‛ALĪ Pascià
Molti importanti personaggi sono noti con questo nome. Ricordiamo:
1. ‛Alī pascià Mu'edhdhin-Zādeh; nominato qapūdān-i deryā "capitano del mare", cioè capo della flotta ottomana; nel 1571, la comandò nella battaglia di Lepanto, dove trovò la morte.
2. ‛Alī pascià (‛Ulūǵ ‛Alī, Lucciali) partecipò alla battaglia di Lepanto, dopo la quale fu nominato comandante della flotta ottomana, che condusse nel 1574 alla presa di Tunisi. Detto poi anche Qilīg ‛Alī pascià, sotto il qual nome è nota la moschea da lui fatta edificare a Ṭōpkhāne, sobborgo di Gálata. Morì nel 1587.
3. ‛Alī pascià (Dāmād o Gīn ‛Alī pascià) fu gran vizir sotto Aḥmed III dal 1713; condusse la spedizione che ritolse la Morea ai Veneziani; nel 1717 (5 agosto), combattendo a Petervaradino contro gl'imperiali guidati dal principe Eugenio di Savoia, cadde ucciso e fu sepolto nella fortezza di Belgrado. Fu bellicoso e fiero nemico dei cristiani.
4. ‛Alī pascià (Naṣūh-Zādeh), detto anche Qarah ‛Alī. Comandante della flotta ottomana all'inizio della sollevazione greca, costrinse la flotta greca a lasciare l'assedio di Scio (Chio), e devastò l'isola, massacrando la popolazione; poco dopo, la flotta turca, attaccata di sorpresa da Costantino Canaris (18 giugno 1823), fu in parte distrutta. La nave ammiraglia andò in fiamme, e il comandante ‛Alī pascià annegò miseramente, o, secondo un'altra versione, fu ucciso dai Greci, dopo che ebbe trovato rifugio sulla costa.
5. ‛Alī pascià di Giànnina. - È noto nella storia turca col nome di Tepedelenlī ‛Alī pascià, da Tepedelen, località dell'Albania, ove nacque nel 1154 dell'ègira (1741-42). Si vuole che la famiglia fosse turca, originaria dell'Anatolia; il nonno ‛Alī pascià, fatto mīr-mīrān dalla Porta, era morto combattendo contro i Veneziani nell'assedio di Corfù. Il padre Welī bey si era stabilito a Tepedelen e n'era stato cacciato dai signorotti del luogo. Il giovane ‛Alī bey si diede subito al brigantaggio, raccolse danaro e fama, s'insignorì di alcuni luoghi della regione di Qoniča, andò con bande albanesi in aiuto della Porta nelle guerre contro la Russia e l'Austria, e ottenne in ricompensa la nomina a governatore della regione di Trikala (Tessaglia), il titolo di mīr-mīrān e la carica di derbend muḥāfiẓī "difensore delle frontiere". Nel 1203 dell'ègira (1788-89), ebbe anche la nomina a pascià di Giànnina (in turco Yānia), con il titolo di wezīr. Prepotente e feroce, estese il suo dominio, imprigionò Ibrāhīm pascià, governatore di Berāt in Albania, ne diede a forza le figlie in moglie a due suoi figli, poi lo uccise. È nota la resistenza oppostagli nel 1792 dalle popolazioni montanare di Suli, che lo costrinsero a ritirarsi, dopo aver sacrificato molti soldati; e solo nel 1800 egli ebbe ragione anche del loro eroismo e le disperse. Altri servigi rese ‛A. alla Porta nel 1798, portando le sue truppe albanesi contro Pāsbān (Paswan) Ōghlī, ribellatosi sul Danubio. A poco a poco, il suo dominio si estese anche a Negroponte (Eubea, in turco Aghriboz), alla Morea e ad Elbasan. Così egli aveva costituito un vero regno greco-albanese semi-autonomo, dell'Epiro, della Grecia e della Tessaglia; e i contemporanei lo paragonarono a Pirro. Nel 1800 le sue rendite erano valutate a otto milioni di franchi.
Era quello il tempo delle rivolte dei grandi pascià. Pāsbān Ōghlī ‛Osmān pascià sul Danubio, nella regione di Vidin, ‛Alī pascià in Albania, Gezzār pascià in Palestina, poco dopo Moḥammed ‛Alī pascià in Egitto governavano da signori indipendenti, mentre la Turchia era impegnata or con la Francia, or con la Russia. ‛A., dopo che i Francesi, caduta Venezia, s'impadronirono delle sue terre in Dalmazia e in Albania, fu in relazione con essi, e sembrò entrare nell'orbita della politica di Napoleone. Ma tenne una condotta astuta e doppia: accolse prima a Giànnina l'emissario francese Rose; poi lo arrestò e mandò prigioniero a Costantinopoli, dove fu gettato nelle prigioni delle Sette Torri (Yedī Qulleh). Lo stesso anno (1798) assalì la guarnigione francese a Prèvesa e ne fece strage, portando con sé 300 soldati prigionieri. Della costa albanese restò in mano dei cristiani soltanto Parga, che fu venduta dagl'Inglesi nel 1817 ad ‛A.: la popolazione emigrò allora a Corfù (fatto che diede argomento al notissimo poemetto del Berchet, I profughi di Parga). Va ricordato anche che ‛A. si valse dell'opera dei cristiani, Francesi, Inglesi e Italiani, che capitarono a Giànnina, prigionieri di guerra o spinti da desiderio d'avventura. Molti servirono come istruttori delle truppe, altri disegnarono opere di fortificazione. E non mancò chi si convertì all'islamismo.
La Porta aveva per molti anni mostrato di favorire o di sopportare ‛A., perché giovava a mantenere l'ordine nelle regioni greche già aspiranti alla libertà ed orientate verso l'Europa; ma non tardò a sospettare della sua lealtà. Maḥmūd II era salito al trono con il proposito di affermare l'autorità dello stato; il suo gran vizir Ḥālat Efendi era personalmente avverso ad ‛A., e gli tolse la carica di derbend muḥāfiẓī, depose suo figlio Welī pascià dal governo di Trikala, fece assediare a Berāt e a Scutari gli altri figli Ṣālih e Mukhtār, che si arresero e furono deportati in Anatolia. Anche i governatori delle regioni intorno a Giànnina ebbero l'ordine di muovere guerra ad ‛A. (1820). Il quale sperò di ottenere il perdono del sultano e di sottomettersi; ma Ḥālat Efendi fece fallire questi tentativi, nominò Ismā‛īl Pāshō pascià, personale nemico di ‛A., governatore di Giànnina, e fece mettere l'assedio a questa fortezza. Il terribile pascià resistette due anni con alcune migliaia di soldati, tra i quali anche Greci venuti in suo aiuto, dopo ch'egli aveva loro promesso libertà. La sua resistenza contribuì perciò ad animare i Greci nella rivolta iniziata appunto nel 1821. Finalmente Khūrshīd pascià, incaricato di sbarazzare la Porta da questo suo nemico, riuscì con donativi e promesse a far disertare molti dei soldati di ‛A., ed a lui assicurò salva la vita, se avesse acconsentito di ritirarsi a Costantinopoli. Non dispiacquero ad ‛A. le profferte, e, lasciata la fortezza, si ridusse in un'isoletta del lago di Giànnina, per rimanervi fino all'andata a Costantinopoli. Ma nel frattempo lo raggiunse il governatore della Morea, Meḥmed pascià, col firmano che lo condannava a morte. ‛A., col suo fidato albanese Topal, "lo zoppo", si difese fino all'ultimo, e morì con le armi in mano (febbraio 1822). Il corpo fu sepolto nella fortezza; la testa fu portata a Costantinopoli e seppellita a Silivrī Qapū. Anche i suoi figli Meḥmed pascià e Welī pascià erano stati uccisi per ordine di Hālat Efendī a Kūtāhia, nel luglio del 1821; e la stessa sorte era toccata nello stesso mese, in Angora, agli altri due figli Ṣālih e Mukhtār pascià.
Bibl.: F. C. Pocqueville, Viaggio in Morea, ecc., traduz. italiana, Milano 1816, III; J. W. Zinkeisen, Geschichte des osmanischen Reiches im Europa, ecc., Gotha e Amburgo 1840-1863, VII, p. 83 segg. (con copiosa bibliografia: vi è ricordato, tra gli altri, il libro di Ibrāhīm Manṣūr Efendī, rinnegato di Strasburgo, che fu a lungo al servizio di ‛Alī Pascià, intitolato Mémoires sur la Grèce et l'Albanie pendant le gouvernement d'Alì Pacha, Parigi 1827); N. Jorga, Geschichte des osmanischen Reiches, V, Gotha 1913, pp. 65, 145, 244-245, 269; A. Boppe, L'Albanie et Napoléon (1797-1814), Parigi 1914. Tra gli storici ottomani: Gewdet Pascià, Ta'rīkh, specialmente nei voll. XI, pp. 92, 98, 285; XII, pp. 35-36, 256; Aḥmed Rāsim, ‛Osmānlī Ta'rīkhī, IV, Costantinopoli 1912, pp. 1717-1785.
6. ‛Alī pascià (‛Alī Meḥmed Emīn). Uomo di stato ottomano. Nato a Costantinopoli nel marzo del 1804, entrò presto al servizio dello stato, distinguendosi come interprete e consulente nelle questioni di politica estera. Fu addetto all'ambasciata di Vienna, come segretario di Aḥmed Fetḥī Pascià, nel 1835-36; due anni dopo era segretario dell'ambasciatore ottomano a Londra, e tornò in quella città nel 1841 in qualità di ambasciatore, restandovi tre anni e mezzo. Richiamato in patria, resse temporaneamente il ministero degli affari esteri ed ebbe altri incarichi; fu poi ministro degli Esteri e membro del Consiglio superiore (meǵlis-i bālā); nel 1852 ebbe l'alta carica di gran vizir, che tenne per pochi mesi. Durante la guerra di Crimea fu presidente del Consiglio delle riforme (meǵlis-i tanẓīmāt), poi nuovamente ministro degli Esteri e delegato alla conferenza di Vienna e al congresso di Parigi (1856). Ebbe nuovamente per breve tempo il gran visirato; e poi lo riebbe una terza volta nel 1858, restandovi 22 mesi, una quarta nel 1861 e una quinta nel 1867, conservando quella carica per tre anni e otto mesi; dopo la morte di Fu'ād pascià, suo collaboratore (1869), assunse anche la direzione del Ministero degli affari esteri. Andò personalmente nell'ottobre del 1867 nell'isola di Creta per pacificare la popolazione con la concessione di nuovi privilegi. Morì il 18 settembre 1871. Conosceva il francese, era colto, e aspirava, come Fu'ād pascià e Reshīd pascià, che sono con lui le figure politiche più importanti della Turchia delle riforme o delle tanẓīmāt, a fondere l'impero in una salda unità politica. L'opera sua e quella di Fu'ād pascià acquistarono simpatie e appoggi alla Turchia da parte della Francia e dell'Inghilterra.
Bibl.: Sāmī Bey Frāsherī, Qāmūs al-A‛lām, Costantinopoli 1889, p. 3050; N. Jorga, Gesch. d. osman. Reiches, Gotha 1913, V, passim.