Oriani, Alfredo
Nato a Faenza il 22 agosto 1852, fu poeta, drammaturgo e narratore; soprattutto rilevante fu la sua attività pubblicistica e storiografica, culminata nella Lotta politica in Italia. Origini della lotta attuale (476-1887) (1892), vasto e ambizioso affresco della storia nazionale, e nella Rivolta ideale (1908), manifesto politico-ideologico di una rigenerazione etico-civile da affidare a un’aristocrazia spirituale, educatrice del popolo a quei valori del Risorgimento del quale esso sostanzialmente non era stato partecipe. In questa seconda opera echeggiano spiriti nazionalistici e suggestioni autoritarie, ma – come ha precisato Giovanni Spadolini (in Oriani, a cura di G. Spadolini, 1960) – non dittatoriali, bensì ispirate piuttosto alla figura di Francesco Crispi e all’esaltazione carducciana dell’‘uomo forte’. Nel 1889 O. pubblicò una raccolta di saggi storico-politici, Fino a Dogali, fra i quali Niccolò Macchiavelli (pp. 213-354, rist. in vol. autonomo, a cura di G.M. Barbuto, 1997). Morì a Casola Valsenio (Ravenna) il 18 ottobre 1909.
La fortuna e il successo, che non gli arrisero in vita, giunsero postumi, dopo l’apprezzamento di Benedetto Croce, espresso l’anno prima della sua morte (ma pubblicato in «La critica», 1909, 1, pp. 1-28).
Ristampato tra il 1913 e il 1921 da Laterza di Bari, dopo aver goduto di ampi consensi negli ambienti vociani, nazionalisti e soreliani, O. fu oggetto di mitizzazione da parte del fascismo, che lo elevò a precursore del regime e ne promosse, sotto l’egida mussoliniana, l’edizione completa delle opere, stampata presso Cappelli di Bologna tra il 1923 e il 1930. Tuttavia non mancarono riconoscimenti da parte antifascista, testimoniati da Piero Gobetti, Antonio Gramsci e Federico Chabod (il quale ne risentì nei suoi studi machiavelliani).
L’idea orianesca di M. è lumeggiata dalla sua visione storico-politica, influenzata da quella di Giuseppe Ferrari (→). O. e Ferrari, in effetti, costituiscono, rispetto al mito di M. edificato da Francesco De Sanctis, i divulgatori di un antimito del Segretario, motivato non più, come era accaduto nell’antimachiavellismo cattolico e ugonotto, da preoccupazioni religiose, ma da ragioni politiche e scientifiche. Non a caso tale linea dell’antimachiavellismo moderno sarebbe stata recepita da Gaetano Mosca (→) in un saggio sul Principe uscito nel 1925 in Francia (Encore quelques mots sur le Prince de Machiavel, «Revue des sciences politiques», octobre-décembre 1925, 48, pp. 481-509, trad. it. Il Principe di Machiavelli quattro secoli dopo la morte del suo autore, in G. Mosca, Saggi di storia della scienza politica, 1927, pp. 7-84).
Non trascurabili differenze, però, distanziavano il pensiero di Ferrari da quello di Oriani. Mentre il primo fu affascinato dal socialismo e interpretava la storia come sviluppo della lotta di classe, O. fu molto più sensibile all’ispirazione religiosa del pensiero di Giuseppe Mazzini e all’eroismo di Giuseppe Garibaldi. Per di più, Ferrari fu un convinto federalista, mentre O. reputò necessaria, in quella congiuntura storica, la soluzione unitaria, condizionando quella federalista al consolidamento nazionale. Ancora, Ferrari fu suggestionato dal positivismo, mentre O., pur assimilando alcune istanze del darwinismo sociale, subì – mediato dall’amicizia con lo storico della medicina Camillo De Meis – il magistero di Hegel, dal quale derivava la concezione della storia quale epifania e dispiegarsi del principio di libertà.
Il giudizio su M. va iscritto nella dura condanna, da parte di O., del Rinascimento, età di magnificenza artistica, ma di grave corruzione morale, civile e religiosa, che aveva tradito la vera grande epoca italiana, la civiltà comunale, emancipatasi dall’ipoteca papale e da quella imperiale, affermatrice della libera individualità e della cultura laica. La modernità non era stata inaugurata dal Rinascimento, bensì dalla Riforma protestante, i cui principi di libertà e di uguaglianza si erano adempiuti nella Rivoluzione francese. Ebbene, per O., M. era risultato estraneo a questo virtuoso processo storico, era stato indifferente a ogni riforma spirituale, a cominciare da quella di Girolamo Savonarola. Mentre De Sanctis nella Storia della letteratura italiana definiva il Segretario il «Lutero d’Italia», nella considerazione di O. il vero Lutero italiano era stato Paolo Sarpi, non M., irretito dai compromessi con il potere ecclesiastico e dall’asservimento ai Medici. L’autore del Principe, nel giudizio di O. – che ricusava qualsiasi interpretazione ‘obliqua’ (quel filone di pensiero secondo il quale M., fingendo di ammaestrare i principi, avrebbe disvelato ai popoli il volto oscuro del potere) –, non era stato un vero patriota, ma un cinico egoista e un politico inetto. M. non poteva esercitare una benefica influenza sui destini italiani né dal punto di vista etico-spirituale né da quello scientifico. Infatti, né i Discorsi avevano fondato la moderna scienza storica, né il Principe la scienza politica. M. si era fermato all’angusta ed effimera realtà del fatto. La sua legislazione, avulsa da ogni diritto, aveva assolutizzato il potere del principe e non aveva conciliato moralità individuale e universalità etica in una superiore sintesi storica, nella dialettica (hegeliana) composizione delle diverse realtà familiari, sociali e istituzionali.
O. censurava anche il M. teorico militare, vincolato ad antiquati modelli e non attento ai grandi mutamenti rivoluzionari quattro-cinquecenteschi. In realtà M., secondo O., sarebbe rimasto sempre un enigma finché il suo unico, residuo valore non fosse stato riscontrato nelle sue qualità di letterato. Per lo scrittore romagnolo, il vero grande politico e storico era stato Francesco Guicciardini, che non si era lasciato sedurre, come M., da false e fantastiche teorie, ma aveva dimostrato perspicacia politica e realismo storico. Per De Sanctis, l’elogio della prosa machiavelliana era congruo a quello della sua moderna scienza politica; per O., la demitizzazione del Segretario risparmiava solo le sue doti di «pittore della politica». Si potrebbe quasi dire che il desanctisiano ‘uomo di Guicciardini’, ossia l’uomo del ‘particulare’, profonda radice maligna dell’immoralismo e della latitanza civica degli italiani, diventava, nelle pagine orianesche, ‘l’uomo di Machiavelli’, ovvero un esempio negativo di apatia religiosa ed etica.
Bibliografia: Oriani, a cura di G. Spadolini, Faenza 1960; M. Baioni, Il fascismo e Alfredo Oriani. Il mito del precursore, Ravenna 1988.