CORRADI D'AUSTRIA, Alfonso
Nacque in Mantova nel 1498, ultimo di cinque figli del nobile Bernardino e di Barbara Agnelli.
La famiglia Corradi godeva di un solido stato in città sin dagli inizi del Quattrocento e di buone aderenze alla corte gonzaghesca. La cronaca manoscritta di Andrea Schivanoia, che si stende dal 1445 al 1491, presenta così la famiglia: "la soe stancia si è dalla Schovanegra drè la via de S. Francesco; questi sono richi Cittadini, e tene vita da Zentilomo con Famej e Sparaveri". La fortuna dei Corradi si accrebbe quando l'avo del C., Lodovico, luogotenente di Marco Pio di Savoia al comando delle milizie imperiali aggiunse alla nobiltà mantovana quella austriaca, in conseguenza del valore dimostrato contro i Turchi.
Il diploma imperiale, datato in Ratisbona il 13 novembre del 1476, venne confermato da Carlo V nel 1532, almeno per i rami ferraresi e carpigiani della famiglia). Il 28 apr. 1487 Francesco Il Gonzaga conferiva, per meriti speciali verso di lui e le sue sorelle, "spectabilibus nobilibus Bernardino de Corradis de Austria carissimo Consotio nostro, et Dominae Barbarae iugalibus pro se suisque haeredibus, et successoribus iure proprio, et in perpetuum ac liberum et expeditum allodium" una serie di appezzamenti di terreni, con vacche e cavalli, per un complesso di circa 1.400 biolche, in varie località del ducato, Suzzara, Villanova, Pillone, Ospitaletto. Le donazioni (che in parte erano restituzioni) furono confermate nel 1492, e riconfermate ai discendenti nel 1547, in un atto in cui peraltro non appare il nome del Corradi.
Se questi dati illustrano sufficientemente lo stato della famiglia del C., siamo totalmente all'oscuro sulla sua carriera. Non sappiamo se fosse ecclesiastico o laico, né se fosse addottorato e in che cosa. I documenti superstiti relativi all'attività dell'Inquisizione a Mantova tacciono il suo nome. Il Davari (p. 558) suppone, senza elementi a conferma, che abbia preso la via dell'esilio nel 1550, all'epoca dell'esilio di F. Stancari. L'indicazione è plausibile, anche se può indurre a posticipare alquanto la data la notizia, fornita dal C. nel Commentarius, p. 187, dell'impressione esercitata su di lui dalla lettura del caso Francesco Spiera: "cuius tragoediam a D. Vergerio late congestam non sine lacrymis hausi". La Historia di M. Francesco Spiera è del 1551, e potrebbe avere indotto il C. a rompere con gli atteggiamenti nicodemistici, scegliendo decisamente l'esilio, e sottraendosi all'inquisitore Ambrogio Aldegati, la cui attività viene ricordata assieme a quella di altre "locustae papisticae" a p. 194. Certo è che doveva essere "in ditione Rhaetica" nel 1554, come mostra il cenno all'attività inquisitoriale, in quelle zone, di Paolo Odescalchi (Commentarius, p. 269).Da qui, "ex tuo, quod mihi abs te paratum est, in Rhetiae montibus Asylo" - così, nella dedica dell'opera a Gesù Cristo -egli, "proscriptus Evangelii causa", indirizzò ai fratelli rimasti in Italia l'unico scritto che abbiamo di lui, In Apocalypsim D. Ioannis Apostoli Commentarius, pubblicato a Basilea da P. Perna, nel 1560.
Il C. vi appare un italiano di formazione umanistica, che cita Lorenzo Valla ed Erasmo, ed è scevro di sottigliezze teologiche. Il suo bagaglio di riformato non va oltre la ferma fede nella giustificazione per imputazione dei meriti di Cristo. Se il suo commento non può vantare l'apparato di erudizione che permetta all'autore di "in tanta luce classicorum nostri saeculi emergere", questo in parte è da attribuire alla perdita dei libri e alla miseria dell'esilio "quae mea in hoc exilio tenuitas est"), ma in parte è scelta deliberata: chi vuole un'"erudita enarratio" sirivolga al commento di Bullinger; egli intende solo confessarsi ai fratelli, "ut hi fratres qui meam ex me confessionem non audierunt, eam ex his meis petere possint". Questo motivo, del parlare per rimediare ad un'omissione, per riscattare un silenzio sentito come peccaminoso, torna con caratteristica insistenza ed è tipico della coscienza nicodemitica colpevole.
Il Commentarius èun'esegesi puntuale dei versetti dell'Apocalisse in chiave attualizzante. Il C. non intende negare che le profezie si possano riferire anche ad altre epoche, ma sua intenzione è mostrare la loro pertinenza al suo tempo. La materia è distribuita (conforme ad uno schema presente anche in Sebastiano Meyer e Celio Pannonio, che egli cita) in sette visioni. I "tre anni e mezzo", o quarantadue mesi, dell'Apocalisse, sono interpretati come il tempo concesso al papa-anticristo per incrudelire contro i seguaci dell'Evangelo: dopodiché si apre il periodo della speranza per i christifideles. Adottato questo schema, tutto diventa chiaro e coerente, come se si fossero realmente spezzati i sigilli del libro: e l'opera presenta l'andamento di un lungo pamphlet contro il papa, contro i principi italiani imbelli che si lasciano trascinare per il naso come bufali dagli ecclesiastici, contro gli inquisitori identificati con le locuste di Ap., IX, 20, contro gli "ipocriti" della mediazione. Alle spalle c'è l'orrore della repressione inquisitoriale, davanti la speranza di un rapido trionfo dell'Agnello sul Monte Sion (Ap., XIV) e dell'avvento di una cristianità spirituale, senza cerimonie, senza opere esterne, financo senza templi. È l'utopia della prima generazione di esuli italiani, espressa in limpido latino umanistico: si pensa alla posizione di Celio Secondo Curione, ma va notato che il Commentarius rifiuta la dottrina millennaristica del Medius adventus, formulata dal Curione nel De Amplitudine Beati Regni Dei del 1554. Il C. (commento ad Ap., XX, 1 ss., pp. 466 ss.) vi individua un'origine fratesca e la respinge: "ut credam, ca, quae de hoc adventu medio tradiderunt, somnia esse et hominum deliramenta".
Il C. era sui sessant'anni quando scrisse quest'opera-confessione, che il Perna ripubblicò nel 1574. Della sua attività nell'esilio svizzero non si sono trovate altre tracce. Ignota è la data di morte.
Fonti e Bibl.: G. Tiraboschi, Storia della lett. ital., VII, 2, Venezia 1796, p. 350, ascrive "Alfonso Corrado mantovano" ai "Protestanti tra gl'Italiani", attingendo a Danielis Gerdes, Specimen Italiae Reformatae..., Lugduni Batavorum. 1765, pp. 231-324, e riproducendone anche l'errore sulla prima data di stampa, 1574, del Commento sull'Apocalissi. Il Gerdes possedeva infatti nella sua biblioteca solo l'ediz. 1574 del libro del C., ed è esclusivamente su quest'opera che si basa la sua conoscenza del C., di cui, per il resto, ignora tutto, compresa la fine ("quaenam vero ultima Auctoris nostri fuerint fata, minime nobis constat"). Né il C., che pure diffuse il Commento "ex... in Rhetiae montibus Asylo", è noto a P. D. Rosio de Porta, autoie della Historia Reformationis Ecclesiarum Raeticarum, Curiae Raetum 1771-1777. Il suo nome è pure assente in G. Buschbell, Reformation und Inquisition in Italien um die Mitte des XVI. Jahrh.s, Paderborn 1910, in D. Cantimori, Eretici ital., Firenze 1939, in F. C. Church, I riformatori ital., ibid. 1935, e negli studi più recenti sugli esuli per motivi religiosi del Cinquecento (I). Caccamo, M. Firpo, ecc.). Qualche indicazione si ricava dall'erudizione locale, mantovana in primo luogo, poi modenese. E. Faccioli, in Mantova, Le lettere, II, Mantova 1962, p. 463, ricordando il C. in una breve sequenza sulla "letteratura dei riformati", fornisce l'essenziale rinvio a Leopoldo Camillo Volta, Diario di Mantova per l'anno 1786, Ms. della Bibl. comunale di Mantova (si aggiunga Memorie di Mantova del 1783). Le indicazioni del Volta furono utilizzate da C. D'Arco che nelle sue manoscritte Notizie delle Accad. dei Giornali e delle Tipografie che furono in Mantova: e di circa mille scrittori mantovani vissuti dal secolo XIV fino al presente..., III, pp. 147-150, offre un abbozzo di biografia per "Corradi d'Austria Alfonso" e per il fratello "Corrado d'Austria Lodovico" mentre in Studi intorno al Municipio di Mantova, Mantova 1872, IV, nota 3, si limita a riprodurre l'indicazione di Tiraboschi; come fa ancora L. Bertazzi Nizzola, Infiltrazioni protestanti nel ducato di Mantova, 1530-1563, in Boll. stor. mantovano, I, (1956), pp. 102-130, 258-286, in particolare pp. 280 s. La famiglia Corradi ebbe diramazioni a Carpi e a Modena, dove un Domenico Corradi d'Austria fu generale di Rinaldo I d'Este: in introduzione all'opera di un suo figlio precocemente morto, Versione ital. del decimo libro di L. G. Moderato Columella, opera postuma di Bernardino di Corradi d'Austria..., Firenze 1754, troviamo, pp. 41-109, una Geneal. della nobile famiglia de' Corradi d'Austria, composta dal chierico regolare vicentino Valeriano Agricola Canati, utile per i Corradi mantovani del Quattrocento e del Cinquecento, e fondata su documenti di famiglia non più reperibili. Qualche indicazione sulla famiglia si può trovare ancora in Federico Amadei, Cronaca univers. della città di Mantova, composta nel Settecento e stampata in cinque volumi, a cura di G. Amadei-E. Marani-G. Praticò, Mantova 1955. Per il resto, non avendo dato risultato gli spogli dei residui documenti inquisitoriali nell'Archivio di Stato di Mantova. Arch. Gonzaga, il riferimento principale rimane, per noi come per il Gerdes, quello che pare l'unico scritto del C., In Apocalypsim D. Ioannis Apostoli Commentarius Alfonsi Corradi Mantuani. Apocal. I Beatus qui legit et audit verba prophetiae libri huius et servat ea quae in eo scripta sunt, Basileae, apud Petrum Pernam, 1560, in 8°, pp. [24], 516 [20], che si può leggere alla Biblioteca nazionale di Firenze, nella "Collezione di libri relativi alla riforma religiosa del secolo XVI donati dal Conte Pietro Guicciardini alla Città di Firenze". (Per l'ediz. 1574 vedi British Museum General Catal. of Printed Books, XVIII, col. 1998). Per lo sfondo mantovano rimangono essenziali E. Solmi, La fuga di B. Ochino secondo i docum. dell'Archivio Gonzaga, in Bull. sen. di storia patria, XV (1908), 1, pp. 23-98; e soprattutto S. Davari, Cenni stor. intorno al tribunale dell'Inquisizione in Mantova, in Arch. stor. lombardo, n. s., VI (1879), pp. 547-65, 773-800.