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DELLA VALLE, Alfonso

di Alessandra Cimmino - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 37 (1989)
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DELLA VALLE, Alfonso

Alessandra Cimmino

Nacque a Napoli il 30 nov. 1830, da Francesco Saverio e Marianna Capecelatio.

La famiglia, appartenente al patriziato ul Aversa, era stata insignita nel 1649 del titolo marchionale di Casanova, titolo che il D. ereditò e col quale è noto, e nel 1733 di quello ducale di Ventignano. Il nonno del D., Cesare, duca di Ventignano (1776-1860), uomo di approfondita e varia cultura, poligrafo, era noto soprattutto come autore di teatro, e una sua tragedia Anna Erizo, tratta da Voltaire, era stata utilizzata nel 1820 da Rossini come libretto per il Maometto II (poi,previo rifacimento del libretto, ma senza sostanziali variazioni nella trama, nel 1826, per L'assedio di Corinto); siera inoltre interessato di poesia, di storia, di filosofia, e in particolare aveva scritto nel 1845 due saggi sull'importanza della diffusione dell'istruzione pubblica: Sull'educazione delle classi laboriose e Sull'educazione dell'alta classe, editi a Napoli. Nel 1839 era stato anche trái principali promotori della Società per gli asili infantili della città di Napoli, il cui statuto prevedeva l'istituzione di asili d'infanzia per i bambini poveri, il primo dei quali fu aperto il 5 luglio 1841. Il padre FrancescoSaverio, nato a Napoli il 13 marzo 1798, sposato con Marianna Capecelatro, cugina del futuro arcivescovo di Capua e cardinale Alfonso Capecelatro, era morto ancor giovane nel 1836; amico di artisti quali i musicisti Donizetti e Pacini e lo scultore T. Angelini, si era anch'egli dedicato alla letteratura e in particolare, secondo l'estetica romantica, alla tragedia storica con un Carlo Moor, dai Masnadieri di Schiller, altri drammi di argomento napoletano, e un poemetto in terza rima La Claudina (Napoli 1828) di ambiente contemporaneo.

A sette anni, dopo la morte del padre, il D. entrò nel collegio dei nobili tenuto dai gesuiti, dove studiò lettere e filosofia, e da cui uscì nel 1846, pubblicando nello stesso anno a Napoli, insieme con il compagno di studi N. A. De Agostini, una tesina di filosofia, Saggio di ideologia delle principali dottrine di metafisica. Profondamente religioso, visitava spesso l'abbazia di Montecassino, dove negli ultimi anni pensò anche di ritirarsi, ma soprattutto frequentò sempre con assiduità l'oratorio di S. Filippo Neri, uno dei più notevoli centri di studio e di cultura della sua città, dove, sotto l'impulso di C. Troya e di L. Tosti, si era affermata la nuova tradizione storiografica neoguelfa.

Nel 1847 il D. lesse il Primato e divenne studioso e seguace del Gioberti, suo nume tutelare in politica insieme con il Balbo delle Speranze d'Italia, e, come per molti altri cattolici conservatori, il "giobertismo" gli fu tramite per una convinta e serena adesione al liberalismo. Il D. partecipò quindi agli entusiasmi per il re costituzionale, per Gioberti e per Pio IX, ma rimase anche coinvolto abbastanza pesantemente nei disordini del 15 maggio 1848: egli stesso, sua madre e le sorelle furono a lungo bloccati nel palazzo di famiglia, e una giovane cugina fu uccisa nel mitragliamento di via Toledo. Pur deplorando i disordini e le violenze di quei giorni, il D. condannò ugualmente gli eccessi reazionari che seguirono e, dall'esame dei successivi eventi del '48-'49, trasse una netta condanna del particolarismo regionale che aveva portato al fallimento del tentativo indipendentista (i giudizi e le opinioni formulate dal D. sugli eventi del 1 48 a Napoli sono in un breve epistolarici da lui indirizzato al conte Giuseppe Nasalli di Piacenza, pubblicato da Giustino Fortunato che gli fu amico nell'ultimo periodo della vita: cfr. A. Della Valle, Il 15 maggio 1848 a Napoli. Lettere nuovamente edite da G. Fortunato, Roma 1916).

Da allora partecipò in piena convinzione alla speranza in un'Italia unita civilmente secondo un legame che poneva le sue radìcì nella fede cattolica, e, pur non partecipando alla vita politica attiva, derivò dalle sue convinzioni liberali e unitarie, oltreché dal sentimento religioso, la volontà di operare fattivamente e concretamente a favore della depressa plebe napoletana, aiutando la maturazione civile e sociale dell'infanzia povera e abbandonata.

Negli anni successivi il D. - condusse un'intensa vita sociale, formandosi un ampio giro di amicizie e conoscenze fra gli intellettuali liberalconservatori napoletani e più in generale italiani. Fu in stretti rapporti con R. Bonghi, A. Capecelatro, G. Bernardi, F. Persico, F. Acri, il padre Ludovico da Casoria, V. Fornari, e conobbe il Capponi, il Tommaseo e in particolare il Manzoni. Viaggiò molto in Italia e all'estero - conosceva bene inglese e francese - anche per documentarsi di persona sui metodi di educazione popolare più aggiornati in Inghilterra, Svizzera, Francia.

Il D. fu anche un approfondito cultore di letteratura italiana con due specifici poli di interesse in Dante e Manzoni. Su Dante raccolse un'ampia biblioteca di commenti, edizioni ed opuscoli che donò per testamento al Comune di Napoli, e lasciò fra le sue carte note, schede, abbozzi e citazioni relativi alla Divina Commedia; inoltre, nell'ultimo anno di vita, organizzò a casa sua delle letture dantesche di cui venivano redatti gli atti verbali. Può dunque essere considerato qualcosa di più di un semplice dilettante; nei suoi scritti egli sottolinea in particolare i limiti e i rischi sia del commento erudito e troppo puntuale, sia di un interesse "episodico" ai singoli eventi e personaggi, laddove ciò distolga da una considerazione globale del poema, senza la quale non è possibile cogliere il significato e il pregio delle singole parti, né seguire il percorso "in ascesa" delle tre cantiche, secondo un procedimento stilistico e di contenuto che culmina nel Paradiso.

Grande ammiratore dei Promessi sposi, il D. conobbe nel 1862, tramite una presentazione di R. Bonghi, il Manzoni, lo incontrò diverse volte e passò con lui la Pasqua di quell'anno. Il grande scrittore ne ricevette un'ottima impressione tanto che, in una lettera al Capponi, ne lodò la cultura e la meritoria attività in favore dei poveri di Napoli.

Dopo questo incontro il D. volle approfondire la conoscenza del capolavoro manzoniano finendo per realizzare un vero e proprio studio comparato sulle varianti delle due successive edizioni dei Promessi sposi; nel 1870 scrisse al Manzoni chiedendogli il permesso di pubblicare il suo studio e questi rispose indirizzandogli la celebre lettera del 30 marzo 1871 Dell'unità della lingua italiana e dei mezzi di diffonderla, che è l'ultima parola manzoniana sulla questione della lingua. La Lettera uscì postuma nel 1874 a cura di L. Morandi; sempre il Morandi fu editore di un saggio del lavoro manzoniano del D. pubblicato, anch'esso postumo, col titolo Un pregiudizio letterario intorno ai Promessi sposi (Firenze 1873).

Interesse preminente e concreto impegno del D. fu sempre comunque l'assistenza all'infanzia povera della sua città. Questo interesse e questo impegno si accentuarono negli anni Sessanta, quando alcune disgrazie familiari (nel giro di due anni il D. perse due'sorelle, un amatissimo nipote, la madre e il nonno) lo spinsero a dedicarsi quasi esclusivamente ad opere di beneficenza e. d'altro canto, la mutata situazione politica si dimostrò assai più aperta e favorevole alle sue iniziative. Il D. dunque si adoperò per organizzare in forma stabile e istituzionalizzata l'assistenza ai bambini più piccoli; nel 1861 diede vita, con l'aiuto di varie associazioni pubbliche e di privati, ad una nuova Società degli asili d'infanzia, attraverso la quale nel 1864 Napoli era dotata di nove asili costituiti e tre in formazione. Il D. però, consapevole che una volta usciti dagli asili i bambini ritornavano forzatamente nella strada, volle costituire un'organizzazione che fosse in grado di seguirli più a lungo, assicurando loro una più compiuta educazione e un vero e proprio avviamento al lavoro.

Nacque così l'Opera di S. Domenico, poi Opera Casanova pei fanciulli usciti dagli asili, installata nel 1864 nell'abolito convento di S., Domenico Maggiore, ceduto dal Comune, e finanziata da contribuzioni regie, governative, municipali, del Banco di Napoli e private.

Il D., pur tenendo presente esperienze realizzate altrove e la letteratura sull'argomento, concepì un'istituzione ben radicata nell'ambiente sociale napoletano e consapevole delle sue carenze; mirò quindi a creare e rafforzare negli assistiti lo spirito civico e il senso della dignità dei lavoro, senza tuttavia che si perdessero i contatti con l'ambiente di origine, in cui l'allievo sarebbe rientrato una volta uscito dalla scuola; nel contempo veniva sottolineato il carattere ufficiale e pubblico, e quindi legato allo Stato, dell'istituzione. Furono dunque mantenuti stretti e costanti legami con le famiglie dei ragazzi che erano anche tenute, ove possibile, a contribuire economicamente con una retta minima: si distinse nettamente la scuola dall'apprendistato e nella scuola insegnavano maestri comunali. I ragazzi erano ospitati dall'Opera dai 7 ai 15 anni, e per tutto l'anno; particolarmente curati erano l'ambiente e l'igiene. Veniva loro impartito l'insegnamento elementare, più alcune nozioni di disegno geometrico e applicato, nozioni elementari di fisica e di chimica e un embrione di meccanica pratica. Dagli 11 ai 13 anni gli assistiti integravano la scuola con un progressivo apprendistato nelle officine interne sotto la guida di artigiani (le officine erano di falegnameria, ebanisteria, incisione in legno, tipografia, calzoleria); dai 13 ai 15 anni andavano a lavorare fuori dell'Opera, a bottega, dove erano regolarmente pagati, e due volte la settimana frequentavano una scuola serale.

Nel 1866, quando la scuola era ormai bene avviata, il D., in cui si erano sempre più andati accentuando gli interessi religiosi e la dedizione alle attività benefiche, si trasferì a vivere nei locali dell'Opera, dove si occupava personalmente di quattro bambini scelti tra i più poveri e gli orfanì. nel 1870 si ammalò di tubercolosi e fu costretto a rientrare in casa sua.

Morì il 14 ag. 1872 nella villa di famiglia a San Paolo Belsito presso Nola.

Parte del suo epistolario e dei suoi lavori (oltre ai già ricordati scritti manzoniani e danteschi, relazioni e note d'argomento pedagogico, il volgarizzamento di un'operetta di s. Bonaventura, la difesa, dedicata al Capponi, del ricovero degli accattoncelli del padre Ludovico da Casoria) furono pubblicati in due volumi di Scritti e lettere scelte, a cura di F. Persico, a Napoli nel 1878.

Fonti e Bibl.: Commemorazione di A. D., Napoli 1872 (con testimonianze di C. Fiorilli, A. Capecelatro, R. Bonghi, F. Acri, F. Persico); A. Manzoni, Epistolario, a cura di G. Sforza, II, (1840-1873), Milano 1883, pp. 298 s.; Id., Opera omnia, Scritti linguistici, a cura di F. Monterosso, Milano 1972, ad Indicem; E. De Tipaldo, Biografie degli Italiani illustri, Venezia 1836, IV, pp. 490 s. (per Francesco Saverio, sub voce Casanova, marchese di); G. Tesorone, A. Casanova e l'Opera da lui fondata, Roma 1894; A. Capecelatro, Commemorazione di don Gaetano Bernardi, Caserta 1896, pp. 6 ss., 11-14, 21, 26 ss., 38; F. Persico, Due letti. A. Casanova e la Divina Commedia, Firenze 1900 pp. 17 s., 26-64; A. Gambaro, I due apostoli degli asili infantili, in Levana, VI(1927), pp. 96 s. (per Cesare); G. Mazzoni, L'Ottocento, Milano 1931, ad Indicem (per Cesare e Francesco Saverio); G. Oldrini, La cultura filosofica napol. dell'Ottocento, Roma-Bari 1973, ad Indicem.

Vedi anche
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