Alimentazione. Patologie connesse con l'alimentazione
Alimentarsi è un'esigenza primaria di ogni organismo vivente. L'invenzione dell'agricoltura, nota anche come 'rivoluzione neolitica', ha assicurato agli esseri umani una maggiore disponibilità alimentare, dando loro la possibilità di dedicarsi ad altre attività e di sviluppare la civiltà. I viaggi in terre lontane e la scoperta di nuovi continenti, come le Americhe e l'Estremo Oriente, hanno consentito lo scambio di numerose specie di piante coltivate e di animali domestici e quindi l'arricchimento, la stabilizzazione e la diversificazione delle derrate alimentari. L'aumentata disponibilità alimentare, liberando forza lavoro, ha consentito la rivoluzione manifatturiera e poi industriale anche se l'urbanizzazione che ne è conseguita ha avuto risultati positivi solo nel lungo periodo, in quanto molti gruppi sociali si trovarono a vivere in quartieri urbani malsani e ad avere un'alimentazione poco diversificata e carente di quei nutrienti essenziali ai quali avevano in precedenza più facile accesso: un fenomeno analogo a quello che attualmente sperimentano molte popolazioni dei Paesi in via di sviluppo. Nel XIX sec., la ricerca scientifica nei settori della chimica e della biologia e l'introduzione di nuove tecniche hanno dato luogo a un graduale e diffuso miglioramento delle condizioni di alimentazione e di vita in generale.
L'attuale produzione mondiale di derrate alimentari potrebbe essere sufficiente a fornire a ogni essere umano oltre 2700 calorie al giorno, un apporto energetico in grado di consentire una vita sana e attiva, se non esistessero sperequazioni geografiche senza precedenti. Così mentre in Europa, America Settentrionale, Giappone e Australia la popolazione dispone giornalmente di circa 3400 calorie pro capite, in altre parti del mondo, come l'Africa subsahariana e l'Asia meridionale, le calorie disponibili sono inferiori e ammontano, rispettivamente, a circa 2200 e 2400, cosicché il 15% della popolazione mondiale è in condizioni di sottonutrizione cronica, potendo disporre di meno di 2000 calorie al giorno. A ciò si aggiungano le carenze di uno o più nutrienti essenziali, con conseguente difficoltà, e spesso incapacità, di far fronte alle malattie. La situazione è particolarmente grave per i bambini: le statistiche indicano infatti che nel mondo oltre 17 milioni di bambini muoiono ogni anno prima di aver compiuto i cinque anni di età e che più di un terzo di questi decessi è dovuto a malnutrizione. Per contro, nei Paesi sviluppati, dove le disponibilità alimentari sono in eccedenza, le patologie che hanno come concausa un'errata alimentazione, in particolare le malattie cardiovascolari e il cancro, sono le più comuni cause di morte precoce e, sulla base delle attuali proiezioni a breve e medio termine, sembrano destinate a rappresentare il più grave problema sanitario in quasi tutti i Paesi del mondo. Accanto ai miglioramenti nello standard di vita si va affermando un regime alimentare sempre più caratterizzato da elevato consumo di grassi, specialmente saturi, e di zuccheri semplici, contro un consumo relativamente basso di carboidrati complessi (amido, fibra), con un conseguente aumento delle malattie croniche legate alla dieta anche tra le popolazioni povere.
Nei Paesi industrializzati, in particolare in America Settentrionale e in Europa, le malattie croniche non trasmissibili per le quali esiste un largo consenso circa l'influenza dell'alimentazione sono quelle cardiovascolari, il diabete non insulino-dipendente o di tipo 2, l'ipertensione, la carie dentale e l'obesità, quest'ultima causa indipendente di quasi tutte le patologie elencate. L'alimentazione scorretta sembra possa costituire un fattore di rischio anche per alcune forme tumorali.
La diversa incidenza delle malattie cardiovascolari nei Paesi sviluppati (in Finlandia è cinque volte più alta che in Giappone) e anche all'interno di una stessa popolazione, a seconda della classe socioeconomica e dell'appartenenza etnica e geografica, sottolinea l'importante ruolo svolto dall'ambiente, di cui l'alimentazione, assieme allo stile di vita, è parte fondamentale. Di particolare rilevanza, per quanto riguarda il rapporto tra alimentazione e malattie cardiovascolari, sono la quantità e la qualità dei grassi giornalmente assunti con la dieta. Tali malattie sono in relazione con parametri quali il livello del colesterolo ematico e le sue forme (HDL, High density lipoprotein, e LDL, Low density lipoprotein), generalmente considerati indicatori del grado di rischio. In rapporto al grado di saturazione, gli acidi grassi possono essere saturi, monoinsaturi o polinsaturi. Andrebbe evitato un eccesso di grassi di origine animale, che sono in prevalenza acidi grassi saturi. Tra questi gli acidi laurico, miristico e palmitico, che insieme costituiscono il 32% dei grassi del burro e dei prodotti lattiero-caseari, sono i più colesterolemici. I grassi di origine vegetale e marina, ricchi di acidi grassi polinsaturi, modulano invece verso il basso il colesterolo ematico. Ci deve essere quindi attenzione non solo per la quantità, ma anche per la qualità dei grassi contenuti nei prodotti alimentari, sia naturali che trasformati. Le carni bovine maggiormente consumate in Italia presentano un contenuto in grassi totali relativamente basso, in cui la percentuale di acidi grassi polinsaturi può raggiungere il 20%. Dal punto di vista pratico non si tratta di bandire un determinato tipo di grasso alimentare, bensì di dosarne opportunamente le proporzioni.
Un altro aspetto che merita attenzione, nell'associazione alimentazione - malattie coronariche, riguarda l'effetto del colesterolo alimentare sul colesterolo ematico. La maggior parte degli individui è in grado di compensare consumi di colesterolo compresi tra 200 e 900 mg al giorno (un uovo contiene circa 270 mg di colesterolo) riducendo la sintesi del colesterolo endogeno, ma coloro che non sono geneticamente in grado di effettuare questa compensazione sono sensibili al colesterolo presente negli alimenti; anche il grado di assorbimento a livello intestinale varia da individuo a individuo. Alcuni studi sperimentali mettono in evidenza l'importanza del ruolo svolto dall'assunzione di fibre nel modulare i valori del colesterolo ematico: nei sottogruppi di popolazione la cui dieta è caratterizzata da un abbondante consumo di alimenti vegetali ricchi di fibra, l'incidenza delle malattie delle coronarie è inferiore.
A complicare ulteriormente la relazione tra grassi alimentari e malattie delle coronarie contribuisce l'ipotesi secondo cui l'aterogenicità delle LDL, apolipoproteine con funzione di trasporto del colesterolo nel sangue, deriverebbe dalla loro ossidazione a opera di forme altamente reattive dell'ossigeno, ossidazione che, almeno in vitro, viene ostacolata dalle vitamine E e C. Si registra, di fatto, una più bassa incidenza di malattie cardiovascolari negli individui con una quantità elevata di antiossidanti ematici, anche se ciò non implica con certezza l'esistenza di un rapporto causale. La dieta di questi individui è di solito ricca di frutta e verdura, e quindi di fibra e molecole antiossidanti che potrebbero svolgere un'azione protettiva dalle malattie delle coronarie. Un'altra interessante osservazione riguarda la correlazione positiva tra valori di omocisteina circolante superiori alla norma, dovuti ad alterazioni del metabolismo di tale amminoacido, e rischio di malattie cardiovascolari. Anche se i meccanismi non sono ancora stati chiariti, indubbiamente tale correlazione amplia e complica il rapporto tra composizione della dieta e rischio di malattie cardiovascolari, specialmente se si tiene conto che l'iperomocisteinemia, quando non è di origine genetica, può essere ricollegata a carenza di acido folico e di vitamina B12 o di vitamina B6. Anche il consumo di alcol influenza la comparsa di malattie cardiovascolari. Il rischio è leggermente minore nei bevitori moderati rispetto agli astemi, come è dimostrato da studi condotti in Israele, Scozia, Stati Uniti ed ex Iugoslavia.
Lo squilibrio tra l'introduzione e il consumo di energia è causa di sovrappeso e obesità, patologie in crescita in tutto il mondo. A essere maggiormente colpiti sono gli adulti, ma i casi vanno aumentando anche tra i bambini, il che suggerisce che in futuro l'obesità costituirà una delle sfide maggiori per la salute pubblica. Il sovrappeso e l'obesità vengono definiti in base all'indice di massa corporea (BMI, Body mass index), dato dal rapporto peso in kg /altezza in m al quadrato. Un BMI inferiore a 19 denota sottopeso e comporta un moderato grado di rischio; un valore superiore a 25 indica sovrappeso, che diviene obesità di vario grado a partire dalla soglia di 30. A livello di popolazione, un BMI tra 19 e 25, considerato normale, comporta un valore medio di 22, ma poiché quasi sempre il BMI medio si colloca intorno a 24-26, se ne deduce che una porzione consistente della popolazione è sovrappeso oppure obesa.
Un recente esame condotto su un campione di persone di età compresa tra 35 e 64 anni ha indicato che in Europa sono obesi circa il 15% degli uomini e il 22% delle donne. Un'indagine condotta nel 1996 indicava inoltre che nei Paesi europei, l'obesità era aumentata del 10÷40% in soli dieci anni. Anche se l'eccesso di peso è la conseguenza di un'eccessiva introduzione di energia, indipendentemente dalla sua natura (grassi e/o carboidrati), la responsabilità principale va attribuita ai grassi, che, oltre a costituire una forma concentrata di energia, sono immagazzinati più rapidamente dei carboidrati. L'obesità comporta molte affezioni debilitanti ‒ come osteoartriti, problemi di carico alle articolazioni, ernie e vene varicose ‒ e, cosa molto più grave, costituisce un fattore indipendente di rischio per le malattie delle coronarie e per l'ipertensione, fa aumentare i disturbi gastrointestinali, alcuni tipi di tumore e la prevalenza del diabete di tipo 2. Si presume che il numero dei casi di quest'ultima patologia, di cui è responsabile anche l'inattività fisica, raddoppieranno nei prossimi vent'anni, e il fenomeno non interessa solo i Paesi sviluppati, ma anche quelli in transizione e in via di sviluppo.
Per quanto riguarda l'ipertensione, ci sono evidenze che un valore alto di BMI e un elevato consumo di alcol hanno una forte e indipendente incidenza sull'innalzamento della pressione sanguigna. Il sale (cloruro di sodio) ha un'incidenza più debole, ma pur sempre significativa, in particolare in funzione dell'età, mentre altri elementi, come il potassio e il magnesio presenti in diete ricche di carboidrati complessi, sembrerebbero avere un ruolo di protezione. Per soggetti non geneticamente predisposti è sufficiente mantenere il peso nella norma, adottare un'alimentazione povera di grassi e ricca di fibra, e ridurre il consumo di alcolici. Un altro accorgimento è quello di introdurre l'abitudine, fin dall'infanzia, a consumare alimenti poco salati.
Dopo le malattie cardiovascolari, i tumori rappresentano una delle principali cause di morte nei Paesi sviluppati; tuttavia, con il progredire dell'urbanizzazione e l'occidentalizzazione della dieta e dello stile di vita questo tipo di patologia è in aumento anche nei Paesi in via di sviluppo. Ciò conferma, fra l'altro, l'influenza dell'ambiente sull'insorgenza dei tumori, mentre i fattori genetici risultano quantitativamente meno rilevanti.
Una dieta ricca di grassi aumenta il rischio di tumore al colon e, in caso di obesità, anche alla prostata e all'endometrio, nonché, dopo la menopausa, al seno; un elevato consumo di sale o di alimenti sotto sale o affumicati fa aumentare il rischio di cancro allo stomaco, mentre bevande e cibi molto caldi favoriscono l'insorgenza di neoplasie della cavità orale, della faringe e dell'esofago; un elevato consumo di carne rossa sembra associato a un modesto aumento del rischio di cancro colon-rettale, ed è inoltre consigliabile consumare solo occasionalmente carne o pesce cotti alla brace. Ciò indica che spesso il fattore di rischio non è legato all'alimento in sé, quanto piuttosto alle modalità con le quali viene preparato.
Particolarmente degna di nota è l'osservazione che un'alimentazione ricca di frutta e verdure riduce il rischio di tumore, con un più specifico effetto protettivo nei confronti dei tumori a carico di colon, bocca, faringe, laringe, polmoni, stomaco e probabilmente anche di pancreas, seno e vescica, e forse nei confronti del cancro in generale. La frutta e le verdure svolgono un'azione protettiva non solo per la presenza di micronutrienti antiossidanti ‒ come caroteni, vitamina C, vitamina E e selenio ‒ ma anche per i numerosi microcostituenti, ancora non tutti identificati, più o meno presenti nei diversi prodotti e definiti correntemente 'bioattivi'. L'estrema complessità e molteplicità dei costituenti dei vegetali rende difficile attribuire l'effetto protettivo a un singolo elemento e d'altra parte sono possibili antagonismi, agonismi e alterazioni nella biodisponibilità anche in rapporto al modo in cui i diversi alimenti vengono associati e preparati. Dal punto di vista pratico è comunque importante il fatto che le evidenze relative a un'azione protettiva di frutta e verdura sono fra le più convincenti, indipendentemente dai meccanismi sottostanti.
L'iponutrizione e la malnutrizione sono tra i problemi più devastanti per le masse di poveri e bisognosi del mondo. Circa il 30% dell'umanità soffre di una o più forme di malnutrizione e anche se il problema va, nel complesso, gradualmente migliorando, permangono ancora gravi situazioni di carenza alimentare, che minano seriamente la salute sin dalla vita fetale. La malnutrizione è responsabile, oltre che del ritardo nella crescita, anche di patologie dovute a carenze specifiche, in particolare di vitamine A (che può provocare cecità), B2 (riboflavina) e C, nonché di ferro e di iodio.
La malnutrizione proteico-energetica è la più diffusa forma di malnutrizione fra i bambini dei Paesi in via di sviluppo. I bambini sono di statura inferiore alla media se la malnutrizione è cronica e sottopeso se soffrono di malnutrizione acuta, condizione che, in mancanza di opportuni interventi, può evolvere nel marasma, una forma estrema di deperimento che può portare alla morte. Nei Paesi in via di sviluppo nascono ogni anno circa 30 milioni di bambini sottopeso a causa della scarsa nutrizione durante la vita fetale. Il basso peso alla nascita è un problema diffuso e particolarmente serio nell'Asia centromeridionale, dove interessa il 21% dei neonati, mentre nell'Africa centrale e occidentale la percentuale di bambini sottopeso è, rispettivamente, del 15% e dell'11%. Nell'America Centrale e Meridionale e nel Sud-Est asiatico, i valori sono intorno al 6%, un livello vicino a quello dei Paesi industrializzati. Poiché la malnutrizione fetale è correlata a malattie croniche nell'età adulta, investire nella prevenzione potrebbe scongiurare l'insorgenza di queste malattie, oltre a migliorare lo stato nutrizionale della madre e del bambino.
Nel 2000 circa 182 milioni di bambini in età prescolare, corrispondenti al 33% dei bambini sotto i 5 anni, presentavano un ritardo della crescita: un miglioramento rispetto alla percentuale del 47% registrata nel 1980. I recenti progressi nella lotta alla malnutrizione sono molto diseguali e in alcune aree del tutto inconsistenti, come nell'Africa subsahariana, quando non di segno negativo, come nell'Africa orientale; l'attuale tendenza all'aumento di questi valori è determinata dal costante sviluppo demografico. Fortunatamente, in altre regioni la percentuale di bambini con ritardo della crescita fa registrare una diminuzione. Progressi notevoli sono stati conseguiti in America Meridionale, in Nord Africa, nei Caraibi e nel Sud-Est asiatico, in particolare nell'Asia centromeridionale dove il numero di bambini affetti da malnutrizione acuta è in diminuzione, anche se essa rimane largamente diffusa (fig. 2).
Le informazioni sullo stato di nutrizione degli adolescenti e sui suoi effetti sulla crescita sono molto scarse. Fra gli adulti in parecchi Paesi si riscontrano contemporaneamente ipo- e ipernutrizione. A rischio di malnutrizione sono in particolare le donne gravide e in allattamento e i loro piccoli, che hanno un maggior fabbisogno di alimenti nutrienti rispetto ad altre categorie. Quando la disponibilità alimentare della famiglia è limitata, le donne e i bambini sono i primi a presentare segni di iponutrizione. Le donne che durante la gravidanza registrano un aumento di peso inferiore alla norma molto spesso danno alla luce neonati sottopeso, maggiormente esposti a malattie e infezioni. Molto scarse, se non addirittura inesistenti, sono le informazioni sullo stato di nutrizione degli anziani.
La carenza alimentare di micronutrienti è ancora largamente diffusa nei Paesi in via di sviluppo. Le carenze di ferro, iodio e vitamina A sono le più gravi per conseguenze e diffusione. Carenze meno diffuse, o forse meno conosciute nella loro estensione, sono quelle di vitamina C, che può provocare lo scorbuto, di vitamina B12 e di acido folico, con le conseguenti anemie. In alcune zone queste carenze sono il risultato di un'alimentazione povera dal lato non solo qualitativo ma anche quantitativo, per cui si intrecciano con una malnutrizione proteico-energetica più o meno accentuata, a sua volta causa di una riduzione dell'assorbimento e dell'utilizzazione di questi micronutrienti già scarsi nella dieta abituale, determinando un circolo vizioso.
Carenza di ferro. La carenza di ferro interessa più di un miliardo di persone nei Paesi in via di sviluppo, dove si calcola che più di due persone su tre ne soffrano. L'anemia che ne consegue influenza lo sviluppo cognitivo dei bambini diminuendo le loro capacità di apprendimento, causa perdite nella produttività e fa aumentare la morbilità e la mortalità delle madri. La quantità di ferro assunta con gli alimenti varia considerevolmente nelle diverse regioni, ma non esiste necessariamente un rapporto diretto tra quantità di minerale presente negli alimenti e anemia, perché il grado di biodisponibilità del ferro varia nei diversi cibi e la presenza di parassiti intestinali ne può compromettere fortemente l'utilizzazione. La diffusione e le conseguenze della carenza di ferro costituiscono uno dei più rilevanti problemi sociali.
Carenza di iodio. La carenza di iodio si riscontra prevalentemente in aree con basso contenuto di questo elemento nel terreno e nelle acque, e di conseguenza negli alimenti. Particolarmente povere di iodio sono non solo le aree montane, come per esempio le Ande e l'Himalaya, ma anche aree costiere o di pianura soggette a frequenti inondazioni. Un'altra importante causa di carenza di iodio è l'eccessivo consumo di alimenti, come Brassicacee e manioca, che contengono sostanze gozzigene; si tratta di un fenomeno particolarmente evidente nell'Africa centrale, dove la manioca è un alimento largamente consumato, e in America Latina, dove sostanze gozzigene si trovano anche nelle acque. Il problema della carenza di iodio è molto serio nei Paesi asiatici, in particolare nel Bangladesh. La sua incidenza nel Sud-Est asiatico supera quella registrata in tutte le altre regioni del mondo.
La carenza di iodio dà luogo a un un'ampia gamma di patologie, che vanno da un modesto ingrossamento della tiroide a forme di cretinismo neurologico, con tutta una serie di manifestazioni intermedie. Questi effetti sono particolarmente gravi durante lo sviluppo fetale e nei primi due anni di vita. A livello mondiale la carenza di iodio è la causa più diffusa di danno mentale. La iodurazione del sale, introdotta nei Paesi dove le patologie dovute a scarsezza di iodio hanno maggiore incidenza, sta conseguendo buoni risultati.
Carenza di vitamina A. Una grave carenza di vitamina A può portare alla cecità sin dalla prima infanzia e nelle età successive ha effetti negativi sulla salute. Essa è da ascrivere a una dieta inadeguata, dovuta a povertà e deprivazione, e tende ad aggravarsi anche per la tendenza a eliminare i vegetali freschi dalla dieta dei bambini. Per quanto la carenza grave di vitamina A, la xeroftalmia, e la conseguente cecità siano in diminuzione, la carenza subclinica colpisce ancora circa 250 milioni di bambini in età prescolare e un numero ancora maggiore di bambini in età scolare, donne gravide e altre categorie di persone; inoltre, essa contribuisce in maniera significativa all'aumento della morbilità e della mortalità nelle popolazioni a rischio. Nelle aree dove essa è largamente diffusa vivono 118-190 milioni di bambini che, pur non presentando xeroftalmia, sono probabilmente più esposti al rischio di contrarre infezioni a causa delle ridotte difese immunitarie.
Anche se la maggior parte dei Paesi colpiti è situata soprattutto nel continente africano, la maggioranza dei bambini che soffrono di carenza di vitamina A si trova nel Sud-Est asiatico, dove a causa dell'elevata densità della popolazione la disponibilità alimentare media è molto inferiore al fabbisogno. Per quanto si osservi una tendenza al miglioramento, dovuta anche ai trattamenti con vitamina A, la xeroftalmia resta un problema particolarmente grave. Nei Paesi in via di sviluppo, inoltre, molto spesso la grave carenza di vitamina A è associata a malnutrizione proteico-energetica e porta a un aumento della mortalità infantile. Nella provincia di Kivu, nello Zaire, dove la malnutrizione proteico-energetica è endemica, la mortalità annuale si aggira intorno al 50%.
Gli alimenti, oltre ai macronutrienti e ai micronutrienti, contengono una serie di sostanze che potrebbero essere dannose ‒ generalmente classificate come 'sostanze antinutrizionali', 'potenzialmente tossiche' e 'allergeni' ‒ molte delle quali vengono distrutte dalla cottura o sono presenti in quantità talmente piccole da essere eliminate dai meccanismi di detossificazione propri dell'organismo. I problemi nascono dal fatto che non sempre è noto quali siano i livelli tollerabili, se un consumo continuato di piccole quantità possa costituire un rischio per la salute, se alcuni individui siano più sensibili di altri e in che misura le sostanze sospette vengano realmente assimilate.
Di regola, le sostanze antinutrizionali agiscono riducendo la biodisponibilità di uno o più nutrienti. Per esempio, i gozzigeni presenti nelle Brassicacee e nelle Crocifere sono sostanze che, trasformate all'interno dell'organismo, inibiscono la via di utilizzazione dello iodio nella sintesi dell'ormone tiroxina. Altre sostanze antinutrizionali che inibiscono l'assorbimento dei nutrienti sono i sali dell'acido fitico, o 'fitati', i quali aggravano ulteriormente la condizione di rischio per le popolazioni tra le quali è diffusa la carenza di ferro, zinco e calcio. Se si considera che alcuni alimenti ricchi di fitati, come la farina di avena e il frumento integrale, sono anche ricchi di fibra, che di per sé può ridurre la biodisponibilità di tali minerali, gli effetti negativi sulla salute risultano ancora più gravi. Nei casi in cui la dieta è molto povera di calcio, il suo assorbimento può essere ridotto anche dall'eccessivo consumo di vegetali verdi ricchi di ossalati, quali bietole, spinaci, rabarbaro, ecc. Sostanze antinutrizionali, come gli inibitori delle proteasi e delle amilasi, presenti nei legumi, non pongono particolari problemi in quanto vengono distrutte con la cottura.
Possono essere naturalmente presenti negli alimenti, oppure derivare da preparazioni domestiche e industriali o da processi di contaminazione. Si tratta di un problema molto complesso, sia perché le sostanze non nutrienti presenti negli alimenti vegetali e animali sono migliaia e non sempre sono noti i loro effetti sull'organismo umano, sia perché non si sa con precisione quante di queste sostanze vengano assunte giornalmente dai singoli individui. Ogni sostanza chimica, sia sintetica sia naturale, risulta tossica a determinati livelli e pertanto il rischio zero praticamente non esiste. A parte i ben noti alcaloidi tossici, presenti in alcune specie di funghi, o la neurotossina di origine batterica (tetrodoxina, TTX) presente in diversi animali (di cui il più noto è il pesce palla), particolare interesse hanno i glucosidi cianogeni che si trovano in molte specie vegetali, come patate dolci, mais, miglio, canna da zucchero, mandorle amare e noccioli di ciliege, prugne, albicocche e soprattutto nella manioca. Anche se le popolazioni presso cui la manioca costituisce l'alimento base hanno elaborato tecniche per eliminare il cianuro, le intossicazioni gravi non sono rare, e in alcune aree l'ingestione cronica di piccole quantità crea seri problemi.
Il consumo dei semi di alcune specie di legumi, come la cicerchia (Lathyrus), che causa una grave malattia del sistema nervoso centrale nota come 'latirismo', continua a essere un problema in Paesi, come per esempio l'India, in cui la coltivazione di questa specie, capace di crescere in condizioni particolarmente avverse, può costituire l'unica risorsa in tempi di carestia. Nei soggetti con deficit ereditario dell'enzima glucosio-6-fosfatodeidrogenasi, i glucosidi vicina e convicina presenti nelle fave provocano il favismo, una crisi emolitica acuta che può risultare mortale se non si interviene tempestivamente. Questa malattia, che interessa potenzialmente circa 100 milioni di persone, è largamente diffusa nel bacino del Mediterraneo e, per quanto riguarda l'Italia, in Sicilia e ancor più in Sardegna.
L'elenco delle sostanze potenzialmente tossiche comprende inoltre emoagglutinine, saponine, fitoalessine e il gossipolo, una sostanza presente nei semi di cotone la cui tossicità costituisce un grave problema soprattutto per i Paesi dell'Africa subsahariana. Il problema delle sostanze potenzialmente tossiche merita particolare attenzione in quanto alcune di esse hanno azione mutagena e quindi potrebbero risultare cancerogene. Alla lunga lista di queste sostanze appartengono la piperina del pepe nero, l'acido caffeico, la teobromina del tè e del cacao e diversi composti polifenolici in alimenti vegetali. Per contro, per alcuni composti polifenolici come i flavonoidi, per esempio la quercetina, è stata ipotizzata un'azione protettiva nei confronti delle malattie cardiovascolari e del cancro dovuta alle loro proprietà antiossidanti, anche se gli studi epidemiologici finora condotti non permettono di trarre conclusioni definitive.
Nei Paesi con climi caldi e umidi un altro rischio alimentare è legato alla conservazione di granaglie, semi e riso, che possono essere contaminati da funghi, per esempio Aspergillus spp. e Pennicilium spp., i quali producono aflatossine e ocratossine che, oltre a essere potentissimi veleni, sono ritenute fortemente cancerogene. Nei Paesi dell'Africa, la contaminazione da funghi rende inutilizzabile circa il 30% degli alimenti; una recente ricerca condotta nell'Africa centro-occidentale ha indicato che solo due bambini su cinquecento al di sotto dei due anni non presentavano valori di aflatossina superiori ai limiti indicati dalla WHO (World Health Organization). Recentemente è sorto il sospetto che l'uso di concimi animali non adeguatamente stabilizzati per la produzione di alimenti biologici possa essere all'origine di contaminazioni da Escherichia coli (O157:H7) e rappresentare un ulteriore rischio per il consumatore.
Allergeni. Le allergie di natura alimentare sono oggetto di crescente attenzione anche perché stanno divenendo sempre più frequenti. Il fenomeno allergico si scatena quando un componente di un alimento ‒ in particolare una proteina o carboidrati complessi legati a una proteina ‒ normalmente innocuo è riconosciuto come dannoso da parte dell'organismo. Il sistema immunitario reagisce allora producendo anticorpi specifici, per cui tutte le volte che quell'alimento viene ingerito si scatena una serie di sintomi allergici che coinvolgono il sistema respiratorio, il tratto gastrointestinale, la pelle o il sistema cardiovascolare. La risposta è individuale e quindi può essere causata da qualsiasi alimento (i più comuni sono il latte, le uova, il frumento, la soia e i crostacei); quando coinvolge diffusamente una popolazione richiede un'attenta vigilanza.
La celiachia è una malattia genetica; nei soggetti predisposti l'assunzione di gliadina, uno dei due costituenti del glutine di frumento, provoca un danno della mucosa intestinale con conseguente grave deficit nell'assorbimento dei nutrienti e una deficienza secondaria della lattasi. Una risposta analoga si verifica anche con l'orzo e l'avena.
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