allocutivi [prontuario]
Per rivolgersi alle persone per chiamarle, o per richiamare la loro attenzione nella conversazione, o per prendere il turno dopo che loro lo hanno tenuto, le lingue usano varie modalità: nomi ➔ appellativi, pronomi allocutivi (➔ allocutivi, pronomi), forme diverse di ➔ vocativo. Quanto ai pronomi con cui ci si rivolge a qualcuno, sono i pronomi naturali tu / voi e i reverenziali lei (voi) / loro; sempre più marginali alcune espressioni all’origine del lei, come Signoria Vostra, desueta e perlopiù dell’uso burocratico, e lorsignori, oggi soprattutto ironica o scherzosa.
Accanto ai due allocutivi tu (ereditato dal latino) e voi (presente nel latino d’età imperiale e poi probabilmente ricreato in modo autonomo nelle lingue romanze: Serianni 1989a: VII, 85), si diffonde nelle cancellerie e nelle corti del Rinascimento l’allocutivo reverenziale ella (lei se davanti a preposizione) che, in alternanza con essa, questa e quella, diviene nel Cinquecento il più usato. Rafforzato tra Cinquecento e Seicento dal modello spagnolo, lei comincia a prevalere definitivamente sul finire dell’Ottocento, finendo a poco a poco col relegare ella nel registro solenne e burocratico (Raso 2005: 42).
Nella poesia, più vicina ai modelli d’ascendenza latina in cui tu e voi erano esclusivi, il lei compare solo nel Settecento nei dialoghi in versi (commedie, tragedie, satire, melodrammi, ma non in quelli metastasiani, dominati dal tu) e nel secolo successivo nella lirica (Serianni 2009: 180-182). In seguito a un articolo di Bruno Cicognani apparso sul «Corriere della sera» il 15 gennaio del 1938, in cui si asseriva, erroneamente, l’origine spagnola del lei, si giunse in epoca fascista al divieto dell’uso di questo pronome a favore del voi. Ciò comportò tuttavia che al formale voi venne spesso preferito il più confidenziale tu (Serianni 1989a: VII, 97).
L’uso attuale dei pronomi allocutivi tende alla semplificazione e dunque al bipolarismo (tu / lei), benché voi rimanga saldo, sia pure in usi marginali (cfr. più avanti). L’oscillazione tra i due pronomi dipende dalla maggiore o minore informalità del rapporto tra interlocutori e, in secondo luogo, dalla differenza di età. Il passaggio di allocuzione, là dove tra gli interlocutori sussiste un’iniziale dissimmetria, può essere esplicitamente proposto (possiamo darci del tu?) o, più opportunamente, voluto da chi riceve il lei (diamoci del tu).
Talvolta il parlante, quando non sa o non vuole porre il rapporto con l’interlocutore sul piano della (a) simmetria, può evitarlo (perlopiù ricorrendo a forme impersonali e perifrasi), accanto ad altre forme allocutive di affettività intermedia: si colloca oggi a metà tra il confidenziale ciao e il più distaccato buongiorno la formula di saluto d’origine latina salve, che nel corso del Novecento ha espanso il suo ambito d’uso, caratterizzando l’allocuzione tra personaggi del fumetto (è il caso di Topolino: cfr. Pietrini 2008) e talvolta quella tra presentatore e pubblico televisivo (si pensi alla trasmissione Mi manda Lubrano di Antonio Lubrano, 1990-97).
La forte espansione del tu a spese del lei nell’italiano del secondo Novecento (Cortelazzo 1994: 292; Dardano 1994: 383) è stata ulteriormente favorita in tempi recenti sia dall’importanza crescente della comunicazione pubblica, cioè delle modalità con cui le istituzioni si avvicinano ai cittadini, sia dall’improvviso intensificarsi della CMC (computer-mediated communication), ovvero del web (specie delle e-mail), che ha reso ancora meno formali i rapporti interpersonali (➔ Internet, lingua di; ➔ posta elettronica, lingua della). Se la chat (come d’altra parte l’sms) coinvolge principalmente soggetti in confidenza tra loro, nelle e-mail si tende invece a dare del tu a persone sconosciute (Pistolesi 2004: 20).
Nella comunicazione pubblica via web le consuetudini del mezzo agiscono spesso sulle norme correnti: se gli enti pubblici si rivolgono al cittadino abitualmente con il lei (Cortelazzo & Pellegrino 2003: 25), il servizio telematico potrà optare per il tu, non senza perplessità da parte dei clienti (come si ricorda in un articolo di P. Granzotto, in «Il Giornale» 4 ottobre 2009; interventi sul tema da parte di autorità amministrative e politiche sono ricordati da P. Di Stefano, in «Corriere della Sera» 12 settembre 2009).
Infine, ancora in ambito burocratico, le maiuscole reverenziali che molto spesso accompagnano i pronomi in scritture amministrative «devono essere eliminati o ridotti quanto più è possibile», perché «retaggio di una cultura retorica» (Dipartimento della Funzione Pubblica, direttiva sulla Semplificazione del linguaggio dei testi amministrativi, 8 maggio 2002; tuttavia, le maiuscole sopravvivono oggi anche nelle e-mail: Pistolesi 2004: 175-176).
Nell’oscillazione tra tu, lei e voi entrano in gioco anche fattori geolinguistici; osservava infatti Stendhal: «Un ami, à Milan, me disait ti; à Rome, voi; à Florence, lei» («un amico, a Milano, mi diceva ti; a Roma, voi; a Firenze, lei»: cit. in Serianni 1989b: 21). Il voi di cortesia è oggi corrente in tutto il Sud continentale, anche presso i giovani (Serianni 1989a: VII, 95-97; Serianni 2006b: 148-147), mentre in Italia settentrionale il voi non ha valore di particolare rispetto (Rohlfs 1966-1969: § 477).
Questo uso di voi si affaccia già nel Duecento: Guido Faba, tentando di codificare gli usi reverenziali allocutivi, specifica che si riceverà il tu dal padre, dal professore e dal fratello maggiore, mentre ad essi ci si rivolgerà col reverenziale voi (De Ventura 2007: 188). Tuttavia, fino all’Ottocento, l’alternanza tra tu e voi non risponde a criteri rigidi e il passaggio dall’uno all’altro può avvenire senza particolari implicazioni d’ordine sociale o affettivo: nell’epistolario leopardiano, ad es., tu e voi si avvicendano piuttosto liberamente all’interno della stessa lettera, mentre più formale è lei, che il poeta riserva, tra gli altri, al padre Monaldo (Serianni 1989b: 19-23; ➔ Leopardi).
Attualmente voi è meno frequente di tu / lei (Sobrero 1993b: 417-419, ma cfr. Serianni 2006b: 146-147), ma si mantiene tuttavia vitale, oltre che in usi regionali, in alcune fiction televisive (Alinei 2002) e in alcuni particolari ambiti di scrittura (ad es., nel fumetto Diabolik, in un dialogo tra la governante e il padrone di casa: Un colpo di pistola, 13 settembre 1993).
Corrispettivo plurale di lei è il poco usato loro, a cui oggi è fortemente preferito il non marcato voi, che oltretutto evita possibili fraintendimenti (un’espressione «come loro richiedono» potrebbe riferirsi ai presenti oppure a persone di cui si sta parlando).
Questo rischio è meno frequente con lei, che può essere disambiguato grazie all’accordo del verbo o dell’aggettivo ora al maschile, ora al femminile (cfr. più avanti). Particolari problemi può creare la pratica italiana del doppiaggio cinematografico, non tanto di film in francese, tedesco o spagnolo (lingue che hanno, come l’italiano, sistemi bipartiti: rispettivamente, tu / vous, du / Sie e tu / Usted) quanto con l’inglese (in cui si ha il solo you; cenni in Rossi 2006: 308-309; ➔ doppiaggio e lingua).
Mentre il noi come ➔ plurale maiestatis è oggi in forte declino (anche il tradizionale uso da parte dei pontefici fu dismesso da Giovanni Paolo I: Serianni 1989a: VII, 26), trova larga diffusione nella lingua dei media, dove il tono della comunicazione è spesso rilassato e amichevole, il noi narrativo o di compartecipazione (allora, come andiamo?; per la televisione cfr. Loporcaro 2005: 126; Guidotti & Mauroni 2008: 121-122; Telve 2010).
Da ricordare, benché circoscritto geograficamente e pragmaticamente, è la cosiddetta allocuzione inversa, ovvero, nel ➔ baby talk, l’allocuzione indirizzata al bambino avente come referente il parlante: ad es., su, mangia, (a) mamma. Il fenomeno è diffuso soprattutto nell’➔italiano regionale centromeridionale, e in particolare nel dialetto napoletano e siciliano, oltre che in altre lingue di area mediterranea (Sgroi 1986). Altri allocutivi connotano invece registri popolari (ad es., capo).