LUSIGNOLI, Alfredo
Nacque ad Ancona, il 22 nov. 1869, da Virgilio ed Emilia Paoletti. Arruolatosi nel 1891 per il servizio di leva, ottenne il congedo assoluto dopo meno di tre mesi. Si laureò in giurisprudenza a Parma il 6 luglio 1892.
Il 1( maggio 1897 divenne alunno di 1a categoria nel ministero dell'Interno, destinato alla prefettura di Parma; sottosegretario nel 1898, fu trasferito a Bari. Qui, il 16 marzo 1899, si dimise dall'impiego per diventare segretario generale del Comune di Bari. Nel 1901 fu nominato segretario generale del Comune di Roma (secondo un profilo tutto al negativo tracciato nel 1923 da La Voce repubblicana, col fervido patrocinio della massoneria), incarico che mantenne per 16 anni. Rappresentante delle associazioni degli impiegati degli enti locali, nel 1912 prese parte alla Commissione per la riforma del regolamento della legge comunale e provinciale presieduta da P. Fratta.
Il 26 nov. 1916 fu nominato prefetto e destinato a Sassari, sede che però non raggiunse mai, giacché venne dapprima collocato a disposizione del ministero e quindi nominato presidente degli Ospedali riuniti di Roma. L'11 apr. 1918 divenne consigliere di Stato (e collocato temporaneamente fuori ruolo); fu anche, nello stesso periodo (1917), commissario per la liquidazione delle gestioni per le feste commemorative e le esposizioni di Roma, Torino, Palermo, Buenos Aires, Bruxelles, Faenza e Parma, componente del Comitato per la riforma della pubblica amministrazione espresso dalle organizzazioni romane degli impiegati (1918) e, nel 1919, membro della Commissione centrale per la riforma dei servizi pubblici.
Con decreto del presidente del Consiglio di Stato del 3 maggio 1920 fu temporaneamente assegnato alla sezione III, ma tre mesi più tardi, il 21 ag. 1920, fu posto di nuovo fuori ruolo per ricoprire l'importante prefettura di Milano, che resse sino al 25 maggio 1923.
Legato personalmente a G. Giolitti, il L. svolse nel 1920-21 un delicato ruolo di collegamento tra il presidente del Consiglio e il fascismo, incontrando molte volte non solo C. Rossi, ma anche B. Mussolini e affrontando anzi con il futuro duce, in una serie serrata di colloqui riservati, i più scabrosi temi politici del momento, dalla questione fiumana ai problemi del governo del Paese nei mesi convulsi che precedettero la marcia su Roma. Al tempo stesso seppe intessere una rete di collegamenti con i più importanti esponenti dell'industria lombarda, fungendo da discreto ed efficace anello di congiunzione tra il governo Giolitti e quella che era all'epoca una tra le frazioni più rilevanti della classe dirigente del Paese.
Nel 1921 il L. fu l'uomo chiave della strategia giolittiana volta ad attrarre il fascismo verso un'auspicata evoluzione moderata, affinché fosse inserito nei blocchi nazionali a guida liberale in vista delle imminenti elezioni politiche. Si deve inquadrare in quel contesto l'episodio del 18-19 maggio 1921 quando, a elezioni avvenute, dodici dirigenti di spicco del fascio milanese, tra i quali il segretario E. Pasella, furono arrestati: davanti alle vibrate proteste di Mussolini, il L. fece rimettere tutti in libertà.
Dimessosi Giolitti, che l'8 giugno 1921 lo aveva fatto nominare senatore del Regno, il L. prestò la sua opera con il governo Bonomi, adoperandosi tra l'altro nel luglio 1921 per convincere i fascisti milanesi ad aderire all'accordo di pacificazione Zaniboni-Acerbo. Mussolini, in questa come in altre occasioni, lasciò probabilmente credere al prefetto (e di conseguenza al governo e a Giolitti, cui il L. fedelmente riferiva) d'essere disponibile a rinunciare alla violenza squadrista e pronto ad adoperarsi per riportare il movimento dei fasci nella legalità (in realtà "si proponeva soprattutto di presentarsi nella luce migliore, di guadagnar tempo": De Felice, 1966, p. 255). Il L., dal canto suo, pur denunciando più volte le violenze fasciste, si espresse nei suoi rapporti a favore di un atteggiamento blando e comprensivo, dietro il presupposto che l'opinione pubblica lombarda non avrebbe tollerato una seria repressione dei reati fascisti. Nell'agosto 1922, in occasione dello "sciopero legalitario", tale atteggiamento moderato, in un quadro di obiettiva debolezza dello Stato, contribuì a consentire l'occupazione di Milano da parte delle squadre, con l'invasione armata di palazzo Marino e il discorso di G. D'Annunzio in piazza della Scala.
Il ruolo del L. fu rilevante alla vigilia della marcia su Roma. Il 12 ott. 1922 ricevette nel suo ufficio milanese quella che, scrivendo direttamente e irritualmente all'allora deputato Giolitti, definì "una molto autorevole commissione di industriali", tra i quali E. Conti, i deputati S.A. Benni e G. Olivetti, il presidente della Confindustria R. Targetti e A. Pirelli, i quali, preoccupati per l'escalation della violenza politica e per la situazione finanziaria, caldeggiarono, con l'evidente proposito che egli se ne facesse interprete presso l'interessato, il ritorno al potere di Giolitti. In realtà già alla fine di settembre il L., in parallelo con un altro giolittiano di vecchia data, l'ex sottosegretario C. Corradini (l'uno a Milano, l'altro a Roma), partecipava intensamente a una rete di contatti e consultazioni in vista dello stesso obiettivo.
Di fronte alla marcia su Roma l'atteggiamento del L., che assistette, informato ma inerte, ai suoi preparativi (e di una sua "complice passività" avrebbe poi parlato C. Rossi nelle sue memorie), fu quanto meno ambiguo. Del resto De Felice ha riscontrato in quelle ore "l'assottigliamento" del fronte dei sostenitori di Giolitti, indicando anche il prefetto di Milano tra i "molti" che "un po' in odio a Salandra" si accingevano ad accettare Mussolini (ibid., p. 365 n.). Anche G. Acerbo ricordò come in una prima lista di ministri, "compilata a Milano e già trapelata nei particolari", Mussolini avesse incluso come sottosegretario all'Interno il nome del prefetto, salvo poi sostituirlo con A. Finzi. Proprio per compensarlo della mancata designazione il L. fu subito nominato (2 nov. 1922) ministro di Stato, una carica in pratica onorifica che si riservava in genere agli ex presidenti del Consiglio (G. Acerbo, Fra due plotoni di esecuzione. Avvenimenti e problemi dell'epoca fascista, Bologna 1968, p. 186). Secondo E. Ferraris, allora capo di gabinetto del dimissionario L. Facta e dell'ormai ex ministro dell'Interno P. Taddei, il L. gli avrebbe confidato d'aver avuto in offerta da Mussolini "un importante portafoglio", ma di averlo rifiutato "per riguardo a Giolitti, in nome del quale aveva svolto le trattative coi fascisti per un ministero di collaborazione" (E. Ferraris, La marcia su Roma veduta dal Viminale, s.l. 1945, p. 138). Versione lievemente differente da quella di Acerbo, ma che comunque bene si inquadra in quelli che certamente furono i cordialissimi rapporti con Mussolini, attestati inequivocabilmente dalla corrispondenza intercorsa in quei giorni tra il L. e Giolitti e poi dal carteggio Lusignoli - Mussolini: in una lettera del 23 dic. 1922 il L. si rivolgeva al nuovo presidente del Consiglio con espressioni di manifesta simpatia: "Se in altri momenti ho creduto possibile una intesa coi socialisti riveduti e corretti (non parlo delle scorie massimaliste e comuniste), ho cambiato pensiero in seguito agli svariati errori di costoro [(]. Dico questo perché diverse volte (sempre in tono amichevole, di che Le sono grato) Ella mi ha rimproverato certo mio atteggiamento che era, come sempre, ispirato al fondamentale pensiero dell'interesse del Paese; nella stessa maniera che ho, in un secondo momento, ritenuto indispensabile l'incanalamento del fascismo, senza di che le nostrane convulsioni non cesseranno" (Roma, Arch. centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce, Carteggio riservato (1922-1943), Cat. H/R, b. 75).
Insediato il ministero Mussolini, il L. rimase ancora per sei mesi prefetto a Milano. Nei giorni difficili dell'apprendistato al potere sembrò forse inopportuno ai nuovi governanti privarsi della sua esperienza e soprattutto dei saldi collegamenti personali che egli continuava ad avere con la società civile del capoluogo lombardo. A sua volta il L. nutrì forse l'illusione che il fenomeno Mussolini potesse rivelarsi passeggero e che qualche esponente della dirigenza liberale (Giolitti stesso o più plausibilmente Salandra) potesse ritornare al governo per "normalizzarlo".
Sintomatico a tale proposito fu l'episodio ricostruito da De Felice della possibile candidatura del L. a ministro dell'Interno lanciata inopinatamente meno di un mese dopo la marcia su Roma, il 13 dic. 1922, dal Piccolo (l'ed. pomeridiana del Giornale d'Italia), durante la breve assenza del capo del governo impegnato a Londra in un convegno internazionale. La manovra, abortita immediatamente e subito accollata ad ambienti giolittiani e salandrini, suscitò una breve ma bruciante polemica apparsa nel quotidiano L'Impero (14 dic. 1922), nonché "i sarcasmi dell'opposizione". Mussolini, irritatissimo, ne trasse spunto per una prima definizione della facoltà del presidente del Consiglio ad "agire [(] contro chiunque, di qualsiasi partito, fazione o setta, cerchi di portare il turbamento ed il disordine nella nazione" (De Felice, 1966, p. 509 n.). Il L., che fosse o no al corrente dell'operazione (si dichiarò all'oscuro), fu costretto a inviare un telegramma di dissociazione e di scuse.
Qualche mese più tardi l'antico collaboratore di Giolitti fu coinvolto, questa volta come prefetto di Milano, nel "caso Alzona", dal nome del direttore generale delle ferrovie L. Alzona del quale il commissario straordinario fascista dell'azienda, E. Torre, chiedeva con forza le dimissioni. Il L. aveva, sin dal marzo 1923, inoltrato a Roma le "preoccupazioni" manifestategli da ambienti industriali milanesi (Benni, Olivetti e altri) impressionati dalla eventuale epurazione di Alzona, e la raccomandazione che si tenesse in conto il "valore morale Alzona, nonché sacrifici da lui fatti nell'abbandonare una posizione alta sicura redditizia che aveva nell'industria" (così nel telegramma al ministero del 5 marzo 1923; Arch. centrale dello Stato, Segr. particolare del duce, Carteggio riservato (1922-1943), b. 15, f. 216/R, st. 1, Torre E.): le dimissioni forzate del direttore generale, intervenute in agosto, suonarono come una vittoria nei suoi confronti delle correnti più intransigenti del fascismo milanese.
All'epoca, comunque, il L. era stato già rimosso (maggio 1923) dalla prefettura di Milano e posto a riposo. Il provvedimento, cui non fu estraneo Mussolini, mise anche fine a una serie di scaramucce tra il prefetto ex giolittiano e il fascismo locale. Fonti di polizia, non è dato sapere quanto autorevoli, registrarono però, ancora nel giugno 1923, "misteriosi convegni" romani tra il L. ed esponenti del vecchio mondo liberale e suggerirono il pericolo di un collegamento tra il L. e Salandra. Ciononostante, agli inizi di luglio il L. indirizzò a Mussolini una entusiastica lettera personale, felicitandosi per i primi successi della politica del nuovo governo; in dicembre gli scriveva sostenendo di attendere "con impazienza [(] di mettermi ai Suoi ordini" (Arch. centrale dello Stato, Segr. particolare del duce, Carteggio riservato (1922-1943), Cat. H/R, b. 75, Lusignoli A.).
In Senato il L. (che fu membro della commissione delle Finanze dal 30 maggio 1924 al 21 genn. 1929) aveva parlato il 3 dic. 1924 contro il governo, in occasione della discussione sul bilancio del ministero dell'Interno: discostandosi dalla sua precedente adesione all'esecutivo, sottopose a severe critica l'azione politica del governo, specialmente in materia di ordine pubblico, denunciando l'ordinamento della milizia e auspicando la fine delle impunità fasciste. Il 7 maggio 1925, sempre sullo stato di previsione dell'Interno, fu autore di un'appassionata difesa dei valori liberali. Interessante fu anche l'interrogazione che rivolse il 5 maggio 1925 ai ministri delle Finanze e dell'Economia nazionale sulla conformità o meno del nuovo regolamento sulle borse rispetto al testo unico del 1924 sul Consiglio di Stato e all'art. 1 del r.d. 14 nov. 1901, n. 466, circa gli oggetti da sottoporsi al Consiglio dei ministri.
Nell'aprile 1925 il L. si iscrisse a Milano al rinato (ma solo per pochi mesi) Partito liberale. Fu da parte sua l'ultima manifestazione di un'opposizione pubblica al fascismo, del resto non in contraddizione con la prosecuzione dei rapporti con Mussolini.
In realtà, pur non aderendo al Partito nazionale fascista (PNF) e pur non essendosi iscritto all'Unione dei senatori fascisti, il L. non cessò, almeno sino a quella data, i suoi ripetuti tentativi di riallacciare il suo antico rapporto di confidenza con il capo del fascismo.
Il L., comunque, continuava a essere oggetto di violenti attacchi da parte della stampa fascista (in particolare L'Impero del 6-7 nov. 1925 diede notizia fra l'altro della sua "espulsione" fisica, per opera di G. Suardo, dall'anticamera di Mussolini, ove sostava in attesa di congratularsi con il presidente dopo il fallito attentato di Zaniboni).
Ammalatosi poi gravemente (subì, in particolare nel 1926 una delicata operazione all'orecchio), il L. interruppe ogni attività pubblica e i contatti con gli ambienti del vecchio liberalismo. Ciò non impedì per altro che egli fosse, nel 1927, segnalato nell'elenco degli oppositori redatto dal prefetto di Roma e, almeno di lì in poi, costantemente sorvegliato dalla polizia politica, la quale aprì su di lui uno dei primi fascicoli personali del suo nuovo archivio. Nel maggio 1927 un'informativa raccolta in quel fascicolo segnalava per esempio una sua conversazione privata contenente giudizi negativi sul regime (Arch. centrale dello Stato, Min. Int., Dir. generale Pubblica Sicurezza, Div. Polizia politica, f. 743).
Rientrato al Consiglio di Stato sin dal 1923, il L. rimase sempre nella sezione III, sino alla morte. Egli fu insignito di varie onorificenze, italiane ed estere.
Il L. morì a Roma l'11 giugno 1931.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Segr. particolare del duce, Carteggio riservato (1922-1943), Cat. H/R, b. 75, Lusignoli, A.; Ministero dell'Interno, Dir. generale Pubblica Sicurezza, Div. Affari generali riservati, Cat. A1, b. 18; Div. Polizia politica, f. 743; Arch. del Consiglio di Stato, Fascicoli personali, b. 570: A. L.; Ibid., Arch. stor. del Senato, Senato del Regno, Atti parlamentari, XXVII legislatura, sess. 1a, Discussioni, 3 dic. 1924, pp. 338-344; 5 maggio 1925, p. 2304; 7 maggio 1925, pp. 2311-2318; Arch. di Stato di Milano, Prefettura, Gabinetto, 1( vers., b. 67: A. L.; L., in La Voce repubblicana, 2 genn. 1923; Un buffone: il senatore L., in L'Impero, 7 dic. 1924; L'on. L. si iscrive al Partito liberale, in Il Giornale d'Italia, 7 apr. 1925; Un buffone, ibid., 6-7 nov. 1925; Annuario del Consiglio di Stato, 1931 [per la commemorazione di A. Pironti, 16 luglio 1931]; C. Rossi, Mussolini com'era. Radioscopia di un dittatore, Roma 1947, passim; N. Valeri, Da Giolitti a Mussolini. Momenti della crisi del liberalismo, Firenze 1956, passim; R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario. 1883-1920, Torino 1965, pp. 634, 636-638, 643, 650, 653-655; Id., Mussolini il fascista, I, La conquista del potere. 1921-1925, Torino 1966, pp. 26, 42 s., 45 s., 64, 90, 93 s., 97, 134, 223 s., 255, 264, 268, 273, 276 s., 279 s., 288, 308, 328, 336, 338, 357, 365 n., 442, 509 s., 689 s.; F. Cordova, Alcuni ricordi inediti d'un prefetto dell'età liberale, in Storia contemporanea, V (1974), pp. 329, 339-341; G. Melis, Due modelli di amministrazione fra liberalismo e fascismo. Burocrazie tradizionali e nuovi apparati, Roma 1988, pp. 32 s., 55 e n., 144 e n.; Id., Storia dell'amministrazione italiana. 1861-1993, Bologna 1996, pp. 284, 298, 301. Inoltre: E. Gentile, Storia del partito fascista (1919-1922). Movimento e milizia, Bari 1989, pp. 612-614 e n., 639 s. e nn., 644 e n., 649 s., 662, 665, 672, 678; A. Parisella, Le leggi speciali per Roma del Novecento, in L'amministrazione comunale di Roma. Legislazione, fonti archivistiche e documentarie, storiografia, a cura di M. De Nicolò, Bologna 1996, p. 172; L. Francescangeli, Fonti archivistiche per la storia dell'amministrazione comunale dopo il 1870 nell'Archivio storico capitolino, ibid., pp. 294 s., 298; P. Carucci, Tra Nathan e Giolitti: Angelo Annaratone, in La prefettura di Roma (1871-1946), a cura di M. De Nicolò, Bologna 1998, p. 494; M. Saija, L'alternativa liberaldemocratica di Paolino Taddei prefetto e ministro dell'Interno (1917-1925), in Storia amministrazione costituzione. Annale dell'Ist. per la scienza dell'amministrazione pubblica, VII (1999), pp. 91 ss.; P. Allegrezza, L'amministrazione assente. Uffici e burocrazia municipali a Roma da Pio IX alla febbre edilizia (1847-1882), Roma 2000, p. 153; Repertorio biografico dei senatori dell'Italia fascista. E-L, a cura di E. Gentile - E. Campochiaro, Roma-Napoli 2004, ad vocem.