Alieno
di Roy Menarini
L'a., inteso come forma di vita extraterrestre, offre diversi spunti di riflessione come numerosi altri motivi topici della fantascienza. Da una parte, esso recupera la lunga tradizione iconografica del mostruoso, assumendo sembianze tratte da sapienti combinazioni del mondo zoologico (a. teratomorfo), da inquietanti mutazioni dell'aspetto umano (a. umanoide). Dall'altra, viene considerato espressione metaforica di una lotta dell'uomo con la parte più oscura e animalesca di sé. In tutti i casi, la rappresentazione dell'extraterrestre mette in gioco potenti meccanismi di attrazione spettacolare nei confronti delle attese del pubblico, offrendo non di rado la possibilità di creare importanti modelli per l'immaginario mitologico contemporaneo.
Nei primi anni del cinema, l'idea stessa di a. era assai diversa da quella che si sviluppò in seguito. Fortemente influenzato dalla letteratura gotica e dalla sua divulgazione nell'ambito del teatro popolare della fine dell'Ottocento, il cinema delle origini metteva in scena in prevalenza il mostruoso e l'orrido nelle forme più stupefacenti. Lo stesso Le voyage dans la Lune (1902; Il viaggio nella Luna) di Georges Méliès, cui si è soliti far risalire la nascita ufficiale della fantascienza cinematografica, presenta una varietà di extraterrestri (i Seleniti, abitanti della Luna) simili più a simpatici diavoli che a mostri dell'inconscio, come conferma il fatto che furono interpretati da acrobati delle Folies-Bergères. Bisogna invece attendere due decenni per incontrare i primi marziani. In Aelita (1924), tratto da un celebre romanzo di A.N. Tolstoj e diretto da Jakov A. Protazanov, i protagonisti, abitanti della Russia rivoluzionaria, giungono su Marte dove trovano una regina (Aelita, appunto), bella e dispotica, che reprime l'insurrezione dei lavoratori. È ancora lontano il lungo dominio statunitense in materia fantascientifica, per cui Aelita viene ricordato soprattutto come grande film sovietico di propaganda, di interesse primariamente storiografico.
di Roy Menarini
La massiccia presenza dell'a., in quanto minaccia per la Terra, nel cinema statunitense di fantascienza degli anni Cinquanta risponde alle seguenti esigenze narrative: sostituzione simbolica del nemico precedentemente incarnato dall'indiano o dal mostro classico (Nepoti 1978); cristallizzazione di fobie sociali quali, in primo luogo, l'invasione comunista e la distruzione nucleare (Biskind 1983); dirompente rinnovamento delle forme spettacolari del cinema hollywoodiano, chiamato a soddisfare le aspettative di un nuovo pubblico per lo più di giovane età. Queste cause concorsero al massiccio sfruttamento, da parte dei produttori, di vicende fantasiose e soprannaturali. L'a., ben presto, diventò una figura familiare per il pubblico statunitense. In un solo decennio furono prodotti più di mille film. Da un punto di vista figurativo, si passava dall'iconografia ufficiale dell'a. ominide dalla testa larga (quello che gli ufologi chiamano Grigio, secondo la classificazione della specie) al cosiddetto Bug eyed monster, ovvero mostro dagli occhi d'insetto, formula di così grande fama da trasformarsi in un acronimo (BEM) e in un sottogenere cinematografico (BEM-movies). I film degli anni Cinquanta che affrontano tematiche extraterrestri appartengono sia a produzioni a basso budget, per lo più indipendenti, sia a operazioni commerciali delle majors.
Alcuni dei titoli più importanti per comprendere il grande successo del mito dell'a. sono: The thing from another world (1951; La cosa da un altro mondo) diretto da Christian Nyby e Howard Hawks, The war of the worlds (1953; La guerra dei mondi) di Byron Haskin e Invasion of the body snatchers (1956; L'invasione degli ultracorpi) di Don Siegel. Nel primo caso, un oggetto non identificato precipita al Polo Nord, nascondendo nei ghiacci un essere mostruoso, affamato di sangue umano; la lotta tra il terrestre e l'avido vampiro spaziale prende in prestito alcuni elementi dell'horror, da questo momento in poi irrinunciabili nella descrizione dell'alieno. Il senso di angoscia e l'irriducibile ferocia del nemico hanno indotto molti studiosi a pensare che si trattasse di una prefigurazione delle guerre contro coreani e vietnamiti. È però con Invasion of the body snatchers che si è stabilito il primato delle interpretazioni critiche: la storia (diventata poi un archetipo del filone) degli invasori extraterrestri in grado di sostituire l'uomo con perfette copie spersonalizzate si è imposta come metafora essenziale del 'terrore rosso', diffuso negli stessi anni dalla feroce campagna nazionalista del senatore J.R. McCarthy, a capo dell'HUAC (House Un-American Activities Committee). Evidente, infatti, il carattere fortemente ideologico della narrazione, nonché l'intento pedagogico: l'a. equivale al comunista, che pretende una coercitiva eguaglianza per ogni cittadino, in evidente contrasto con l'individualismo pragmatico della democrazia statunitense. L'appello a vigilare, a far sì che non si addormentassero le coscienze, era rivolto in particolare alla sonnolenta provincia americana, cuore pulsante dei valori tradizionali del Paese. Il titolo originale, non a caso, doveva essere Sleep no more (Menarini 1999, pp.181-92). Mentre, infatti, un film come The war of the worlds declina tutto il proprio potenziale spettacolare ipotizzando un attacco di dischi volanti ai danni della California, Invasion of the body snatchers imprime una svolta importante alle tematiche extraterrestri, concentrando l'attenzione sulle fobie dell'uomo e della comunità più che sulla repulsione nei confronti dell'altro da noi. Non è un caso che il film di Siegel abbia stimolato una serie di remake ufficiali e di malcelate imitazioni. Da ricordare, nel primo caso: Invasion of the body snatchers (1978; Terrore dallo spazio profondo) di Philip Kaufman e Body snatchers (1993; Ultracorpi ‒ L'invasione continua) di Abel Ferrara, ambientato polemicamente all'interno di una base militare; e, tra le derivazioni non dichiarate, il divertente I married a monster from outer space (1958; Ho sposato un mostro venuto dallo spazio) di Gene Fowler. Anche di The thing from another world è stato prodotto un interessante rifacimento, The thing (1982; La cosa) di John Carpenter, in cui però l'indesiderato ospite extraterrestre prende possesso delle forme umane con cui viene a contatto: un sapiente incrocio tra ultracorpo e mostro teratomorfo, ripreso poi dallo stesso Carpenter nelle evanescenti forme che si impossessano degli umani in Ghosts of Mars (2001; Fantasmi da Marte). In questa tipologia extraterrestre, non può mancare l'a. pacifista. A partire dal celebre The Earth stood still (1951; Ultimatum alla Terra) di Robert Wise, infatti, nacque una feconda corrente di film nei quali, attraverso l'incontro tra terrestri e a., viene sviluppato un chiaro messaggio di tolleranza e conciliazione tra diversi modelli di vita, in alcuni casi con forti connotazioni antimilitariste. In tal senso, ogni momento della storia del cinema si può dire che riveli puntualmente le tensioni politiche e ideologiche che attraversano la società: The man who fell to Earth (1976; L'uomo che cadde sulla Terra) di Nicolas Roeg denuncia, attraverso la vicenda di un a. indifeso e sfruttato, l'avidità capitalista e il dominio delle multinazionali; E.T. the extra-terrestrial (1982; E.T. l'extra-terrestre) di Steven Spielberg immagina un mondo in cui scienza e progresso tecnologico non impediscono rapporti di fratellanza tra esseri lontani; The brother from another planet (1984; Fratello da un altro pianeta) di John Sayles si configura come un'allegoria in cui l'extraterrestre di turno, innocuo e ben disposto, assume le sembianze di un afroamericano e scopre sulla propria pelle il razzismo della società statunitense.
di Roy Menarini
Anche il mito dell'extraterrestre ha risentito della svolta impressa al genere fantascientifico da Stanley Kubrick in 2001: a space odyssey (1968; 2001: Odissea nello spazio). Il tema esistenziale che la contemplazione del cosmo suggeriva sembrò infatti non lasciare scampo alla rappresentazione dell'a., giudicata in certo qual modo arcaica e grottesca di fronte a interrogativi ben più urgenti: la forte spinta ideologica della prima parte degli anni Settanta azzerò il filone extraterrestre per favorire quello sociologico. Se si eccettua il grande successo ottenuto nella seconda parte degli anni Sessanta da una serie televisiva come Star Trek (1966-1969), dedicata al viaggio cosmico dell'astronave Enterprise (La Polla 1996), non si può dire che la fantascienza con a. fosse il terreno più battuto dai produttori dell'epoca. Si ricorda, per contrasto, la parodia dell'opera di Kubrick escogitata da J. Carpenter con il film Dark star (1975), in cui la ricerca di sé nelle pieghe dell'universo viene condotta da un gruppo di hippy sfaticati e capelloni, alle prese, tra le altre peripezie, con un extraterrestre vagamente simile a un palmipede. Evidentemente l'a. rappresentava, presso la generazione dei registi della contestazione, il simbolo di un cinema distante e poco credibile. Già dal 1977, invece, autori quali Steven Spielberg e George Lucas, abbandonate le economiche formule produttive degli esordi, vollero recuperare la grande fantasia degli anni Cinquanta: Close encounters of the third kind (1977; Incontri ravvicinati del terzo tipo) e Star wars (1977; Guerre stellari) dimostrarono che cosa si poteva fare di un materiale narrativo di serie B con il budget di un film di serie A. L'opera di Spielberg confermò le suggestioni bibliche e messianiche insite nell'idea di uno sbarco extraterrestre, sviluppandole con profondo senso religioso e costituendo un riconoscibile modello per opere successive quali Contact di Robert Zemeckis (1997) e Mission to Mars di Brian De Palma (2000); Lucas, al contrario, diede vita a un intero universo composto di extraterrestri e creature mitiche, secondo le lezioni del genere fantasy (v. fantastico, genere). La figura dell'a. veniva qui paradossalmente ridimensionata in quanto elemento ordinario di un mondo straordinario (Benvegnù 1999). Il grande successo dei gadget legati al film affermò inoltre, curiosamente, la parentela tra mostriciattolo dello schermo e pupazzo casalingo. L'equazione fu ampiamente sfruttata da film come The Ewok adventure (1984; L'avventura degli Ewok) di John Korty oppure Mac and me (1987; Il mio amico Mac) di Stewart Raffill, film 'usa e getta' girati con l'evidente scopo commerciale di vendere i giocattoli da essi derivati.
I due film di Spielberg e di Lucas di fatto riportarono prepotentemente in auge il mito dell'extraterrestre favorendo il proliferare di numerose imitazioni, ma anche riproponendo l'a. come una delle metafore più efficaci attraverso le quali la cultura popolare lascia affiorare e affronta alcune tematiche e certi aspetti ideologici tipici della società occidentale, in particolare statunitense. Alla lezione democratica di Spielberg, che invocava la pace tra i popoli attraverso il contatto con forme di vita sconosciute, si è opposto un approccio fantaorrorifico rappresentato soprattutto da Alien di Ridley Scott (1979) e dai sequels: Aliens (1986; Aliens ‒ Scontro finale) di James Cameron, Alien³ (1992) di David Fincher e Alien resurrection (1997; Alien, la clonazione) di Jean-Pierre Jeunet, capitoli di una saga visionaria in cui il mostro alieno, disegnato dal pittore H.G. Giger, appare come incubo biogenetico che penetra gli organismi umani. In questi film, l'altro riacquista l'aspetto mostruoso e ostile che possedeva negli anni Cinquanta, cui si aggiungono suggestioni sessuali (protesi e orifizi) e ferine (organi e zanne). Il motivo di originalità di questa serie risiede nel fatto che essa ospita una protagonista femminile (Sigourney Weaver), dopo tanti eroi maschili. Tra le opere più note, anche se molto diverse tra loro, che ripropongono il motivo dello scontro fra umano e extraterrestre (tipico anche di molti prodotti di serie): Life force (1985; Space vampires) di Tobe Hooper, Predator (1987) di John McTiernan, They live (1988; Essi vivono) di Carpenter e Independence day (1996) di Roland Emmerich. In particolare, nel film di Carpenter l'a. è la metafora della parte 'oscura' che minaccia dall'interno l'umanità stessa e che si concretizza negli extraterrestri nascosti dietro le fattezze umane.In epoca recente, il ricordo della fantascienza degli anni Cinquanta ha costituito, più che un motivo di ispirazione, un luogo nostalgico cui ritornare con ironia e passione cinefila. Tim Burton, per es., ha reso omaggio all'intero immaginario, bislacco e sorprendente, di quell'epoca con il film Mars attacks! (1996), nel quale verdi a. macrocefali invadono la Terra e ne annientano i simboli più vistosi (che secondo il regista sono la Casa Bianca e Las Vegas); nulla vale a liberare il mondo, se non la musica country, talmente insopportabile da far esplodere letteralmente le gigantesche teste dei mostri. L'evidente intento dissacratorio di Burton non contraddice un amore viscerale per i b-movies, come accade anche in Starship troopers (1997; Fanteria dello spazio) di Paul Verhoeven, film assai discusso a causa di un presunto atteggiamento filo-fascista da parte dell'autore. In verità, si tratta di una raffinata satira del cinema di fantascienza avventurosa, nel quale i terrestri combattono contro mostruosi extraterrestri a forma di scarafaggio, portando lo scontro fino al parossismo. La crudeltà con cui l'uomo infierisce sull'a. attiva inoltre serie riflessioni sulla guerra e sulla società, confermando una volta di più che la figura dell'essere vivente di altri pianeti è metafora privilegiata per il cinema di genere (Menarini 1999, pp. 103-48). Inoltre, gli anni Novanta hanno decretato il trionfo di una serie televisiva come X-files, ben presto assurta a fama mondiale, in cui tutte le tematiche sugli a. fino qui esposte sono state riprese e romanzate. Una ragione non secondaria per spiegare il grande successo del telefilm va cercata nel fatto che il paranormale, il fantascientifico o la manipolazione genetica diventano lo scenario sia di dubbi religiosi (il famoso poster appeso nell'ufficio FBI di Scully e Molder, I want to believe) sia di paranoici complotti e misteri governativi.
R. Nepoti, La poetica degli eroi, Bologna 1978, pp. 245-77.
M. Rose, Alien encounters: the anatomy of science fiction, Secaucus (NJ) 1981.
P. Biskind, Seeing is believing: how Hollywood taught us to stop worrying and love the fifties, New York 1983.
P. Lucanio, Them or Us! Archetypal interpretations of fifties alien invasion films, Indianapolis 1987.
Alien zone: cultural theory and contemporary science fiction cinema, ed. A. Kuhn, London-New York 1990.
F. La Polla, Star Trek ‒ Foto di gruppo con astronave, Bologna 1996.
M. Benvegnù, Guida completa a Star Wars, Roma 1999.
R. Menarini, Il cinema degli alieni, Alessandria 1999.
V. Sobchack, Screening space: the American science fiction film, New Brunswick-London 1999.
Alien zone II: the spaces of science fiction cinema, ed. A. Kuhn, London-New York 1999.
di Bruno Roberti
Pur se il cinema statunitense ha monopolizzato il personaggio dell'a. grazie alla sua evidente propensione per lo spettacolare e il kolossal, non mancano lontano da Hollywood esempi di ripresa dell'argomento, che dimostrano come nell'ambito dei film a basso costo, all'interno di un prodotto di genere, o addirittura in alcuni film d'autore, sia possibile effettuare elaborazioni originali di questo tema. La questione assume allora connotazioni fantasociologiche, si intreccia con le tematiche della 'mutazione', assimila sottintesi psicologici o addirittura metafore esistenziali e filosofiche. Nella produzione inglese a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta esemplare è la serie che ha per protagonista il dottor Quatermass (ispirata a un serial televisivo della BBC). Si tratta di un gruppo di film prodotti dalla Hammer Film Productions che ottennero un successo internazionale. Del 1955 è The Quatermass Xperi-ment (L'astronave atomica del dottor Quatermass) di Val Guest, dove un a. scampato alla distruzione di un'astronave atomica subisce una mutazione mostruosa semivegetale e imperversa nelle nebbie metropolitane di Londra, diffondendo il terrore. Sempre ambientato in una Londra cupamente minacciata da presenze alieno-demoniache è Quatermass and the Pit (1968; L'astronave degli esseri perduti) di Roy Ward Baker. Questi film prefigurano il filone di Alien non solo per la 'serialità' ma anche per il carattere contaminante dell'organismo alieno trasportato sulla terra dalle astronavi, e anticipano (perfino nella 'X' del titolo del primo film riferita al carattere 'proibito' dell'esperimento dello scienziato Quatermass) il fenomeno televisivo degli X-files. La serie si concluse nel 1980 con Quatermass conclusion (Quatermass conclusion: la terra esplode) di Piers Haggard, coproduzione con la BBC che riconduce la serie alla sua origine televisiva. Inglese è anche uno dei film più inquietanti del cinema degli a. come Village of the damned (1960; Il villaggio dei dannati) di Wolf Rilla, tratto dal romanzo The Midwich cuckoos di J. Wyndhman, in cui una progenie aliena si incarna in un gruppo di bambini nati in modo inspiegabile in un villaggio di campagna. Il tema dell'a. in questo caso si fonde con quello del bambino come entità minacciosa, eterogenea ed 'estranea', ripresa in altri film inglesi dello stesso periodo: The damned (1965; Hallucination), variazione d'autore sul tema dell'olocausto atomico a opera di Joseph Losey, e Children of the damned (1963; La stirpe dei dannati) di Anton M. Leader. In entrambi i film, infatti, un'infanzia aliena o mutante o dotata di poteri extrasensoriali si inserisce in uno scenario apocalittico e fantasociologico. Il remake di Village of the damned, girato nel 1995 con lo stesso titolo da John Carpenter, ripropone un ripensamento del tema dell'a. come 'perturbante' dell'equilibrio apparente e ipocrita della società, in questo caso racchiusa all'interno della perbenistica e paranoica provincia statunitense.
Nel contesto italiano del cinema 'artigianale' che riprende i generi fantascientifici e il clima dell'horror, sfruttando immaginativamente il basso costo con soluzioni spesso suggestive e visionarie, appare invece significativo un film come Terrore nello spazio (1965) di Mario Bava. Qui la minaccia aliena che pervade il pianeta Aura è incorporea e si trasferisce nell'organismo degli astronauti esploratori, anche in questo caso con un'anticipazione del comportamento di contagio genetico che caratterizza la forma extraterrestre di Alien. In I diafanoidi vengono da Marte di Antonio Margheriti (che si firmava Anthony M. Dawson l'organismo alieno che invade il sistema solare è altrettanto impalpabile, e viene rappresentato da una nuvola di fumo luminoso.
Nella produzione giapponese a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, significativo è il 'dittico' di Tsukamoto Shin'ya Tetsuo: the iron man (1989; Tetsuo) e Tetsuo II: body hammer (1992) dove, con uno stile convulso, un bianco e nero allucinatorio, e forme riferite all'estetica cyber, si mette in scena un essere mutante tra carne e metallo, organico e inorganico, che crea la stessa inquietudine e lo stesso clima di persecuzione di un organismo extraterrestre, con le implicazioni di contaminazione genetica e di allusioni sessuali di molti film sul tema della mutazione aliena. Infine con Soljaris (1972; Solaris), incursione nella fantascienza di un autore come Andrej Tarkovskij, la presenza aliena era stata di nuovo riproposta come metafora, a quasi un cinquantennio dall'apparizione nella cinematografia russa dell'a. femmina Aelita, personaggio simbolo della repressione controrivoluzionaria. Questa volta l'inquietudine dell'invasione extraterrestre è astrattamente resa mediante una nebulosa di radiazioni provenienti dal pianeta Solaris, capace di materializzare le paure e i desideri, le rimozioni e le fantasticherie, le nevrosi e le speranze dell'equipaggio di un'astronave, e assume dunque un carattere simbolico che permea l'intero andamento del film.
D. Arona, Il marziano invisibile: breve storia dell'alieno nel cinema italiano, in R. Menarini, Il cinema degli alieni, Alessandria 1999, pp. 203-27.