ALGERIA
(II, p. 451; App. I, p. 86; II, I, p. 128; III, I, p. 64; IV, I, p. 90)
In apertura degli anni Ottanta l'A. è pervenuta a una migliore definizione dei lunghi confini ereditati dal periodo coloniale, firmando accordi di demarcazione con Niger, Tunisia, Mali e Mauritania. Nel 1976 la nuova costituzione ha ribadito l'opzione per un socialismo assai influenzato dalla dottrina islamica e da principiterzomondistici. Dieci anni dopo, una revisione costituzionale ha accordato margini meno ristretti all'iniziativa privata. Il ruolo di perno delle istituzioni compete al Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), che designa il candidato unico alla presidenza e numerosi rappresentanti permanenti nell'Assemblea nazionale (formata − alle elezioni del 1987 − da 295 membri). Nel dicembre 1983 le circoscrizioni amministrative fondamentali (wilāyāt) sono state portate da 31 a 48.
Popolazione. − La popolazione censita al 1977 era di 16.948.000 ab., divenuti 22.971.558 secondo i dati del successivo rilevamento (1987). A questi vanno aggiunti gli Algerini residenti all'estero: più di un milione, per i 4/5 concentrati in Francia. Il ritmo d'incremento della popolazione resta intorno al 3,3% annuo, benché si registri una lieve contrazione della natalità tra l'inizio e la fine degli anni Settanta (da 48,8 a 47‰). La quota di giovani è perciò molto alta: il 60% degli Algerini avrebbe meno di 19 anni, con enormi problemi di istruzione e di formazione professionale. Un massiccio sforzo in campo educativo ha comunque consentito di portare il livello generale di analfabetismo sotto il 60%.
La componente rurale della popolazione è ancora prossima al 56%, ma tra il 1966 e il 1980 gli abitanti dei centri urbani sono più che raddoppiati per effetto di un flusso migratorio interno dell'ordine di almeno 100.000 persone l'anno. Mentre alla metà degli anni Sessanta i centri con oltre 100.000 ab. erano solo 5, al cens. del 1987 questi erano già 17. Algeri (con circa 1.700.000 ab.) continua a dominare la gerarchia urbana, ma anche Orano (598.525), Costantina (449.602) e Annaba (227.795) hanno ormai dimensioni e funzioni ragguardevo li, mentre molti centri minori denunciano ritmi di crescita brucianti (per es. Tizi-Ouzou). L'inurbamento rapido ha generato gravi scompensi territoriali e una forte crisi abitativa, richiedendo cospicui interventi nelle infrastrutture civili e nell'edilizia popolare: queste voci assorbono da sole il 30% degli investimenti previsti nel piano 1985-89, che puntava all'edificazione di 150.000 nuovi alloggi (per lo più per autocostruzione o con vasto impiego di prefabbricati). Un consistente contributo alla trasformazione dell'insediamento deriva anche dall'allestimento di 'villaggi socialisti' (più di 300 già ultimati) nelle aree di riforma agraria.
Condizioni economiche. − Mentre i due primi piani quadriennali varati negli anni Settanta ponevano l'accento sull'industria pesante e sulle infrastrutture connesse, gli accresciuti fabbisogni alimentari e le carenze nel settore dei beni di consumo hanno indotto i responsabili algerini ad accordare più cure all'agricoltura e all'industria leggera. Così, i due piani quinquennali attivati dal 1980 hanno destinato maggiori risorse alle opere idrauliche, alle reti irrigue, alle industrie alimentari e al comparto dell'abbigliamento e delle calzature.
Il settore agricolo ha espulso molti addetti: secondo stime recenti (1988) rappresenta meno del 25% in termini di occupazione (contro il 56% del 1970) e fornisce appena il 12% del prodotto lordo. Il 1973 ha segnato l'avvio della seconda fase della 'rivoluzione agraria', con l'attribuzione a 60.000 braccianti di 650.000 ha, sottratti alla grande proprietà assenteista. Il comparto autogestito (forte di 6000 cooperative) ha conseguito discreti risultati: con 135.000 addetti stabili e 100.000 stagionali è arrivato a garantire circa 1/3 dell'intera produzione agricola. Nel suo ambito ricade gran parte dei perimetri irrigui (300.000 ha), alimentati da 22 serbatoi artificiali. Nel complesso, però, i margini di miglioramento dell'agricoltura algerina restano contenuti: all'ostilità dell'ambiente naturale si aggiungono le carenze in materia di distribuzione e stoccaggio dei prodotti e, soprattutto, le strutture arcaiche, l'invecchiamento pronunciato e le resistenze al nuovo che connotano il mondo contadino. Il vigneto, un tempo la più proficua delle colture, è stato in buona misura riconvertito per indirizzo governativo a cereali o a foraggi. La produzione vinicola è così precipitata sotto i 2 milioni di hl (1 nel 1988); ne è stata peraltro migliorata la qualità per favorire l'esportazione. I cereali dominano su buona metà dei 7.500.000 ha coltivabili, ma le rese sono scarse e risentono molto delle variazioni climatiche. Il frumento fornisce raccolti tra 10 e 22 milioni di q (11,5 nel 1988), mentre la produzione di orzo varia da 5 a 13 milioni di q. Tra gli agrumi, coltivati su 45.000 ha, mandarini e clementine alimentano un buon flusso di esportazioni. Per i datteri (1,8 milioni di q) l'A. occupa sempre il primo posto al mondo, ma il consumo resta soprattutto interno. Gli investimenti profusi nel campo zootecnico, che negli anni Ottanta hanno funto da fulcro della terza fase della 'rivoluzione agraria', hanno consentito di raddoppiare in un decennio il patrimonio di bovini (1,41 milioni di capi nel 1989) e di ovini (12,5 milioni di capi, secondo la stima FAO). Si avverte però ancora una marcata carenza nei rifornimenti di carne, latte e uova. La pesca, che pure registra sensibili progressi, non ha superato le 70.258 t di prodotto (1987).
Le risorse destinate all'agricoltura sono cresciute fino al 14% degli investimenti previsti dall'ultimo piano. Sono in atto coraggiose iniziative: per soddisfare la sete dei campi (e delle città), con un programma che prevede 50 nuove dighe; per bloccare l'avanzata del deserto, con una 'barriera verde', di pini e di cipressi, impiantati per oltre 1500 km lungo il margine sahariano; per accrescere le proteine disponibili, incentivando l'allevamento del pollame e la produzione di uova. Ma il settore agricolo appare sempre più deficitario, riuscendo ormai a coprire meno di 1/3 delle esigenze alimentari (la copertura era del 73% ancora nel 1969). E su questo fronte si aprono delle falle assai gravi in materia di consenso sociale (con ricorrenti 'rivolte del pane' nelle città) e negli obiettivi di autonomia economica, che pure sono accuratamente perseguiti dai governanti algerini.
Una grave crisi ha colpito l'economia dell'A. all'inizio degli anni Ottanta per il crollo dei prezzi degli idrocarburi, che rappresentano il 60% del prodotto nazionale e il 98% dell'esportazione. Mentre veniva contratta intorno a 30 milioni di t l'estrazione annua di petrolio, si cercava di recuperare introiti accrescendo le vendite di prodotti raffinati: gli impianti installati a Hassi Messaoud, Skikda e Arzew sono ormai in grado di trattare 23 milioni di t l'anno. Si è pure puntato a incrementare le vendite di gas naturale, liquefatto presso i terminali di Skikda e Arzew o avviato direttamente verso l'Italia mediante il gasdotto Transmed (attivo dal 1983), che attraversa la Tunisia e la Sicilia. L'esportazione di gas ha superato nel 1986 i 21 miliardi di m3. I depositi di minerali ferrosi (soprattutto quello di Ouenza) alimentano, con 2 milioni di t di prodotti nel 1986, il flusso di vendite all'estero e l'acciaieria di al-Ḥaǧar, capace di 400.000 t/a. È in programma un ulteriore potenziamento della siderurgia, con l'ampliamento di al-Ḥaǧar e con nuovi impianti a Jijel e La Macta. L'A. punta anche a risolvere la vertenza del Sahara Occidentale per attingere alle ricche riserve di ferro del Gara Gebilet, site a ridosso dei territori reclamati dal Marocco. Dopo un periodo di flessione, ha ripreso quota l'estrazione di zinco (22.000 t nel 1985) e di piombo (3200 t) nelle miniere di el-Abed e di Khirrat Yūsuf. Dai giacimenti del Gebel Onk viene una crescente produzione di fosfati (circa 1 milione di t), spartita tra la fabbrica di fertilizzanti di Annaba e l'esportazione. Gli sforzi costanti per potenziare l'apparato industriale si scontrano ora con la carenza di personale qualificato e con il taglio delle entrate petrolifere. Segnano perciò il passo molti progetti di joint-ventures con capitali stranieri (per la produzione di auto, pneumatici e diversi beni di consumo) e le iniziative per il riassetto territoriale, che prevedono nuovi perimetri industriali nella regione interna degli Hauts-Plateaux. Per ora il grosso delle industrie resta concentrato lungo la costa: qui, con la petrolchimica e la siderurgia, operano fabbriche di trattori (Costantina), di veicoli industriali (Rouiba), di motocicli (Guelma), e impianti tessili e alimentari in espansione. Va crescendo la produzione di cemento (oltre 6 milioni di t nel 1986) e di materiali da costruzione per far fronte all'intensa attività edilizia che impegna 670.000 addetti contro i 595.000 dei comparti minerario e manifatturiero.
Una notevole mole d'investimenti è stata destinata all'ammodernamento della rete dei trasporti. L'obiettivo del raddoppio dei 3900 km di linee ferroviarie si fonda soprattutto sul nuovo tronco destinato ad attraversare da est a ovest gli Hauts-Plateaux per favorirne il decollo economico. In testa al movimento dei porti si trovano ora gli scali petroliferi di Arzew (32,4 milioni di t nel 1988) e di Béjaïa (6 milioni di t); Algeri e Annaba (6 milioni di t ciascuno) vedono prevalere le merci in entrata. Il commercio estero era dominato in passato dai rapporti con la Francia; ma oggi si fanno strada anche altri partners, come l'Italia e il Giappone, che nel 1985 hanno acquistato idrocarburi per oltre 2 miliardi di dollari. Dalla Francia continua peraltro a provenire la quota maggiore (un quarto circa) delle importazioni, che − accanto ai prodotti industriali semilavorati e finiti − vedono un peso crescente dei rifornimenti di cereali (15-20 milioni di t l'anno), latte, zucchero e oli. La bilancia commerciale mostra da qualche tempo un'alternanza di saldi attivi e passivi. Le rimesse degli emigranti si mantengono sostanziose, mentre si espande in modo preoccupante il debito estero, i cui interessi da soli confiscano ormai quasi metà della rendita petrolifera. Vedi tav. f. t.
Bibl.: B. Etienne, L'Algérie. Culture et révolution, Parigi 1977; M. Elhocine Benissad, Economie du développement de l'Algérie, 1962-1978. Sous-développement et socialisme, ivi 1979.
Storia. − Nella prima metà degli anni Settanta la vita politica algerina fu caratterizzata dal consolidamento del regime e dal rafforzamento dell'autorità personale di Bū Midyan (Boumedienne). Il capo del governo arrivò a concentrare nella propria persona un numero sempre crescente di poteri, lasciando accanto a sé, come unica personalità politica di spicco, il ministro degli Esteri Bū Taflīqa. Nel novembre 1972, nel corso di un messaggio alla nazione, Bū Midyan sottolineò la necessità di una profonda evoluzione del partito (Fronte di Liberazione Nazionale, FLN), che avrebbe dovuto operarsi trasformandone radicalmente sia i modi di direzione che i metodi d'azione.
Questa fase di riassetto politico si andò elaborando negli anni successivi, e il 19 giugno 1975, in un discorso di fronte ai quadri della nazione, Bū Midyan annunciò tre importanti decisioni: elaborazione di una Carta nazionale da sottoporre a consultazione popolare; elezione del presidente della Repubblica; preparazione del congresso del FLN.
Il referendum per l'approvazione della Carta nazionale ebbe luogo il 27 giugno 1976, ottenendo un plebiscito di consensi. Ispirandosi ai principi di questa Carta, nello stesso anno (22 novembre) fu proclamata una nuova costituzione, che sostituiva quella del 1963. L'elezione del presidente della Repubblica si svolse il 10 dicembre successivo e sancì la vittoria di Bū Midyan, candidato unico del FLN, sul quale confluì il 99% dei voti. Quanto al congresso del FLN, Bū Midyan non riuscì a vederne l'attuazione, poiché verso la fine del 1978 fu colpito da una grave malattia, che lo doveva portare alla morte il 27 dicembre dello stesso anno.
L'avvenimento più significativo nella politica estera della gestione Bū Midyan fu rappresentato dal duro confronto col Marocco e la Mauritania sulla questione del Sahara Occidentale. L'A. si oppose all'annessione della regione da parte dei due paesi, garantendo totale appoggio al Frente Polisario (Frente popular para la liberación de Saguia el Hamra y Rio de Oro) che lottava per l'indipendenza del Sahara Occidentale. Nei primi mesi del 1976, si arrivò a violenti scontri fra le forze armate dell'A. e quelle del Marocco. Nel marzo dello stesso anno, l'A. riconosceva ufficialmente la Repubblica Democratica Arabica Saharawi (proclamata dal Polisario, con conseguente rottura delle relazioni diplomatiche con il Marocco e con la Mauritania).
Dopo la morte di Bū Midyan, l'A. si trovò a dover affrontare il grave problema della sua successione, la cui soluzione era resa ancora più difficile dall'accentramento dei poteri che il presidente aveva in precedenza attuato. Il 27 gennaio 1979 si aprì il IV congresso del FLN, che decise fra l'altro l'istituzione di un Comitato centrale, per sostituire il vecchio Consiglio della rivoluzione quale ''suprema istanza del partito''. Quanto alla successione di Bū Midyan, durante il congresso si confrontarono due tendenze: quella di Ṣalāḥ Yaḥyāwī, socialista radicale, e quella considerata più moderata del ministro degli Esteri Bū Taflīqa. Nonostante il sostanziale prevalere della fazione di Yaḥyāwī, si giunse a una soluzione di compromesso eleggendo alla carica di segretario generale del partito il colonello Šadhilī (Chadli) Ben Ǧadīd; lo stesso Ben Ǧadīd fu inoltre designato come candidato unico del partito alle imminenti elezioni presidenziali. Il 7 febbraio 1979 l'elettorato algerino sancì (con più del 94% dei voti) la nomina di Ben Ǧadīd alla presidenza della Repubblica.
Il nuovo capo dello stato, pur sottolineando l'intenzione di garantire continuità alla politica di Bū Midyan in nome dell'"irreversibile opzione socialista", manifestò immediatamente il proposito di non accentrare il potere nelle proprie mani, nominando per la prima volta dopo l'indipendenza un primo ministro (il colonnello ῾Abd al-Ġanī). Nei primi anni del suo mandato, Ben Ǧadīd dovette inoltre affrontare in modo energico il problema della completa arabizzazione del paese, per venire incontro a quelle istanze sociali (promosse soprattutto dagli studenti) che richiedevano una più celere sostituzione della lingua francese nell'istruzione, nella giustizia e nell'amministrazione civile.
Rieletto presidente della Repubblica nel gennaio 1984 e nel dicembre 1988, Ben Ǧadīd dovette in seguito affrontare la ripresa di attività da parte delle opposizioni e porre mano a una revisione della Carta nazionale, che segnò il parziale allontanamento dell'A. dal rigido socialismo di Bū Midyan. Ma la profonda crisi socio-economica attraversata dall'A., causata soprattutto dalla caduta mondiale dei prezzi del petrolio, fece esplodere nell'ottobre 1988 il malcontento popolare. La rigorosa politica di austerità attuata da Ben Ǧadīd fu oggetto di violente contestazioni di massa che sfociarono in una vera e propria rivolta nei principali centri del paese.
Alle motivazioni di carattere sociale ed economico si aggiunsero poi rivendicazioni di carattere religioso, che invocavano un più rigoroso rispetto della legge musulmana o che addirittura inneggiavano alla creazione di una repubblica islamica. Dopo la dura repressione operata dall'esercito che causò circa 500 vittime, il governo avviò una serie di riforme istituzionali volte a introdurre un maggiore pluralismo nella vita del paese. Mentre la riforma costituzionale approvata da due successivi referendum (novembre 1988, febbraio 1989) stabilì tra l'altro la responsabilità del primo ministro nei confronti del Parlamento, fu varata una nuova legge elettorale (luglio 1989) che sanciva il multipartitismo. Le elezioni amministrative (giugno 1990) videro la netta affermazione del neo-costituito Fronte di salvezza islamico.
In politica estera sono migliorati i rapporti con la Mauritania (ripresa delle relazioni diplomatiche nel 1979) e con il Marocco. In occasione della crisi del Golfo l'A., che aveva inizialmente disapprovato l'invasione del Kuwait da parte dell'῾Irāq, ha progressivamente modificato, dopo l'intervento dell'ONU, la sua posizione, sotto la spinta di imponenti manifestazioni favorevoli a Ṣaddām Ḥussayn, pur mantenendo la neutralità sul piano militare.
Bibl.: J. Leca, J.-C. Vatin, L'Algérie politique, Parigi 1975; M. Brondino, Algeria: Paese delle rivoluzioni accelerate, Torino 1981; Oriente moderno, voll. liilix, 1972-79.
Letteratura. − Centotrent'anni e più di colonizzazione francese hanno privato l'A. non soltanto dell'indipendenza politica, ma anche dell'identità culturale: all'indomani della guerra di liberazione, al nuovo stato algerino mancava addirittura un numero di maestri sufficiente a garantire l'insegnamento in arabo nelle scuole elementari. Il colonialismo si era sforzato d'impedire che gli Algerini potessero leggere e scrivere l'arabo, senza tuttavia mettere troppo impegno nell'insegnar loro il francese; ma un pugno di intellettuali è riuscito a interpretare 'in francese' l'animo popolare, parlando e scrivendo in francese agli Algerini, per gli Algerini. Solo per effetto di una scelta politica − quella dell'arabizzazione − ha cominciato ad affermarsi negli ultimi anni una letteratura algerina scritta in arabo (la tradizione orale, sia arabofona che berberofona, non era invece mai scomparsa del tutto). I danni causati dalla dominazione francese anche in campo culturale sono stati così profondi e duraturi che un'intera generazione di scrittori e di poeti algerini si esprime ancora oggi nella lingua coloniale, e a circa trent'anni dall'indipendenza la letteratura algerina di espressione francese continua a essere quella quantitativamente più rilevante e qualitativamente più interessante e originale. Conviene quindi esaminare la produzione letteraria algerina separatamente nelle sue componenti francese, araba e berbera.
Le prime testimonianze di una letteratura algerina in lingua francese vengono di solito fatte risalire al 1920-25. Fin verso il 1950 predomina però il mimetismo di autori poi giudicati mediocri quali A. Hadj Hamou, a cui si deve il primo romanzo algerino (Zohra, la femme du mineur, 1925), M. Ould Cheikh, o R. Zenati, S. El Koubi, N. Kouribaa, M. Talbi, che hanno a tal punto interiorizzato l'immagine del colonizzato percepita dal colonizzatore, da trasmettere una visione rassicurante, quella che il colonizzatore si aspetta. Il primo autore degno di nota è il poeta J. el-Mouhouv Amrouche (1906-62), che oltre a raccolte di proprie poesie (Cendres, 1934; Le réveil de Jugurtha) ci ha lasciato la trascrizione di canti berberi di tradizione orale.
Dopo la seconda guerra mondiale l'attività letteraria acquista nuovo slancio, soprattutto grazie a Y. Kateb (1929-89), l'autore algerino più noto in patria e anche in Europa, la cui influenza si è fatta sentire in molti paesi francofoni, soprattutto del Maghreb. Il suo romanzo Nedjma, pubblicato in Francia nel 1956, ha fatto epoca e ancora oggi è considerato il capolavoro letterario nordafricano; la protagonista, che dà il titolo al libro, ricompare poi in Le polygone étoilé (1966). Autore anche di opere teatrali, Kateb ha fatto parlare di sé per Le cadavre encerclé (1955, messo in scena da J. M. Serreau nel 1958 a Bruxelles), elemento di una trilogia (Le cercle de représailles, 1959) comprendente La poudre de l'intelligence e Les ancêtres redoublent de ferocité (1967).
Vanno ricordati inoltre M. Feraoun (1914-1962), con il romanzo autobiografico Le fils du pauvre (1950), il postumo Journal (1955-62), che fornisce una preziosa documentazione sulla resistenza algerina, e altri romanzi di ambiente berbero (La Terre et le sang, 1953; Les chemins qui montent, 1957); M. Dib (n. Tlemcen 1920), autore di una trilogia (La Grande maison, 1952; L'Incendie, 1953; Le Métier à tisser, 1958), vasto affresco impregnato di realismo sociale; e M. Mammeri (1917-1989), che descrive il contrasto tra vita tradizionale e nuove aspirazioni scatenate dalla seconda guerra mondiale (La Colline oubliée, 1952), prendendo posizione contro il colonialismo e i suoi alleati (Le Sommeil du juste, 1955). Poeta e prosatore di rilievo è poi M. Haddad (Costantina 1927-Algeri 1978), autore di raccolte di poesie (Le malheur en danger, 1956; Ecoute et je t'appelle, 1961) e di romanzi in cui si riflettono la guerra di liberazione (La dernière impression, 1958) e, più in generale, i rapporti tra Francia e A. (Je t'offrirai une gazelle, 1959; trad. it., Una gazzella per te, 1960; Le Quai aux fleurs ne répond plus, 1961).
La maggiore scrittrice algerina è Assia Djebar (n. Cherchell 1936), il cui primo romanzo (La soif, 1957) è stato paragonato a Bonjour tristesse di F. Sagan. Tema ricorrente nella sua produzione (Les impatients, 1958; Les enfants du nouveau monde, 1962; Les alouettes naïves, 1967; Femmes d'Alger dans leur appartement, 1980 [trad. it., 1988]; L'amour, la fantasia, 1985; Ombre sultane, 1987) è la condizione della donna, che dopo aver dato un contributo prezioso alla guerra di liberazione si vede respinta dalla società nei ruoli tradizionali.
L'impulso dato dalla repubblica algerina a un'accelerata arabizzazione ha contribuito a sviluppare la produzione letteraria in lingua araba. Non mancano oggi gli autori che scrivono esclusivamente in arabo, e nemmeno gli scrittori della generazione più vecchia che si è arabizzata successivamente e oggi scrive sia in arabo sia in francese, come R. Boudjedra (n. Ain Baida, 1941), autore di La répudiation (1969), L'insolation (1972), al-Tafākkuk (1981, "La disgregazione"), al-Marth (1984, "La macerazione"), La pluie (1987; trad. it. 1989).
Alla vigorosa tradizione orale arabofona si era già affiancata nel secolo scorso una certa produzione letteraria, ma di una vera e propria letteratura algerina di lingua araba si può parlare soltanto a partire dal poeta Muhammad al-῾Id (1904-1979), autore tra l'altro dell'inno nazionale e considerato ancora il principe dei poeti algerini. Tra gli autori di prosa va ricordato Ṭāhar Waṭṭār (Tahar Ouettar, n. 1936), a cui si devono molti racconti e romanzi (Dukhkhān min qalbī, 1962, "Fumo dal mio cuore"; al-Hārib, 1969, "Il fuggiasco"; al-Lāz, 1974, "L'asso"; al-Ḥawwāt wa'l qaṣr, 1980, "Il pescatore e il castello").
Un panorama, sia pur sintetico, della letteratura algerina non può ignorare quel 30% circa della popolazione che parla berbero e, scarsamente incoraggiata dalle autorità, continua ad affermare pubblicamente, con l'opera di scrittori e poeti, la propria specificità culturale. In diversi centri di ricerca − soprattutto in Francia − si raccoglie e si trascrive il patrimonio culturale berbero, che è quasi esclusivamente di tradizione orale. La recente produzione letteraria in lingua berbera comprende i romanzi di Rašīd 'Alīsh (R. Aliche, n. 1953 in Cabilia), Asfel (1981, "Sacrificio rituale") e Faffa (1986, "Piccola Francia"), caratterizzati da una netta dimensione socio-politica e storica; e di Sa'īd Sa'dī (Said Sadi, n. in Cabilia nel 1947), che in Askuti (1983, "Lo Scout") analizza i meccanismi di repressione dell'identità berbera in Algeria.
Bibl.: Poeti e narratori d'Algeria, a cura di R. Dal Sasso, Roma 1962; S. Pantucek, La littérature algérienne moderne, Praga 1969; J. Déjeux, Bibliographie méthodique et critique de la littérature algérienne d'expression française 1945-1970, in Revue de l'Occident musulman et de la Méditerranée, 10 (1971); Le rose del deserto, a cura di G. Toso Rodinis (vol. i, Saggi e testimonianze di poesia magrebina contemporanea d'espressione francese; vol. ii, Antologia della poesia magrebina contemporanea d'espressione francese), Bologna 1978-82. La produzione berbera è seguita dalla rivista Tafsut (Tizi Ouzou/Aix-en-Provence).
Archeologia. − La ricerca archeologica in A. è stata scandita in questi ultimi anni da una serie di riletture e puntualizzazioni che hanno investito singoli complessi monumentali già noti di prima età romana e di epoca cristiana. Tali tipi di interventi hanno potuto contare per la cultura numidica su un coordinato piano di ricerca, che ha prodotto in alcuni casi sostanziali innovazioni. L'occasione è stata data dall'esposizione sulla civiltà numidica presentata dall'A. al Rheinisches Landesmuseum di Bonn nel 1979 e dal relativo catalogo. Particolare è stata l'attenzione volta al mausoleo di Es Soumas presso El Kroub: un più attento studio del materiale funerario induce ad attribuirlo a Micipsa anziché a Massinissa. Rinnovata attenzione sui dati disponibili è stata posta nell'ottica numidica a Siga, la capitale di Siface, e ai complessi di Abalessa e di Tin Hinane, nella regione di Tamanrasset, nel Sud dell'Algeria.
Fra le altre ricerche emergenti in territorio algerino si segnala l'analisi spazio-temporale condotta sulle sepolture di Setif, con una fase d'incinerazione (2° sec. d.C.), che è la più limitata rispetto al duraturo e diffuso impiego del rito nell'Africa del Nord. Seguono lo studio demografico su Timgad, con la stima di circa 15.000 abitanti alla metà del 2° sec. d.C., la ricerca sulle case residenziali di Cherchel, l'antica Caesarea, che colma una lacuna nella conoscenza delle strutture domestiche dell'Africa del Nord in età imperiale romana, e l'indagine di archeologia cristiana nella regione dell'attuale frontiera algerino-tunisina, tra Sūq Ahras e Oued Louz. In quest'ultima regione sono stati individuati numerosi edifici costruiti su una stessa pianta-tipo e, probabilmente, dallo stesso architetto. Analoga valutazione ha avuto il complesso di Tebessa, apparentemente realizzato alla fine del 4° o agli inizi del 5° sec. d.C. da fabbriche che sembrano aver operato, alla stessa epoca, nella regione di Tebessa, fino a Thelepte, nel Sud-Est, e forse sino a Djemila.
Bibl.: J. Christern, Das frühchristliche Pilgerheiligtum von Tebessa, Wiesbaden 1976; Die Numider, a cura di H. G. Horn e C. B. Rüger, Bonn 1979; H. Lohmann, Boebachtungen zum Stadtplan von Timgad, in Wohnungen im Altertum, Berlino 1979, pp. 167-87; P.-A. Février, R. Guéry, Les rites funéraires de la nécropole orientale de Sétif, in Antiquités africaines, 15 (1980), pp. 91-124; Ph. Leveau, Caesarea de Maurétanie, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt, ii, 10, 2, Berlino-New York 1982, pp. 683-738; Id., Les maisons nobles de Caesarea de Maurétanie, in Antiquités africaines, 18 (1982), pp. 109-65.
Arte. − In funzione delle fluttuazioni storiche, l'A. si è alternativamente aperta alle influenze esterne e chiusa in se stessa, preferendo la tranquillità dell'autarchia ai diversi sommovimenti delle correnti straniere, che le ampie coste mediterranee hanno spesso convogliato. Il contatto e il contrasto fra elementi di derivazione esterna e tradizioni locali non conosce praticamente tregua, sicché la storia dell'arte algerina è attraversata da una lotta concorrenziale, in cui a seconda delle circostanze una tendenza prevale sull'altra. La sensibilità africana, le tradizioni beduine e orientali che oltrepassano o seguono il corso del Nilo e il deserto del Sahara, le civiltà occidentali che approdano dal mare, si scontrano con la resistenza di una cultura autoctona, di cui i disegni rupestri dei Tassili testimoniano la grandezza, la magnificenza e soprattutto il passato plurimillenario.
La ricchezza tematica, il segno geometrico, le variazioni pittoriche sono altrettante spie di un'originalità gelosamente conservata attraverso i secoli e che sopravvive negli usi e costumi delle popolazioni montane (Chaoui e Cabili), che ancora ne fanno uso per ornare vasellame, tessuti e interni.
La relativa facilità con cui l'A. s'identificò con i principi dell'Islam ha fatto sì che l'arte islamica ha potuto fondersi senza grande resistenza con la cultura nazionale; a partire dal Medioevo nasce in A. una vivace tradizione di miniatura, che consolidandosi acquista nei confronti della maniera classica o iranica uno stile proprio. Appannaggio dell'élite intellettuale, la corrente si affievolisce contemporaneamente all'arte del libro. Nel periodo turco l'arabesco trova negli atéliers dei maestri della Casbah di Algeri un terreno di elezione: fioritura dell'elemento floreale e geometrico, delle scene di costume, ma soprattutto illustrazione delle conquiste dell'Islam. La miniatura diventa il genere ufficiale e dominante, e per questo rifiuta la tematica profana.
Diventata l'elemento più di spicco della tradizione locale, la corrente ornamentalista è risultata al tempo stesso la forma di sensibilità artistica più adatta a resistere alla conquista francese, nel suo impegno a conservare accanitamente la propria originalità, espressione della sua individualità religiosa e morale. Inversamente, l'economia di mercato favorita dal colonialismo ha rapidamente sconvolto la tradizione artigianale, di cui, a parte pochi nuclei isolati, diventa elemento dominante l'esotismo da bazar. La conquista francese, sebbene sia stata in questo alla base di una regressione culturale, progressivamente ha favorito il ritorno a elementi dell'arte europea: in particolare la pittura con il cavalletto e la rappresentazione iconografica, inizio di una nuova apertura dell'arte algerina alla civiltà universale. L'opera di M. Racim (1896-1975), maestro di miniatura, è l'esempio migliore di questo tentativo di conciliazione fra uno spirito già molto attento ai dati della cultura moderna e una tradizione ancestrale divenuta pura convenzione. Cimentandosi nella pittura con il cavalletto, Racim dimostra come le lezioni di arte moderna siano ben apprese alla Scuola di Belle arti di Algeri: egli si rifiuta tuttavia di divenire 'imitatore' dell'arte occidentale e avverte l'imperioso dovere di rivelare esteticamente il fasto della civiltà algerina, scalzata da quella occidentale. Comunque, l'applicazione di elementi stilistici propri della miniatura a opere plastiche (stilizzazione della linea, appiattimento delle superfici, polvere d'oro) non sempre si traduce in risultati felici, mentre le creazioni di Racim legate alla più pura tradizione miniaturistica raggiungono il massimo della perfezione.
La pittura dell'ultimo dopoguerra, le rivoluzioni e controrivoluzioni che il linguaggio pittorico e plastico conosce a partire dall'inizio del secolo in Europa e in America, non hanno mancato d'influenzare l'opera di quelli che sono i maggiori rappresentanti della pittura algerina contemporanea. Dato il retroscena storico, la sensibilità frustrata, vulnerabile, finalmente risvegliata, non poteva non indagare e cogliere ogni senso di modernità: ne sono testimonianza le opere di M. Temman (1915-1988), B. Chaouch-Yelles (n. 1921), A. ῾Alī-Khūǧa (n. 1923), M. Bū Zīd (n. 1929), M. 'Issiakhem (1928-1985) e M. Louail (n. 1930).
L'indipendenza dell'A. negli anni Sessanta permette agli artisti di gettare le basi di un'estetica algerina che, fondata sulle tradizioni del passato, si nutre delle realtà presenti e si apre all'influenza universale e all'avvenire. Dall'inizio degli anni Sessanta l'aspirazione a questa nuova arte, all'autonomia della pittura, è espressa da A. Benanteur (n. 1931).
Qualche anno dopo, nel 1967, alcuni pittori ''visionari realisti'', come si autodefiniscono, esprimono apertamente le loro preoccupazioni nel manifesto del gruppo Aouchem: "il segno magico ha reso manifesto il mantenimento di una cultura popolare ...Lontani da una certa gratuità dell'astrazione occidentale contemporanea, che ha dimenticato le lezioni orientali e africane di cui era impregnata l'arte romanza, noi dobbiamo definire i veri totem e i veri arabeschi capaci di esprimere il mondo in cui viviamo...Il segno è più forte delle bombe".
L'autenticità passa per la valorizzazione della cultura ancestrale. I segni geometrici, la calligrafia africana, berbera, araba, il colore tipico, i temi mitologici, il temperamento individuale e collettivo sono le forme e le forze dell'epoca e di tutti i tempi. Migliori rappresentanti di questa corrente sono C.-M. Mesli (n. 1931) e D. Martinez (n. 1941).
Nel decennio seguente, negli anni Settanta, il pittore M. Khadda (n. 1930) pubblica un saggio in cui valuta criticamente l'apporto del passato e i suoi elementi essenziali al fine di elaborare un'arte nuova, sintesi delle forme del passato e del presente, del nazionale e dell'universale.
In questi ultimi anni la giovane pittura si fa notare per vitalità, diversità, libertà: i suoi esponenti hanno, come ambizione comune, la fruizione dell'arte contemporanea senza frontiere e di tutte le future promesse universali. I più notevoli rappresentanti del movimento attuale sono A. Silem (n. 1947), M. Ṣalāḥ (n. 1949) e H.-M. Zubayr (n. 1952). Vedi tav. f. t.
Bibl.: G. Marçais, La vie musulmane d'hier par Mohammed Racim, Parigi 1960; Rétrospective Mohammed Khadda, Musée National des Beaux-Arts, Algeri 1983; Mohammed Racim, miniaturiste algérien, ivi 1984; Rétrospective Denis Martinez, Musée National des Beaux-Arts, ivi 1985; Catalogue d'exposition Ali Ali-Khodja, Galerie Issiakhem, ivi 1986; Hommage à M'Hammed Issiakhem, OREF 1986; M. Choukri, Gouaches et Monotypes, Galerie Issiakhem, Algeri 1986; Gouaches et aquarelles, ivi 1986; M. Bouabdellah, Peindre à Alger, in Hommage à Picasso, Musée National des Beaux-Arts, ivi 1987; Id., L'homme des Jonctions, in El-Moudjahid, maggio 1988; Catalogue d'Exposition Martinez, Musée des Arts et Traditions Populaires, Algeri 1988; D. Martinez, Exposition en un lieu, Musée des Arts et Traditions Populaires, ivi 1988.
Architettura. − Al pari di tutte le sue ex-colonie è importante ricordare come anche per l'A. la Francia ha svolto un ruolo determinante nell'imporre le proprie caratteristiche culturali: per es., nel 1933, in A., si tenne la prima mostra della Cité Moderne direttamente ispirata dagli esempi di Le Corbusier.
Il 1933 è inoltre l'anno dei piani, non realizzati, di Le Corbusier sia per la città di Algeri, che per la nuova città di Nemours, sulla costa del Mediterraneo. Nel 1938 Le Corbusier produsse altri progetti non realizzati per edifici e abitazioni ad Algeri. Poésies sur Algiers, pubblicate nel 1950, sono l'unico risultato tangibile di tutto ciò, sebbene l'eredità del maestro sia stata raccolta da L. Claro nel suo Foyer Civique (1935), da C. Montaland nella sua Maison des étudiants (1933) e da X. Salvador nel suo Group Scolaire (1933).
Per quanto riguarda l'architettura e l'urbanistica nelle sue espressioni più autonome, è opportuno segnalare alcuni architetti che hanno contribuito a dare forma all'architettura algerina: Emery, Miquel e Breuillot, i quali, oltre alla realizzazione di abitazioni, impianti industriali, alberghi (come per es. l'hotel Boudoin a Orléansville e la chiesa protestante a Hussein Dey), hanno portato un contributo decisivo anche all'urbanistica del paese; J. M. Geiser con la chiesa di Santa Teresa a Kouba, P. Herbé e J. Le Couteur con la cattedrale di Algeri del 1959; Bize e Ducollet, che hanno lavorato al riassetto del quartiere Michelet ad Algeri trovando una soluzione felice sia per la sistemazione del traffico, sia per la separazione tra la zona amministrativa e i quartieri residenziali. A loro sono anche dovute le realizzazioni della zona residenziale di Eukaliptus II a Hussein Dey e del gruppo di abitazioni detto 'degli Uliveti' a Blida. Quest'ultimo rappresenta un'opera di pianificazione notevole per la felice articolazione architettonica, ottenuta con l'uso di diversi tipi edilizi. Daure e Beri, in collaborazione con R. Simounet, hanno realizzato a Hussein Dey il progetto del quartiere residenziale 'della Montagna', in cui si nota la volontà di ricollegarsi alla tradizione edilizia residenziale locale, reintroducendo la volta come struttura a coprire i vari ambienti.
Anche R. Simounet ha creato zone residenziali analoghe per le case dei pescatori a Berard, per le abitazioni abbinate di El Biar e per le città a terrazze di Ǧinān al- Ḥasan, quest'ultima di grande importanza come esperienza d'ambientamento. Il progetto de la Cité de Recasement a Ǧinān al-Ḥasan merita una menzione particolare, basato com'è sull'idea di una città dalle cellule disposte a nido d'ape, nel paesaggio articolato a terrazze. L'insieme dà luogo così a una fusione intima tra lo habitat e l'ambiente circostante, assicurando nel contempo la continuità con la tradizione locale. Di Mauri e Pons è il progetto a Orano dei quartieri di abitazione per musulmani, con molta cura nello studio della planimetria, nell'uso dei balconi, dei cortili, dei percorsi interni, che hanno dato luogo a nuovi spazi di vita comunitaria, ispirati alla tradizione arabo-nordafricana. Ancora Simounet e Miquel sono riusciti a realizzare nel centro Albert Camus, a Orléansville, un quartiere scolastico autonomo con piscina, teatro all'aperto, varie aule collegate tra loro con percorsi a rampe e passerelle sopraelevate. Queste garantiscono la separazione tra gli alunni di sesso diverso, l'osservanza religiosa con la Moschea e la scuola di dottrina islamica.
Sempre da ricordare negli anni Sessanta l'opera degli architetti urbanisti A. Kopp e P. Chazanoff, per i quartieri di Oued Ouchaya ad Algeri e dei 'Planteurs' a Orano, dove criteri di sviluppo e rinnovamento urbanistici sono stati felicemente applicati a 'quartieri di costruzione spontanea'.
Ancora di A. Kopp e P. Chazanoff, in collaborazione con A. Roche, è il progetto delle scuole rurali a Kabilya, sempre dello stesso periodo.
Va anche ricordato il lavoro del Groupe d'Etude de l'Habitat che ha saputo mettere in luce l'uso dei materiali, del linguaggio e delle maestranze locali per la realizzazione delle abitazioni e del Centro Civico a M'sila (1975-80) e della scuola a El Oued. Negli ultimi dieci anni in A. c'è stata una rimeditazione delle forme tradizionali, in modo da renderla fonte d'ispirazione per l'architettura contemporanea. È il caso di A. Ravereau, che avendo a lungo studiato l'architettura ibadita, come direttore dei monumenti storici di Algeri, ha fatto il migliore uso possibile di questo linguaggio per la sua residenza a Gardaia (1971), nonché per l'Hotel des Postes (1960), sempre a Gardaia. L'architettura e l'urbanistica algerina hanno meriti notevoli, avendo assorbito, ma senza ripetitività, il Movimento moderno e in particolare l'opera di Le Corbusier e realizzato una sintesi formale e figurativa tra tradizione locale e influenza internazionale. Vedi tav. f. t.
Bibl.: U. Kulterman, New architecture in Africa, Londra 1963; Id., Architecture in Algeria until 1963, Tubinga 1963; M. Fry, J. Drew, Tropical architecture, New York 1964; A. Kopp, P. Chazanoff, Quartier des Planteurs à Oran, in Architecture d'Aujourd'hui (oct.-nov. 1968); Id., Quartier de l'Oued Ouchayah à Alger, ibid. (oct.-nov. 1968); A. Ravereau, Hotel des postes à Gardaia, ibid. (oct.-nov. 1968); A. Kopp, P. Chazanoff, A. Roche, Ecoles rurales de grande Kabylie, ibid. (oct.-nov. 1968); U. Kulterman, New directions in African architecture, Londra 1969; E. Brua, Quand Le Corbusier bombardait Alger de "projets-obus", in Architecture d'Aujourd'hui, 167 (mai-juin 1973); S. Abduhhl, P. Pinon, Maisons en Pays Islamiques. Architecture du soleil, ibid., 167 (mai-juin 1973); R. W. July, A history of African people, New York 19803; G. Huet, The modernity in a tradition, in MIMAR (1983), 10, pp. 499-50; U. Kulterman, Contemporary Arab architecture, ibid. (1983), 9, pp. 60-66; B. B. Taylor, Demythologising colonial architecture, ibid. (1984), 13, pp. 16-26; A. Mazrui, The Africans. A triple heritage, 1986; Sir B. Fletcher, A history of architecture, Butterworths 198719.
Cinema. − Il cinema algerino nasce alla fine degli anni Cinquanta come strumento della guerra d'indipendenza. A opera del Fronte di liberazione nazionale si formano i primi cineasti impegnati in un documentarismo di guerra, dalla forte impronta militante. Per molti di essi l'attività e la presenza in A. del regista francese R. Vautier costituisce una guida e un punto di riferimento importante.
Dopo l'indipendenza il governo provvisorio crea le prime strutture cinematografiche. Nel 1963 viene costituito l'Office des Actualités Algeriennes (OAA) che, insieme alla Casbah Films, una società privata, e alla RTA (la Radiotelevisione algerina, nata nel 1962), detiene il monopolio della produzione nazionale. Nel 1964 viene creato il Centre National du Cinéma (CNC) con la funzione di gestire e regolamentare produzione e distribuzione, oltre che di fondare una scuola di formazione cinematografica, l'Institut National du Cinéma. A metà degli anni Sessanta escono i primi lungometraggi: Le vent des Aurès (1965-66) di M. Lakhdar-Hamina, prodotto dall'OAA, e L'aube des damnés (1965) di A. Rachedi, prodotto dal CNC, esempi di un cinema nazionale caratterizzato da una forte vena epica. Nel 1967 viene costituito l'Office National du Commerce et de l'Industrie Cinématographique (ONCIC) che assorbe il CNC e più tardi, nel 1974, l'OAA, ottenendo, dal 1969, il monopolio dell'intero processo cinematografico ormai completamente statalizzato. L'ONCIC conserverà tale monopolio fino al 1984, quando verrà scisso in due organismi distinti, uno per la produzione e l'altro per la distribuzione e l'esercizio (ENADEC).
In bilico per tutti gli anni Sessanta tra austero impegno civile e spettacolarizzazione popolare, il cinema algerino conosce una nuova, importante stagione a partire dai primi anni Settanta. Si ha una vera e propria ondata di film realizzati da giovani registi (cinéma djidid) che auspicano un cinema di testimonianza, senza concessioni allo spettacolo, fondato su budgets minimi, girato in esterni naturali con attori non professionisti e rivolto ai problemi urgenti dell'oggi: la riforma agraria, il rapporto tra vecchio e nuovo, lo sviluppo di una società moderna. Su questa linea 'neorealista' escono nel 1972 Les spoliateurs di L. Merbah, Le charbonnier di Mohamed Bouamari, Près du saf saf di Moussa Haddad, Noua di Abdelaziz Tolbi, Sueur noire di Sid Ali Mazif e L'embouchure di Mohamed Chouikh. Prosegue contemporaneamente il filone epico con un kolossal, Chronique des années de braise (1974), in cui il regista Lakhdar-Hamina affronta nuovamente il passato eroico del paese, ricostruendo il periodo che precede la guerra di liberazione.
Sempre più legati ai temi della contemporaneità, come il problema dei giovani e la condizione della donna, appaiono invece i maggiori film degli anni successivi: Omar Gatlato (1977) di Merzak Allouache, Nouba des femmes du mont Chenoua (1978), della prima regista donna algerina, Assia Djebar, Nah'la (1979) di Farouk Beloufa e Jelti (1980) di Mohamed Ifticène.
Nonostante le croniche difficoltà per la circolazione dei film nello stesso circuito nazionale, la mancanza di un disegno rigoroso di politica industriale, la crisi e la ristrutturazione che caratterizzano gli anni 1979-81, il cinema algerino conferma, anche nell'ultimo decennio, il suo tipico ruolo d'interprete critico della società in trasformazione, ruolo giocato in stretto rapporto con la televisione, cui si deve una grossa quota della produzione cinematografica nazionale.
Tra le nuove personalità emergenti si possono segnalare Rabah Laradji (Un toit, une famille, 1982), Jean-Pierre Lledo (Ahlam, 1982), Brahim Tsaki (Histoire d'une rencontre, 1983), Ali Ghanem (Une femme pour mon fils, 1983), Mezyan Yala (Chants d'automne, 1984), Mehdi Charef (Le Thé au harem d'Archimède, 1985).
Bibl.: Ministère de l'Information et de la Culture, Cinéma, Production cinématographique 1957-1973, Algeri 1973; P. Soumanou Vieyra, Le cinéma africain des origines à 1973, Parigi 1975; Cinema dei paesi arabi, Pesaro, XII Mostra internazionale del Nuovo Cinema, Quaderno informativo n. 68, 1976; W. Tamzali, En attendant ''Omar Gatlato'', Algeri 1979; L. Maherzi, Le cinéma algérien, ivi 1980; I dossier degli anni 80: Algeria, a cura di A. Bernardini e R. Redi, La Biennale di Venezia 1981; Settimana del cinema algerino, a cura di G. De Vincenti, Roma, Ministero degli Affari Esteri, 1984; A. Megherbi, Le miroir apprivoisé, Algeri-Bruxelles 1985.