ALFONSO de' Liguori, santo
Nacque in Napoli, nel sobborgo Marianella, il 27 settembre 1696, da famiglia di buona nobiltà napoletana. Educato dagli oratoriani di S. Filippo Neri, si addottorò in legge, ed esercitò per alcuni anni la carriera forense. Ma a ventisett'anni, seguendo le sue intime inclinazioni, sempre palesate pur nel secolo, prese l'abito talare, subito dedicandosi all'apostolato tra l'infimo popolo: insegnamento catechistico, predicazione, e (dopo che, trentenne, venne ordinato sacerdote) esercizî spirituali, per lo più nella città di Napoli, talora in altre regioni del Mezzogiorno.
Nel 1732 iniziò in Scala con dodici compagni una nuova congregazione destinata a prestare aiuto spirituale specialmente a quanti vivessero in villaggi o dispersi per la campagna: congregazione che fu approvata da Benedetto XIV, allorché già contava parecchie case, con breve del 15 febbraio 1749, sotto il nome di Congregazione del SS. Redentore ("redentoristi").
Nel 1762 fu nominato vescovo di Sant'Agata dei Goti ma nel 1775 rinunciò al vescovato e ritornò alla sua diletta congregazione, nella cui casa di S. Michele de' Pagani morì il 1° agosto 1787.
Nel 1796 s'introduceva la causa di beatificazione: nel 1816 Alfonso era beatificato, nel 1839 canonizzato: con decreto 23 marzo 1871, Pio IX lo elevò al rango di dottore della Chiesa.
La vita di A. de' Liguori fu di grande austerità: i suoi biografi narrano minutamente le sue mortificazioni materiali, sia nel vitto sia nel vestito, che egli praticò con fedeltà fino al termine dei suoi giorni. Ferma ed intransigente ad ogni concessione ai tempi fu anche la sua condotta come superiore della sua congregazione e come vescovo: carità inesauribile che lo induce a vendere ogni cosa per sovvenire ai poveri, una lotta senza quartiere contro ogni forma di vizio, invocazione del braccio secolare contro i concubinarî, le donne di malaffare, i bestemmiatori, bando dato ai commedianti dalla sua diocesi, condanna di ogni libro non ortodosso, difesa ardita e tenace di ogni forma di immunità ecclesiastica. Il suo cattolicesimo astrae affatto dai gusti predominanti, dai valori estetici e dalle posizioni mondane; riassumendo anzi la sua figura morale, non si può immaginare nulla in più aperto contrasto con lo sfondo dei tempi su cui appare: alle correnti intellettuali del volterianesimo e dell'enciclopedismo, dominanti nelle classi colte, egli oppose il suo spirito di assoluta soggezione della ragione alla fede; al giansenismo, che trova numerosi proseliti nel clero dotto, oppone la sua scrupolosa adesione all'indirizzo teologico di Roma. Dal punto di vista teoretico il suo indirizzo si diversifica anche da quello di altri ascetisti contemporanei, specialmente gesuiti, che, anche subordinando ad uno scopo superiore il culto delle lettere e arti belle, gli lasciavano ampio campo e lo utilizzavano quasi come gradino di elevazione. A. fa a meno, nella sua teoria, anche di questo gradino, quantunque nella sua giovinezza avesse dato non comuni prove nella musica e nella pittura.
Ma in A. bisogna distinguere la vita e gli scritti. Questi ultimi (o, meglio, i più importanti tra essi, quelli dedicati a illuminare quanti siano preposti alla direzione delle coscienze), non rispecchiano affatto quella intransigenza, quel disprezzo di tutti i valori del secolo, che domina la sua vita.
Studioso appassionato di teologia morale, Alfonso de' Liguori ebbe il vanto di fissare nella sua opera - priva di originalità scientifica, bisogna riconoscerlo - la dottrina media che la Chiesa doveva accettare, dopo due secoli di aspri contrasti tra rigoristi e lassisti, e che mostra di voler conservare immutata, con la proclamazione di sant'Alfonso a dottore della Chiesa.
La sua Theologia moralis, comparsa nella prima edizione nel 1748 (come un insieme di note alla Theologia del Busenbaum) e infinite volte poi ristampata (a partire dalla seconda edizione del 1753-55) dedicata a Benedetto XIV, come opera autonoma del Liguori), consta di sette libri, intercalati da dissertazioni e trattatelli, e mira ad essere una guida completa (stesa secondo la tradizione casistica) della liceità o illiceità e del grado d'illiceità di ogni azione (p. es., se possano gli ecclesiastici non difendere giudizialmente gl'interessi materiali delle loro chiese per non scandalizzare i pusilli; se il colpevole o il testimonio interrogato in modo non legittimo dal giudice possa giurare con reticenza mentale d'ignorare il delitto; se i religiosi malati siano tenuti a mangiar carne e a prendere medicine preziose per cercar di guarire: i casi sono migliaia, disposti sistematicamente). Alfonso elaborò per tutta la vita la sua opera, variando nelle successive edizioni molte delle soluzioni date ai suoi casi, talora in un senso di maggior rigore, talora in uno di maggiore mitezza. Tra le dissertazioni inserite nella Theologia sono quella sull'autorità del papa, ove s'insegnano l'infallibilità e la superiorità di lui sul Concilio ecumenico, e quella de usu moderato opinionis probabilis, variamente rimaneggiata nelle successive edizioni, in polemica con l'antiprobabilista Patuzzi: dove il Liguori, che in origine era stato probabiliorista, patrocina la liceità di seguire, tra due opinioni egualmente probabili, quella che si preferisca, e in genere la liceità di regolarsi nella vita secondo opinioni in materia morale che abbiano un sufficiente grado di probabilità.
Egli fu un assertore entusiasta del culto della Vergine e del dogma dell'Immacolata Concezione (polemizzò col Muratori, che aveva sostenuto essere illecito il voto, largamente praticato nel Mezzogiorno, di dare occorrendo la propria vita per il trionfo di quella che allora era soltanto una pia opinione). Nel suo popolare libro Le glorie di Maria (1750) sostiene che Dio non concede grazie se non per intercessione di Maria.
In questo, come in ogni altro punto di teologia dogmatica, di morale, di pratica liturgica, di pedagogia religiosa, egli è sempre in perfetta antitesi con il giansenismo. Ma sarebbe erroneo affermare, come qualche apologista del Santo ha pur fatto, che al Liguori spetti il merito di aver abbattuto il giansenismo, la cui sconfitta si era già delineata nei paesi dove più aveva operato, allorché il Liguori sorgeva, e fu anche in Italia completa allorché neppur si prevedeva quale sarebbe stata a distanza di non molti decennî l'autorità del Liguori.
L'opera di questo non può essere valutata, e il suo successo non può essere compreso se non tenendo conto del momento storico e dell'ambiente in cui si formò (essa segnò, negli anni della soppressione della Compagnia di Gesù, la definitiva vittoria delle dottrine morali che la Compagnia più aveva patrocinate, e alle quali giansenisti e rigoristi s'erano opposti), dell'attività pratica di cui fu il coronamento, delle esigenze e dei bisogni cui rispose. Non avrebbe senso confrontarla con libri nati in altro ambiente e per altri fini, come le Osservazioni sulla morale cattolica del Manzoni: bisogna sempre ricordare ch'è l'opera di un pastore di anime, il quale nel ministero del confessionale è avvezzo a scorgere tutte le debolezze dell'uomo, e, pur essendo egli stesso un asceta, conosce come si rischi di spronare il devoto alla rivolta, forzandolo a camminare su troppo aspri sentieri. In tale opera il pastore, forte della propria esperienza, mira soltanto a fornire una guida e una direttiva ad altri pastori di anime, e a dire al popolo le parole più atte a commuovere il suo profondo senso religioso.
Delle opere del Liguori si hanno infinite edizioni, tra cui quella di Venezia 1840, in 87 tomi e 46 volumi.
Bibl.: A. M. Tannoia, Della vita ed istituto di S. Alfonso Maria de' Liguori, Napoli 1798-1802; A. Capecelatro, La vita di S. Alfonso Maria de' Liguori, Roma 1893 (Opere, XVII e XVIII); A. Berthe, Saint Alphonse de Liguori, Parigi 1900 trad. ital., (Sant'Alfonso Maria de' Liguori, Firenze 1903); K. Dilgskron, Leben des heiligen Bischofs und Kirchenlehrer A. M. von Liguori, Ratisbona 1887; J. Kannengieser, in Dictionnaire de Théologie Catholique, I, i, coll. 906-920.