ALLOCUZIONE (adlocutĭo, allocutĭo)
La parola è adoperata nelle due forme - adiocutio, allocutio - dagli scrittori latini, oltre che come termine grammaticale o retorico (Quint., Inst., 9, 2, 37), nel senso di discorso al senato o al popolo (Suet., Tib., 23) o all'esercito (Fronto, p. 132, 1, ed. Naber); la forma adlocutio è Costante, però, nelle leggende delle monete romane che vanno da Caligola a Massenzio. Dagli studiosi moderni, di solito, la parola è riferita al discorso solenne, tenuto dall'imperatore alle truppe. Infatti l'a. veniva pronunziata dall'imperatore dinanzi alle coorti pretoriane in occasione dell'avvento al trono, per l'adozione di un principe come successore, ecc. (perciò, alcune monete recano l'iscrizione: adlocutio coh. oppure coh. praetor.), o dinanzi all'esercito in campo in occasione dell'arrivo dell'imperatore, dopo fatti d'arme notevoli (in tal caso l'a. era accompagnata dalla distribuzione delle ricompense militari) ed, infine, al termine della guerra, per prendere commiato dalle truppe. Un'iscrizione di Lambaesis in Algeria (C. I. L., viii, 2532) riporta il testo dell'a. rivolta da Adriano alla sesta coorte di Commagene: è probabile, quindi, che il testo fosse talvolta inviato per iscritto alle truppe.
La notissima statua di Augusto di Prima Porta (Musei Vaticani) rappresenta l'imperatore nell'atto di pronunziare un'allocuzione. La rappresentazione dell'a. è frequente, oltre che nelle monete, nei rilievi romani di soggetto storico e ritorna più volte in quelli delle colonne di Traiano e di Marco Aurelio. Lo schema iconografico è quasi costante: l'imperatore è rappresentato sul suggestum, seguito dallo stato maggiore, dai littori, da altri personaggi, parla alle truppe schierate in formazione di parata. Veste l'abito militare con o senza corazza e le truppe hanno l'armamento completo, la cavalleria è appiedata ed i cavalli sono tenuti per le briglie. In prima linea, sono le aquile e i signa (Amm. Marc., xv, 8, 4; xvii, 13, 25; xx, 5, 1; xxvi, 2, 12); in alcuni casi, un'aquila e due signa rappresentano la partecipazione di tutto l'esercito, che talvolta è riprodotto con le sue varie specialità (pretoriani, legioni, ausiliarî, cavalleria, ecc.), talvolta con una sola, benché il primo caso sia più frequente. Lo schema favoriva l'affermazione di quelle esigenze di proiezione spaziale, che erano essenziali per il rilievo romano di carattere storico. Tali esigenze, meglio affermatesi nella colonna Traiana, vengono riproposte e rielaborate con progressiva tendenza alla frontalità e al passaggio dalla composizione antitetica a quella con l'imperatore al centro nei rilievi di quella Aureliana, schematizzandosi nei rilievi più tardi (Arco di Settimio Severo, Arco di Galerio a Salonicco). La rappresentazione dell'imperatore col braccio destro levato è frequente nelle monete, da Caligola in poi. Il gesto ricorda quello della preghiera nell'arte greca, che lo impiega anche per la rappresentazione del discorso (esempio: stele di Polibio, trovata a Cleitor in Arcadia) e forse si riporta ad una tradizione molto antica, il cui valore di segno del dominio universale si rinnova nella tradizione artistica romana, dalla quale viene trasmesso all'iconografia cristiana.
Bibl: E. Rossbach, in Dict. Ant., I, pp. 69-70; C. Cichorius, in Pauly-Wissowa, I, cc. 375-376, s. v. Adlocutio. Per la statua di Augusto: Helbig-Amelung, Führ. durch d. Antiken in Rom, I, Lipsia 1912, p. 5. Per l'abito dell'imperatore: A. Alföldi, in Röm. Mitt., I, 1936, p. 9 e p. 13 ss. Monete romane: H. Cohen, Monn. Emp., I, p. 236, n. 1, VII, 166, n. 3 e passim. Significato simbolico del gesto dell'a.: Ch. Picard, in Rev. de l'histoire des religions, CXIV, 1936, p. 136 ss.; G. Hamberg, Studies in Roman Imperial Art, Upsala 1945, pp. 28 s., 135 ss.; H. P. L'Orange, Studies on the Iconography of Cosmic Kingship in the Ancient World, Oslo 1953, p. 141 ss.