DE MARSICO, Alfredo
Nacque a Sala Consilina (Salerno) il 29 maggio 1888, da Alfonso, archivista di prefettura, ed Emilia Rossi. Avido di letteratura ("malato di poesia" si definirá molti anni dopo) e istintivamente portato all'oratoria, pronunziò il suo primo discorso a 17 anni, per l'inaugurazione ad Avellino di un monumento a F. De Sanctis (1905) e pubblicò ad Avellino il primo saggio, su Francesco d'Assisi, nel 1909. Studente di giurisprudenza presso l'università di Napoli, si laureò il 15 luglio 1909 con una tesi in diritto civile su Lacompravendita di cosa futura. Rinunziò ai propositi di entrare nella carriera giudiziaria e all'impiego nel ministero della Pubblica Istruzione (era risultato secondo su mille candidati, nel 1911), per intraprendere la professione di avvocato penalista, a ciò incitato da illustri giuristi che egli considerò suoi maestri come D. Sandulli, V. Marone, E. De Nicola, V. Girardi, F. Spirito ed altri.
Da E. Ferri, E. Florian e G. Escobaldo fu stimolato anche a proseguire nella sua versatilità di studi, sicché collaborò a varie riviste scientifiche non soltanto su temi giuridici. Fu incaricato, ad es., per la Scuola positiva di Ferri, di curare la rubrica della letteratura tedesca (aveva un'ottima conoscenza della lingua, e in seguito imparò anche l'inglese, il francese e il russo). Il diritto penale si rivelò il suo privilegiato campo d'interessi; nel 1915 fu pubblicato a Milano il suo primo, organico lavoro su La rappresentanza nel diritto processuale penale.
All'entrata dell'Italia nella prima guerra mondiale il D., che era stato riformato, rinunziò al congedo; destinato come sottotenente ai servizi sedentari, svolse propaganda patriottica con conferenze su Garibaldi e Cavour e manifestò grande ammirazione per D'Annunzio e calda simpatia per Salandra. Su posizioni liberali di destra (fin da giovanissimo aveva fondato ad Avellino un circolo liberale), si presentò senza successo alle elezioni del 1919 come candidato antinittiano. Nella crisi del dopoguerra, turbato dalla prospettiva di una rivoluzione socialista, salutò con favore il sorgere del fascismo quale restauratore dell'Ordine e dell'autorità dello Stato, convinto, come gran parte del mondo politico liberale, che esso rappresentasse un necessario momento di illiberalismo. La sua adesione al fascismo era destinata a crescere, fino alla seconda metà degli anni Trenta, parallelamente all'influenza che anche sulla sua forte personalità esercitava il mito del duce.
Deputato per la circoscrizione di Napoli nelle elezioni del 6 apr. 1924 (era stato De Nicola ad inserirlo nel cosiddetto "listone", dopo averne parlato con Mussolini), il D. si fece luce al Consiglio nazionale del partito fascista del 5 agosto con un discorso sulla necessità di elaborare una legislazione fascista: l'indomani fu chiamato a far parte del Direttorio, e da questo nominato, insieme con G. Masi, proprio rappresentante presso la Commissione per lo studio delle riforme legislative. Alla Camera fece parte di varie commissioni: per la riforma del codice penale, di cui fu relatore, e del codice di procedura penale; per la riforma dell'ordinamento giudiziario e della legge elettorale; per l'esame del progetto di legge sul Gran Consiglio. Dal 1939 al 1943 fu membro del Consiglio della corporazione delle professioni e delle arti, in rappresentanza degli avvocati e procuratori, nonché preside della provincia di Avellino. La direzione del Partito nazionale fascista lo aveva anche incaricato di difendere, in famosi processi come quello per l'omicidio di don G. Minzoni, svoltosi a Ferrara nel 1925, i camerati imputati dei delitto.
Libero docente in diritto e procedura penale nella università di Roma dal maggio 1915, il D. vinse la cattedra nella stessa disciplina a Camerino (novembre 1922). Successivamente la ottenne a Cagliari (marzo 1926), Bari (novembre 1926), Bologna (novembre 1931), Napoli (1935). Dall'ottobre 1935 divenne ordinario di diritto processuale penale, e dal giugno 1940 ordinario di diritto penale nell'università di Roma, dove insegnò, con la sospensione dovuta all'epurazione, fino al 1958. La "eccezionale tempra di giurista" (Leone, p. 1) rivelata col saggio del 1915 fu confermata, negli anni successivi, da una vasta produzione nel campo del diritto penale ed in quello del diritto penale processuale la cui autonomia il D. difendeva. Nel dibattito scientifico dei tempo si impose per le originali posizioni sul rapporto individuo-Stato, entrambi da lui ritenuti titolari di diritti originari: "senza assumere mai la ufficiale marca di una scuola, mirò costantemente a conquistare un composto e stabile equilibrio tra il canone classico della imputabilità morale ed i nuovi postulati che si accentravano sulla personalità del soggetto" (pp. II s.). Come avvocato penalista - pronunziò la sua prima, celebre arringa nel 1923, nel processo contro l'uxoricida Luigi Carbone - conquistò un prestigioso posto nel ristretto empireo dei principi del foro italiani.
Anche nella sua oratoria, che s'inseriva nella grande tradizione forense napoletana, c'era un elemento di originalità, che la distingueva dal livismo retorico imperante nelle aule giudiziarie ed era improntata "ad una più sagace penetrazione tecnica e ad una maggiore adesione alla verità dei fatti scaturenti dalle risultanze processuali. E De Marsico si atterrà sempre a questa regola, con una oratoria certamente forbita, ma fatta di sostanza, di deduzioni logiche e serrate, atte a superare tutti gli ostacoli, senza aggiramenti e discutibili abilità" (p. Cesaroni, L'oratore, in Scritti giuridici in onore di A.D., pp. 47 s.).
Il 5 febbr. 1943 il D. fu nominato ministro di Grazia e Giustizia, nel vano "cambio della guardia" governativo deciso da Mussolini per risollevare il fronte interno. La nomina lo sorprese: "liberale del fascismo", secondo l'espressione di Mussolini (Bianchi, p. 571), fin dall'inizio era stato inviso ai settori estremisti del regime, precludendosi possibilità di ascesa ad incarichi ministeriali.
Clamorosa era apparsa la sua decisa, solitaria opposizione alla introduzione della pena di morte, manifestata nella commissione parlamentare per la riforma del codice penale e ribadita nella relazione al disegno di legge governativo. Da tempo infatti era mutata la sua posizione nei confronti del fascismo. Era convinto che, con la, conquista dell'Impero, il regime avesse raggiunto il suo "scopo supremo" (Eventi ed artefici, p. XV);che fosse perciò necessario un nuovo corso mirante, sia pure gradualmente, ad una restaurazione della libertà. Aveva invece assistito, con preoccupazione, all'alleanza e al progressivo allineamento ideologico con la Germania nazista, il cui statalismo razzista riteneva in contrasto irriducibile con la civiltà giuridica italiana, ch'egli con sempre maggiore fervore fondava sul "dogma dell'individuo, titolare originario di diritto e perciò, in certo senso, fonte di diritto" (25 luglio 1943 Memorie per la storia, p. 10). Contrario all'entrata in guerra dell'Italia, ma poi patriotticamente auspice della vittoria, dinnanzi all'esito disastroso delle operazioni belliche si era persuaso della necessità di una messa in discussione dell'alleanza e della stessa dittatura fascista. Espressione significativa del suo malessere interiore, combattuto com'era tra il vivo amore per Mussolini e l'esigenza di un mutamento di rotta, fu una sua acclamata conferenza al teatro S. Carlo di Napoli, il 27 giugno 1942, sull'ammiraglio Caracciolo, impostata sul problema morale della fedeltà al giuramento, che "non è catena di schiavi né capestro che riduca l'uomo a cadavere" (Eventied artefici, 1965, p. 79).
II rimaneggiamento del governo e la sua nomina a ministro gli avevano fatto sperare in un mutamento di politica. Le sue aspettative però furono deluse, innanzitutto dalla nomina di G. Ciano ad ambasciatore presso il Vaticano e da quella di C. Scorza a segretario del partito fascista.
La prima "non solo perpetuava e ribadiva la potenza di una oligarchia familiare..., ma non poteva non essere interpretata, per la parte avuta da Ciano nella preparazione e nella definizione del Patto di Acciaio, come espressione della ferma volontà del governo di condurre l'esplicazione delle ultime conseguenze, ispirando a questa volontà anche i rapporti diplomatici col Vaticano". Con la seconda Mussolini "invece di accelerare il processo di diluizione del Partito nel Paese che gli avrebbe procurato consensi più vasti, riapriva il processo di contrapposizione che, isolando maggiormente lui, avrebbe reso più impopolare la guerra" (25 luglio 1943. Memorie..., pp. 10 s.).
Nei pochi mesi in cui ricoprì la carica di ministro il D. cercò di essere fedele al programma presentato a Mussolini in tre righe: "nessun favore ai fascisti, nessuna persecuzione agli antifascisti. Sarò il Ministro dello Stato e non del Regime" (Bianchi, p. 309). Per questo atteggiamento ebbe scontri con Scorza che lo accusò di disanimare, col suo liberalismo, i fascisti, dichiarando urgente il suo allontanamento.
Esempi significativi delle sue posizioni garantiste furono la netta contrarietà, manifestata a Mussolini ai primi di maggio, all'idea di un decreto legge che imponesse ai cittadini affetti da alcune infermità l'obbligo di sottoporsi ad operazioni chirurgiche, in modo da renderli idonei ai servizi di guerra. Nel giugno successivo si oppose ad un progetto di decreto legge, sottopostogli dal ministro delle Corporazioni, T. Cianetti, con il pieno consenso di Mussolini, che prevedeva, per le aziende private aventi forma di società commerciali, la nomina di parte dei membri del consiglio di amministrazione da parte della Confederazione dei datori di lavoro e di quella dei lavoratori. Sembrandogli tale progetto "una quasi demolizione del diritto di proprietà come diritto di amministrare la cosa propria" (25luglio 1943 Memorie ..., p. 20), pregò Mussolini, se insisteva nel presentarlo, di sostituirlo nella carica e ne ottenne, anche in questo caso, il ritiro.
Di notevole rilievo fu il ruolo svolto dal D. nelle vicende che culminarono, il 25 luglio, nel voto di sfiducia a Mussolini da parte del Gran Consiglio del fascismo. Da mesi egli era in contatto col ministro delle Comunicazioni, V. Cini, col quale studiò le possibilità materiali per la prosecuzione della guerra. Dinanzi alle disastrose risultanze delle loro indagini, richiese con energia a Mussolini una compiuta relazione sulla situazione militare. Fu nella seduta del Consiglio dei ministri del 19 giugno 1943 che Cini pronunziò la sua famosa requisitoria a favore della ricerca della pace. Alla secca risposta del duce, sintetizzata nell'alternativa "vincere, o cadere a fianco della Germania", il D. replicò sostenendo che "se la situazione fosse stata insostenibile, poiché i popoli non hanno diritto di suicidarsi, sarebbe stato doveroso ... scegliere una via onorevole per non immolarsi al sacrificio" (Bianchi, p. 404). Nelle settimane successive fu, con G. Bottai e L. Federzoni, il più vicino a D. Grandi e rivide, da un punto di vista giuridico, la stesura dell'ordine del giorno che questi andava elaborando, fondato sul "ritorno allo Statuto" e di conseguenza sull'appello al re Vittorio Emanuele III perché riassumesse il comando supremo delle forze armate. Nel suo discorso nella riunione del Gran Consiglio, la notte del 24-25 luglio 1943, ribadì, "interrotto continuamente da Farinacci che gli grida "tu sei un democratico, tu sei un liberale!"" (Grandi, p. 257), la "frattura tra Partito e Nazione; la necessità costituzionale dell'appello al Re; il transito inevitabile da questo appello a un superamento del Regime" (25 luglio 1943. Memorie..., pp. 92 s.). Condannato a morte in contumacia, il 10 genn. 1944, nel processo a Verona della Repubblica sociale italiana contro i diciannove firmatari dell'ordine del giorno Grandi, il D. subì poi le conseguenze dei procedimenti epurativi avviati dal "Regno del Sud", che lo allontanarono dall'attività forense, per quattro anni e dall'insegnamento universitario per sette.
Reintegrato nei propri diritti, svolse ancora, per molti anni, un'intensa attività didattica e professionale. Fino agli inizi degli anni '80, fu ammirato protagonista dei più noti processi, come quello Ippolito, il segretario generale del Comitato nazionale per l'energia nucleare accusato di peculato, falso ideologico, abuso di ufficio, interesse privato in atti di ufficio (in questo processo, svoltosi a Roma nel 1964, fu tra i difensori degli altri imputati di concorso nei suddetti reati); quello Nigrisoli, il medico imputato di uxoricidio, che egli accusò, come patrono di parte civile, in una memorabile arringa (Bologna 1965); quello Pignatelli, un meridionale imputato di omicidio in una rissa, che egli difese (Bologna 1979). A novantatré anni, nell'ottobre del 1980, fu difensore di Izzo nel processo per omicidio e stupro. Il D. non aveva mancato di reimpegnarsi anche sul piano più strettamente politico. Eletto senatore nel 1953 come indipendente nella lista monarchica di A. Lauro per la circoscrizione di Avellino-Sala Consilina, ma non rieletto nel 1958, continuò a testimoniare la propria fede in una tradizione nazionalistica ormai spenta con conferenze sull'italianità di Trieste, su Elena di Savoia, sul centenario dell'Unità d'Italia. All'inizio degli anni '70 su IlRoma, Il Giornale d'Italia e Il Tempo condusse battaglie contro la politicizzazione della magistratura (minaccia - a suo avviso - della sua indipendenza) e contro il terrorismo, per combattere il quale proclamò, agli inizi degli anni '80, l'esigenza del ritorno ad uno Stato forte. Nei suoi scritti e ricordi, conservò ammirazione per Mussolini e per il fascismo, lamentando il tramonto del senso dello Stato e della tradizione, causato dal "minaccioso affermarsi di miti che hanno a protagonisti la massa" (Eventied artefici, 1965, p. XX).
Morì a Napoli l'8 ag. 1985.
La più compiuta bibliografia dei numerosissimi scritti è quella a cura di M. A. Stecchi de Bellis, in A. De Marsico, Prefazioni, Fasano di Puglia 1978. Qui di seguito ci limitiamo a fornirne un elenco significativo: La poesia di G. Carducci, Avellino 1912; Relazione parlamentare sul disegno di legge per la delega al governo del re della facoltà di emendare il codice penale, Roma 1925; Idelitti contro lo Stato nella evoluzione del diritto pubblico, Bari 1927, Arringhe, I, Napoli 1928; II, ibid. 1931; La riforma della legislazione, Milano 1934; Diritto penale. Lezioni universitarie, Napoli 1935; Lezioni di diritto processuale penale, ibid. 1937; Il dolo nei reati di falsità in atti, ibid. 1937; Eventi ed artefici, ibid. 1938; Legislazione e giustizia nel fascismo, Milano 1939; Delitti contro il patrimonio, Napoli1940; Vocie volti di ieri, Bari 1948; Nuovi studi di diritto penale, Napoli 1951; Arringhe, III, Bari 1952; Lezioni di diritto processuale penale (3 ed., completamente riveduta), Napoli 1952; Penalisti italiani, ibid. 1960; Eventi ed artefici, Seconda, ibid. 1965; Discorsi e scritti, a cura di M. A. Stecchi de Bellis, Bari 1980; Lo Stato nella difesa dalla violenza. Discorsi e scritti 1961-1974, Roma 1982; Toghe d'Italia, Bari 1982; 25 luglio 1943. Memorie per la storia, presentaz. di G. Bianchi, a cura di M. A. Stecchi de Bellis, Bari 1983.
Fonti e Bibl.: Scritti giuridici in onore di A. D., a cura di G. Leone, Milano 1960; Per i novant'anni di A. D., a cura di G. Francario, Napoli 1978. Inoltre: G. Bottai, Vent'anni e un giorno (24 luglio 1943), Milano 1949, ad Indicem;V. Cersosimo, Dall'istruttoria alla fucilazione. Storia del processo di Verona, Milano 1949, pp. 17, 19, 57, 194, 237 s., 240, 271;E. Galbiati, Il 25 luglio e la MVSN, Milano 1950, ad Indicem;B. Mussolini, Storia di un anno (Il tempo del bastone e della carota), in Opera omnia, a cura di E. e D. Susmel, XXXIV, Firenze 1962, p. 350;R. Zangrandi, 1943: 25 luglio-8 settembre, Milano 1964, ad Indicem;L. Federzoni, Italia di ieri per la storia di domani, Milano 1967, pp. 193, 198, 281, 294, 311, 318; G. F. Vené, Il processo di Verona, Milano 1967, pp. 84, 128, 133, 164, 167 s., 184, 186, 222;G. Acerbo, Fra due plotoni di esecuzione. Avvenimenti e problemi dell'epoca fascista, Bologna 1968, ad Indicem;C. Scorza, La notte del Gran Consiglio, Milano 1968, ad Indicem;G. Bianchi, Perché e come cadde il fascismo. 25 luglio crollo di un regime, Milano 1982, ad Indicem;G. Bottai, Diario 1935-1944, a cura di G. B. Guerri, Milano 1982, ad Indicem;C. Scorza, Mussolini tradito. Dall'archivio segretissimo e inedito dell'ultimo segretario del PNF dal 14 aprile alla notte del 25 luglio 1943, Roma 1982, ad Indicem;T. Cianetti, Memorie dal carcere di Verona, a cura di R. De Felice, Milano 1983, ad Indicem;Dino Grandi, 25 luglio. Quarant'anni dopo, a cura di Renzo De Felice, Bologna 1983, ad Indicem.