ALFONSO I d'Aragona e Navarra, detto il Battagliero (el Batallador)
Salì al trono nel 1104, alla morte del fratello Pietro I, che non aveva lasciato discendenti. Il suo matrimonio con la erede di León e di Castiglia, Urraca, vedova di altro marito, ebbe effetto contrario a ciò che si poteva sperare. Tra i due coniugi esistette, fin dal primo momento, un divorzio morale, determinato, secondo gli scrittori aragonesi, dalla condotta licenziosa di lei; secondo i castigliani, dal carattere aspro e tirannico del marito. Pare che la colpa fosse di entrambi. Al contrasto coniugale si aggiunse l'irritazione dei Castigliani, per l'eccessiva protezione accordata da A., nel loro paese, agli Aragonesi. In queste condizioni, il governo di A. sopra la Castiglia, cominciato probabilmente verso il 1109, anno del suo matrimonio, non poteva essere se non un succedersi di lotte, che si scatenarono quando egli rinchiuse in un castello la moglie, liberata poi da alcuni magnati castigliani, e invase e saccheggiò territori di Castiglia, León e Galizia. Giovandosi dei partiti esistenti in quei paesi o dell'aiuto del conte Enrico di Portogallo, batté in più occasioni i partigiani della regina, con la quale peraltro si riconciliava, sebbene momentaneamente. Ma intervenne allora, lontano dalla Castiglia, la lotta contro i Musulmani dell'Aragona (1114).
È appunto la guerra contro l'islamismo quella che ha dato fama a questo eroe della riconquista spagnuola. Già nel 1110, egli aveva ottenuto vittorie sopra i Musulmani e preso alcune città, quali Egea e Tauste (prov. di Saragozza). Invece, durante la sua permanenza nella Castiglia, il governatore musulmano di Valenza era penetrato fino a Ayerbe (prov. di Huesca). La situazione pericolosa indusse A. a intraprendere la conquista di Saragozza, dove dominavano, da pochi anni, gli Almoravidi. All'assedio accorsero, chiamati da lui, magnati d'oltremonte, tra i quali il visconte di Béarn, i conti di Bigorre e di Tolosa, ecc.; nel 1118, la città si arrese ai cristiani, e invano gli Almoravidi ne tentarono poi il ricupero. Un esercito formatosi a questo scopo, comandato dal fratello del sultano, fu disfatto da A. nella celebre battaglia di Cutanda (1120). La frontiera fu quindi portata più al sud dell'Ebro, e in potere del re caddero altre città, quali Calatayud e Daroca. Due anni dopo, egli passò nella Guascogna, dove il conte di Bigorre e altri signori, a nord dei Pirenei, gli si fecero vassalli. Egli pensava intanto a riprendere la lotta contro i Musulmani. Messosi d'accordo oon i Mozarabi, invase il territorio dei Mori, e, di vittoria in vittoria, dimostrando un'audacia senza pari, si spinse, oltre Valencia, oltre Murcia e Granada, fino al mare (1125-26). Una siffatta impresa, che non aveva precedenti nella storia della riconquista spagnuola, fu d'un grande effetto morale, sebbene di non grandi risultati pratici: poiché vi perirono i migliori guerrieri di A., vittime della peste. Tuttavia, molte migliaia di famiglie cristiane furono liberate, e popolarono i rioccupati territorî aragonesi. Dopo che, nel 1130, ebbe conquistata Baiona, andando in soccorso al suo vassallo, il conte di Béarn, si accinse alla sua ultima campagna contro l'Islām, con la quale si proponeva di spazzare i Mori dalla conca del Segre e dal corso inferiore dell'Ebro. L'impresa, disegnata d'accordo con il conte di Barcellona, Raimondo Berengario III, fu ritardata per l'atteggiamento del figliastro Alfonso VII, dopo la morte della regina Urraca sua madre. Intendeva costui di ricuperare le città rimaste in potere del padrigno; ma questa guerra fu felicemente scongiurata, e A. poté iniziare l'altra sua campagna. Assediò Fraga e prese Mequinenza (1133). Ma, in un secondo assedio a Fraga, il suo esercito, attaccato improvvisamente, fu annientato in battaglia. A. poté ritirarsi, forse ferito; e poco dopo, il 7 settembre 1134, morì, o presso Saragozza, o a S. Giovanni della Peña, lasciando i suoi stati agli Ordini militari. Principe battagliero, come venne soprannominato, il suo regno fu tutto uno sforzo di guerra, con Saraceni e con Cristiani. Ebbe dominio oltre i Pirenei; se la sovranità sua sopra la Castiglia non fu molto solida né durevole, egli non tralasciò mai di firmarsi re di Castiglia, e si diede perfino titolo d'imperatore. Fu anche sapiente organizzatore degli stati che aveva ingranditi con le armi; ed è notevole la sua attività legislativa, che favorì le città con privilegi e franchigie.
Bibl.: v. B. Sánchez Alfonso, Fuentes de la historia española e hispanoamericana, 2ª ed., Madrid 1927, nn. 1711-1775 e 2008-2016. Specialmente, Anales Toledanos, in España Sagrada, XXIII; J. de Zurita, Anales de la Corona de Aragón, Saragaozza 1562-80, I; Ximénez de Embun, Ensayo historico acerca de los origines de Aragón y navarra, Saragozza 1878, pp. 204-229; J. Salarrullana de Dios, El reino moro de Afraga y las ultimas campañas y muerte del Batallador, Saragozza 1909; J. Miret y Sans, Alfonso el Batallador en Fraga, en 1122, in Boletin de la R. Acad. de buenas letras de Barcelona, IV (1912), pp. 540-547; A. Ballesteros, Historia de España y su influencia en la historia universal, II, Barcellona 1920, pp. 325-339, 386.