RUBBIANI, Alfonso
RUBBIANI, Alfonso. – Figlio di Vincenzo e di Letizia Fanti, nacque a Bologna il 3 ottobre 1848 (Mazzei, 1979, p. 25). Dopo il 1860, il padre, magistrato dell’amministrazione pontificia, rifiutò di prestare giuramento al Regno d’Italia e fu pertanto destituito dall’incarico.
Compiuti gli studi liceali presso i gesuiti di Reggio Emilia, Rubbiani rientrò a Bologna per iscriversi alla facoltà di giurisprudenza, ma nel 1870 abbandonò gli studi per accorrere alla difesa di Roma contro l’esercito italiano. Dopo Porta Pia, tornato a Bologna, si avvicinò al giornalismo cattolico: dal 1872 al 1878 diresse L’Ancora, giornale di ispirazione clericale, su cui scriveva con lo pseudonimo di Bajardo articoli di cronaca, folklore, storia dell’arte, richiamando per l’eleganza letteraria del suo stile anche l’attenzione dell’anticlericale Giosue Carducci (Gottarelli, 1976, p. 191). Verso il 1877 iniziò a prendere le distanze dagli ambienti cattolici più conservatori, e alla morte di Pio IX (1878) fondò, con il marchese Alfonso Malvezzi, La Pace, giornale ispirato a una linea di conciliazione con i Savoia, scelta editoriale sgradita a Leone XIII, che portò in breve alla chiusura del periodico.
Gli anni fra il 1879 e il 1885 videro Rubbiani più intensamente coinvolto nella vita politica. Con il sostegno dell’amico Malvezzi, ricoprì la carica di assessore comunale a Budrio, cittadina di cui nel 1884 fu anche sindaco reggente. Nel 1885, tuttavia, fallita l’elezione al Consiglio comunale di Bologna, il rapporto con Malvezzi s’incrinò e negli anni seguenti Rubbiani fu coinvolto in una spiacevole vicenda giudiziaria. Accusato di calunnia e minacce nei confronti del compagno di partito, fu poi definitivamente prosciolto nel 1888 per non aver commesso il fatto. Quelle vicissitudini contribuirono ad allontanarlo dalla politica attiva, indirizzando definitivamente i suoi interessi principali verso il restauro architettonico. Già nel 1879, d’altra parte, s’era accostato da giornalista a quelle attività, salendo per la prima volta sulle impalcature per seguire da vicino il restauro della facciata di S. Martino Maggiore. Furono questi gli anni in cui si fissarono le basi teoriche del suo metodo, attraverso studi sul campo, ricerche d’archivio e letture, di cui le sue pubblicazioni offrono precoci testimonianze: già nel 1881, trattando di iconografia cristiana nel volume Il tipo di Cristo, pubblicato da Zanichelli, dimostrava di conoscere l’opera di Viollet-le-Duc sull’arte russa, oltre naturalmente al Dictionnaire raisonné dello stesso autore. Ma in quei primi anni Ottanta andava leggendo anche altri autori importanti per la cultura artistica del neogotico, come Adolphe Napoléon Didron, Augustus Pugin, Friedrich Hoffstadt, mentre iniziava ad affacciarsi alla sua mente il grande progetto del restauro di S. Francesco (Gottarelli, 1976, p. 191; Mazzei, 1979, p. 27; Baldini, in La fabbrica dei sogni, 2014, p. 38).
I primi interventi operativi, tuttavia, riguardarono edifici del contado bolognese, e in particolare dell’area nord-orientale: la sala del Consiglio comunale di Budrio nel 1885 e, poco dopo, il castello di S. Martino in Soverzano, di proprietà del conte Francesco Cavazza.
Nel castello furono ricostruiti il ponte levatoio e la cortina merlata, e fu realizzata da Achille Casanova la decorazione interna dell’edificio; per quella esterna, poche tracce reperite sotto l’intonaco furono sufficienti per decidere di ripristinare un fregio araldico della famiglia Manzoli, antica proprietaria del castello: erano le prime manifestazioni del metodo che, costantemente accompagnato da accese discussioni e talvolta da vibranti polemiche, avrebbe caratterizzato per un trentennio circa le imprese architettoniche di Rubbiani (Mazzei, 1979, pp. 28 s.).
Nel 1886 si apriva il cantiere di S. Francesco, che segnò fino ai suoi ultimi giorni e oltre la sua attività di restauratore, nell’idea dominante che ricreare la bellezza originaria di quel monumento potesse riavvicinare il popolo alla spiritualità francescana (Monari, in La fabbrica dei sogni, 2014, p. 20). A quel progetto, d’altra parte, Rubbiani lavorava da anni, tanto che nell’agosto del 1886 a Bologna presso Zanichelli poteva pubblicare in volume (La chiesa di S. Francesco in Bologna) il risultato di lunghe ricerche d’archivio e di studi sull’edificio, accompagnati da nove tavole dell’amico architetto Edoardo Collamarini.
In quell’opera Rubbiani esponeva il metodo e gli obiettivi del suo intervento e rendeva espliciti anche i suoi riferimenti teorici, fra cui appunto gli scritti di Viollet-le-Duc, più volte citati nell’introduzione. Ottenuta, nel giugno del 1886, la direzione dei lavori di restauro, prima inequivocabile attuazione dei suoi propositi fu l’abbattimento delle cappelle quattro-cinquecentesche addossate al fianco settentrionale della chiesa, cui seguirono l’apertura di una bifora in una cappella dell’abside e la raschiatura degli intonaci interni, con la distruzione degli affreschi ottocenteschi di Francesco Cocchi.
Per dare corpo al suo complesso progetto di abbattimenti e ricostruzioni, integrazioni, decorazioni e arredo della chiesa, Rubbiani reclutò una compagnia che lo avrebbe accompagnato in tutte le sue imprese successive: la gilda di S. Francesco, costituita, nel suo nucleo originario, dal fedelissimo Collamarini, dai pittori e decoratori Achille Casanova e Alfredo Tartarini, e da maestri muratori come Cesare Moruzzi; arricchitasi nel corso del tempo del contributo di numerose altre personalità – fra tutti Augusto Sezanne, Alfredo Baruffi e Giuseppe De Col –, e sotto la guida artistica e ideologica di Rubbiani, la gilda avrebbe contribuito a rinnovare la sensibilità artistica e il gusto decorativo a Bologna e in Italia, traendo ispirazione dall’estetica liberty e dallo stile neorinascimentale dell’arte inglese, ma soprattutto dalla pittura del grande Quattrocento italiano.
Altre imprese architettoniche, su committenza pubblica e privata, si affiancarono in quegli anni a quella di S. Francesco. Nel 1889 la Camera di commercio gli affidò il restauro del palazzo della Mercanzia, da cui Rubbiani fece rimuovere le aggiunte architettoniche ottocentesche e l’atrio settecentesco del piano terra. Sulla base di alcune tracce rinvenute sotto l’intonaco, Tartarini realizzò la nuova decorazione della facciata, mentre un pittoresco orologio, che suscitò non poche critiche, veniva collocato sulla porta d’ingresso (Mazzei, 1979, p. 38). Negli stessi anni il marchese Carlo Alberto Pizzardi, proprietario dell’edificio, commissionò a Rubbiani il restauro del castello di Giovanni II Bentivoglio a Ponte Poledrano, che fu completamente ricostruito e decorato sulla base di ricerche d’archivio. Fra il 1890 e il 1895 si realizzarono gli interventi più importanti e discussi sulla chiesa di S. Francesco.
Nel 1890-91, abbattuti gli edifici demaniali addossati all’abside, fu possibile recuperare i resti delle tombe di Accursio, Odofredo e Rolandino dei Romanzi, ricostruite reintegrando le parti mancanti dei sarcofagi e delle tre arche. Nel 1893, sulla base di un disegno del 1677, fu ricostruita anche la tomba di papa Alessandro V, e fra il 1894 e il 1895, traendo ispirazione da pochi avanzi d’intonaco e da coeve decorazioni del battistero di Parma e della basilica inferiore di Assisi, Rubbiani elaborò per l’interno dell’abside un progetto decorativo poi realizzato da Achille Casanova: fu, quella, la massima espressione del metodo di restauro integrativo stilistico che suscitò all’epoca, e tuttora suscita, le critiche più accese (Mazzei, 1979, pp. 51-55; Baldini, in La fabbrica dei sogni, 2014, pp. 39-41). Polemiche produsse anche, nel 1893, l’intervento sulla facciata della chiesetta dello Spirito Santo, e in particolare l’integrazione delle parti in terracotta mancanti, ricoperte da un’uniforme pittura rossa, che rese impossibile distinguere le decorazioni originali della facciata da quelle aggiunte: «falsificare il falsificabile» fu l’efficace sintesi con cui il più acceso e instancabile censore di Rubbiani, l’ingegnere Giuseppe Ceri, descrisse l’elemento ispiratore di quei restauri (Mazzei, 1979, p. 88).
Nonostante queste polemiche vivacissime, gli anni finali dell’Ottocento e i primi del nuovo secolo furono certamente quelli di massimo prestigio di Rubbiani restauratore e animatore culturale: nel 1898, con capitali dell’amico conte Francesco Cavazza, si costituiva Aemilia Ars, società impegnata nel rinnovamento delle arti applicate (merletto, decorazione, elementi d’arredo), di cui Rubbiani fu consulente artistico e principale ispiratore, e l’anno successivo, sempre per iniziativa di Rubbiani e Cavazza, fu istituito il Comitato per Bologna storica e artistica, finalizzato a promuovere e coordinare gli interventi di restauro su edifici pubblici e privati. Sempre nel 1899 si completò, per opera di Casanova, De Col e altri artisti, la decorazione delle cappelle absidali di S. Francesco, ispirate sia per la parte murale sia per le vetrate e gli arredi allo stile decorativo e floreale del tardogotico italiano ed europeo.
Il nuovo secolo si apriva dunque per Rubbiani con prospettive di successo, ma anche con qualche cupo presagio. Un totale fallimento, ad esempio, si rivelò la sua campagna per la salvaguardia delle mura trecentesche, a tutela delle quali pubblicò nel 1901 un opuscolo: Per le mura di Bologna.
Anche per quel manufatto, di cui giustamente segnalava alla cittadinanza i valori storici e simbolici, Rubbiani aveva immaginato un intervento di restauro e valorizzazione, ma il progetto di abbattimento approvato dal Comune, che dissimulava le sue finalità speculative sotto obiettivi di risanamento urbanistico e adeguamento alle normative igienico-sanitarie, andò poi avanti fino alla quasi totale distruzione delle mura.
Grandi soddisfazioni vennero invece a Rubbiani da Aemilia Ars, che nel 1902 riscosse successi prestigiosi all’Esposizione internazionale di Torino. Si susseguirono, fra il 1903 e il 1908, le commissioni pubbliche e private: un suo progetto del 1904, per la realizzazione di una nuova strada che avrebbe collegato la piazza dei Tribunali ai Giardini Margherita, fu poi approvato dal Comune e portò nel 1907 a tracciare il viale XII giugno; alcune case private furono restaurate, fra il 1903 e il 1907, e ripristinate in forme tardogotiche in via S. Vitale, in via Begatto e in strada S. Stefano, in via Galliera e in strada Maggiore; importanti ricostruzioni delle parti mancanti della facciata in terracotta richiese nel 1905 il restauro della chiesa del Corpus Domini (Mazzei, 1979, pp. 122 s.). Di grande impatto fu anche l’intervento sulla porta di strada Maggiore, totalmente ricostruita in stile duecentesco, su basi documentarie pressoché inesistenti, e con l’integrazione di una trifora di pura fantasia; tuttavia, le operazioni più importanti in quegli anni furono certamente quelle realizzate negli edifici pubblici di piazza Maggiore, con l’assidua e autorevole consulenza storica di Pio Carlo Falletti e con il sostegno delle sue ricerche d’archivio, che non risparmiarono tuttavia a Rubbiani gli attacchi sempre più aspri di Ceri e di altri critici.
Nel 1905 s’intervenne sul palazzo di Re Enzo, che fu coronato con merlature gigliate e arricchito di bifore e trifore sulla base di un progetto ispirato a coevi palazzi comunali di città padane. Bifore, capitelli, trafori in stile gotico fiammeggiante caratterizzarono anche l’intervento sul palazzo dei Notai, acquistato dal Comune e affidato per il restauro, nel 1906-07, al Comitato per Bologna storica e artistica. Maggiori e più strutturate resistenze incontrarono, fra il 1908 e il 1910, gli interventi integrativi e ricostruttivi sul palazzo del Podestà e su quello del Capitano. La proposta di Rubbiani, pubblicata su Il resto del Carlino del 10 marzo 1908, provocò l’immediata reazione del deputato liberale Giuseppe Bacchelli, critico soprattutto in merito all’idea di abbattere le aggiunte seicentesche del complesso e di abbellirlo con l’apertura di bifore e con le consuete merlature. Argomentate ulteriormente in un opuscolo pubblicato nel 1910 con il titolo Giù le mani dai nostri monumenti antichi, le critiche di Bacchelli furono recepite in qualche modo dagli ambienti culturali e politici cittadini e in parte dagli stessi soci del Comitato per Bologna storica e artistica, provocando un sostanziale ridimensionamento degli interventi progettati da Rubbiani su quegli edifici.
Sebbene contrassegnati da alcune opere importanti – i restauri delle chiese di S. Giacomo e S. Domenico nel 1909-10, quello dell’Hotel Brun nel 1911, e infine quello del Collegio di Spagna nel 1912-13 – gli ultimi anni di Rubbiani, ormai stanco e prostrato dalla malattia, furono incupiti dall’insabbiarsi del suo progetto sulle antiche sedi comunali, da lui certamente vissuto come un fallimento umano e un inequivocabile segno di declino professionale.
Rubbiani morì il 26 settembre 1913 (Mazzei, 1979, p. 204), nella sua casa di vicolo dell’Orto, dietro la chiesa di S. Domenico, in cui viveva da scapolo, non essendosi mai sposato; la sua morte provocò in città un’intensa emozione e le sue esequie furono grandiose.
Tredici anni dopo la morte, il 16 settembre 1926, la salma fu traslata dal cimitero della Certosa all’amatissima chiesa di S. Francesco, per essere tumulata nella cappella centrale dell’abside.
Opere. Oltre a quelle citate: Il tipo di Cristo, Bologna 1881; La chiesa di S. Francesco in Bologna, Bologna 1886.
Fonti e Bibl.: Bologna, Archivio del Comitato per Bologna storica e artistica, Archivio Storico, Protocollo 1901-1940; Adunanze del Comitato; Adunanze del Consiglio direttivo; Bologna, Archivio della Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell’Emilia Romagna, San Francesco, Spirito Santo, Corpus Domini, Palazzo Re Enzo e del podestà; Bologna, Biblioteca del Convento di S. Francesco, Fabbriceria, Verbali, anni 1886-93.
G. Bacchelli, Giù le mani dai nostri monumenti antichi, Bologna 1910; E. Gottarelli, Ascesa e caduta di A. R., il “cavaliero papista”, in Il Carrobbio, II (1976), pp. 189-202; O. Mazzei, A. R.: la maschera e il volto della città. Bologna, 1879-1913, Bologna 1979; M. Fanti, A. R.: un intellettuale multiforme, in Centenario del Comitato per Bologna storica e artistica, 1899-1999, Bologna 1999, pp. 77-107; La fabbrica dei sogni. “Il bel San Francesco” di A. R. (catal.), a cura di E. Baldini - P. Monari - G. Virelli, Bologna 2014 (in partic. P. Monari, Il sogno di A. R., pp. 15-21; E. Baldini, A. R., la Fabbriceria e la Gilda, pp. 33-42); Giornate di studio su A. R. 22 ottobre e 28 novembre 2013, a cura di P. Monari, Bologna 2015 (in partic. M.B. Bettazzi, Tra Neomedioevo e Neorinascimento: architetture costruite e idee di città a confronto, pp. 31-44; P. Monari, Alfonso Rubbiani. Appunti d’archivio, pp. 179-197).