ALLEGRI, Antonio, detto il Correggio
Pittore, deve il suo soprannome alla cittadina ove nacque. Suoi genitori furono Pellegrino e Bernardina Piazzoli o degli Aromani. Morì in Correggio il 5marzo 1534. L'informazione lasciataci dal Vasari, essere il pittore morto a circa quarant'anni, suffragata dal fatto che nel contratto di allogazione della Madonna di S. Francesco, del 30 ag. 1514, egli èancora assistito dal consenso paterno come si conveniva ad artista minorenne, porgeva l'attendibile ipotesi che data di nascita fosse il 1494. Senonché, dall'esame degli statuti di Correggio, A. Luzio trasse conclusioni che, contraddette da L. Testi, ma accolte e precisate con largo consenso da A. Venturi, permisero di assumere come termine ante quem per la nascita del pittore il 10 ag. 1489.
La biografia dell'A. non offre particolari ausili a intendere la storia spirituale dell'uomo e dell'artista; a parte i contratti di allogazione e le ricevute dei pagamenti, che citeremo via via nell'esame delle opere, la documentazione rimasta riguarda la presenza del pittore, in Correggio, in qualità di padrino a battesimi, di testimone ad atti notarili, di donatario in atti di donazione, o come parte in giudizi aventi per oggetto la difesa di interessi propri o della moglie; come acquirente di modesti appezzamenti di terreno. Nel 1520 sposò la sedicenne Girolama del fu Bartolomeo Merlini de' Braghetis, uomo d'armi, la quale a sua volta compare in atti relativi ad assegni dotali. Il 15maggio 1521 è conferito dai benedettini a lui e alla sua famiglia il diploma di fratellanza della Congregazione Cassinese: concessione connessa alla vasta operosità dell'A. nel monastero di S. Paolo e nella chiesa di S. Giovanni Evangelista retti dall'Ordine benedettino. Il 3 sett. 1521 gli nasce in Correggio Pomponio Quirino, che pure sarà pittore e che fu tenuto a battesimo dal celebre medico G. Battista Lombardi; probabilmente nella primavera del 1523 prende alloggio in Parma con la famiglia; il 15 febbr. 1525 fa da testimone a un atto notarile alla presenza di Veronica Gambara e di Manfredi signore di Correggio; il 26 agosto dello stesso anno prende parte, insieme con altri quindici artisti, a una perizia relativa a opere di rafforzamento nella chiesa di S. Maria della Steccata in Parma. Nascono in Parma, rispettivamente il 6 dic. 1524 e il 24 sett. 1526 le figliole Francesca Letizia e Caterina Lucrezia; una terza bambina, Anna Geria, nasce il 3 ott. 1527; nel 1529 perde la moglie.
Dalla natura di tale documentazione (pubblicata in massima parte dal Pungileoni, integrata e riprodotta nella Storia dell'Arte del Venturi), dalla qualità delle persone che vi compaiono come legate al pittore per vincoli materiali e spirituali, possono trarsi indizi di una vita limitata bensì nell'orbita di un non vasto centro e attenta all'amministrazione di una modesta fortuna, ma certo illuminata dalla dimestichezza di uomini di dottrina e dalla protezione, forse anche dalla familiarità, dei signori di Correggio, il palazzo gentilizio dei quali sorse agli inizi del '500 come prima affermazione in quella terra dei principi rinascimentali; né spirava aura mediocre intorno all'alta cultura di Veronica Gambara, divenuta signora di Correggio nel 1509. Tutto questo può indurre forse a imputare l'affermata meschinità (Vasari) della vita dell'A. a una distorta interpretazione della schiva semplicità di questo pittore grandissimo che in un silenzioso ambiente difese e maturò la prodigiosa sua realtà poetica. L'A. apprese certo i primi elementi dell'arte nella sua patria, ove tenevano bottega lo zio paterno Lorenzo e il cugino Quirino, pittori di modestissima fama, e ove, nel 1500, era a capo della consorteria dei pittori quell'Antonio Bartolotti, tradizionalmente ritenuto il primo maestro dell'A., la cui opera sfugge tuttora all'indagine storica: dovremo ritenerlo di orientamento mantegnesco se, in concordanza con gli studiosi della fine dell'800, vorremo restituirgli la Madonna con i santi Francesco e Quirino nella galleria di Modena, da molti riferita al giovane Correggio; attribuzione con la quale contrastano sia le due iniziali, A. B., che contrassegnano il dipinto, sia l'unita data del 1511 troppo avanzata in rapporto alla scadente qualità dell'opera. È pure notizia tradizionale che il Correggio abbia avuto a maestro il modenese F. Bianchi Ferrari; mentre l'accennato spostamento della data di nascita rese accettabile l'ipotesi di un contatto diretto col Mantegna, morto a Mantova nel 1506, e la partecipazione (ancora negata con altri dal Berenson) agli affreschi della cappella funebre del Mantegna nella chiesa di Sant'Andrea, ove il giovane "Antonio da Correggio", a detta del Donesmondi (Dell'Istoria ecclesiastica di Mantova,1613-1616, II, p. 47), eseguì i Quattro Evangelisti nei peducci della volta. La presenza a Mantova è invece incontestata nel 1511, anno in cui la peste infieriva a Correggio; al Mantegna era già succeduto come pittore di corte Lorenzo Costa; né anteriori a quella data potranno ritenersi i due tondi (Sacra Famiglia e Cristo deposto) nel pronao di Sant'Andrea. Per trovare una certezza documentaria all'indagine della formazione stilistica del Correggio bisogna giungere alla citata Madonna di s. Francesco (Dresda), commessa nel 1514 per la chiesa di S. Francesco in Correggio; grande tavola d'altare, fedele allo schema emiliano dell'ultimo '400, che porta al più alto timbro espressivo il lessico del Francia, senza rinunciare ad apporti costeschi e trae dal Mantegna, non già gli adamantini stilismi antitetici al temperamento dell'A., ma la suggestione poetica, di cui tutta l'opera vive, del gesto umanissimo della Madonna della Vittoria. La carenza documentaria e le contrastanti sollecitazioni formali che operavano sull'attività giovanile del Correggio, ne hanno reso particolarmente insidioso il profilo critico: arricchito soprattutto dal Berenson, dal Morelli, dal Venturi e, recentemente, dal largo contributo del Longhi, esso non vanta ancora un'assoluta chiarezza. Tra le opere di meglio accertata individualità stilistica nel loro carattere genericamente emiliano, con chiare notazioni mantegnesche e in ipotesi anteriori alla Madonna di s. Francesco, citiamo qui le più note: Sposalizio di s. Caterina già Frizzoni (New York, coll. Kress); Madonna tra angeli musicanti agli Uffizi; Sposalizio di s. Caterina già nella raccolta Reisinger di Vienna (Detroit, Institute of Arts); Madonna con s. Elisabetta (Filadelfia, Coll. Johnson); Sacra Famiglia già Murray (Boston, coll. Brandegee); Natività Crespi a Brera. Sgorga dalla medesima esperienza della Madonna di s. Francesco,la Madonna Bolognini del Museo civico di Milano, dalla quale non è lontano il Cristo giovane, già Kinnaird (New York, coll. Kress) segnalato dal Longhi al Ricci fin dal 1929, mentre in un gruppo di opere che il Longhi pone tra il '14 e il '17 il giovane pittore si volge con ansia pungente verso nuovi mezzi espressivi saggiando i sentori leonardeschi (immancabili per la vicinanza topografica e l'imminenza politica di Milano), le recenti esperienze raffaellesche (S. Cecilia a Bologna, forse disegni dalla Madonna di Foligno, allora in questa città, incisioni del modenese Marcantonio Raimondi) e soprattutto i già manieristici e accesi modi del Dosso. Si rifanno a questo complesso clima spirituale l'estenuato raccoglimento del Congedo di Cristo dalla Madre (Londra, National Gallery), la chiusa contemplazione dei Quattro Santi (New York, Metropolitan Museum) e del S. Antonio Abate (Napoli, Museo di Capodimonte), la spregiudicatezza formale dell'Epifania di Brera e della Madonna di Helbrunn (Vienna, Museo), la composizione sinuosa della perduta Madonna di Albinea (copia a Brera), le indicibili raffinatezze cromatiche della Madonna Campori (Modena, Galleria Estense); ma nella fase estrema di questo periodo, la dialettica creativa del Correggio volge, su equilibrati canoni, alla ricerca di quello che diviene il linguaggio più valido della sua poetica; la sensibilità dell'atmosfera a luci filtranti di sottobosco, la levità del chiaroscuro che avvolge la forma dai contorni fluenti e sembra toglierle la materialità del suo peso. La Madonna con Gesù e s. Giovannino (Madrid, Prado) scopertamente denuncia la suggestione di Leonardo; la coerenza personale èinvece perfetta nella Zingarella (Napoli, Museo di Capodimonte), capolavoro gentilissimo sviluppato da un lontano motivo del Mantegna; un malaccorto restauro ha cancellato l'aggiunta autografa - d'altronde richiesta dalla narrazione del Vangelo apocrifo cui l'episodio si riferisce - della palma miracolosamente spiovente a proteggere quel divino riposo. Un'ultima fase delle ricerche luministiche giovanili, ormai orientate verso un più largo modulo, si coglie sia nel lento ma sicuro emergere dal fondo buio del S. Girolamo di Madrid (Acc. di S. Ferdinando), sia nel deciso concretarsi delle forme nella Maddalena già Salting (Londra, National Gallery), nel Riposo nella Fuga in Egitto degli Uffizi, proveniente dalla chiesa di S. Francesco in Correggio, e nelle Sacre Famiglie di Hampton Court e della Galleria di Orléans.
Si ritiene che tra il 1518 e il 1519, per suggerimento di Scipione Montino della Rosa, amatore d'arte e amministratore di Giovanna Piacenza, nobile e colta badessa del monastero benedettino di S. Paolo in Parma, sia accaduto il fatto cruciale della biografia del Correggio: la chiamata a Parma per decorarvi, in affresco, una sala appunto di quel monastero; sala che, sottratta all'accesso del pubblico nel 1524 per nuovo rigore di disciplina claustrale, rimase ignorata fino al secolo XVIII. Al giovane artista, sedotto alla ricerca di sottigliezze espressive, il nuovo assunto - dati gli scopi e la personalità della committente - proponeva una vasta decorazione parietale, nella tecnica rapida dell'affresco, con un intento celebrativo, in chiave umanistica: era inevitabile ch'egli se ne sentisse stimolato con maggiore urgenza verso il novus ordo, classico e monumentale, che già da oltre un decennio aveva cominciato ad irradiarsi, attraverso tramiti molteplici, da Firenze, e più da Roma, per opera di Michelangelo e di Raffaello. E la frattura nello sviluppo stilistico del Correggio è parsa tanto viva da indurre una critica autorevolissima (Mengs, Venturi, Longhi) alla certezza, oggi condivisa dai più, di un viaggio a Roma del Correggio, rimasto del tutto ignorato storicamente e negato in modo esplicito - sulla scorta delle notizie raccolte a Parma pochi anni dopo la morte del pittore - dal Vasari; questi, infatti, proprio alla mancata comunicazione diretta con l'influenza, a un tempo esaltante e disciplinatrice, di Roma, attribuì, in sostanza, l'imperfetto adeguarsi dell'effusiva originalità del Correggio alla misura ideale. Alla notizia del Vasari, curiosamente volta da argomento di recriminazione di quella mancata disciplina a motivo di esaltazione di quella trionfale originalità, rimase fedele la ricerca erudita e critica dell'Ottocento, riecheggiata, con decisione polemica, in particolare, da C. Ricci. La tesi romana, per la sua stessa posizione critica, si dichiara dunque brillante e illuminata, non tuttavia inevitabile. La frattura di cui si è detto, che esploderà con la prima cupola parmense, nella Camera di S. Paolo si esprime nell'improvviso, irrobustirsi del modulo formale nei putti (simili ormai a quelli della Madonna Sistina di Raffaello, allora a Piacenza) che compaiono, presi da giuochi diversi, dagli ovati aperti nel verde sul cielo libero: essi costituiscono qui il corteggio di Diana, dea custode di castità, evocata, quasi genius loci, dalla mezzaluna araldica dello stemma della badessa; ma nella partitura generale della decorazione, che muta l'intera volta in un pergolato prezioso di intrecci e di encarpi, il Correggio risale ai motivi mantegneschi della Madonna della Vittoria e della cappella funebre di Mantova, fusi con l'esempio della Sala delle Asse nel Castello di Milano. E a quella elettissima sottigliezza commisura la sequenza delle lunette monocrome, di un classicismo tanto remoto da ogni suggestione monumentale che lo si direbbe vagheggiato sui preziosi reperti della glittica e della moneta antica.
Forse non lontana di tempo dalla Camera di S. Paolo è la Madonna della scala, affresco distaccato dalla porta orientale di Parma e ora nella galleria della città. Può anche ritenersi di poco posteriore la ripresa dei temi patetici che presiedono al piccolo Matrimonio di s. Caterina del Museo di Capodimonte a Napoli, considerato, non senza qualche superstite riserva, edizione originale di questa ripetuta figurazione, e il Noli me tangere del Prado; intorno al '19 il Longhi colloca il Ritratto da lui ritenuto di Veronica Gambara (Leningrado, Ermitage) e da lui rivendicato al Correggio.
L'attività del pittore nel monastero benedettino di S. Paolo inizia dunque i fecondi e già accennati rapporti con quell'Ordine; di poco dové tardare l'allogazione degli affreschi per la chiesa di S. Giovanni Evangelista, se "per principio di pagamento" delle pitture della cupola gli sono versati trenta ducati d'oro il 6 luglio 1520; i versamenti per tali pitture si conchiudono il 28 luglio 1521 per un totale di 130 ducati d'oro. I compensi per la conca absidale ("la capela granda ") vanno dal 18 aprile al 19 maggio 1522 per un totale di 65 ducati: essa si presume ultimata alla fine di ottobre dello stesso anno. Dal 20 genn. 1523 al 23 genn. 1524 si susseguono, per un totale di 66 ducati, i pagamenti per il fregio intorno alla navata centrale, le candeliere sui pilastri, "et ogni altro loco ":opere eseguite su disegni del Correggio quasi completamente da aiuti tra i quali prevalente F. Rondani. Nella cupola, per la prima volta nell'arte italiana, ogni ripartizione architettonica o decorativa è abolita; la finzione pittorica, movendo dall'iniziale esempio del Mantegna nella Camera degli Sposi e giovandosi probabilmente dell'attuazione di Melozzo ai Santi Apostoli di Roma, apre lo spazio circolare sul libero cielo donde, nel cerchio degli apostoli sedenti sulle nubi, Cristo discende ad accogliere il santo esule di Patmos, che, dall'estremo lembo dell'isola, si affisa nell'ormai vicino paradiso. L'adesione al clima eroico di Michelangelo giunge fino all'ardita innovazione iconografica della nudità per le figure degli apostoli; ma l'equilibrio instabile delle membra contrapposte, che bilancia sulle architetture simulate della Cappella Sistima gli "Ignudi" di Michelangelo, è qui volto a far partecipi del roteare dei cieli i mansueti giganti, fra corone di nubi. Di poco più tarde, come si è visto, furono le pitture dell'abside. Demolita nel 1587 per l'ampliamento della chiesa e poi ricostruita, essa reca la copia dell'intera figurazione originale, eseguita da C. Aretusi: una volta ancora il Correggio aveva chiesto al Mantegna per questa sua Incoronazione il motivo dell'architettura vegetale. Furono preservate dalla distruzione le figure della Vergine e di Cristo; distaccate nel 1937 dal frammento di muro che le sorreggeva, esse sono oggi alla pinacoteca di Parma; si salvarono pure tre frammenti con teste angeliche, ora, fortemente deteriorati, alla National Gallery di Londra. Il triste privilegio dell'osservazione ravvicinata, nonostante i danni del tempo e delle vicende, ci dà con l'Incoronazione l'emozionante misura dell'altissima efficacia spirituale e della probità tecnica di una pittura che non chiede indulgenza alla sua destinazione monumentale. Alla stessa atmosfera di spontanea felicità creativa appartiene il S. Giovanni scrivente eseguito sulla lunetta della porta che si apre presso l'altare del transetto di sinistra, del quale i documenti non fanno cenno esplicito.
A cagione delle vicende politiche e militari che profondamente turbarono in quel tempo la città, l'esecuzione degli affreschi di S. Giovanni si protrasse più a lungo di quanto artista e committenti desiderassero. Poterono perciò agevolmente interporsi alle varie fasi del lavoro i documentati nuovi impegni e le opere che per ragioni stilistiche la critica assegna a questo stesso periodo. In data storicamente non accertata, ma che si suppone vicina al 1520-21, il Correggio dipinse il trittico dell'Umanità di Cristo per l'oratorio di S. Maria della Misericordia a Correggio. Del pannello centrale (il Redentore) rimane una copia in Vaticano (in deposito presso il Collegio Etiopico); risulta smarrito il laterale destro (S. Bartolomeo); alcuni critici identificarono il sinistro nel Battista già nella collezione Robinson di Londra, che il Venturi ritenne opera degli ultimi anni e che altri espungono dagli originali del maestro. Il 14 ott. 1522 A. Pratoneri commise al Correggio per la propria cappella in S. Prospero a Reggio Emilia una pala raffigurante la Natività (il documento originale, sottoscritto da Antonio Lieto da Correggio, si conserva nell'Archivio di Modena); compiuta nel 1530, emigrò a Dresda dalla collezione estense insieme con la Madonna di s. Sebastiano e la Madonna di s. Giorgio per la vendita ad Augusto III nel 1746. Secondo una memoria già conservata nell'archivio del monastero di S. Antonio in Parma, e ora smarrita, nel 1523 donna Briseide Colla vedova di O. Bergonzi allogò al pittore la tavola con la Madonna e i santi Girolamo e Maddalena per la chiesa di S. Antonio ove l'opera venne collocata nel 1528; è la Madonna di s. Girolamo oggi nella Pinacoteca di Parma. Presumibilmente nel 1524 - anno in cui, per contribuire a tale scopo, certo Cristoforo Bandini lasciò in testamento lire 15 imperiali - fu allogata la Madonna della scodella anch'essa nella Pinacoteca di Parma, per la cappella di S. Giuseppe, inaugurata nel 1530 nella chiesa del Santo Sepolcro della stessa città. Nessun documento ci soccorre per la datazione della Madonna di s. Sebastiano (Dresda) eseguita per la Confraternita intitolata a quel santo, in Modena. Per la Madonna di s. Giorgio, pure a Dresda, abbiamo un termine ante quem, giacché l'oratorio di S. Pietro Martire, pure a Modena, per il quale fu eseguita, risulta compiuto nel 1532. In queste cinque pale, il Correggio dà il supremo fiore di una pittura d'altare intesa a stabilire una commossa comunicazione tra il divino e l'umano; la Natività è l'opera famosa che, per aver rappresentato la scena in ambiente notturno rischiarato (secondo la narrazione dei Vangeli apocrifi) dal corpicino raggiante di Gesù, esempio tra i più precoci di luce innaturale, e - per l'alto valore poetico - il più stimolante all'imitazione, fu, per antonomasia, detta "La Notte".Lo stesso tema, limitato agli elementi essenziali, ritroviamo nella Madonna adorante, degli Uffizi; analoga ricerca luministica compare nel Cristo nell'orto già Wellington (Londra Victoria and Albert Museum). Nella Madonna di s. Girolamo - che rispetto alla Madonna di s. Sebastiano segna una fase di perfetto equilibrio - la seduzione della "grazia" correggesca ha raggiunto tale livello da far crollare la bene assestata scala di valori dell'estetica classicista: si pensi al "tu solo mi piaci" mormorato al cospetto di quest'opera da quell'Algarotti che, affermando la supremazia assoluta di Raffaello, dichiarò non poter la decorazione scorciata nella finzione del cielo aperto - quale appunto le due cupole del Correggio - "rappresentare al più che si possa dire una macchina di teatro e di opera in musica". A questo momento di suprema delicata misura sembra da collegare il Matrimonio di s. Caterina del Louvre, e la Santa Caterina leggente, di Hampton Court, mentre alla Madonna della scodella è vicina la Madonna del latte (Museo di Budapest). L'intimità poetica della Notte e della Madonna di s. Girolamo, la tenera letizia che nella Madonna della scodella allaccia le figure su una duplice diagonale, cede il campo alla esteriorità sontuosa ed espansiva della Madonna di s. Giorgio, vibrante di originalità decorativa e di ricchezza cromatica. Non si andrà lontani dal vero datando tra il '22 e il '23 la ripresa più convinta e sapiente di un tema prediletto prima degli impegni monumentali: quello della figura emergente dall'atmosfera boschiva; l'Educazione di Amore (Londra, National Gallery) ne reca una testimonianza che si ripete, con maggiore pienezza espressiva, nell'Antiope del Louvre.
È generalmente attribuita una datazione di poco oscillante intorno al '25, oltre che alla Madonna di s. Sebastiano, a un gruppo di opere che, forse per le loro finalità meno impegnative, segnano un massimo di concessione a quella vena di gusto barocco avanti lettera che seduce talora il Correggio verso la forma instabile e molle, verso una irrequietezza fine a sé stessa, verso l'effusività espressiva portata a estremi e pericolosi limiti. Sarebbe forse arbitrario valersi del più o meno rilevante affiorare di tale gusto come rigido criterio cronologico, tanto intima è la sua appartenenza al temperamento del pittore; sta di fatto che esso appare più evidente negli affreschi ultimi ('23-'24) di S. Giovanni - pennacchi e sottarchi -; ma non va taciuto altresì che analoghi abbandoni si riscontrano allo scoperto nei sottarchi della cupola del duomo: ossia verso il '30. Si raccolgono dunque all'insegna succitata il sottarco della Cappella Del Bono in S. Giovanni Evangelista, in gran parte eseguito da un aiuto su disegno del Correggio, i due laterali della stessa cappella, oggi nella Galleria di Parma: il Martirio dei ss. Placido e Flavia che riscatta gli sconcertanti ardimenti con una qualità pittorica di stupefacente bellezza, e la Deposizione, opera che i parziali pregi non hanno resa immune da sospetto di collaborazione. Si collegano a questo orientamento la Madonna della cesta (Londra, National Gallery), l'Ecce Homo (Londra, National Gallery), la Cattura di Cristo (rarità iconografica per la scelta dell'episodio del giovane ignudo fuggente, Marco, XIV 51; nota attraverso numerose copie: il presunto originale della coll. von Frey di Parigi comparve alla mostra parmense del '35) e, in sede monumentale, l'Annunciazione,a ffresco distaccato dalla chiesa dei Padri dell'Annunciata di Parma, ora nella Galleria di quella città. Recano la data del '28 le due tempere (S. Giuseppe e Ritratto di donatore, Napoli, Capodimonte) tratte da F. Bologna, con l'attribuzione al Correggio, dai fondi farnesiani.
È del 3 nov. 1522 il contratto di allogazione degli affreschi della cupola e del presbiterio del duomo di Parma, per mille ducati d'oro, cui se ne aggiunsero cento per la spesa dell'oro. Il 29 nov. 1526 risulta eseguito il primo quarto del lavoro; il 17 nov. 1530 il Correggio è pagato per il secondo quarto: ossia la cupola è finita. La terza e la quarta rata avrebbero dovuto corrispondere alle pitture del presbiterio alle quali il Correggio non pose mano. Di genialità ardita e novissima fu il partito decorativo che il Correggio ideò per la grande opera. Dovendosi raffigurare l'Assunzione della Vergine, egli dette al poligonale tiburio romanico l'immaginaria funzione di balaustra del sepolcro di Maria intorno al quale gli apostoli assistono al miracoloso transito. A sommo della balaustra, una corona di adolescenti alimenta faci e brucia incensi secondo una trionfale fantasia pagana che risale al Mantegna. Le gerarchie dei patriarchi e dei santi, bene ordinate sui troni di nuvole nella tradizione figurativa del paradiso, sembrano qui travolti dal roteare dei cieli, affollati a perdita d'occhio intorno all'imminente incontro di Cristo e della Vergine che sale trasportata da un tripudio di angeli in volo. L'ardita concezione, che nella cupola di S. Giovanni aveva portato ad annullare i limiti architettonici, qui si conchiude; la figura corporea non incombe dall'alto, ma seconda l'ascesa illimitata dello spazio. L'immenso, coraggioso fervore creativo, l'immensa bravura rivelati da quest'opera che parve andare oltre gli stessi limiti dell'arte, disorientò la critica: nella generale esaltazione, non mancarono censure e riserve dai tempi del pittore fino a oggi; ma l'opera famosa nutrì per due secoli del proprio esempio la decorazione monumentale europea.
Da una nota di spese dell'archivio Gonzaga risulta che il Correggio aveva già ricevuto un pagamento dal duca di Mantova nel 1530, anno dell'incoronazione di Carlo V a Bologna, della sua duplice visita a Mantova e della imperiale concessione del titolo di duca a Federico II Gonzaga; tale circostanza induce a credere che fin da quell'anno il Correggio fosse incaricato dal duca di eseguire quelle tele raffiguranti gli Amori di Giove, che, secondo la notizia vasariana, egli aveva destinato in dono all'imperatore. Le tele di questo ciclo, confusamente indicate dal Vasari, sono le seguenti: la Io e il Ganimede del Kunsthistorisches Museum di Vienna, la Danae nella Galleria Borghese di Roma, la Leda (testa rifatta) nel Kaiser Friedrich Museum di Berlino. Quanto all'Antiope del Louvre, che per il soggetto appartiene allo stesso ciclo, ma che per lo stile, come si è accennato, sembra denunciare una data anteriore, essa non partì per la Spagna, ma si distaccò dalla collezione dei Gonzaga soltanto nel 1628 per la vendita a Carlo I d'Inghilterra. Il clima della favoleggiata seduzione amorosa fu certo il più propizio così alla tenera poesia del Correggio, come alle scaltrite dovizie di una tecnica volta alla resa della morbidezza tattile e della grazia preziosa. Di tale intima concordia si alimenta la perfetta coerenza di queste ultime opere che non patiscono la minima incrinatura tra contenuto e forma; è forse la elettissima parsimonia figurativa della Danae a conchiudere la gloriosa vicenda della pittura correggesca; vicenda che traccia una traiettoria compiuta, anche se una morte prematura colse il pittore verso i 45 anni, il 5marzo 1534, in Correggio; egli fu sepolto il giorno successivo nella chiesa di S. Francesco, con modeste esequie, in una tomba che fu manomessa nel 1641.
Dopo la morte del pittore, Federico IIGonzaga, chiese (12 sett. e 17 ott. 1534) ad Alessandro Caccia, governatore di Parma, di adoperarsi per la restituzione da parte degli eredi di un anticipo di 50 ducati fatto al pittore o per la consegna dei cartoni degli Amori di Giove, in caso di inadempienza. Dal carteggio che ne seguì non èdato accertare l'esito della richiesta ducale; tuttavia occorre rammentare che nell'inventario compiuto dopo la morte di Isabella d'Este (1540) delle "robbe" trovate nell'appartamento di lei, in Corte Vecchia a Mantova, figurano due quadri di mano del Correggio, L'Istoria di Apollo e Marsia e le Tre Virtù, forse identificabili, per una errata interpretazione dei soggetti, con le due tempere del Louvre, il Vizio e l'Allegoria della Virtù (cui si collega la discussa replica incompiuta della Galleria Doria a Roma), non esenti dal sospetto di un compimento dovuto ad altra mano.
Intorno all'aspetto fisico del Correggio del quale il Vasari inutilmente ricercò il ritratto, molte sono le indagini e le congetture (R. Finzi). Non è rimasta senza credito l'ipotesi che il Ritratto virile già nella coll. di Lord Lee a Richmond (oggi propr. Butler, Londra) sia un autoritratto eseguito negli ultimi anni.
Il Correggio aveva ignorato l'uso di una collaborazione di scuola che entrasse nel vivo dell'opera sua e perciò non ebbe allievi nel vero senso della parola: il figlio Pomponio aveva 13 anni alla sua morte e i pittori operosi in Parma a mezzo il '500 raccolsero la sua eredità dalla mediazione del Parmigianino, che ebbe prevalente e decisiva importanza per tutto il manierismo emiliano. Soltanto il coetaneo F. Rondani raggiunse un intimo contatto con i suoi modi, perché traduttore dei suoi disegni per il fregio della navata centrale nella chiesa di S. Giovanni e - come si ritiene generalmente - per i due riquadri del sottarco della quinta cappella a destra della stessa chiesa. Non si ebbe dunque, alla morte dell'A., l'immediata diffusione di un "correggismo" di prima mano. Schietta e scoperta accoglienza dell'umanissima arte del Correggio si ebbe piuttosto a Bologna al tramonto del manierismo, quando i tempi erano maturi per la "riforma dei Carracci"; e dall'Emilia, il linguaggio del Correggio fluì poi, quale vena copiosa, nella grande corrente barocca; né lesinò seduzioni allo squisito rococò.
L'estimazione del Correggio, se pure ancora circoscritta, dové essere altissima già nel quarto decennio del '500, giacché ilVasari, primo biografo, dopo avere definito il pittore "grandissimo ritrovatore di qualsivoglia difficultà delle cose" e avergli dato il vanto così di iniziatore in "Lombardia" della "maniera moderna"come di pittore insuperabile per gli scorci, per il colorito, per la "vaghezza", afferma che "tra gli uomini eccellenti nell'arte nostra èammirata per cosa divina ogni cosa che si vede di suo". I riconoscimenti essenziali risultano così posti dalla critica del Vasari il quale tuttavia pose anche la riserva che si èvista: il Correggio non fu altrettanto eccellente nel disegno; il che in sostanza significava denunciare la carenza di un preordinato canone teoretico di origine classicista. Ma via via che si fa più vasta l'accoglienza dell'arte del Correggio si alza il tono della critica: l'idea di un primato assoluto si afferma nello Scannelli (Microcosmo della pittura, Cesena 1657)e nello Scaramuccia (Le finezze dei pennelli italiani..., Pavia 1674). Nel '700, l'ammirazione del Correggio si fa esaltata; essa dà il tono a buona parte della critica aulica, stimola un'attivissima ricerca storica locale che sboccherà nelle raccolte di notizie del Ratti e del Tiraboschi, alimenta il fanatismo del padre Sebastiano Resta. Toccherà ad A. R. Mengs portare lo studio del Correggio sul piano di una equilibrata e illuminata critica stilistica. Gli inizi del secolo XIX vedono la commossa comprensione dei romantici (A. W. Schlegel, Stendhal) e, in sede storica, la vasta opera di L. Pungileoni, ma torna a serpeggiare, con mutati aspetti, l'antica riserva nella critica di carattere contenutista. Nel 1871 si giunge alla prima monografia, nel senso moderno della parola (Meyer), a cui seguono, dopo un ulteriore apprestamento di materiale storico, contributi particolari, volti a documentare lo stile giovanile del Correggio: periodo intenso di studi parziali che via via si raccolgono nelle monografie del Ricci, del Thode, del Gronau, del Venturi e nelle notazioni del Berenson. Ricerca vasta e impegno critico massimo, senza che si sia giunti ancora a ricostruire in modo del tutto soddisfacente lo sviluppo stilistico del pittore; ne sono riprova le odierne istanze per una revisione delle opere giovanili (Bodmer) e il felice impegno del Longhi alla loro cronologia.
Bibl.: In occasione del IV centenario della morte del Correggio (1934) fu edito a cura dell'Istituto di Archeologia e Storia dell'Arte (Roma) il vol.: S. de Vito Battaglia, Correggio, Bibliografia, con prefazione di C. Ricci. Dei vari contributi, menzionati in ordine cronologico, vi si trova un breve riassunto. Diamo qui tuttavia la citazione diretta delle opere di essenziale portata.
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Cattelani, Bibliografia essenziale di G. Copertini, in Parma per l'Arte, X, 1 (1960), p. 61.
Si vedano per i numerosissimi scritti e richiami correggeschi le annate delle riviste parmensi Aurea Parma, Crisopoli, Parma per l'Arte.
Vertono su quesiti d'iconografia ritrattistica le due opere seguenti: A. Ros-Theiler, Antonio da Correggio, Bildnisse, Zürich 1947; R. Finzi, Le sembianze del Correggio, Reggio Emilia 1954.