ALIPHEIRA (᾿Αλίϕειρα e, più tardo, ᾿Αλίϕηρα)
La città più occidentale dell'antica Arcadia (Polyb., iv, 77, 10), presso i confini tra l'Elide e la Triphilia, nella regione dei Cinurei, era costruita su una collina oblunga, tra due affluenti meridionali dell'Alfeo. Le sue rovine, situate a circa due ore di strada a NO di Andritzena, sono note oggi con il nome di Kastro di Nerositza.
Il suo nome deriva da Aliphiros, uno dei cinquanta figli di Licaone, figlio di Pelasgo, mitico re degli Arcadi. Anche se il suo nome fu ritenuto preellenico (Fick, Vorgriech. Ortsnamen, 136), nessun resto preistorico, tuttavia, fu trovato qui dall'Orlandos durante gli scavi da lui esegniti tra il 1932 e il 1935. Questi hanno, invece, confermato l'esistenza sull'acropoli di un culto di Atena già fin dal 540 a. C., continuato per tutto il V secolo. Tra il 371 e il 367 a. C., A. entra con altre città nella lega arcadica; molti suoi abitanti l'abbandonano per il sinecismo di Megalopoli alla quale essa resterà sottomessa, finché Lydiadas, tiranno di Megalopoli, la consegnerà per scambio ad Elide (Polyb., iv, 79, 10). Da una epigrafe sappiamo che, tra il 235 e il 230 circa, Aristolao aveva collocato una guarnigione macedone ad A., e che la città aveva subito una incursione di pirati, probabilinente Illiri. Mentre gli Alifirei stessi riuscirono a scacciare la guarnigione, i pirati, li cacciarono con l'aiuto di un certo Kleonymos, il quale non è escluso fosse lo stesso ex tiranno dei Fliasii. Un po' più tardi, Filippo V di Macedonia, spintosi qui da Olimpia, assediò e occupò la città (Polyb., iv, 78, 3), la staccò dagli Eliei e la riconsegnò, nel 207, a Megalopoli (Liv., xxxii, 5, 6; xxxviii, 8, 6). Agli inizî del II sec. a. C., A. sarebbe città libera dal momento che possedeva anche un thearodòkos (Bull. Corr. Hell., xlv, 1921, 36, 11) e per il fatto che nel 191 è ricordata con altre città della lega achea e batte moneta con il nome dell'arconte [Λυσι?] μαχος e con la leggenda ᾿Αχαιῶν ᾿Αλιϕειρέων (Head, Hist. Numorum, 2, 418). In periodo romano ci è ricordata, sotto Augusto, da Agrippa (Plin., Nat. hist., iv, 22) e, come ultima (nel 177 circa d. C.) e significativa testimonianza, da Pausania (viii, 26, 4), il quale la caratterizza come πόλισμα οὐ μέγα. In periodo paleocristiano A. fu abbandonata, dato che nessun ritrovamento appartiene a quel periodo. Assai più tardi, nell'area del pronao del tempio di Atena, crollato per terremoto, sorse una chiesetta cristiana, mentre, in periodo turco, sulle pendici N della collina sorse la chiesa di S. Nicola, con copertura a crociera, oggi semidiruta.
Esistevano ad A. culti di Atena (Polyb., iv, 78, 2; Paus., viii, 26, 6), di Asklepios (Paus., loc. cit.), di Zeus Lecheàtas (Paus., loc. cit.). Atena era la polioùchos, poiché si diceva che Zeus l'aveva generata qui (per cui era anche stato eretto un altare a Zeus Lecheàtas) e che una fontana si chiamava Tritonia in quanto Atena era nata presso il fiume Triton. Tale fontana, ancor oggi in uso, si chiama Nerositza ed è da essa che l'acropoli cinta di mura prese il nome di Kastro di Nerositza (già Nerovitza). Pausania ricorda inoltre una festa della città in occasione della quale si sacrificava all'eroe Myagros perché tenesse lontano dalle carni dei sacrifici le noiose mosche.
La sommità della collina e parte delle sue pendici furono provviste in periodo storico (V-IV sec. a. C.) di solide mura. In alcuni tratti, naturalmente scoscesi, non si sentì il bisogno di esse e fu, appunto, da uno di questi tratti che Filippo V riuscì a salire e occupare la città nel 219 a. C. Oltre alla cinta esterna una cura particolare fu dedicata alle mura dell'acropoli, situata ad E, a 683 m sul livello marino: lo schema della fortezza è irregolarmente trapezoidale, con torri quadrangolari presso gli angoli sul lato E e una torre a protezione di un ingresso sul lato O. La tecnica del lato E è la più antica; presenta il sistema poligonale secondo filari e può forse appartenere al V sec.; gli altri lati e la torre O furono fatti probabilmente nel IV secolo. Delle costruzioni della città, situata ad O dell'acropoli solo pochi resti si sono conservati.
Subito sotto l'anàlemma orientale dell'acropoli si estende un'area rettangolare, con il lato lungo orientato N-S e un accesso da un muro a gradoni. L'area era dedicata ad Atena, polioùchos di A., e comprendeva: il tempio (identificato da epigrafi), basi per epigrafi ed ex voto presso la sua fronte, un basamento per la statua colossale della dea all'aperto e, ad E di esso, un lungo altare rettangolare. Il tempio era inizialmente composto solo di una cella molto lunga, con parte inferiore litica e superiore in mattoni crudi, con tetto di tegole di tipo laconico delle quali si trovarono due frammenti di antefissa decorati con gorgonèia a basso rilievo, datati al 540 a. C. A tale cella fu aggiunta, agli inizl del V sec., una peristasi di 6 colonne sui lati brevi e 15 sui lunghi. La lunghezza del nuovo periptero, misurata sull'euthynterìa (m 29,60), corrisponde a 100 piedi soloniani. Le colonne e la trabeazione erano di pietra conchiglifera, il tetto di marmo insulare, con tegole di tipo corinzio. Il tempio fu distrutto da un terremoto, poiché 7 colonne del lato lungo sono state ritrovate con i relativi epistili, adagiate di fianco, l'una presso l'altra. Sono stati ritrovati anche triglifi e geìsa, per cui la ricostruzione dell'elevato risulta certa.
Le 6 basi rettangolari antistanti la fronte del tempio portavano ex voto e stele iscritte. Degli ex voto è stato trovato solo un frammento: una mano che stringeva probabilmente un arco. Delle epigrafi ne sono state trovate 3: una ricorda l'esistenza della guarnigione macedone ad A., scacciata dai suoi abitanti, la seconda porta un giudizio di un processo tra Aristodamos e Kallistratos e la terza, in frammenti, parla dei confini tra A. e Lepreo. Tutte e tre sono dell'ultimo venticinquennio del III secolo. Poiché il vecchio tempio aveva una cella molto stretta, oltre al culto dello xòanon arcaico che era in essa, si costruì più tardi, circa a 20 m dalla fronte del tempio, un basamento per una statua colossale di culto di Atena. Di esso (4 × 4,54 m) sono stati individuati la posizione e alcuni blocchi regolari, uno dei quali porta l'epigrafe ἐπο]ίησεν .... διος. Come artisti della statua di bronzo, Polibio (iv, 78) ne ricorda due: Hekatodoros e Sostratos, mentre Pausania (viii, 25, 5) uno solo: Hypatodoros, come implica, in fondo, l'epigrafe della base. E poiché non esiste uno scultore Hekatodoros, il nome tramandatoci da Polibio va corretto in Hypatodoros. Questo bronzista tebano avrà fatto la statua colossale della dea verso la fine del V sec. a. C. Comunque se non si tratta di un omonimo, più recente, l'informazione di Plinio il vecchio (Nat. hist., xxxv, 50) secondo la quale Hypatodoros ebbe l'acmé nella cii olimpiade (372-369) dovrebbe essere ritenuta, come tante altre sue, errata.
Circa 8 m ad E del basamento fu costruito un altare rettangolare (1,38 × 11 m) per sacrifici cruenti. L'Asklepieion era costruito molto più ad O e in località sottovento, come spesso accade. Di esso si è trovato il tempio prostilo tetrastilo, d'ordine ionico (5,75 × 11,8o m), di periodo ellenistico. Entro la cella è il basamento cubico della statua del dio che, in base a frammenti ritrovati, doveva essere rivestito di lamine d'avorio. Davanti alla statua era una tràpeza marmorea con piedi a zampa leonina per offerte incruente. A distanza di m 6,30, ad E del tempio, si trova l'altare rettangolare (m 2,30 × 5,40) con ortostati attorno e, alla sommità dei lati brevi, due ripari a frontone decorati da anthèmia a bassorilievo. Tempio e altare appartengono al periodo ellenistico, probabilmente alla seconda metà del III sec. a. C. Un po' ad E del tempio si trova un peristilio rettangolare con cortile ipetrale (katagògion? o casa dei sacerdoti?). Oltre ai templi meritano d'esser ricordati i monumenti funerari. Essi si trovano lungo le pendici orientali delle colline di Alipheira. Le loro facciate imitano fronti templari con pilastri in luogo di colonne e con epistilio e frontone; dietro ad esse si trovano vani rettangolari per le deposizioni. Nomi di defunti ed epigrammi erano incisi sia sui pilastri sia sull'epistilio; uno di questi fu già pubblicato dal Peeck (Grabepig., 505), il quale ritenne nome del defunto Theon mentre più probabilinente il nome del defunto è Setheas. Simili alla tomba di Setheas ne esistono altre, più a S, in località Kambià, anche queste ellenistiche. Una tomba collocata più ad O e più alta di quella di Setheas ha, al contrario, un diverso disegno e imita piuttosto monumenti funerarî attici, in quanto si compone di un basamento a forma di pi-greco sul quale era sovrapposta una edicola con l'epigrafe Εᾶπατας ῏ Νικηδώ ῏ Χαίρετε. La sepoltura era nel terreno, alle spalle della struttura del basamento.
Bibl.: Polyb., IV, 74-77, Paus., VIII, 26, 4; Liv., XXXVIII, 8; Leake, Travels in the Morea, II, p. 71; E. Curtius, Peloponnesos, I, Gotha 1851, p. 360; Bursian, Geographie von Griechenland, II, p. 234; A. Orlandos, Ολυμπιακον Αρχειον, Atene 1934, pp. 1-6; N. Papachatzis, Πασανιου Ελλαδος Περιθηθσις, IV, pp. 293-298; A. Orlandos, Η αρκαδικθ Αλιζειρα, Atene 1968, in Αρχ. Ετ., n. 58.