Valli, Alida
Nome d'arte di Alida Maria Laura von Altenburger, attrice cinematografica e teatrale, nata a Pola (od. Pula, in Croazia) il 31 maggio 1921. Di rara bellezza (incarnato luminoso, corporatura longilinea, occhi dall'inconfondibile colore chiaro e dallo sguardo fiero) e di notevole espressività, è stata una delle più grandi interpreti del cinema italiano, internazionalmente riconosciuta e apprezzata, come testimoniato dai premi ottenuti: un Nastro d'argento nel 1947 per Eugenia Grandet (1946) di Mario Soldati, un premio speciale della Mostra internazionale del cinema di Venezia per Piccolo mondo antico (1941) di Soldati e un Leone d'oro alla carriera nel 1997, un David di Donatello nel 1982 per La caduta degli angeli ribelli (1981) di Marco Tullio Giordana e un altro alla carriera nel 1991.
Di nobili origini, visse in un ambiente familiare colto e agiato; compiuti gli studi iniziali a Pola e frequentato il liceo scientifico a Como, si trasferì a Roma, dove seguì un corso di recitazione presso il Centro sperimentale di cinematografia. Nel cinema debuttò in I due sergenti (1936) di Enrico Guazzoni, seguito da Il feroce Saladino (1937) di Mario Bonnard, dove usò per la prima volta il suo nome d'arte, Sono stato io! (1937) di Raffaello Matarazzo e L'amor mio non muore… (1938) di Peppino Amato. Raggiunse tuttavia la popolarità soltanto grazie a il regista Max Neufeuld, che ne fece l'attrice principale del cinema dei 'telefoni bianchi', dirigendola in sei film, nei quali la V. interpretò il ruolo della giovane dinamica e sbarazzina: La casa del peccato (1938), Mille lire al mese, Ballo al castello e Assenza ingiustificata, del 1939, Taverna rossa e La prima donna che passa, del 1940. Allo stesso filone appartiene Ore 9: lezione di chimica (1941) di Mario Mattoli. Impersonò invece il personaggio della giovane fragile e delicata ma romantica e passionale in una serie di film, spesso in costume e di derivazione letteraria, diretti da Carmine Gallone (Manon Lescaut e Oltre l'amore, 1940; L'amante segreta o Troppo bella, 1941; Le due orfanelle, 1942), Mattoli (Luce nelle tenebre, 1941; Catene invisibili, 1942; Stasera niente di nuovo, 1942), Soldati (Piccolo mondo antico), Goffredo Alessandrini (Noi vivi ‒ Addio Kira, 1942), Mario Camerini (T'amerò sempre, 1943).Il modesto successo commerciale dei suoi film dell'immediato dopoguerra (Il canto della vita di Gallone e La vita ricomincia di Mattoli, entrambi del 1945; Eugenia Grandet) la spinse nel 1947 ad accettare un contratto con David O. Selznick, e a trasferirsi negli Stati Uniti, dove partecipò, con alterna fortuna, ad alcuni film, tra i quali gli unici di prestigio furono The Paradine case (1947; Il caso Paradine) di Alfred Hitchcock e The third man (1949; Il terzo uomo) di Carol Reed, in cui impersonò con grande forza drammatica donne di grande sensualità e sentimentalmente tormentate.
Delusa dall'esperienza americana, rientrò in Italia nel 1951 e, dopo aver partecipato nella parte di sé stessa all'episodio di Gianni Franciolini nel collettivo Siamo donne (1953), fu definitivamente consacrata attrice di rara qualità da Senso (1954) di Luchino Visconti, il film più importante della sua carriera, in cui seppe portare alle estreme conseguenze le caratteristiche delle eroine interpretate nei suoi migliori film statunitensi, impersonando la contessa Livia Serpieri, una donna appassionata e dilaniata che per amore del giovane e bellissimo ufficiale austriaco Franz Mahler (Farley Granger) tradisce la patria e il marito. Ebbe quindi un altro intenso ruolo drammatico in Il grido (1957) di Michelangelo Antonioni, quello di Irma, moglie di un operaio che alla fine si suicida. Nello stesso periodo recitò per registi francesi, comparendo tra gli altri in film come Les miracles n'ont lieu q'une fois (1951; I miracoli non si ripetono) di Yves Allégret, Les bijoutiers du clair de lune (1958; Gli amanti del chiaro di luna) di Roger Vadim, Les yeux sans visage (1960; Occhi senza volto) di Georges Franju, e Ophélia (1963) di Claude Chabrol.In seguito è tornata a lavorare prevalentemente per il cinema italiano, anche se i suoi impegni si sono progressivamente rarefatti. Vanno ricordate le partecipazioni a Edipo re (1967) di Pier Paolo Pasolini, La strategia del ragno (1970), Novecento (1976) e La luna (1979), tutti e tre di Bernardo Bertolucci, La prima notte di quiete (1972) di Valerio Zurlini, Lisa e il diavolo (1972) di Mario Bava, Un cuore semplice (1977) di Giorgio Ferrara, Suspiria (1977) e Inferno (1980) di Dario Argento, Berlinguer ti voglio bene (1977) e Segreti segreti (1985) di Giuseppe Bertolucci. Negli anni più recenti ha partecipato, tra gli altri, a Zitti e mosca (1991) di Alessandro Benvenuti, a Il lungo silenzio (1993) di Margarethe Von Trotta e ad altri due film di G. Bertolucci, Il dolce rumore della vita (1999) e L'amore probabilmente (2001).
In teatro ha alternato periodi di intensa attività ad altri, più lunghi, di quasi totale assenza. Aveva esordito nel 1956 con una compagnia a suo nome, diretta da Giancarlo Zagni, che ebbe vita breve, e nel 1958 aveva recitato negli Stati Uniti, diretta da Burgess Meredith. Tornò sulle scene solo nel 1965, e negli anni immediatamente successivi lavorò tra gli altri per Antonio Calenda, Patrice Chéreau, Anton Giulio Majano. Dopo un'altra fase di lontananza, è stata nuovamente assidua sul palcoscenico dalla fine degli anni Ottanta; dal 1990 ha collaborato soprattutto con il regista tunisino Gammoud Chérif, insieme al quale ha creato nel 1992 la compagnia La famiglia delle ottiche. È stata negli anni molto attiva anche in televisione dove aveva debuttato nel 1959 in I figli di Medea per la regia di Vladimiro Cajoli, apparendo in sceneggiati e film televisivi.
E.G. Laura, Alida Valli, Roma 1979; L. Pellizzari, C.M. Valentinetti, Il romanzo di Alida Valli: storie, film e altre apparizioni della signora del cinema italiano, Milano 1995; G. Cavalleri, Alida Valli: una ragazza di Como, Como 1996.