MISTRANGELO, Alfonso Maria
Nacque a Savona il 26 apr. 1852, da Giacomo e da Caterina Scotto; battezzato con il nome di Marcello Alfonso, trascorse l’infanzia in una famiglia di modeste condizioni (il padre era calzolaio e la madre sarta).
Rimasto orfano di entrambi i genitori a soli dieci anni, fu accolto nel collegio dei preti della Missione. Distinguendosi per una precoce inclinazione verso gli studi e le pratiche di pietà, entrò nel convitto vescovile e frequentò il ginnasio presso i lazzaristi. A diciassette anni fu ammesso in seminario, ma, dopo aver letto una biografia di s. Giuseppe Calasanzio (José Calasanz), espresse l’intenzione di vestire l’abito scolopico. Si trasferì quindi nel collegio delle Scuole pie di Finalborgo, per completare gli studi classici.
Il 23 ott. 1870 iniziò il noviziato nella provincia ligure degli scolopi, a Carcare; il 29 ott. 1871 fu ammesso alla professione semplice e assunse il nome di Alfonso Maria «a Matre Misericordiae».
Il M. si richiamava all’apostolato popolare di s. Alfonso Maria de’ Liguori. Allo stesso tempo, abbracciava la devozione mariana con un significato politico di opposizione alla modernità e di esaltazione del papato: indicativo il suo riferimento alla Madre di Misericordia di Savona, invocata da Pio VII durante la prigionia per ottenere la sconfitta delle truppe napoleoniche (Panegirici, I, pp. 1-16).
Trascorse gli anni seguenti (1871-76) nei collegi scolopici di Finalborgo e Carcare, insegnando alle elementari e al ginnasio. A Carcare, pronunciati i voti solenni il 6 genn. 1875, trovò un ambiente fecondo per coltivare gli interessi umanistici, conoscendo il poeta P. Giuria e lo scrittore A.G. Barrili, volontario garibaldino a Mentana.
Ricevuti gli ordini minori e maggiori dal vescovo di Savona G.B. Cerruti (febbraio - luglio 1875), il 17 marzo 1877 fu promosso al presbiterato dall’ordinario di Acqui G.M. Sciandra. Dall’ottobre 1876 insegnò grammatica e retorica nel collegio di Ovada. Là intrattenne rapporti con il latinista p. F. Bonfante e soprattutto con il p. C. Pera, predicatore, storico e biblista, ritenuto «uomo di austeri costumi e di studi severi, e reverente alle nazionali istituzioni» (Roma, Arch. centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Direzione generale Affari di culto, b. 116). Sotto la sua direzione il M. completò la propria formazione ecclesiastica e letteraria, acquisendo il titolo di dottore presso il collegio teologico S. Tommaso d’Aquino di Genova.
A ventotto anni, laureatosi in lettere all’Università di Torino, fu nominato rettore della casa e del collegio di Ovada, dipendente dal Comune. In quel ruolo dimostrò spiccate abilità di governo, introducendo, a giudizio di p. G. Giovannozzi, «le giuste novità richieste dai tempi» (Bollettino dell’arcidiocesi di Firenze, novembre - dicembre 1915, p. 176). Si distinse per la cordiale collaborazione con le pubbliche autorità, in linea con una visione conservatrice, per la quale la religione rappresentava il baluardo dell’ordine costituzionale contro il movimento socialista e anarchico.
Intraprese anche una fervida attività di scrittore e di oratore sacro. Con lo pseudonimo Adelfo di Sabazia pubblicò un poema dedicato Agli eroi di Dogali (Genova 1887) nel quale aderiva allo Stato unitario e alla sua politica imperialistica. I suoi sermoni, editi nella raccolta Panegirici, sono tuttavia permeati da una prospettiva intransigente estranea alle idee conciliatoriste. La Civiltà cattolica li elogiò per la loro utilità contro «gli errori moderni» (LVI [1905], vol. 2, pp. 84 s.).
Lo spessore intellettuale e la positiva esperienza ovadese convinsero Leone XIII a designare il M., il 16 genn. 1893, vescovo di Pontremoli. Consacrato dal cardinale L.M. Parocchi il 22 gennaio seguente nella chiesa di S. Pantaleo a Roma, ottenne l’exequatur il 7 genn. 1894. In occasione della sua nomina, il procuratore generale di Genova lo presentò come «un sacerdote che ben sa conciliare i suoi doveri di ecclesiastico colle aspirazioni e colle esigenze di uomo e di cittadino italiano» (Roma, Arch. centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Direzione generale Affari di culto, b. 116).
Interprete della modernizzazione leonina, nella prima lettera pastorale (22 genn. 1894) il M. specificò i due cardini del suo programma di governo: la fedeltà al primato petrino e la volontà di mobilitare i cattolici, ricompattandoli sotto l’autorità episcopale. Pose più volte l’accento sulla «pronta, illimitata obbedienza» dovuta al papa, criticando i fedeli che avanzavano riserve sugli «ordini» del pontefice (lettera pastorale del 18 genn. 1896, pp. 11 s.). Oltre a promuovere il movimento cattolico organizzato, con l’istituzione della direzione diocesana e dei comitati parrocchiali, fondò la Società di S. Francesco di Sales per la diffusione della buona stampa e sostenne l’invito di Leone XIII a «uscire di sacristia» (lettera pastorale del 6 giugno 1896, pp. 10-19). Il suo interesse primario fu però rivolto al clero, verso cui intraprese un’azione di riforma disciplinare per aggiornarne la cultura e uniformarla ai dettami dell’autorità gerarchica. Nel dicembre 1894 impose, quale testo unico nelle scuole e nelle parrocchie, un Compendio di dottrina cristiana. Deciso a colmare il ritardo della preparazione ecclesiastica, modificò l’ordinamento del seminario, adattando gli insegnamenti delle classi elementari e ginnasiali ai programmi ministeriali e introducendo le cattedre di urbanità, di canto gregoriano, di sacra eloquenza e di letteratura dantesca. Il modello di prete preparato nel predicare, al passo con il mondo moderno ed esperto del «vivere civile» fu al centro del primo sinodo diocesano di Pontremoli (18-20 ag. 1898).
Il 19 giugno 1899 Leone XIII premiò l’operosità del M., promuovendolo arcivescovo di Firenze e successore del cardinale A. Bausa, stimato esponente del riformismo «transigente». Al suo ingresso in diocesi (17 dicembre), fu salutato dal cardinale A. Capecelatro come «vero figliuolo del Calasanzio», capace di «armonizzare la fede con la scienza, e la religione con la civiltà» (Saluti e omaggi al nuovo arciv. di Firenze mons. A.M. M., a cura del Circolo universitario cattolico di Firenze, 17 dic. 1899, p. 1).
L’arrivo del M. suscitò in realtà parecchi malumori. Gli ambienti conciliatoristi, riuniti attorno alla Rassegna nazionale, lo accolsero con diffidenza, considerandolo un «normalizzatore». Sul fronte opposto, il «partito intransigente», guidato dal vescovo di Fiesole D. Camilli, vide in lui un rappresentante delle «tendenze liberali» scolopiche: ne era una prova l’ode del 1887, nella quale «si inneggia[va] perfino a Roma capitale d’Italia» (Arch. segreto Vaticano, Segreteria di Stato, 1901, rubr. 3, f. 6, cc. 23r-24v).
In rottura con l’eredità di Bausa, il M. ricevette da Leone XIII il compito di estirpare l’influsso del «moderno liberalismo» dal clero fiorentino, impiantando l’Opera dei congressi (fino ad allora poco diffusa) e sostenendo L’Unità cattolica, malvista dalla maggioranza dei sacerdoti diocesani. Tali disposizioni colpirono in primo luogo i confratelli scolopi Giovannozzi, E. Pistelli e T. Catani, ai quali il M. vietò di tenere discorsi pubblici e di scrivere nella Rassegna nazionale. Nel frattempo, il 4 apr. 1900 assommò alla carica episcopale quella di proposto generale delle Scuole pie. In quella veste, nel novembre 1900, sospese la scuola di religione di Giovannozzi.
Il M. ricevette da Leone XIII il mandato di ricondurre alla dipendenza della curia generalizia di Roma le province scolopiche della Spagna e dell’Impero austro-ungarico, resesi autonome per effetto della politica giurisdizionalistica. Mantenne il generalato fino al 1904, quando fu investito per tre anni della funzione di visitatore apostolico dell’ordine, portando a termine con successo la sua missione.
Fermo nel reprimere l’eventualità di «pericolose conciliazioni» tra la dottrina cattolica e la cultura moderna (Roma, Arch. generale delle Scuole pie, Regestum litterario-scientificum, 351: Relatio ad limina del 1903), il M. tenne una posizione intermedia tra il rigido intransigentismo e le istanze più progressiste di rinnovamento. Sul piano politico manifestò una sintonia di fondo con L’Unità cattolica di G. Sacchetti ed E. Mastracchi, approvando le polemiche contro i cattolici costituzionali e i democratici cristiani, di cui denunciò la condotta al segretario di Stato M. Rampolla del Tindaro (giugno 1902): «si son fatti un idolo del Murri, non leggono altro, non vagheggiano che l’attuazione delle sue idee» (Ballini, p. 74).
Cercò invece di recepire alcuni sviluppi delle discipline religiose e storico-critiche. A partire dal 1901-02, introdusse nei seminari diocesani una riforma che prevedeva un’apertura verso le scienze positive, anticipando il programma di studi del 1907. Oltre all’adozione per il ginnasio e il liceo dei programmi vigenti nelle scuole pubbliche italiane, ingrandì il gabinetto di fisica e istituì le cattedre di canto gregoriano, di storia dell’arte e di urbanità. Ripristinò l’Università teologica fiorentina, dando spazio allo studio dell’ebraico e del greco biblico.
Il prudente aggiornamento impresso dal M. fu però travolto dalla crisi modernista. Con il sinodo diocesano del 21-23 nov. 1905, indetto per «omnia in Christo instaurare» e «tot errorum dissipare caliginem», il M. si allineò al programma di Pio X (Synodus dioecesana florentina, Florentiae 1906, pp. 7-10). Pur individuando nella santificazione del clero la via per la restaurazione cristiana della società, si confermò favorevole all’utilizzo delle «nuove armi» della cultura moderna. Guardò con simpatia allo «spirito di novità» affermando, nella lettera pastorale del 1906: «Dobbiamo rinnovarci anche noi» (Scattigno, pp. 201 s.).
Tale orientamento «rigido nei principî e condiscendente nelle forme» (Tirapani, p. 14) attirò la stroncatura del visitatore apostolico (inviato in diocesi dall’aprile al settembre 1905), la cui relazione contribuì in modo determinante a screditare l’immagine del M. agli occhi di Pio X.
Il visitatore descrisse la diocesi fiorentina come una delle «più scadenti e bisognose di pronto ed efficace rimedio». Accusò lo «Scolopio Mistrangelo» di essere «tutto informato alle idee dei collegi laici del suo Istituto», di aver trasformato il seminario in un «convitto secolare» (Arch. segreto Vaticano, Concistoriale, Visita apostolica, 21, c. 47r), di non possedere «quell’impronta di spirito ecclesiastico che è indispensabile per fare il vescovo e governare anime» (ibid., De archiepiscopo Mistrangelo, c. 12r). Non evitò persino denunce sul piano personale, attribuendogli una relazione con un giovane chierico.
I sospetti per la presunta benevolenza del M. nei riguardi dei «novatori» aumentarono. Su intervento della S. Sede, tra il 1905 e il 1906 Giovannozzi venne sospeso dalla predicazione e nel 1910 don E. Magri fu allontanato dall’insegnamento in seminario. Nel dicembre 1912 il cardinale G. De Lai lamentò la presenza di «lezioni storico-liturgiche che risentono di Semeria, di Duchesne ed un poco anche di Loisy» (Nesti, pp. 877 s.).
Ostile soprattutto agli «autonomi» della Lega democratica nazionale (LDN), verso il modernismo il M. tenne in effetti una condotta misurata. Dopo la Pascendi, condannò «la malizia diabolica di questo nuovo sistema di combattere la fede e la morale cattolica» (Comunicazioni ai mm. rr. parroci dell’arcidiocesi, Firenze 1907, pp. 3 s.), dando seguito a provvedimenti più repressivi: la proibizione dei settimanali La Giustizia sociale (novembre 1907) e Il Savonarola (febbraio 1908), organi della LDN; la sospensione a divinis di S. Minocchi (gennaio 1908). Nel complesso, però, non adottò misure persecutorie; provvide anzi a riabilitare personaggi come Giovannozzi (nominandolo nel 1911 membro del Collegio teologico fiorentino), don Magri e l’ex democratico cristiano don G. Faraoni. Patrocinò inoltre le letture di cultura religiosa e l’Unione del clero per la cultura e l’azione religiosa sociale, iniziative di carattere cautamente rinnovatore.
Si fecero difficili, intanto, i suoi rapporti con L’Unità cattolica, sulla quale dal marzo 1908 esercitava, per volere di Pio X, una «sorveglianza immediata e speciale» (Mazzuoli, pp. 479 s.). A livello pubblico il M. difese il giornale dagli attacchi del trust dei giornali cattolici, promosso da G. Grosoli Pironi, incitando i redattori a non avere «nessun riguardo, nessuna pietà coll’errore» (L’Unità cattolica, 29 sett. 1908, p. 1); sul terreno privato tuttavia non condivise la radicalizzazione integrista intrapresa dai direttori P. De Töth (1908-09) e A. Cavallanti (1909-16). Il suo tentativo di spostare l’orientamento del quotidiano in senso clerico-moderato, portando alla direzione E. Calligari (1909), fallì per iniziativa dello stesso Cavallanti, che, denunciando la manovra a Pio X come una resa al modernismo, ritardò l’incarico del candidato del M. fino al novembre 1917. L’intesa su base antimodernista tra il gruppo de L’Unità cattolica e Pio X esautorò la curia fiorentina, obbligandola peraltro ad avallare pubblicazioni integriste (per esempio il periodico Sentinella antimodernista, 1912-13).
Il M. uscì fortemente segnato e indebolito da queste vicende, alle quali si aggiunse lo scandalo finanziario della Cassa del clero, una banca cooperativa sorta nell’ambito dell’Associazione di previdenza fra i sacerdoti fiorentini (1904), che nel 1912 andò incontro alla liquidazione da parte del Banco di Roma in seguito a irregolarità e a «false partite» volte a coprire un passivo di oltre 6 milioni di lire. Negli anni seguenti prevalse in lui un’attitudine circospetta, dettata dalla preoccupazione di conformarsi alle direttive pontificie. Tale aspetto apparve evidente in occasione del primo conflitto mondiale. Dopo l’intervento italiano, il M. passò dal neutralismo alla legittimazione della guerra; proponendo un duttile patriottismo «difensivo», tentò di comporre la sacralizzazione bellica alimentata dai settori nazional-cattolici con le pressioni della S. Sede, tese a edulcorare le motivazioni nazionalistiche. In virtù dell’opera di assistenza materiale e religiosa svolta a favore delle famiglie dei combattenti, il 15 luglio 1921 fu insignito dal re del titolo di grand’ufficiale dell'ordine di S. Maurizio e Lazzaro.
Benedetto XV volle reintegrarne il prestigio elevandolo cardinale, primo tra gli scolopi e primo da lui nominato (6 dic. 1915). La crisi del dopoguerra accentuò il pessimismo del M. verso la società italiana. Nel denunciare l’immoralità, il disordine dilagante, la «pressoché continua guerra civile» condotta «sventolando una bandiera di sangue» (lettera pastorale del 1921), egli inasprì la sua polemica antisocialista. Mantenne inoltre un certo riserbo riguardo al Partito popolare, mostrandosi riluttante a inserirne gli esponenti nella dirigenza dei circoli cattolici e precisando, fin dal 1920, che l’Unione popolare rimaneva «l’unica e vera organizzazione generale dei cattolici […], da non esser confusa né sostituita da altre associazioni» (Bollettino dell’arcidiocesi di Firenze, 31 marzo 1920, p. 27).
Di fronte al dilagare dello squadrismo il M. invocò la pacificazione in termini assai generici. Le ripetute violenze non lo condussero mai a emettere una condanna esplicita del fascismo, neanche dopo la devastazione di palazzo Pucci (luglio 1923), sede dell’Azione cattolica. Al contrario, fu indubbio il suo consenso al governo Mussolini, espresso attraverso L’Unità cattolica e in un incontro ufficiale a palazzo Vecchio (19 giugno 1923), durante il quale abbracciò platealmente il leader fascista, suscitando malumori nella sinistra popolare e nella Gioventù cattolica.
Instauratasi la dittatura, elogiò la legislazione a favore della pubblica moralità e l’introduzione dell’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche; «con tutta la gratitudine» riconobbe al regime fascista il merito di avere attuato una «vera e sana politica», in grado di ristabilire il «sentimento cristiano» nel costume della nazione (lettera pastorale del 1927, p. 2).
Dopo una lunga malattia – nel giugno 1928 era stato affiancato dal vescovo ausiliare G. Bonardi – il M. morì a Firenze il 7 nov. 1930.
Tra le sue opere principali, oltre alle lettere pastorali reperibili nell’Arch. arcivescovile di Firenze: Agli eroi di Dogali, Genova 1887; Il venerabile Glicerio Landriani delle Scuole pie, patrizio milanese, ibid. 1888; Un fiore nel giardino delle figlie di Maria o Marina Olivieri sorella della carità, Siena 1901. Numerosi i discorsi pubblicati, confluiti nella raccolta Panegirici, I-III, Siena-Firenze 1905-11. Tradusse il libro di J.C. Vives y Tuto - J. Calasanz, Lettera a un sacerdote, Firenze 1898.
Fonti e Bibl.: La carte del M. sono custodite per la maggior parte nell’Archivio arcivescovile di Firenze nei fondi Segreteria degli arcivescovi e Cancelleria; nell’Archivio vescovile di Pontremoli è presente un’unica busta. Alcuni documenti autografi di Pio X e di Benedetto XV, indirizzati al M., si trovano a Pisa, Biblioteca arcivescovile, Arch. privato Maffi, b. 68. A Roma, nell'Archivio generale delle Scuole pie, è depositata la sua corrispondenza in entrata (ricevuta durante il generalato) e in uscita (cfr. in particolare Regesta generalitatis, 249-253, Regestum litterario-scientificum, 351, 369). L’Archivio provinciale dei padri scolopi Liguria (Genova-Cornigliano), oltre a una raccolta dei suoi opuscoli, conserva quattro cartelle con lettere, ritagli di giornale e documenti personali. Altre missive del M. si trovano a Firenze, Arch. della provincia toscana dei padri scolopi, Varia I, 56; Ibid., Padri generali, 95. Per i documenti concernenti l’exequatur, cfr. Roma, Arch. centrale dello Stato, Ministero dell'Interno, Direzione generale Affari di culto, bb. 85 (Firenze), 116 (Pontremoli). Numerose le lettere del M. nel fondo Segreteria di Stato dell’Arch. segreto Vaticano. Sulla vita e l’attività del M.: Bollettino dell’arcidiocesi di Firenze, novembre - dicembre 1915, pp. 161-216; G. Righetti, Il cardinale A.M. M. nella pace di Cristo, in Ieri e oggi, V (1930), pp. 986-1005; M. Tirapani, Il cardinale A.M. M. arcivescovo di Firenze, Firenze 1930; P.L. Ballini, Il movimento cattolico a Firenze (1900-1919), Roma 1969, passim; L. Bedeschi, Nuovi documenti per la storia dell’antimodernismo…, in Nuova Rivista storica, LV (1971), pp. 90-132; A. Scattigno, Il cardinale M. (1899-1930), in La Chiesa del concordato, I, a cura di F. Margiotta Broglio, Bologna 1977, pp. 197-259; G. Ausenda, Il cardinale M. generale delle Scuole pie, in Ephemerides Calasanctianae, XLIX (1980), pp. 364-385; Centro studi per la storia del modernismo, Fonti e documenti, X (1981) e XI-XII (1982-83), passim; P. Mazzuoli, Giornalismo cattolico e cultura intransigente. «L’Unità cattolica»: le politiche di una gestione (1899-1929), in Rassegna storica toscana, XLI (1995), pp. 461-487 e XLII (1996), pp. 197-223; A. Nesti, Alle radici della Toscana contemporanea, Milano 2008, pp. 845-915; M. Caponi, Una diocesi in guerra: Firenze (1914-19), in Studi storici, L (2009), pp. 231-255; Hierarchia catholica, VIII, pp. 113, 272; Diccionario enciclopédico Escolapio, II, s.v. (C. Vilá; con un elenco degli scritti del M.); Diz. storico del movimento cattolico in Italia, III/2, s.v. (S. Nistri).