vaticano, il C. lo giudicò "un grave errore politico e religioso". Fu grave errore politico - affermò commemorando il Tosti nel 1898 - perché fece fare molti passi indietro alla questione romana. Fu grave errore religioso per molte ragioni, delle quali la più ovvia è questa, che in ogni bene ordinata famiglia gli affari di rilievo si debbono trattare e risolvere dal padre e non da questo 0 da quel figliolo" (Commemorazione di d. L. Tosti, Montecassino 1898).
Fedele a queste idee, il suo conciliatorismo non si tradusse mai in iniziative personali tendenti a comporre il dissidio tra Stato e Chiesa in Italia, come accadde ad altri vescovi del suo tempo, tra i quali mons. G. Bonomelli, ma rimase a livello di aspirazione e di speranza. In un discorso pronunziato nel 1908 (L'ora presente), pubblicato a Roma nello stesso anno, ricordò di avere con entusiasmo concepito "il sogno dorato di un'Italia unita insieme civilmente con un vincolo, però, che doveva avere le sue radici nella fede cattolica e nell'amore del papato".
Nel settembre 1877, alla morte del card. Riario Sforza, si pensò al C. come a un possibile successore alla guida della diocesi partenopea. Ma la sua candidatura incontrò non poche resistenze. L'opposizione più decisa venne dai gruppi cattolici intransigenti che non gradivano i suoi orientamenti in merito ai rapporti tra Stato e Chiesa.
Ma, di lì a poco, nel 1879, per i suoi meriti storico-letterari, Leone XIII lo nominò vicebibliotecario presso la S. Sede. Un anno dopo, il 28 ag. 1880, venne nominato arcivescovo di Capua. Il 27 luglio 1885 ottenne il cappello cardinalizio col titolo di S. Nereo e Achilleo, che mutò, nel 1886, in quello di S. Maria del Popolo. Nel 1893, alla morte del card. Hergenrother, fu nominato bibliotecario di S. Romana Chiesa e prefetto della Biblioteca Vaticana.
Nella sede arcivescovile di Capua, che resse per trentadue anni, fino alla morte, attese principalmente all'attività pastorale, temperando notevolmente il suo impegno, e la sua partecipazione a iniziative di carattere politico. Anche negli opuscoli che in questi anni dedicò ad argomenti inerenti la vita pubblica italiana venne attenuata quella carica che aveva contraddistinto i suoi primi lavori storici. Le preoccupazioni d'ordine pastorale prevalsero sulle sue aspirazioni politiche. Dedicò particolare attenzione ai problemi della cultura del clero nella sua archidiocesi, spiegando che la cultura per il clero non andava intesa soltanto in senso teologico. Il clero non doveva ignorare il dibattito culturale del suo tempo se non voleva restare estraneo ai problemi della società civile, nella quale doveva operare come forza viva e partecipe (cfr. La cultura del clero nel nostro secolo, Roma 1907).
Il 7 marzo 1881 aprì al pubblico la biblioteca arcivescovile di Capua e la biblioteca del seminario. Nel 1882 diede vita a un importante periodico, La Campania sacra, che fu qualcosa di più di un bollettino diocesano, mirando a far conoscere e dibattere con il clero e con il laicato cattolico i problemi relativi alla vita dell'archidiocesi. Nel 1890istituì a Capua la scuola di religione per sopperire ai limiti dell'insegnamento religioso praticato nelle scuole statali.
Altre sue iniziative di rilievo si riferiscono alla valorizzazione di monumenti e opere d'arte a carattere religioso esistenti a Capua. Merita un cenno la restaurazione, nel 1886, della cappella del Sacramento del duomo, che venne arricchita con pitture del Paliotti, con bassorilievi, affreschi e marmi, con un altare compaginato a pietre dure ed un ciborio avuto in dono dalla casa reale.
Nel maggio 1887tenne un sinodo diocesano per meglio conoscere, discutere e risolvere i problemi religiosi e sociali dell'archidiocesi. A lui si devono anche numerose iniziative a carattere assistenziale e caritativo, come l'istituzione di cucine gratuite durante l'inverno e di opere intese a proteggere ed aiutare i giovani.
La sua voce, comunque, non restò circoscritta ai confini dell'archidiocesi di Capua. Più di una volta si fece sentire in campo nazionale. Così, nel 1893, scrisse una lettera aperta ai parlamentari italiani, invitandoli a meditare sui rischi che avrebbe comportato sul piano sociale, morale e religioso l'approvazione del progetto di legge sul divorzio in discussione alla Camera (cfr. Lettera aperta ai deputati e senatori del Regno per il nuovo disegno dilegge intorno al matrimonio, Capua 1893, e Il divorzio e l'Italia, Roma 1893).
Anche i problemi relativi alla questione sociale vennero affrontati dal C. ancor prima della pubblicazione dell'enciclica leoniana Rerum Novarum.
La questione sociale è vista dall'arcivescovo di Capua nei suoi aspetti religiosi e morali più che politici ed economici. Essa non poteva risolversi, secondo il C., né con la violenza e le agitazioni del proletariato e del movimento operaio né attraverso l'intervento legislativo dello Stato, ma soltanto conciliando gli interessi delle due parti sulla base della carità e dell'amore per il prossimo. L'egoismo umano rappresentava il maggior ostacolo ad una soluzione pacifica; solo superando l'egoismo sulla base dell'insegnamento della Chiesa sarebbe stato possibile realizzare la pace sociale. Da qui l'invito a considerare la ricchezza come dono di Dio, vincolato però a precisi doveri. Spettava quindi al clero e al laicato cattolico il compito di farsi interprete di queste esigenze (cfr. La questione sociale e il cristianesimo, Roma 1907).
La "risoluzione di quel nodo intricatissimo che dicesi questione sociale" doveva essere per il C. uno dei compiti del movimento cattolico. Tuttavia, così come aveva avuto delle riserve sull'attività e sul ruolo del movimento cattolico intransigente organizzato nell'Opera dei congressi, non vide con simpatia neanche il movimento della prima democrazia cristiana teorizzato da G. Toniolo e sviluppatosi alla fine del sec. XIX grazie alle iniziative e all'impulso datogli da R. Murri e da altri numerosi gruppi di giovani cattolici un po' in tutta Italia. Di questo movimento il C. sembra diffidente, respingendone il programma ed il nome. "Voglia desistere - scrisse al Toniolo - dal discorrere di democrazia cristiana... . L'episcopato italiano non sarà inclinato ad accettare quel nome" (in F. Vistalli, G. Toniolo, Roma 1954, pp. 460 s.).
Del resto, egli concepì il movimento cattolico più come azione intesa a diffondere una larga vena di morale nella vita pubblica" (L'alba del secolo XX e la vita cattolica, Capua 1897)che come impegno politico e sociale in una prospettiva tesa alla costituzione di un vero partito con propria autonomia dalle gerarchie ecclesiastiche e propria funzione politica e sociale nell'ambito della società italiana. Salutò invece con favore ed incoraggiò la partecipazione cattolica alle elezioni politiche nell'età giolittiana, in appoggio ai cosiddetti blocchi clerico-moderati, intesi a puntellare le istituzioni liberali di fronte al pericolo di un'avanzata, dei movimenti radicali e socialisti.
Il C. svolse una parte importante nel conclave del 1903, all'indomani della morte di Leone XIII. Sembrò anche che potesse prendere corpo una sua candidatura al soglio pontificio. Si disse che lo stesso imperatore di Germania, Guglielmo II, che lo aveva insignito della decorazione dell'Aquila rossa, auspicasse l'elezione del C. al papato. Molti cardinali stranieri avevano espresso consensi sulla sua persona. Lo stesso presidente del Consiglio Zanardelli manifestò in quei giorni molte simpatie per lui. Vari motivi contribuirono a far cadere la sua candidatura, non ultimo l'età ormai avanzata, nonché i suoi troppo definiti orientamenti transigenti in merito alla soluzione dei rapporti tra Stato e Chiesa in Italia.
Fino alla morte, infatti, nonostante l'impegno pastorale avesse preso il sopravvento, il C. era rimasto legato alla sua antica idea neoguelfa, sia pure corretta alla luce delle vicende storiche italiane postunitarie. Rimase convinto che l'amore di patria non sarebbe mai stato vivo in Italia, finché non fosse "congiunto con l'amore della fede cattolica e del papato, che sono stati i principali e antichi fattori dell'Italia nostra". Aggiungeva che per i cattolici "l'obbligo di amare la patria" era "obbligo religioso e morale" (L'amore di patria e i cattolici particolarmente in Italia, Milano 1900, p. 23).
La ventata di patriottismo che in occasione della guerra di Libia del 1911 trovò consensi presso la gran parte dei cattolici italiani ed anche presso numerosi vescovi e porporati, come il Bonomelli, il Maffi, il Vannutelli, che salutarono la spedizione militare e la conquista coloniale quasi come una nuova crociata cristiana contro l'infedele, fu riconosciuta dal C., ormai prossimo alla morte, con parole di approvazione e di speranza per il futuro del paese (cfr. Per la spedizione italiana a Tripoli, Roma 1911).
Morì un anno dopo, a Capua, il 14 novembre 1912. La salma, per disposizione testamentaria, venne tumulata a Montecassino.
Altre opere del C., oltre quelle ricordate nel testo, sono: Ai giovani amici di Alfonso Ciotola, Napoli 1864; Gli ordini religiosi e l'Italia, Genova 1864; Gladstone e gli effetti dei decreti vaticani, Firenze 1875; La vita di p. Rocco, Siena 1881; Gli studi storici e papa Leone XIII, in Lettere pastorali e discorsi accademici d'occasione, Roma 1890, pp. 470-87; Nuove prose, Roma 1899; Vita della serva di Dio P. Frassinetti, Roma 1400; La povertà,l'industria e il sapere, Capua 1902; La possente vitalità della Chiesa di Gesù Cristo, Capua 1903; Problemi moderni, L'Italia e la sua vera grandezza nel sec. XX, Lanciano 1906; Le vie nuove del clero, Roma 1907; L'istruzione catechistica nelle scuole, ibid. 1908; Sermoni e omelie, ibid. 1908; L'autorità e l'obbedienza, ibid. 1909; Perché le grandi calamità del mondo, ibid. 1909; Poveri e ricchi,il denaro, ibid. 1910; Libertà morale e libertà civile,l'istruzione religiosa,il male morale, ibid. 1910; Le virtù cristiane, ibid. 1913; La vita di Gesù Cristo, ibid. 1915.
Fonti e Bibl.: Alcune lettere, in gran parte inedite, del C. a G. Toniolo sono conserv. presso la Bibl. Apost. Vat., fondo Carteggio Toniolo. Notizie sulla sua attività pastorale si trovano nel periodico diocesano di Capua, La Campania sacra (1882-1912). Utile anche la lettura del periodico napoletano La Carità (1865-1886), per la comprensione del pensiero politico. Sulla vita e l'attività pastorale e culturale del C.: A. Conti, Le opere del card. C., in La Rassegna nazionale, 16 ag. 1894, pp. 623-46; F. Acri, A. C., Bologna 1897; A. Conti, Nuovi lavori del card. C., in LaRassegna nazionale, 16 genn. 1901, pp. 287-290; A. Capecelatro, I miei venticinque anni di episcopato, Roma 1905; E. Carafa d'Andria, Una fam. napol.dell'Ottocento. Napoli 1905; G. Gallavresi, Ungrande neoguelfo superstite, in Nuova Antologia, 1º nov. 1905, pp. 103-107; A. M. Amelli, Il vescovo provvidenziale dei nostri tempi, [Montecassino] 1905; Il card. C. Profilo biografico, Roma 1911; G. Mazzoni, A. C. Commemorazione, in Atti dell'Accademia della Crusca (1911-12), pp. 5-33; R. De Cesare, Il card. A. C., in NuovaAntologia, 1º dic. 1912, pp. 443-55; G. Falorsi, Rievocando la memoria del card. A. C., in LaRassegna nazionale, 1º dic. 1912, pp. 473-77; F. Persico, Il card. C.,ibid., pp. 333 ss.; P. Cavallo, Il card. A. C. Orazione funebre, Roma 1913; V. Riccio, Saggi biografici, Milano 1924, pp. 53-73; E. Soderini, Il pontificato di Leone XIII, Milano 1932-1938, I, p. 299; II, pp. 81, 127; G. Toniolo, Lettere, a cura di G. Anichini-N. Vian, Città del Vaticano 1954, ad Ind.; R. Aubert, Réactionsdes catholiques italiens face au Risorgimento. Deuxlettres du futur card. C., in Risorgimento (Bruxelles), I (1958), 2, pp. 91-99; Aspetti della cultura cattolica nell'età di Leone XIII, Roma 1961, passim, e in particolare C. D. Fonsega, Appuntiper la storia della cultura cattolica in Italia. Lastoriografia ecclesiastica napoletana (1878-1903), pp. 465-534, e M. Mendella, Persico e l'eredità meridionale del neoguelfismo, pp. 631-48; P. Lopez, Enrico Cenni e i cattolici napoletani dopol'Unità, Roma 1962, ad Indicem;P. Borraro, Ilcardinale A. C., Caserta 1964; A. Cestaro, La stampa cattolica a Napoli dal 1860 al 1904, Roma 1965, pp. 118, 131, 154; G. De Rosa, Storia del movimento cattolico in Italia, I, Bari 1966, pp. 381, 480; C. Mazza, Presagio del Concordato nelle opere e negli scritti del card. A. C., in Il contributo dell'archidiocesi di Capua allavita religiosa e culturale del Meridione, Roma 1967, pp. 157-63; G. Auletta, Il card. C. e il movimento cattolico italiano agli inizi del secolo,ibid., pp. 237-41; G. Licata, La"Rassegna nazionale", Roma 1968, pp. 26, 39, 41, 137, 183, 217 s.; A. Gambasin, Gerarchia e laicato in Italia nelsecondo Ottocento, Padova 1969, pp. 75, 136, 148 n.; G. Candeloro, Storia del movimento cattolico, Roma 1972, pp. 121, 186, 194, 201, 209; Enc.Ital., VIII, p. 831; Dict. d'Hist. et de Géogr.Ecclés., XI, col. 835; Enc. catt., III, coll. 659 s.