Algeri
(lat. Icosium; arabo al-Jazā'ir)
Capitale della repubblica algerina. La fortuna di A. è legata soprattutto alla sua posizione geografica; è infatti situata al centro del litorale settentrionale africano, cioè in un punto ideale per le relazioni marittime con le potenze europee del Mediterraneo occidentale. È difesa dall'interno dalla catena del Giurgiura e dalle montagne della Cabilia, mentre dalla parte del mare è protetta da alcuni isolotti a poche centinaia di metri dalla costa. I Fenici e i Greci la considerarono soprattutto un luogo di scambi, mentre i Romani vi si stabilirono più solidamente. La città prese allora il nome di Icosium e in questo periodo vi furono costruiti monumenti notevoli, fra cui un teatro le cui rovine furono ammirate dal geografo arabo al-Bakrī nell'11° secolo. Per quanto riguarda l'epoca bizantina, resta il ricordo di una grande chiesa le cui vestigia servivano da qibla all'epoca di al-Bakrī. Le prime ondate dei conquistatori arabi, in cammino verso O, ignorarono Icosium perché non si trovava sulle vie che dall'Oriente conducevano all'Occidente e i combattenti preferivano piuttosto le strade degli altopiani del centro o quelle delle regioni presahariane. Per numerosi secoli A. (al-Jazā'ir) restò così una città berbera, un piccolo porto peschereccio e commerciale, uno sbocco dell'entroterra montagnoso della Cabilia. E tale era ancora al tempo di al-Bakrī che così la descrisse: "Contiene parecchi bazar e un jāmi' (moschea congregazionale) [...] il porto è ben riparato e ha una sorgente di acqua dolce; è frequentato da marinai di Ifrīqiya, di Spagna e di altri paesi".
Gli storici arabi sostengono che la città fu costruita nel sec. 10° dal figlio di Zīrī, capo berbero alleato dei Fatimidi, ma in realtà sembra che Buluggīn, figlio di Zīrī, non abbia fatto altro che restaurare la città e rafforzarne le difese. La pirateria era diventata, in quel tempo, un'importante fonte di ricchezza e non era lontano il momento in cui, secondo la pittoresca espressione di Ibn Khaldūn (al-Muqaddima), "i cristiani non avrebbero potuto mettere in mare neppure una zattera".
Ben presto la città cadde nelle mani degli Almoravidi divenuti padroni del Marocco e dell'Andalusia, segnando il limite estremo delle loro incursioni verso E. Nel 1096 essi vi fondarono una moschea, ancora esistente, utilizzando una pianta diventata classica dalla fondazione di Kairouan: una sala di preghiera a più navate (qui sono dieci) perpendicolari al muro della qibla (orientato verso la Mecca), scandite in cinque campate. La navata assiale conduce al miḥrāb ed è più larga delle laterali; i pilastri quadrati sostengono archi oltrepassati. Un piccolo cortile a N è fiancheggiato dal prolungamento delle tre navate estreme dell'oratorio; il tutto presenta una grande sobrietà di linee e di decorazione. Da notare che, contrariamente all'Ifrīqiya (Berberia orientale), qui le navate sono ricoperte di tetti di tegole semicircolari (influenza ispano-musulmana). Nel sec. 11° gli Almoravidi furono sostituiti dagli Almohadi, berberi dell'Atlante marocchino, ai quali riuscì di riunire sotto la loro potestà tutta l'Africa del Nord, dalla Spagna fino a Tripoli; A. deve loro forse la piccola moschea detta 'di Sidi Romdane', il cui minareto, elevato al di sopra del miḥrāb, ricorda quello di Tinmal. A loro volta gli Almohadi furono spodestati e dalla loro caduta si formarono tre dinastie nel Maghreb: gli Hafsidi di Tunisi, i Merinidi di Fez, gli Abdalwadidi di Tlemcen. Questi ultimi furono padroni di A. per lungo tempo e vi costruirono nel 1324 il minareto della Grande moschea, ma i loro rivali, i Merinidi, li detronizzarono a più riprese e fecero edificare ad A. una madrasa (la Bū ῾Ināniyya) destinata a scomparire quando venne costruita la moschea detta 'della Pescheria' (1660). In questo lungo periodo le tre dinastie in lotta tra loro si alternarono al governo della città; tale situazione ebbe termine con l'arrivo dei corsari barbareschi (inizi del sec. 16°). Leone Africano (1550) dà di A. una descrizione molto particolareggiata che precede il nuovo periodo di prosperità della città. Vi conta 4.000 focolari, "le mura sono splendide ed estremamente forti [...] possiede belle abitazioni e mercati ben organizzati"; la città comprendeva inoltre un grande numero di bagni caldi e di alberghi e molti giardini.
Bibliografia
Fonti:
al-Bakrī, Description de l'Afrique septentrionale, a cura di W. MacGuckin de Slane, Alger 1857-1858.
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Letteratura critica:
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