TOAFF, Alfredo Sabato
– Nacque a Livorno il 16 novembre 1880, da Cesare Ezechia (Hizkiyah), di professione contabile, e da Allegra, figlia del rabbino livornese Isaac (Isach) Millul.
Il cognome Toaff (la cui etimologia in lingua araba è forse collegata all’azione di ‘fare la ronda’, ossia al camminare in circolo intorno alla città o ai mercati) è menzionato nell’antico archivio ebraico della Ghenizah del Cairo (i cui documenti vanno dall’XI al XIII secolo); tale menzione potrebbe far ipotizzare un’antica origine mesopotamica della famiglia. In ogni caso, almeno a partire dal XV secolo (se non prima), i Toaff risiedettero in Spagna. In seguito all’espulsione degli ebrei da quel Paese (1492), si trasferirono in Italia, probabilmente in Sicilia. Quando, nel 1541, gli ebrei furono espulsi anche da quell’isola (dal 1516 appartenente alla corona spagnola), la famiglia Toaff si spostò a Roma. Nel Settecento si trasferì in Toscana (dove l’avvento, nel 1737, della dinastia granducale degli Asburgo-Lorena aveva prodotto un’atmosfera e una legislazione meno ostili agli ebrei), stabilendosi a Monte San Savino (Arezzo). Negli anni Sessanta di quel secolo, un ramo della famiglia si spostò a Livorno (città in cui gli ebrei godevano da tempo di una normativa speciale), e lo stesso fece nel 1799 (in seguito ai moti sanfedisti e antisemiti avvenuti nell’Aretino e noti come Viva Maria) il ramo da cui discese in seguito Alfredo.
Nell’anno scolastico 1894-95 Toaff frequentò a Livorno il corso di greco e latino tenuto da Giovanni Pascoli presso il ginnasio-liceo Niccolini Guerrazzi. Effettuò poi gli studi ebraici presso il Collegio rabbinico della sua città, sotto la guida di Elia Benamozegh, rabbino, filosofo e cabbalista, che nel 1898 (quandoToaff aveva diciotto anni) gli conferì in una solenne cerimonia nella sinagoga il titolo rabbinico di primo livello, quello di maskil (cólto).
Nel 1902 Toaff, insieme con l’amico e compagno di studi Aldo Lattes, vinse il concorso bandito dalla Fondazione livornese di studi ebraici Angelo Belimbau, cui erano invitati a partecipare gli allievi del Collegio rabbinico, che avrebbero dovuto scrivere una monografia sulla vita e le opere di un celebre rabbino livornese del Settecento, Malahì Accoen. Il saggio, di un centinaio di pagine e articolato in sei capitoli (tre dei quali opera di Toaff e tre di Lattes), sarebbe stato pubblicato qualche anno dopo, nel 1909 (Gli studi ebraici a Livorno nel secolo XVIII: Malahì Accoen, 1700-1771).
Nel 1903 Toaff conseguì il titolo rabbinico maggiore, quello di hakham (saggio), davanti a una commissione presieduta da Samuele Colombo, rabbino capo di Livorno, e di cui facevano parte Cesare Shealtiel Fiano, anch’egli rabbino a Livorno, e Donato Camerini, rabbino a Parma. Fin dal principio del suo magistero livornese Toaff si distinse dalla maggioranza dei rabbini italiani professando un’ardente adesione al movimento sionista. Nel 1904, insieme con Arrigo Lattes (altro suo amico e compagno di studi), Toaff diresse a Livorno la rivista di cultura ebraica Lux, che cessò tuttavia le pubblicazioni dopo pochi fascicoli.
Nello stesso anno dedicò ad Aldo Lattes – in occasione del suo matrimonio con una giovane della famiglia Bonaventura e del suo insediamento a rabbino di Casale Monferrato – un opuscolo da lui curato (Nozze Lattes-Bonaventura, 4 elul 5664 - 15 agosto 1904. Una poesia inedita di Abraham Izahak Castello), con un testo del livornese Abramo Isacco Castello (1726-1789), un celebre hakham (a Livorno la trascrizione di questa parola ebraica è haham, nella comune accezione di rav, rabbino). Nella presentazione Toaff affermò di non volersi tirare in disparte nell’occasione in cui il caro amico, cui era legato «fino dagli anni della più tenera infanzia», era chiamato all’onorevole incarico rabbinico e convolava a giuste nozze. Gli richiamò alla mente le gioie e i dolori, le soddisfazioni e le ansie provate durante il lungo corso degli studi, nei quali erano stati sempre «indivisibili compagni», e sottolineò di voler prendere parte ai momenti di felicità dell’amico, ma nello stesso tempo espresse il suo profondo dispiacere per l’inevitabile distacco che li avrebbe allontanati l’uno dall’altro.
Nel 1906 Toaff si unì in matrimonio con Alice Jarach (nata a Casale Monferrato nel 1879), da cui avrebbe avuto quattro figli: Cesare (nato nel 1908), Pia (1911), Renzo (1913) ed Elio (v. la voce in questo Dizionario).
Cesare esercitò l’avvocatura a Trieste e sposò un’ebrea locale, Rosita Colbi. Renzo si laureò in medicina e, ottenuta la specializzazione in ginecologia, operò nell’ospedale di Pisa; anch’egli sposò un’ebrea triestina, Adele Levi. Pia invece si maritò a Livorno con l’industriale Guido Bedarida (noto scrittore e poeta, nonché direttore della rivista La rassegna mensile di Israel).
Nel 1924 Toaff sostituì Colombo come rabbino capo di Livorno. Nello stesso anno divenne direttore del Collegio rabbinico; in tale occasione affermò (con la modestia che fu sempre una delle sue caratteristiche salienti): «Non so quale sorte di tempo e le esigenze dell’ebraismo italiano riservino alla Scuola che oggi mi è affidata. Comunque possa essere giudicata l’opera mia o quali siano i frutti che essa ha dato o sarà per dare, con sicura coscienza posso affermare che la fede e il buon volere non mi hanno abbandonato neppure nelle difficoltà più gravi, e ho sentito e sento il grave peso dell’eredità che ho ricevuto dalle mani pure di Samuele Colombo» (ripr. in A.S. Toaff, Scritti sugli ebrei di Livorno, in Annuario di studi ebraici, 1980, 9, p. 121).
Durante il ventennio fascista, Toaff fu strenuo oppositore del regime e tra i pochi rabbini che rifiutarono la tessera del partito. Entrò apertamente in contrasto con il governo nel 1925, quando, in occasione di Pesach, la Pasqua ebraica, pronunciò una predica sinagogale in cui paragonò l’umiliante schiavitù del popolo di Israele in Egitto all’oppressione politica e all’offesa alle libertà civili e religiose esercitate dal regime (Libertà. Discorso pronunciato nel Tempio Maggiore: primo giorno di Pasqua, 1925). Dal 1931 fu presidente dell’Assemblea dei rabbini d’Italia.
Toaff si distinse anche come traduttore, e sono sue le versioni italiane di un celebre saggio del rabbino britannico Abraham Cohen (Il Talmud, 1935, trad. condotta sulla versione francese, 1933, dell’originale, Everyman’s Talmud, 1932) e del rituale della cena pasquale (Haggadah di Pasqua, 1948).
Dopo che, nel settembre del 1938, il governo italiano promulgò le prime leggi antiebraiche, due dei figli di Toaff, Cesare e Renzo, si trasferirono con le rispettive famiglie in Palestina (allora sotto mandato britannico), rinunciando alla cittadinanza italiana. Nel 1939 anche il figlio Elio (che aveva già ottenuto il primo titolo rabbinico, quello di maskil) espresse al padre l’intenzione di trasferirsi, ma Toaff lo convinse a rimanere in Italia, affermando (soprattutto in vista delle dure prove cui, presumibilmente, sarebbe stata sottoposta la comunità ebraica italiana): «Un rabbino non ha la stessa libertà di scelta degli altri. Un rabbino non abbandona mai la sua comunità» (intervista di Elio Toaff a G. Vitale, in Pagine ebraiche, 2010, 5, p. 6).
Nel suo studio di Livorno, Toaff impartì fino all’ingresso dell’Italia in guerra (1940) le sue lezioni di Talmud e Cabbalà a un gruppo scelto di allievi, tra i quali si distinse fin da allora il figlio Elio. La sua biblioteca, costituita da migliaia di testi nelle lingue classiche e in ebraico, era considerata la più ricca e preziosa della città.
Quando la monumentale sinagoga seicentesca di Livorno – che gareggiava per bellezza e imponenza con la coeva Portugees-Israëlietische Synagoge di Amsterdam (meglio nota come Esnoga, sinagoga in ladino, la lingua un tempo parlata dalla maggioranza degli ebrei sefarditi) – fu danneggiata irreparabilmente dal bombardamento alleato del 24 settembre 1943, Toaff trasferì il luogo di preghiera nell’oratorio di via Micali (già yeshibah Marini), dirigendone le officiature religiose.
Anche dopo l’inaugurazione, nel 1962, della nuova e moderna sinagoga (situata in piazza Elia Benamozegh), cui partecipò dirigendo le officiature religiose, Toaff non nascose la sua grande nostalgia per quella precedente, dov’era cresciuto e dove aveva studiato. In uno dei suoi ultimi scritti ricordò con commozione come fu ridotto in un mucchio di rovine «lo splendido edifizio realizzato nello spazio di oltre tre secoli dalla fede, dalla liberalità e dal genio degli ebrei di Livorno, il monumento grandioso e glorioso dove tanti uomini insigni in tutti i campi della scienza ebraica pregarono, studiarono e discussero ardui problemi che agitavano le menti e occupavano il pensiero di Israele, dove personaggi illustri e piccoli uomini oscuri, sfuggiti ai roghi dell’Inquisizione di Spagna e Portogallo, poterono tornare senza paura al loro ebraismo ed effondere il loro animo dinanzi alla maestà del Dio dei Padri» (Cenni storici sulla comunità ebraica e sulla Sinagoga di Livorno, Roma 1955, p. 36). Toaff prese atto con rammarico del fatto che il vecchio Tempio non sarebbe stato riedificato imitando il modello precedente. Rivolgendosi agli ebrei livornesi osservò malinconicamente: «Ricostruirlo com’era non è possibile e quand’anche si potesse, non sarebbe più quello. Muto e freddo ricordo della sua grandiosità rimangono poche stampe e alcune fotografie, ma vivo ed eloquente rimarrà il ricordo nella memoria di chi, come me, si era abituato fin dall’infanzia a vedere racchiusi in quelle pareti secoli di storia, agitarsi su quel pergamo e in mezzo a quei banchi le immagini venerande di coloro che di quella storia furono gli artefici» (ibid.).
Poco dopo l’occupazione tedesca di Livorno (8 settembre 1943), Toaff riparò con la moglie a Orciano, presso Pisa (dove fu poi raggiunto dal figlio Elio e dalla sua famiglia), per spostarsi in seguito in altre due località della Toscana nordoccidentale, Le Focette e Valdicastello (Toaff, 2017, p. 57).
Pochi giorni dopo la liberazione di Valdicastello da parte delle truppe alleate (18 settembre 1944), Toaff rientrò in una Livorno semidistrutta ma libera, e riprese il suo posto di rabbino, acclamato dal pubblico dei fedeli scampato ai disastri della guerra e alle persecuzioni.
Nell’aprile del 1949, per il venticinquesimo anniversario della sua nomina a rabbino capo, il consiglio della comunità israelitica gli conferì in una solenne cerimonia un attestato in cui si plaudiva all’«opera fervida e disinteressata da lui svolta fra grandissime difficoltà e incomprensioni», auspicando ch’egli fosse in grado «di far rivivere in tempi ora migliori col suo affermato valore le vetuste glorie del Rabbinato Livornese» (si v. il diploma originale riprodotto da Ariel Toaff, figlio primogenito di Elio, nella sua pagina Facebook: https:// www. facebook.com/photo.php?fbid=10002852 83346332&set=t.100000946083465&type=3&theater).
Toaff rimase rabbino capo di Livorno fino al 1963 (quando trasmise la carica al suo discepolo Bruno Pellegrino [Ghershom] Polacco, fino al 1960 rabbino capo di Ferrara); rimase inoltre direttore del Collegio rabbinico della città fino al 1955 e presidente dell’Assemblea dei rabbini d’Italia fino al 1963. Dal 1956 al 1963 fu direttore del Collegio di Roma (e fu in questa città che, nel 1962, conferì al nipote Ariel il titolo di maskil).
Fu inoltre docente di lettere antiche e di letteratura italiana all’Università di Firenze, distinguendosi nel panorama della cultura umanistica italiana come illustre grecista. Uno tra i suoi allievi più affezionati fu il livornese Carlo Azeglio Ciampi, futuro presidente del Consiglio e successivamente della Repubblica.
Toaff amava Livorno ed era amato dai livornesi, ebrei e cristiani. Non sorprende quindi che alla sua morte, avvenuta a Livorno il 18 novembre 1963, l’allora vescovo, Emilio Guano, facesse suonare a lutto le campane delle chiese di tutta la città.
Toaff aderì sempre, senza esitazione, alla visione del mondo espressa nello Zohar (Lo splendore) e negli altri scritti della Cabbalà, oltre che dai maestri che, come Benamozegh, si erano richiamati agli insegnamenti della mistica ebraica. Sottolineò come «il sistema teologico-critico che Benamozegh creò per spiegare l’ebraismo, tutta la sua costruzione apologetica, come sono rimasti monumento perenne alla sua memoria, sono rimasti anche nell’animo dei suoi discepoli» (v. Il Collegio rabbinico di Livorno, dapprima in La rassegna mensile di Israel, 1937-1938, 12, pp. 184-195, poi rist. in Annuario di studi ebraici, 1977-1979, 9, cit. p. 120). A suo parere, Dante Lattes (suo collega di studi al Collegio di Livorno, anche se un po’ più anziano di lui) e Colombo (che lo aveva preceduto nell’incarico di rabbino capo) furono i più illustri discepoli del pensatore livornese. Spiegò in dettaglio tale sua convinzione affermando che «scolari di Elia Benamozegh, che ne abbiano assimilato le idee, non potevano riuscire che come Samuele Colombo e Dante Lattes. Per un quarto di secolo Samuele Colombo, nella scuola e fuori, insegnò e fece apprezzare con la parola e con l’esempio le teorie del Maestro; Dante Lattes, da quarant’anni, nella sua opera di giornalista e di scrittore, dedica alla verità ebraica, di cui è banditore e apologista efficace, la sua viva intelligenza e le sue doti preclare di polemista dotto e brillante» (Scritti sugli ebrei di Livorno, p. 120). Toaff si considerò sempre tra gli allievi più vicini a Benamozegh, e non dimenticò l’investitura rabbinica ottenuta dal maestro nel Tempio di Livorno nel 1898: «Ho presente sempre nella memoria quella mattina di Sabato del 1898, in cui Elia Benamozegh dette la semikhah a Dante Lattes del titolo di hakham e a me di quello di maskil, né ho dimenticato le parole che egli, ponendomi sul capo il taleth, mi sussurrava all’orecchio: Ricordati che per me questa non è una formalità. Conto molto su di te» (ibid., pp. 120 s.).
Fonti e Bibl.: Livorno, Archivio della comunità ebraica, unità 163, fondo Alfredo Sabato Toaff; Alfredo Sabato Toaff, nella banca dati Rabbini italiani, ad vocem; Toaff Alfredo Sabato, nella banca dati SIUSA (SIstema Unificato per le Soprintendenze Archivistiche); A.M. Piattelli, Repertorio biografico dei rabbini Italiani dal 1861 al 2015, Gerusalemme 2017, ad vocem.
R. Toaff, I Toaff del Monte, Napoli 2011, pp. 40-42; La nazione ebrea di Monte San Savino e il suo Campaccio, a cura di M. Perani - J. Arbib - R. Giulietti, Firenze 2014 (in partic. R.G. Salvadori - R. Giulietti, Famiglie ebraiche di Monte San Savino, 1627-1799, pp. 105-123; A. Gravano Bardelli, Genealogie di famiglie ebraiche savinesi, pp. 214-216); E. Toaff, Perfidi giudei, fratelli maggiori, Bologna 2017, passim.