Junge, Alfred
Scenografo cinematografico tedesco, nato a Görlitz (Sassonia) il 29 gennaio 1886 e morto nel 1964. Nel corso della sua carriera artistica spaziò con competenza e originalità in settori diversi: fu infatti costumista, tecnico delle luci e cartellonista nella Germania degli anni Venti, quindi legò il suo nome alle scenografie dei film della Metro Goldywn Mayer inglese, delle quali fu supervisore, e alle opere degli anni Quaranta di Michael Powell ed Emeric Pressburger, di cui realizzò scene e costumi mantenendo sempre una propria cifra stilistica più tendente al realismo che non al fantastico, pur traendo ispirazione dalle suggestioni del cinema espressionista.
Dopo aver studiato arte in Germania e in Italia e aver fatto brevi esperienze come scenografo teatrale con M. Reinhardt e F. Kayssler, cominciò a lavorare per il cinema all'inizio degli anni Venti, collaborando con Paul Leni nel settore delle scenografie e dei costumi dell'UFA. Scenografo di Das alte Gesetz (1923; La vecchia legge) e Moulin Rouge (1928), di Ewald André Dupont, continuò a collaborare con il regista anche quando quest'ultimo si trasferì in Inghilterra, realizzando le scene di Piccadilly (1929) e Two worlds (1930), prodotti da Alexander Korda. Nel 1933 anche J. lasciò definitivamente la Germania per l'Inghilterra dove collaborò con Alfred Hitchcock per Waltzes from Vienna (1934; Vienna di Strauss), The man who knew too much (1934; L'uomo che sapeva troppo) e Young and innocent (1937; Giovane e innocente) e con King Vidor per The citadel (1938; La cittadella). J. si dimostrò un professionista eclettico, un tecnico esperto e un buon organizzatore, doti che gli valsero, dal 1938, l'incarico di supervisore del reparto scenografie della MGM inglese, che avrebbe ricoperto fino a tutti gli anni Cinquanta. Con il film The life and death of Colonel Blimp (1943; Duello a Berlino) ebbe inizio un rapporto che si rivelò fondamentale per la sua carriera, quello con Powell e Pressburger, che avevano appena fondato la casa di produzione indipendente The Archer. La narrazione del film copre un arco temporale molto ampio, seguendo le vicende parallele di due militari (un inglese e un tedesco) dalla guerra anglo-boera (1899-1901) alla Seconda guerra mondiale. J., che per quest'opera fu supervisore delle scenografie, del trucco e dei costumi, ebbe il compito di ideare le scene relative alle tre epoche lungo le quali si dispiega la narrazione, collegate dal filo indistruttibile di un'amicizia tra 'nemici' e da oniriche apparizioni di una figura femminile (Deborah Kerr in tre parti diverse): l'epoca ancora ottocentesca dominata dal codice cavalleresco e incentrata su un duello che si svolge in una Berlino ricostruita in studio, quella spersonalizzata della Prima guerra mondiale e quella disumana della Seconda (ancora drammaticamente viva). Questo film sull'amicizia diventa quindi anche un film sul tempo e sui segni che il tempo lascia sulle città, sulle cose e sui corpi (fondamentale in questo senso la funzione del trucco).
Nel 1944 Powell e Pressburger girarono in bianco e nero A Canterbury tale (Un racconto di Canterbury), ambientato nella famosa cattedrale e nella circostante campagna inglese. La cattedrale, naturalmente, è vera, ma sembra quasi una grande scenografia, nella sapiente scelta di inquadrature e angolazioni, mentre il gusto dei registi per i salti temporali si concretizza qui nel passaggio da un corteo di pellegrini medievali (di cui J. disegnò i notevoli costumi) all'epoca moderna, mediante il volo di un falcone che diventa un aeroplano. Analogo fu l'atteggiamento adottato per "I know where I'm going!" (1945; So dove vado), nel quale è lo stesso suggestivo paesaggio delle isole Ebridi a fare da scenografia con il mare in tempesta e un antico castello diroccato che J. conservò con tutte le sue caratteristiche architettoniche limitandosi a effettuare pochi ritocchi. Alla sperimentazione sul colore, Powell e Pressburger tornarono con A matter of life and death (1946; Scala al Paradiso), per il quale J. disegnò i costumi in collaborazione con Hein Heckroth, avventura fantastica di un pilota inglese abbattuto in guerra, che si ritrova incredibilmente vivo per un errore della burocrazia celeste. Il colore, qui, è tanto più fondamentale in quanto interviene nelle scene 'terrene', mentre il Paradiso è in bianco e nero, secondo un rovesciamento che già spiega il senso dell'operazione. Il vero emblema del film però è la scala; generalmente dotata di una forte connotazione simbolica, tanto ne è pervasa in questo caso, in quanto si tratta della scala monumentale che porta in Paradiso. Essa si può solo salire e si sottrae al sacrilegio di qualunque utilizzo diverso, letteralmente srotolandosi man mano che le anime dei beati la percorrono.
Black narcissus (1947; Narciso nero) fu l'ultimo film di Powell e Pressburger cui J. partecipò realizzando i costumi ancora una volta con Heckroth; l'azione è ambientata in India, e si seguono le vicissitudini d'un gruppo di suore in una regione aspra e inaccessibile dell'Himalaya, ma il film venne girato quasi interamente in studio, salvo qualche scena realizzata nel Sussex. J. edificò un convento a grandezza naturale sui terreni di Pinewood e tutto attorno venne eretto un grande fondale di gesso, con un'angolazione rispetto al sole, tale da evitare qualunque effetto di ombra. Su questo fondale erano state dipinte le vallate, le foreste, le montagne dell'Himalaya: "Così la scenografia, predestinata al naturalismo, si trasforma in un'immensa serra opprimente, trasuda calore, vapore, una fisicità che stordisce e sommerge l'educazione religiosa e anglosassone (e abbatte le difese razionali degli spettatori)" (E. Martini, Powell e Pressburger, 1989, p. 58). In The red shoes (1948; Scarpette rosse) sempre diretto da Powell e da Pressburger, J. venne sostituito da Heckroth anche come scenografo a causa del contrasto artistico sorto con i due registi. Questi ultimi pensavano, infatti, per la coreografia del balletto che dà il titolo al film a scenografie decisamente più fantastiche rispetto a quelle che poteva concepire e accettare il 'realista' J. che, dopo la rottura con i due registi, continuò la sua attività di supervisore alle scenografie per le produzioni europee della MGM. Richiamandosi allo stile di Cedric Gibbons e pur dimostrando minor genialità, curò con competenza e attenzione alla veridicità del dettaglio le ambientazioni storiche di Knights of the round table (1953; I cavalieri della tavola rotonda) di Richard Thorpe e Beau Brummel (1954; Lord Brummel) di Curtis Bernhardt, come quelle in età contemporanea di Betrayed (1954; Controspionaggio) di Gottfried Reinhardt nonché le scenografie in funzione coreografica per Invitation to the dance (1956; Trittico d'amore) di Gene Kelly.
M.L. Stephens, Art directors in cinema: a worldwide biographical dictionary, Jefferson (NC) 1998, pp. 179-82.