allegoria
Già Aristotele definì l’allegoria come una «metafora continuata», nel senso che, mentre la metafora consiste in un termine (o in una frase) trasferito dal concetto al quale propriamente si applica ad altro che abbia qualche somiglianza col primo, l’a. è il racconto di un’azione che deve essere interpretata diversamente dal suo significato letterale. Il termine, che sostituì l’antico ὑπόνοια, entra nell’uso scolastico in età ellenistica. Secondo la tradizione greca, che risale già ai tempi di Omero, i poeti sarebbero ispirati dal dio, e quindi nelle loro parole si doveva ricercare una sapienza nascosta. Ma la necessità di un’interpretazione allegorica fu meglio avvertita quando il pensiero greco, già con Senofane, cominciò a respingere l’antropomorfismo degli dei omerici e le azioni immorali che il poeta attribuiva loro. All’interpretazione allegorica, specie di Omero, ricorsero molti, tra cui Antistene (deriso per ciò da Platone, critico verso i poeti). Dai cinici l’a. passò poi allo stoicismo, che ravvisò nei miti allusioni ai fenomeni della natura interamente pervasa dall’elemento divino. Con Cratete di Mallo l’a. venne introdotta nella retorica, divenendo, nonostante le critiche di epicurei e dell’Accademia media, elemento importantissimo della cultura ellenistica. Nel cristianesimo l’interpretazione allegorica era resa tanto più urgente dal carattere di certi scritti del Vecchio Testamento (per es., il Cantico dei Cantici) e dalle critiche che all’antropomorfismo biblico rivolgevano pagani colti e altre correnti religiose. Sui cristiani operò così la tradizione ermeneutica ellenistica, e la scuola di Alessandria diede i più cospicui esempi di esegesi allegorica; questa fu applicata anche, secondo la tradizione delle scuole, ad autori pagani, come per es. a Virgilio, da scrittori che in tal modo conciliavano l’ammirazione per il poeta con la loro religione (celebre la Vergilii continentia di Fabio Planciade Fulgenzio, 5°-6° sec.). Nelle scuole medievali predomina l’interpretazione allegorica non solo dei testi poetici antichi e della scrittura sacra, ma anche di tutto l’Universo (pietre, erbe, animali, ecc.), che, considerato anch’esso «libro» scritto da Dio, viene interpretato con le stesse tecniche ermeneutiche applicate ai testi letterari: di qui le allegorizzazioni e moralizzazioni di lapidari, erbari, bestiari, con tutte le loro trasposizioni figurative. Intanto nelle scuole esegetiche medievali l’a. veniva sottoposta a sistematica elaborazione all’interno della teoria dei sensi della Scrittura, mentre le arti poetiche e figurative continuavano a usare l’a. come modulo sia espressivo sia interpretativo (basti pensare al poema dantesco). L’a. continuò a essere utilizzata nel Rinascimento e nei tempi moderni, sempre nel suo duplice aspetto di figura letteraria e canone ermeneutico. In partic. essa ha continuato ad aver valore nell’esegesi biblica che, soprattutto in tempi recenti, ha posto in nuovo valore la lettura allegorica e tipologica della Bibbia, secondo moduli già delineati dalla patristica.