MISURI, Alfredo
– Nacque a Perugia, il 17 maggio 1886, da Giovanni e da Stella Benda, in una famiglia di proprietari terrieri.
Dopo la laurea in scienze naturali, nel 1913 il M. divenne aiuto presso la cattedra di zoologia e anatomia comparata dell’Università di Palermo; nel maggio 1915 ottenne la libera docenza in zoologia nella stessa Università; quindi, nell’autunno del 1916, ebbe la cattedra di scienze naturali presso il liceo di Reggio Calabria, ottenendo contestualmente il trasferimento della sua libera docenza dall’Università di Palermo a quella di Messina. Dopo l’inizio della prima guerra mondiale, nel dicembre 1915, in qualità di tenente commissario, fu chiamato a svolgere servizio presso l’ospedale territoriale della Croce rossa italiana a Montepulciano. Alla fine della guerra, tornò a Perugia con il grado di capitano; dopo le elezioni comunali dell’ottobre 1920, che avevano visto la vittoria del Partito socialista italiano (PSI), entrò nel Consiglio comunale nella lista civica di minoranza.
La formazione politica del M., vicino alla massoneria, aveva il suo fondamento nel liberalismo conservatore e nazionalista, rappresentato ai primi del secolo a Perugia da R.A. Gallenga Stuart e in parte confluito, nel dopoguerra, nell’Unione sindacale del lavoro, orientata alle problematiche sociali ma in funzione «antibolscevica». In occasione delle elezioni, l’Unione sindacale, insieme con l’Associazione nazionale combattenti, aveva dato vita all’Unione elettorale; quindi, dopo la sconfitta alle amministrative, nel dicembre 1920, all’Associazione democratico-sociale.
Ai primi di gennaio del 1921 il M. fu tra i fondatori del Fascio di Perugia e si distinse per l’audacia con cui diresse le azioni squadristiche, culminate nell’occupazione di Terni e di Gubbio. Alle elezioni del 15 maggio 1921, per la XXVI legislatura, fu eletto alla Camera dei deputati nella lista del blocco nazionale (collegio di Perugia), con il maggior numero di voti (110.000). Monarchico convinto, non tardò a entrare in contrasto con il fascismo milanese e «diciannovista», dichiarandosi contrario alla «tendenzialità repubblicana» che, in quella fase, B. Mussolini voleva imporre al movimento. Partecipò da protagonista alla riunione del gruppo parlamentare fascista, tenutasi il 2-3 giugno 1921 al teatro Lirico di Milano, in cui le due tendenze interne al fascismo, la repubblicaneggiante di Mussolini e la filomonarchica di alcuni neoeletti, si contrapposero duramente. A partire dall’autunno del 1921 si inasprirono i contrasti del M. con gli altri capi del fascismo umbro, come G. Bastianini, F. Felicioni e G. Pighetti (con cui fece un duello).
Già all’epoca il M. esprimeva una visione del fascismo estranea a qualsiasi richiamo di tipo «rivoluzionario» e una concezione della lotta e degli obiettivi politici fortemente caratterizzata dal legame con la monarchia. Antibolscevico, il M. auspicava, tuttavia, il rientro del confronto politico nei limiti della legalità e si manifestava, almeno in parte, ancora legato ai valori liberal-democratici che gli venivano dalla sua precedente appartenenza alla massoneria.
Alla fine di marzo del 1922, acuitisi i motivi di dissenso e di scontro con gli altri capi del fascismo umbro, il M. presentò le dimissioni dal Partito nazionale fascista (PNF) e aderì al gruppo nazionalista, nel cui ambito fu nominato ispettore generale per l’organizzazione e la propaganda; in tale veste fu, nei giorni della marcia su Roma, uno degli organizzatori del concentramento delle «camicie azzurre» nazionaliste nella capitale. Rientrato nel PNF nel 1923, dopo la fusione tra Associazione nazionalista italiana e Partito fascista, si venne subito a trovare in una situazione complessa e difficile, considerata la vecchia inimicizia con i leader del fascismo umbro, alcuni dei quali in forte ascesa politica.
Quando, nell’aprile 1923, gli fu chiesto d’iscriversi al fascio romano – un’ipotesi che di fatto avrebbe significato la fine della carriera politica, allontanandolo dalla sua base elettorale e politico-squadristica in Umbria – il M. rifiutò, avvicinandosi gradualmente all’area liberal-democratica di G. Amendola.
Agli inizi del maggio 1923 la pubblicazione, sul quotidiano Il Mondo, di rivelazioni relative ai retroscena dei suoi contrasti con gli altri capi del fascismo umbro portò all’espulsione del M. dal PNF. Il 29 dello stesso mese intervenne alla Camera in sede di discussione dell’esercizio provvisorio, con un discorso che intitolò «Per l’assetto interno», esplicitamente ostile all’intransigentismo fascista e caratterizzato da elementi di «revisionismo moderato».
Dopo un solenne riconoscimento della «funzione storica, viva oggi più che mai, della nostra monarchia millenaria», il M. ribadiva il suo auspicio per il rientro della lotta politica nell’alveo della legalità, lo scioglimento delle squadre fasciste, l’allargamento dell’area governativa ad altre forze politiche, definite «sane correnti nazionali», l’eliminazione di qualsiasi interferenza del PNF sulle istituzioni dello Stato; infine l’abbandono ufficiale e pubblico dell’ipotesi di una «seconda ondata» rivoluzionaria, quale veniva continuamente agitata dai «ras» del fascismo provinciale e intransigente.
La sera stessa il M. fu aggredito nei pressi di Montecitorio e gravemente ferito da una «squadraccia» fascista, mentre i deputati di provenienza nazionalista che si erano congratulati con lui alla fine del suo discorso alla Camera furono tutti solennemente deplorati dalla giunta esecutiva del PNF; fra questi, l’on. O. Corgini, sottosegretario all’Agricoltura, costretto a dare le dimissioni, si avvicinò in forma sempre più esplicita al Misuri.
Per il M., come per altri capi dissidenti (alcuni dei quali a suo dire lo sollecitarono perché si facesse parte dirigente), prese forma a quel punto l’ipotesi di un processo di secessione politica interna al movimento fascista.
In effetti vi erano anche altri gruppi di dissidenti, di diversa matrice, i quali consideravano lo sbocco governativo moderato di Mussolini, alleato con i partiti tradizionali, un vero e proprio tradimento della «rivoluzione fascista» e avevano preso a costituirsi spontaneamente in «fasci dissidenti» come quello alessandrino di R. Sala, quello fiorentino di G. Lumbroso, quello pisano di B. Santini, quello pavese di C. Forni e quello catanese di R. Addario e U. Ducci.
Il M. e Corgini cominciarono a muoversi per riunirli tutti in un unico movimento e, vincendo le ultime remore, il 31 genn. 1924 fondarono una loro associazione costituzionale dissidente, Patria e libertà, dotata anche di un organo settimanale, Campane a stormo.
Il loro programma – che sosteneva «la più ampia libertà di pensiero, di associazione, di propaganda e di stampa» e si richiamava a un ipotetico fascismo delle origini –, si articolava in dodici punti, in cui venivano sostanzialmente ribaditi i principî fondativi di uno Stato monarchico-costituzionale di indirizzo liberale. Se è pur vero che tale programma si presentava come «una summa di vecchi luoghi comuni della tradizione liberale» (Zani, p. 400), si può cogliere, tuttavia, in alcuni passaggi una qualche consapevolezza di quanto il fascismo covava in nuce, cioè la sua forte vocazione all’occupazione totalitaria del potere.
Già in un primo bilancio, pubblicato nel dicembre 1924 su Campane a stormo, gli organizzatori furono costretti ad ammettere che, se i dissidentismi catanese e piemontese erano entrati a far parte di Patria e libertà, l’operazione era fallita con i fasci nazionali di Lumbroso e Forni. Di fatto, il progetto del M. e di Corgini di riunire in un unico organismo tutti gli insoddisfatti del fascismo, dando così forma politica al malessere di vasti strati della piccola e media borghesia, critici verso l’evidente incapacità del governo fascista di avviare il paese verso una reale normalizzazione, non decollò mai e già alla fine del 1924 si poteva concludere che la stentata vita di Patria e libertà si stava avviando alla conclusione.
Anche se molti dissidenti condividevano le critiche «alla degenerazione del fascismo, all’illegalismo, all’immoralità, alla violenza gratuita, alla contrapposizione del partito all’autorità dello Stato» (Zani, p. 414), tuttavia la fedeltà a Mussolini, da cui in tanti non seppero mai liberarsi, e una persistente ostilità per la democrazia impedì loro di seguire il M. e Corgini sul terreno di una democrazia liberale, considerata in sostanza vecchia e superata (Lombardi, p. 56).
Alle elezioni dell’aprile 1924 Patria e libertà non riuscì a raggiungere alcuna intesa né per la costituzione di un blocco da contrapporre al listone governativo, né per quella di un blocco astensionista, né, infine, il M. e Corgini poterono raggiungere un accordo elettorale con i due gruppi dissidenti – quello romano di G. Calza Bini e quello napoletano di A. Padovani – a loro più contigui. In conclusione, anche per la violenza della repressione esercitata da organizzazioni fasciste e prefetture sulla campagna elettorale dei dissidenti, il M. e Corgini finirono per decidere l’astensione del loro gruppo dalle elezioni.
Dopo la svolta totalitaria del fascismo, con il discorso di Mussolini del 3 genn. 1925, il M. fu coinvolto nella generale resa dei conti che il regime avviò nei confronti di avversari, nemici e dissidenti.
Nel luglio 1926 il M. fu dichiarato decaduto dall’abilitazione alla libera docenza per non aver insegnato per cinque anni consecutivi e un suo ricorso, che lo giustificava in quanto deputato, non fu accolto. Il 4 maggio 1927 fu arrestato con l’accusa di rappresentare un pericolo per la sicurezza dello Stato fascista e, il successivo 10 maggio, assegnato per la durata di cinque anni al confino di polizia, che trascorse a Ustica dal 27 maggio 1927 all’agosto del 1929 e dal 1° settembre fino al dicembre di quell’anno a Ponza. A quella data, rientrato a Perugia con una licenza per sistemare alcuni affari, grazie a continue proroghe non tornò più al confino.
Di fatto il M. non rappresentava più un pericolo per il regime, che si limitò da allora a un blando controllo attraverso l’opera di alcuni fiduciari dell’Opera vigilanza repressione antifascista (OVRA), che periodicamente registrarono il «nicodemismo» politico del M.: blandizie pubbliche al regime, atteggiamento critico in privato. Tuttavia egli continuò a tentare di rientrare nelle grazie di Mussolini e in particolare, tra il gennaio 1942 e il gennaio 1943, fece pervenire al duce diverse lettere, in cui la richiesta di favori personali si intrecciava con le assicurazioni di sentirsi «degno di recupero tra i Vostri Collaboratori». Non sembra, tuttavia, che aderisse alla Repubblica sociale italiana (RSI).
Il M. ricomparve sulla scena politica dopo la Liberazione di Roma (4 giugno 1944), come esponente del movimento monarchico; fu, infatti, tra i protagonisti della costituzione dell’Unione monarchica italiana (UMI), tra le organizzazioni monarchiche «quella che maggiormente dipese dalla corte e che dalla corona fu in parte finanziata» (Ungari, p. 79). Il M. ne fu presidente per un breve periodo, dall’ottobre 1944 al 2 febbr. 1945, allorché presentò le dimissioni dalla carica.
Come presidente dell’UMI, il M. ebbe in quel periodo rapporti abbastanza stretti con il principe Umberto e in talune circostanze non gli nascose le sue velleità di reinserirsi nel gioco della grande politica (Lucifero, p. 275). Nel gennaio 1945 presentò anche una richiesta per pubblicare il periodico Monarchia, poi titolato in forma più anodina e meno aggressiva Il Fondamento, che avrebbe dovuto essere l’organo ufficiale dell’Unione monarchica. Alle sue dimissioni non dovettero essere estranei da una parte l’idea di favorire in tal modo il processo di fusione tra l’UMI e la Concentrazione demoliberale, che tuttavia non avvenne; dall’altra gli attacchi portati alla sua persona dai partiti antifascisti a motivo del suo passato di militante e squadrista. Peraltro non gli furono risparmiati attacchi anche in ambiente filomonarchico, come quelli di N. Bolla, capo dell’ufficio stampa di P. Badoglio, allora capo del governo, che il M. aveva dichiaratamente in antipatia (ibid., p. 295).
Dopo le dimissioni dalla presidenza dell’UMI, nell’aprile 1945, il M. fu in Sicilia per una non ben definita «missione politica», nel corso della quale le autorità di polizia segnalavano suoi incontri con ex fascisti aderenti al movimento monarchico. Nel luglio successivo scrisse di nuovo al principe Umberto comunicandogli la sua volontà di uscire dal movimento monarchico per riprendere la sua libertà d’azione, decisione procrastinata forse per la promessa di qualche incarico in vista delle prossime elezioni, poi effettivamente reiterata il 17 settembre, con una nuova lettera al principe, pubblicata due giorni dopo da La Voce repubblicana; «da quel momento e fino al marzo-aprile 1946, l’UMI rimase senza presidente e fu sostanzialmente incapace di darsi una struttura realmente efficiente» (Ungari, p. 152).
Avvicinatosi ad A. Covelli nel primo semestre del 1946, il M. si presentò candidato alle elezioni per l’Assemblea costituente nel collegio di Roma e Lazio nella lista monarchica del Blocco nazionale della libertà, risultando al decimo posto dei non eletti con 1570 voti di preferenza. Subito dopo fu tra i promotori della costituzione del Partito nazionale monarchico (PNM); al congresso costitutivo del luglio 1946 fu chiamato a far parte del comitato di presidenza del nuovo partito. La sua parabola politica si concluse, con le elezioni del 18 apr. 1948, dove si presentò in una lista monarchica «minore», il Fronte degli Italiani, raccogliendo appena 29 voti di preferenza.
In seguito si ritirò a vita privata.
Il M. morì a Roma il 18 luglio 1951.
Tra gli scritti del M. si ricordano: Rivolta morale, Milano 1924; Ad bestias! (memorie di un perseguitato), Roma 1944; Giustizia o rappresaglia? Contributo alla pacificazione, ibid. 1945.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione generale Pubblica Sicurezza, Casellario politico centrale, b. 3318; Ibid., Polizia politica, Fascicoli personali, b. 66/A; Ibid., Confinati politici, Fascicoli personali, b. 676; F. Lucifero, L’ultimo re. I diari del ministro della real casa 1944-1946, a cura di A. Lucifero - F. Perfetti, Milano 2002, ad ind.; R. De Felice, Mussolini il fascista, I, La conquista del potere 1921-25, Torino 1966, ad ind.; L. Zani, L’Associazione costituzionale Patria e libertà (1923-1925), in Storia contemporanea, V (1974), 3, pp. 393-429; P. Lombardi, Per le patrie libertà. La dissidenza fascista tra mussolinismo e Aventino (1923-25), Milano 1990, ad ind.; A. Grohmann, Perugia, Roma-Bari 1990, ad ind.; A. Ungari, In nome del re, Firenze 2004, ad ind.; Enc. biografica e bibliografica «Italiana», A. Malatesta, Ministri, deputati e senatori dal 1848 al 1922, sub voce.