MALVEZZI CAMPEGGI, Alfonso
Nacque a Bologna l'11 ag. 1846 dal conte Carlo, facoltoso proprietario terriero, e da Vittoria Ranuzzi. Sin da giovane militò nel movimento cattolico e nel 1867, sotto la direzione spirituale del gesuita L. Pincelli, fu tra i fondatori a Bologna della Società della gioventù cattolica, presieduta da G. Acquaderni; il M. ne ricoprì a partire dal 1871 la carica di vicepresidente.
La sua fede religiosa e un certo attivismo lo spinsero nel 1869 a trasferirsi a Roma e ad arruolarsi nelle riserve del battaglione romano dell'esercito pontificio in difesa di Pio IX e del potere temporale. A Roma conobbe la nobile orvietana Anna Misciatelli della Chiaja, che sposò nello stesso 1869 e dalla quale ebbe tre figli.
Dopo aver preso parte agli scontri del settembre 1870 tra l'esercito pontificio e quello del generale R. Cadorna, annessa Roma all'Italia, il M. fu persuaso dallo stesso Pio IX a ritornare a Bologna, dove si impegnò nel movimento cattolico. Partecipò nello stesso anno alla fondazione di una Società di mutuo soccorso fra i commercianti e gli operai della città felsinea con fini prettamente religiosi. In particolare egli ebbe un ruolo di primo piano nella promozione e organizzazione dell'Opera dei congressi, nata nel 1874 dall'unione di tutte le associazioni cattoliche sparse nella penisola.
L'Opera dei congressi doveva reagire, come scrisse il M., alla "agghiacciante freddezza di molti dei cattolici medesimi" (Bedeschi, p. 87), i quali erano rimasti per lo più indifferenti o inermi di fronte alla grande trasformazione epocale seguita all'affermarsi del liberalismo in Europa, all'Unità italiana e alla perdita del potere temporale dei papi. Il processo di secolarizzazione delle istituzioni che aveva investito l'Europa, e in particolare l'Italia, richiedeva da parte dei cattolici una risposta sollecita e adeguata ai fini della conservazione dei valori cristiani minacciati da tali trasformazioni. Tuttavia l'Opera dei congressi presto deluse le aspettative del M., aliena com'era dall'affrontare direttamente i problemi di ordine politico attraverso un deciso impegno anche nelle contese elettorali, e non soltanto nel campo meramente amministrativo e sociale.
Egli riteneva che l'astensione dalle urne voluta da Pio IX con il non expedit e confermata dal suo successore Leone XIII costituisse un ostacolo alla nascita di un partito cattolico-conservatore, e che, al contrario, l'organizzazione politica dei cattolici in forma di moderno partito dovesse essere auspicabile, sia dal punto di vista della conservazione sociale, sia in relazione agli stessi interessi della Chiesa. Il M., inoltre, confidava nel fatto che proprio l'ingresso dei cattolici nell'agone politico avrebbe portato con il tempo alla conciliazione tra l'Italia e la S. Sede.
Coerente con questa visione politica, nel 1878, in polemica con gli intransigenti uscì, insieme ad altri esponenti rappresentativi del cattolicesimo bolognese, dall'Opera dei congressi. Tale rottura suscitò un certo scalpore nel mondo cattolico - sia locale sia nazionale - e polemiche a non finire sulla stampa clericale, ma fu il prezzo che il M. e i suoi sodali ritennero di dover pagare per raggiungere l'obiettivo della costituzione di un partito cattolico-conservatore che potesse giocare un ruolo importante nel Paese.
Decisive, in questo senso, furono nel febbraio 1879 le riunioni a Roma, nell'abitazione del conte P. Campello della Spina, una fra le maggiori personalità del movimento cattolico, alle quali partecipò anche il Malvezzi Campeggi. Gli incontri di casa Campello segnarono la rottura fra transigenti e intransigenti: in un primo momento il programma ivi scaturito fu accolto favorevolmente dall'allora prefetto della Penitenzieria apostolica, A. Bilio; poi però, in seguito alle polemiche suscitate dalla stampa liberale e dagli intransigenti, la S. Sede decise di non concedere il proprio placet al programma, anche se non l'osteggiò del tutto. I sodali di casa Campello si divisero così al proprio interno tra un "gruppo romano", convinto che si dovesse ottenere il consenso del papa per partecipare alla vita politica, e un "gruppo fiorentino", il quale, al contrario, riteneva che ci si potesse avviare alla lotta politica attiva anche senza un tale esplicito nulla osta. Il M., animatore del gruppo dissenziente dei conservatori nazionali bolognesi (fu vicepresidente del comitato di Bologna dell'Associazione conservatrice nazionale italiana, il cui presidente era G. Bortolucci), già firmatario nel 1875 del programma di S. Salviati e di Acquaderni, i quali avevano aderito al gruppo romano, si schierò con i fiorentini, pur adoperandosi attivamente per una mediazione politica tra le due parti.
Nel marzo 1879 egli fondò il giornale La Pace, dalle cui colonne condusse la battaglia politica dei transigenti. Nell'agosto del medesimo anno il giornale pubblicò il programma politico, a firma del M., di A. Bocci e di P. Campello, del nascente partito, i cui punti salienti consistevano nel sostegno alla religione, nel paternalismo sociale e nella partecipazione dei cattolici alla vita istituzionale della nazione, conditio sine qua non per raggiungere i primi due obiettivi. Questo programma politico fu una sorta di testamento del settimanale, che proprio in agosto dovette chiudere i battenti. Il M. continuò però la sua battaglia nello Spettatore lombardo e nella Rassegna nazionale, dove pubblicò diversi articoli che sollecitavano la partecipazione dei cattolici alle competizioni elettorali; articoli raccolti successivamente in volumi con lo pseudonimo Un Guelfo, che apparvero a partire dal 1886.
Nel marzo 1881, in vista delle elezioni politiche, si tenne a Firenze una riunione di esponenti borghesi e aristocratici provenienti da tutta Italia, con lo scopo di aderire al programma di casa Campello e di porre le basi per la formazione del partito conservatore. In quell'occasione venne eletto un comitato, presieduto dal principe romano P. Borghese, con lo scopo di promuovere le attività propagandistiche. Tale comitato nominò una commissione, di cui fece parte anche il M., incaricata di raccogliere fondi per incrementare e sostenere la stampa conservatrice. Nello stesso anno venne fondata a Roma la Rassegna italiana, portavoce del gruppo romano, la quale entrò in antagonismo con l'altro organo conservatore, la fiorentina Rassegna nazionale, dividendo ulteriormente le forze politiche conservatrici. Il M. prese le distanze dalla nuova rivista, criticando i "romani" per l'inadeguatezza della loro azione, e in particolare per non essere riusciti a conquistarsi la fiducia del pontefice.
Nel 1884 il M. fondò un proprio settimanale, La Gazzetta amministrativa, che tre anni dopo cambiò la testata in L'Opinione conservatrice. Corriere della domenica. Il settimanale, che visse fino al 1894, si pose l'obiettivo di sollecitare i cattolici al rispetto delle leggi del Regno, di rivendicare l'applicazione integrale dello statuto, che dichiarava il cattolicesimo religione dello Stato, e di promuovere la definitiva soluzione della questione romana. Il M. espresse la convinzione - come scrisse anche nel dicembre 1894 nell'ultimo numero del settimanale - che nulla avrebbe potuto ostacolare, nei tempi lunghi, il risveglio del popolo italiano sotto l'ala salvifica della Chiesa cattolica. Inoltre L'Opinione conservatrice, sin dalla sua fondazione, cercò di porre l'accento sul pericolo socialista e sul ruolo che avrebbe potuto giocare il partito cattolico nel combatterne l'influenza sulle masse popolari.
Il rafforzarsi in Roma delle idee conservatrici e la presenza di esponenti cattolici favorevoli alla partecipazione alle elezioni politiche - i quali si adoperavano con tutte le loro forze "per sbarazzare la via al Papa dagli ostacoli che i partiti intransigenti gli creano", come egli scriveva nel gennaio 1886 al marchese M. Da Passano (Pellegrino Confessore, 1973, p. 139) - lo convinsero che davvero fossero vicini i tempi del definitivo superamento del non expedit. Il M. si fece così promotore di nuovi incontri tra i transigenti, anche se più volte manifestò l'intenzione di non opporsi ai dettami della Chiesa: se gli fosse arrivata una parola autorevole dal Vaticano che gli avesse rivelato come la sua azione fosse sgradita alla gerarchia ecclesiastica, egli umilmente avrebbe interrotto la sua attività politica e di pubblicista.
Se l'impegno politico non portò i frutti sperati, esito certamente migliore ebbe la sua partecipazione alle elezioni amministrative, che la S. Sede consentiva ai cattolici. Egli riuscì ripetutamente eletto nei consigli comunali di Budrio, Crevalcore e Molinella e nel consiglio provinciale di Bologna, dove ebbe un ruolo cospicuo nella promozione della bonifica della pianura bolognese e ravennate a destra del Reno, e dove si impegnò per impedire decisioni contrarie alla morale cattolica e agli interessi della Chiesa. In proposito va ricordata, anche se si risolse con un insuccesso, la polemica da lui condotta nel giugno 1889 insieme con L. Sassoli Tomba contro l'invio di una delegazione di Bologna a Roma in occasione dell'inaugurazione del monumento a Giordano Bruno in Campo de' Fiori.
Negli ultimi anni il M. continuò le battaglie avviate precedentemente sia attraverso le colonne dell'Avvenire di Bologna, di cui per alcuni anni fu direttore, sia dalle pagine de L'Opinione conservatrice, nella cui direzione associò il primogenito Antonio, il quale aveva ereditato dal padre le stesse propensioni politiche e culturali. I suoi articoli furono ispirati a partire dal 1891 dalla Rerum novarum, l'enciclica con cui Leone XIII volle dare una risposta da parte della Chiesa alle esigenze dei tempi moderni.
Il M. morì a Bologna il 9 genn. 1895.
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