Alle origini della civilta greca: Minoici e Micenei
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Civiltà minoica, civiltà micenea e Dark Ages – i secoli compresi tra la fine della civiltà palaziale e la nascita della polis – corrispondono alle fasi della storia del mondo egeo cui è necessario guardare per comprendere la formazione della civiltà greca arcaica e classica. È un mondo rivelato dall’archeologia negli ultimi 150 anni: ai suoi inizi troviamo la civiltà minoica, fiorita a Creta nella prima metà del II millennio a.C. e considerata la più antica esperienza statale su suolo europeo.
Se a un Ateniese colto dell’età di Pericle avessero chiesto di parlare della storia più antica delle città greche, egli non avrebbe avuto difficoltà a raccontare le innumerevoli leggende che circolavano al suo tempo su fatti, dèi ed eroi del glorioso passato che ogni città della Grecia antica era orgogliosa di vantare. A tale passato si attribuivano spesso costruzioni monumentali, “ciclopiche”, appunto, i cui resti erano in vista da secoli.
Alla tradizione letteraria greca, da Omero in poi, era ben chiara l’esistenza di una età eroica che aveva preceduto le grandi realizzazioni dell’età classica e con la quale la Grecia di Pericle e Fidia si poneva in stretta continuità. Ne erano stati protagonisti, tra gli altri, Teseo, l’eroe ateniese che aveva sconfitto a Creta il Minotauro; Menelao, re di Sparta, e la moglie Elena, alla cui infedeltà si attribuiva lo scoppio della guerra di Troia; Agamennone, il potente re di Micene e capo dei Greci che lottarono contro Troia. La lista, com’è ovvio, potrebbe essere assai più lunga. Ma se allo stesso Ateniese colto fosse stato chiesto di indicare con esattezza a quanto indietro nel tempo risalissero eroi, leggende ed eventi narrati dal mito allora la risposta sarebbe stata assai vaga. Del loro passato più antico i Greci non coglievano né l’articolazione culturale né tantomeno la profondità cronologica, che si devono invece esclusivamente alla ricostruzione moderna. È grazie alle straordinarie scoperte archeologiche compiute a partire dalla seconda metà dell’Ottocento che oggi noi siamo in grado di collocare questo passato glorioso nel II millennio, all’interno dell’età del Bronzo.
Come è documentato dalle tavolette in Lineare B, la scrittura dell’amministrazione dei palazzi micenei, nella seconda metà del II millennio a.C. era in uso una forma arcaica di greco. Non foss’altro che per questo – ma gli esempi relativi ad altri ambiti sono numerosi – la civiltà micenea deve essere ritenuta il punto di partenza di una linea di ininterrotta continuità culturale individuabile in Grecia tra la tarda età del Bronzo e l’età arcaica e classica. Ma la civiltà micenea, che si forma sul continente greco tra la prima e la seconda metà del II millennio a.C., trae origine per molti versi dalla civiltà minoica, che si forma a Creta pochi secoli prima e costituisce il primo esempio in Europa di entità politica e culturale complessa, cioè di entità statale. In tal modo non si vogliono negare le radicali trasformazioni che si verificarono in Grecia con la fine della civiltà palaziale, e che rappresentano un’autentica rottura nella storia di alcune regioni. Si vuole piuttosto sottolineare come una storia della Grecia antica non sia comprensibile senza porre il giusto accento su fenomeni di continuità e di frattura, i quali sia geograficamente sia cronologicamente devono essere isolati e apprezzati nella loro giusta dimensione. In definitiva l’unicità della Grecia classica si spiega con la forza di una tradizione che da una certa data in poi appare continua, e della quale lingua, memoria storica, comportamenti antropologicamente ricorrenti ed elementi artistici risultano parte integrante.
Che la Grecia sia stata sede di una delle più spettacolari civiltà dell’età del Bronzo è un’acquisizione recente: ha infatti poco più di 100 anni e si deve a Schliemann e Evans, che inaugurano la grande stagione degli scavi archeologici nel bacino dell’Egeo. Descrizioni della Grecia e dei suoi monumenti avevano raggiunto l’Europa già a partire dal Medioevo e furono numerosi i viaggiatori che per motivi di volta in volta diversi si avventurarono in quelle terre. In Occidente, inoltre, per tutta l’età moderna la mitologia greca e gli eroi cantati da Omero hanno costituito un tema prediletto dello studio sul mondo classico, sfociato nel dibattito, tuttora in corso, sulla storicità o meno delle vicende narrate nell’Iliade e nell’Odissea. Ma è stato lo sviluppo dell’archeologia come scienza che ha consentito l’avvio dei primi scavi sistematici e la scoperta di un nuovo “mondo”. Autori di tale scoperta sono, appunto, Schliemann e Evans. Gli scavi da loro condotti hanno per primi rivelato come Creta sia stata, nel corso del II millennio a.C. (1900-1425 a.C.), sede di una raffinata civiltà articolata intorno a palazzi sontuosi, e come tale civiltà alla metà del II millennio a.C. abbia passato il testimone a Micene e al continente greco (1600-1200 a.C.). Sia Creta sia Micene sono state capaci di espandersi fuori dai loro confini e di intrecciare intensi rapporti commerciali con altri stati e città del Mediterraneo.
Uomo d’ingegno, animato da un’incrollabile fiducia nella tradizione classica, il tedesco Heinrich Schliemann, dopo aver accumulato un ingente patrimonio con il commercio, mette in luce i resti di Troia, di Micene (1874) e di Tirinto (1884), seguendo le indicazioni degli autori antichi, soprattutto di Omero e di Pausania. Le tombe del Circolo A di Micene, di inusitata ricchezza, sono da lui attribuite ad Agamennone e alla dinastia degli Atridi. E poco importa, verrebbe da aggiungere, se la ricerca ha più tardi dimostrato che quelle tombe sono ben più antiche rispetto al secolo in cui potrebbe aver vissuto Agamennone. A Schliemann va il merito della scoperta della civiltà micenea, che egli così denominò dalla cittadella in Argolide che aveva messo in luce.
A pochi anni di distanza Arthur Evans, facoltoso gentiluomo dell’Oxfordshire, riesce ad acquistare i terreni cretesi dove era stato individuato il sito di Cnosso e a iniziare lo scavo del palazzo. A Evans non va soltanto il merito di aver portato alla luce il centro cretese più influente di tutta l’età del Bronzo. A lui va riconosciuta la capacità di aver creato, e imposto su scala mondiale, una “visione” della civiltà che egli stesso ha denominato minoica da Minosse, il mitico sovrano di Creta menzionato dagli storici della Grecia antica. A tal fine Evans promuove i restauri, ancora oggi visibili, del palazzo di Cnosso, e compone The Palace of Minos, un’opera monumentale in cinque tomi, apparsa tra il 1921 e il 1935: ad essa egli affida la sua ricostruzione, modellata sull’organizzazione dell’impero britannico di età tardo-vittoriana, della civiltà minoica. Esito ultimo della geniale “invenzione” evansiana è che il palazzo di Cnosso assurge rapidamente a grande mito della cultura mondiale, mentre l’attività di ricerca degli Inglesi a Creta si trasforma in un indiscusso primato nazionale.
Sulla scia di Evans e Schliemann sono innumerevoli gli studiosi che dai primi anni del Novecento hanno contribuito alla scoperta delle civiltà preclassiche della Grecia. Christos Tsountas a Micene, Joseph Hazzidakis a Mallia, Federico Halbherr a Festòs, Harriet Boyd a Gournià, la cui attività si pone ancora entro i primi anni del Novecento, sono da considerare, al pari di Evans e Schliemann, autentici pionieri di quella grande stagione di scavo. Una seconda generazione è impersonata dall’americano Carl Blegen, che alla fine degli anni Trenta del Novecento inizia gli scavi del palazzo di Pilo in Messenia, e dai greci George Mylonas e Nikolaos Platon che negli anni Cinquanta mettono in luce rispettivamente un nuovo circolo di tombe, denominato B, a Micene, e il palazzo di Zakros all’estremità orientale dell’isola di Creta. Nello stesso torno di tempo arriva la decifrazione della Lineare B, la scrittura dei Micenei, da parte dell’inglese Michael Ventris, che la identifica come una forma arcaica di greco, rivelando l’ininterrotta linea di continuità culturale esistente tra la civiltà micenea e la Grecia classica. Agli anni Cinquanta risale anche la ripresa degli scavi di Festòs da parte di Doro Levi, che dal 1947 al 1977 dirigerà la Scuola Archeologica Italiana di Atene.
Iniziati nel 1967 da Spiridon Marinatos, gli scavi spettacolari del sito di Akrotiri sull’isoletta di Santorini hanno rivelato l’esistenza di una nuova Pompei, una città strettamente legata alla Creta minoica e distrutta dall’esplosione del vulcano omonimo agli inizi della tarda età del Bronzo.
A Creta gli scavi di Iannis Sakellarakis ad Archanes, quelli del canadese Joseph Shaw a Kommos e di Iannis Tzedakis ad Armenoi, hanno enormemente contribuito, nel corso degli anni Settanta, ad ampliare la conoscenza dell’età del Bronzo nell’isola. Allo stesso modo, la ripresa degli scavi di Tirinto da parte di Klaus Kilian, scavi ancora oggi in corso sotto la direzione di Joseph Maran, ha consentito di avere una visione generale del più importante centro portuale della Grecia micenea. Per sottolineare come il suolo cretese riservi ancora grandi sorprese è il caso infine di ricordare lo scavo che Iannis Sakellarakis ha avviato a Zominthos, l’unico sito minoico di montagna, collocato a 1200 metri di altezza, finora scavato.
Infine, negli ultimi trent’anni, grazie all’adozione di tecniche e metodologie importate dalle scienze esatte, l’archeologia egea ha enormemente ampliato le metodologie e i paradigmi di ricerca. Oggi lo scavo archeologico non è più sufficiente, da solo, alla comprensione di un sito o all’indagine su un territorio. La ricostruzione contestuale dell’ambiente naturale, le trasformazioni che tale ambiente ha subito sia naturalmente sia per mano dell’uomo, e lo sfruttamento delle risorse naturali sono diventati parte integrante della ricerca archeologica. Il caso della scoperta del porto miceneo di Pilo in Messenia costituisce un eccellente esempio della trasformazione metodologica dell’archeologia egea.
Meglio definibile come un continente in miniatura, Creta è dopo Cipro la più grande delle isole del Mediterraneo orientale e la regione nella quale per prima si è formata, in Egeo, una società complessa.
Con la civiltà dei palazzi minoici a Creta emerge la più antica esperienza statale che sia mai fiorita su suolo europeo. Organizzazioni statali e imperiali erano già formate nel Vicino Oriente nel III millennio a.C. e avevano dato luogo a un complesso sistema di relazioni, alleanze e contatti, che includeva anche il controllo delle rotte di comunicazione e di approvvigionamento di materie prime all’interno del Mediterraneo. Nel II millennio a.C. di questo sistema entrano a far parte, sebbene perifericamente, Creta prima, con la formazione della civiltà minoica, e il continente greco dopo, con gli stati micenei. Creta e la Grecia, dunque, nel II millennio a.C. rappresentano le estreme propaggini occidentali del sistema economico e culturale creato e sviluppatosi, nel corso di più di due millenni, nel Vicino Oriente.
L’uso del termine “palazzo” per l’età del Bronzo cretese si deve ad Arthur Evans e consente di cogliere bene tutto il retroterra culturale di stampo vittoriano del grande studioso a cui si deve la scoperta di Cnosso. Un palazzo evoca subito l’idea di un re e di una regina, e a Evans risale infatti l’idea che i palazzi cretesi fossero la residenza dinastica del re-sacerdote, che stava a capo di una struttura di potere organizzata gerarchicamente. La nascita dei più antichi palazzi a Creta – quelli di Cnosso, Festòs e Mallia – deve essere considerata come l’evento principale della media età del Bronzo. L’organizzazione sociale responsabile della costruzione dei palazzi prende forma intorno al 1900 a.C., mentre l’edificio come tale – una struttura architettonica monumentale articolata intorno a una grande corte centrale – ha nell’isola una storia molto più antica, che inizia nel III millennio a.C. La fondazione del palazzo coincide dunque con la formazione di un’élite in grado di trasformare la società locale da un’organizzazione fondata sui clan in una entità politica complessa, articolata in senso gerarchico e urbanizzata. Tale processo formativo sembra essere stato piuttosto rapido. A Cnosso la fondazione del palazzo si traduce anche nella costruzione di una serie di opere di pubblica utilità: il terrazzamento della collina su cui sorgeva il palazzo stesso, che consentì l’urbanizzazione dell’area circostante; i grandi contenitori per l’immagazzinamento del grano a ovest del palazzo; le strade, tra cui la Royal Road, che collegavano il palazzo al territorio circostante. La presenza di documenti scritti indica inequivocabilmente l’esistenza di un’amministrazione centralizzata, e dunque di un’élite che ne era responsabile, anche se restano poco chiare le attività economiche in cui il palazzo, nella fase più antica, era coinvolto e i limiti della regione sulla quale esso esercitava un controllo.
Gli elementi architettonici che connotano il palazzo sono la grande corte centrale, la presenza al suo interno di un’ala destinata all’immagazzinamento e la monumentalità della facciata occidentale, che fronteggia la corte occidentale e accoglie chi arriva dalla città. Tra le funzioni primarie del palazzo ci sono anche attività di tipo comunitario e aggregativo: feste, banchetti, cerimonie religiose, iniziazioni, investiture. Lo dimostrano inequivocabilmente la notevole quantità di stoviglie di pregio recuperate nei palazzi di Cnosso e Festòs, certo destinate a banchetti, e le scene rappresentate negli affreschi del palazzo di Cnosso, che raffigurano grandi assembramenti di persone in luoghi aperti identificati con la corte centrale del palazzo stesso.
Tipiche aree di culto connesse ai palazzi sono i “santuari delle vette”: collocati su picchi di difficile accesso ma di grande visibilità e collegati a riti agro-pastorali, certo svolgono un ruolo importante nella formazione, sostenuta dai palazzi, di un’identità politica e sociale condivisa. Manca a Creta – e tale assenza non trova facile spiegazione – un’iconografia di tipo regio, che documenti l’esistenza di un personaggio preminente da un punto di vista sociale, così come mancano tombe attribuibili a singoli individui di rango superiore. E allo stesso modo nelle fonti orientali non ci sono indicazioni per Creta relative a singoli re o dinastie reali. Manca in definitiva una chiara evidenza a supporto dell’esistenza di un potere individuale di tipo dinastico. Tale circostanza deve essere valutata insieme con altri due elementi significativi della società minoica. In primo luogo l’assenza di opere di fortificazione a difesa dei palazzi, fatto questo tanto più eclatante se confrontato con la necessità di difesa delle cittadelle micenee del continente. In secondo luogo, l’assenza di confini che non fossero naturali – il corso di un fiume o una catena di colline – per distinguere le varie entità territoriali all’interno dell’isola.
La fase più antica della società palaziale termina violentemente intorno al 1700 a.C. con una serie di distruzioni che devono essere attribuite a conflitti interni. La fase successiva, o neopalaziale, segna l’inizio di una nuova era caratterizzata dall’ascesa del sito di Cnosso, che espande la sua influenza su gran parte dell’isola, si inserisce nelle trame del commercio internazionale e inaugura un sistema di controllo territoriale fondato sulle ville. Le ville sono dimore di prestigio sparse nel territorio circostante ai palazzi dell’area centrale e orientale dell’isola, nelle quali avevano sede piccoli centri di potere sottomessi ai palazzi. Accanto alla ricostruzione dei palazzi già esistenti, si assiste adesso all’edificazione di nuovi come quelli di Galatas a sud-est di Cnosso, e di Zakros all’estremità orientale dell’isola.
È questa la fase di massimo splendore del palazzo di Cnosso, che viene modificato soprattutto con la costruzione di ingressi monumentali, la monumentalizzazione del quartiere dedicato alla sfera del sacro (Central Palace Sanctuary) e uno spettacolare programma di affreschi che connotano adesso le aree più significative. I palazzi minoici devono essere considerati come il centro di piccoli stati territoriali che controllano singole regioni e le loro risorse sulla base di un ordinamento politico, economico e sociale gerarchizzato. L’amministrazione palaziale sfrutta una sofisticata tecnica di monitoraggio delle attività economiche fondata sull’apposizione di sigilli sui beni controllati dal palazzo: le impronte di tali sigilli, impresse su argilla, sono sopravvissute e costituiscono una documentazione di prim’ordine per ricostruire, appunto, i modi di quella amministrazione. Per redigere documenti di carattere amministrativo all’inizio erano in uso due tipi di scrittura, una basata su caratteri geroglifici diffusa a Cnosso, l’altra sillabica, chiamata (proto) Lineare A, e in uso a Festòs e nella Creta centro-meridionale. Nella fase neopalaziale, dal 1700 a.C. in poi, sarà la Lineare A a soppiantare la scrittura geroglifica e a essere adottata in tutta l’isola.
La società palaziale è in grado di accumulare un notevole surplus di prodotti agricoli e di produrre, tramite artigiani specializzati, beni di prestigio in una grande varietà di materiali, anche importati da regioni esterne a Creta, tra i quali devono essere menzionati sigilli in pietre dure, gioielli, ceramica policroma, armi da parata. Un alto grado di omogeneità culturale, un impressionante sviluppo civile (artistico, artigianale, amministrativo), che include anche la diffusione della scrittura sillabica nota come Lineare A, e la partecipazione al commercio internazionale sono gli elementi distintivi di questa civiltà. Un ruolo importante, infine, deve avere svolto la capacità da parte dei gruppi dirigenti di manipolare l’attività religiosa: il controllo della sfera del culto deve aver infatti giocato un ruolo importante ai fini del mantenimento dell’ordine sociale. I palazzi – edifici di prestigio progettati e costruiti con estrema cura sia nell’esecuzione d’insieme sia nei dettagli – rimarranno in uso per gran parte del II millennio a.C., e ciascuno di essi mostra una storia travagliata, fatta di innumerevoli distruzioni e ricostruzioni, aggiunte, ristrutturazioni, riusi. Diventa però sempre più evidente che la loro funzione primaria non fu residenziale: non si tratta cioè, semplicemente, dei luoghi in cui gli esponenti dei gruppi dirigenti locali hanno dimora. I palazzi minoici appaiono come strutture polimorfe che risultano dall’assemblaggio di aree polifunzionali, e sembrano aver assolto diverse e svariate funzioni di natura sociale, economica e politica. Nel palazzo si svolgono attività domestiche e attività cultuali, stoccaggio di beni e redazione di atti amministrativi, attività commerciali e produzioni a carattere manifatturiero (per esempio di profumi), distribuzioni di razioni, ma anche feste e banchetti. Il palazzo è una struttura allo stesso tempo aperta e chiusa, gestita dai gruppi dominanti ma anche aperta e collegata all’area abitata, quasi a riflettere, come in un microcosmo, l’intero tessuto di rapporti della società minoica.
L’influenza di Cnosso in tutte le sfere della cultura materiale, non solo a Creta, ma anche nell’Egeo meridionale, è evidente. Metallurgia, lavorazione dell’avorio, della pietra e della faïence raggiungono un livello di perfezione raramente eguagliato. Ed è stato a ragione notato che i migliori prodotti di questo artigianato sono stati rinvenuti nelle tombe a fossa, che rappresentano l’atto di fondazione della civiltà micenea. È questa anche una fase di intense relazioni internazionali: prodotti dell’artigianato minoico, e soprattutto cnossio, sono documentati da Thera a Rodi, al Dodecaneso e alla prospiciente costa anatolica, dall’Egitto a Cipro, al Mediterraneo orientale.
La grande omogeneità culturale raggiunta da Creta in questa fase sembra l’ovvio risultato dell’egemonia politica di Cnosso sul resto dell’isola e anche fuori da essa. Il raggio di espansione della civiltà cretese in ambito egeo è piuttosto ampio. Al di là dell’importazione di materiali, l’adozione di elementi propriamente minoici si coglie a Citera, in alcune isole delle Cicladi e sulla costa anatolica – soprattutto a Mileto e a Iasos – in vari aspetti della cultura locale (architettura, ceramica, tecnologie ceramiche, sistema ponderale, pratiche cultuali) e in vari gradi di intensità. Se da un lato, in certi casi come a Citera e Mileto, è possibile individuare delle vere e proprie colonie minoiche, dei centri cioè in cui la cultura materiale può essere definita minoica e si può forse presupporre la presenza stabile di un nucleo proveniente da Creta, in altri casi, laddove elementi minoici appaiono essere stati assorbiti all’interno di un contesto culturale diverso – come ad Akrotiri a Thera, ad Aghia Irini a Kea e a Philakopì a Melo – è difficile ricostruire in quali termini si sviluppa il rapporto con Creta. La menzione da parte di fonti letterarie greche di una “talassocrazia” esercitata da Creta al tempo del re Minosse ha generato l’idea di una vera e propria dominazione minoica sull’Egeo orientale: ma l’evidenza archeologica non è sufficiente per stabilire se si sia in presenza di trasformazioni dovute a contatti di tipo commerciale, o se invece si tratti di un vero e proprio controllo politico.
Le distruzioni generalizzate che si riscontrano a Creta alla fine della fase neopalaziale porranno fine a quello che è stato più volte definito come l’apogeo della civiltà minoica. E si tratta di devastazioni che non sono dovute a cause naturali, come un terremoto, ma a fattori umani. I siti più importanti (Festòs, Haghia Triada, Gournia, Mallia, Zakros) vengono distrutti, in certi casi addirittura rasi al suolo, e solo il palazzo di Cnosso sembra rimanere intatto, anche se numerosi edifici nei suoi dintorni cadono in rovina.
È nel corso della fase neopalaziale che si verifica l’esplosione del vulcano di Santorini nell’isola di Thera, circa 100 chilometri a nord di Creta, preceduta da un terremoto di notevole entità. L’ipotesi che il cataclisma che aveva distrutto il sito di Akrotiri a Thera, paragonabile ad una Pompei dell’età del Bronzo, sia stato anche direttamente responsabile delle distruzioni dei siti neopalaziali cretesi si è però dimostrata infondata: sulla base dell’evidenza ceramica si è infatti ricostruito uno iato molto ampio tra i due eventi. L’esplosione del vulcano di Santorini e la “fine della civiltà minoica” non possono, dunque, essere considerate come collegate da un rapporto immediato di causa ed effetto. Tale devastante fenomeno naturale deve però essere visto come un elemento che ha avuto una parte e che perciò ha dato origine ad altri eventi che hanno determinato a loro volta la fine della Creta neopalaziale. In altri termini: la catastrofe di Tera deve avere indebolito per lo meno alcuni dei siti neopalaziali cretesi favorendone la loro successiva distruzione.
Come spiegare allora la crisi simultanea che si verifica nei maggiori siti cretesi alla fine della fase neopalaziale? Alcuni hanno voluto vedere nei Micenei i distruttori dei siti neopalaziali che avrebbero subito rioccupato il palazzo di Cnosso, altri hanno preferito individuare in rivolte interne a Creta l’origine delle distruzioni, altri ancora hanno cercato di conciliare le due tesi. Qualunque sia l’ipotesi seguita, il declino di Creta e la parallela ascesa dei siti “micenei” del continente nell’ambito del Mediterraneo orientale sono due fenomeni che è difficile disgiungere. E va inoltre tenuto presente che Creta avrebbe ben presto significativamente mutato la sua fisionomia culturale: perdendo lo straordinario livello artistico e culturale raggiunto in precedenza, mantenendo in parte il suo retaggio “minoico”, ma soprattutto acquisendo dei marcati caratteri “micenei”.