allografi
Il termine allografo (dal gr. allós «altro» e grápho «scrivo») indica le diverse modalità di trascrizione di un suono: il termine designa sia le infinite configurazioni che uno stesso simbolo (per es. una lettera) può assumere nella scrittura manuale o nella stampa, sia (e soprattutto) tutti i segni e le combinazioni di segni che servono a trasporre graficamente un suono di una lingua a seconda del contesto.
Per quanto riguarda la prima accezione, si pensi all’uso dei caratteri maiuscoli rispetto ai minuscoli, il cui impiego, oggi sempre più libero, dovrebbe essere regolato da norme; ma si pensi anche alle diverse forme e grandezze che i caratteri possono assumere a seconda delle esigenze del momento (i caratteri dei testi degli slogan pubblicitari sono quelli in cui la forza espressiva della conformazione dei caratteri è, forse, più evidente). Infine, sono allografi anche le varianti individuali di realizzazione grafica dei ➔ grafemi (i cosiddetti idiografemi), cioè i simboli tracciati da ciascuno scrivente con differenze idiosincratiche involontarie.
Nella seconda accezione, invece, gli allografi rappresentano l’insieme degli elementi del sistema grafematico, e cioè del sistema scrittorio, di una lingua, sia essa alfabetica, sillabica o ideografica. Nel caso dei sistemi alfabetici, gli allografi non vanno strettamente identificati con le lettere: alcuni suoni, infatti, oltre che da un grafema singolo, sono trascritti, in determinati contesti, attraverso la combinazione di due (digrammi; ➔ digramma) o più grafemi (trigrammi). A livello di sistemi linguistici, e circoscrivendo l’indagine a quelli alfabetici, allografi sono tutte le varianti grafematiche della resa per iscritto di un suono che si sono codificate nel corso dei secoli. In questi casi, a cambiare non è soltanto il modo di tracciare uno stesso simbolo per mano dello scrivente, ma il simbolo stesso o le combinazioni di simboli che designano un identico suono della lingua in contesti differenti.
In greco, per esempio, il grafema denominato sigma ha due realizzazioni grafematiche a seconda che si trovi in corpo di parola (σ) o alla fine di essa (ς); un caso di doppione allografico in italiano, invece, è quello di ‹q› / ‹cu› come primo elemento del nesso labiovelare sordo /kw/ (Serianni 1997: 27 definisce ‹q› un «grafema sovrabbondante»): soltanto ragioni storico-etimologiche, infatti, impongono la grafia ‹cu› nel caso di cuore (dal lat. cōrdis) e quella ‹qu› nel caso di quota (dal lat. quōtus), dato che entrambe rappresentano il suono [k]. E per rappresentare il grado intenso [kːw] (per es. in acqua), l’allografo usato è ancora diverso (‹cq›), tranne nei casi di soqquadro e biqquadro («eccezioni fastidiose e assurde», come si legge in Camilli 19653: 38).
Se, talvolta, è l’etimologia a giustificare l’ortografia, altre volte questa si basa su norme convenzionali che si sono stabilizzate in risposta all’esigenza di trasporre correttamente nello scritto la fonetica della lingua. Pur essendo dotato di un’ortografia piuttosto «trasparente» (Scalisi et al. 2003: 21-22) e «funzionale» (Dardano & Trifone 19953: 680) rispetto a quelle di altre lingue (➔ alfabeto), anche l’italiano è trascritto attraverso un sistema alfabetico che non permette la perfetta corrispondenza ‘un suono-un segno’: soltanto undici grafemi, infatti, hanno valore fonetico univoco. In molte parole, quindi, per trascrivere un suono in modo che sia letto correttamente è necessario ricorrere a differenti combinazioni di segni: si tratta di allografi (o varianti grafiche) contestuali, cioè selezionati obbligatoriamente in dipendenza dal contesto.
Per esempio, il fonema /ʧ/ dell’italiano viene scritto con il solo grafema ‹c› in un caso come cena (‹c› + ‹e›), ma dev’essere seguito da i diacritica (puramente grafica) in un caso come cioccolato (‹ci› + ‹o›). I grafemi ‹c› e ‹ci› sono, quindi, allografi di uno stesso suono della lingua, trascritto diversamente in contesti diversi, e cioè a seconda della vocale che lo segue; infatti, la sola ‹c› non renderebbe /ʧ/ prima di o, a e u, ma la velare /k/, come in casa. Allo stesso modo, il fonema /k/, come si è precedentemente accennato, viene indicato con ‹c› semplice in parole come cavallo o corsa, ma dev’essere trascritto col digramma ‹ch› in parole come chela o inchiostro, in cui la h ha semplice funzione diacritica per indicare la velarità.
Questi casi di allografia dipendono dalle antiche difficoltà di adattamento del sistema alfabetico latino ai volgari italiani. Il latino, per esempio, non possedeva la serie delle affricate, ma soltanto quella delle velari. Però, come si legge in Patota (20072: 79-80), già nel latino tardo e poi nel passaggio ai volgari, i suoni /k/ e /g/ si sono palatalizzati in /ʧ/ e /ʤ/ dinanzi alle vocali e e i originando una nuova classe di fonemi con valore oppositivo: le ➔ affricate.
Questo spiega perché, oggi, prima di e e i questi suoni siano normalmente indicati con ‹c› e ‹g› semplici (anche se non mancano le eccezioni), mentre davanti alle altre vocali, per essere intesi come palatali, debbano essere trascritti con gli allografi ‹ci› e ‹gi› (per es. giusto distinto da gusto). Di conseguenza, diversamente che nel latino classico, ‹c› e ‹g› da sole non sono più sufficienti per indicare i suoni velari [k] e [g] davanti a e e a i, prima delle quali tali suoni vanno trascritti con gli allografi ‹ch› e ‹gh› (per es. chela distinto da cela).
Proprio per queste non semplici necessità di adattamento, nei primi secoli del volgare gli allografi erano molti di più di quanti siano oggi e il loro uso era molto meno regolato (la normalizzazione sarà graduale e tarda, di pari passo con la più ampia codificazione della lingua italiana). Un suono innovativo rispetto al latino come la laterale palatale, ad esempio, si poteva trovare variamente indicato da diversi allografi, come ‹gl›, ‹gli›, ‹lgl›. A tutt’oggi, i suoni passibili di differenti realizzazioni grafiche contestuali rimangono i più soggetti a variazione e a errori di trascrizione, e questo sia da parte degli italiani sia da quanti apprendono l’italiano come seconda lingua.
Camilli, Amerindo (19653), Pronuncia e grafia dell’italiano, a cura di P. Fiorelli, Firenze, Sansoni (1a ed. 1941).
Dardano, Maurizio & Trifone, Pietro (19953), Grammatica italiana, Bologna, Zanichelli (1a ed. 1983).
Lorenzetti, Luca (2003), L’italiano contemporaneo, Roma, Carocci.
Maraschio, Nicoletta (1994), Grafia e ortografia: evoluzione e codificazione, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni & P. Trifone, Torino, Einaudi, 3 voll., vol. 1° (I luoghi della codificazione), pp. 139-227.
Patota, Giuseppe (20072), Nuovi lineamenti di grammatica storica dell’italiano, Bologna, il Mulino (1a ed. Lineamenti di grammatica storica dell’italiano, Bologna, il Mulino, 2002).
Scalisi, Teresa Gloria et al. (2003), Apprendere la lingua scritta: le abilità di base, Roma, Carocci.
Serianni, Luca (1988), Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Suoni, forme, costrutti, con la collaborazione di A. Castelvecchi, Torino, UTET.
Serianni, Luca (1997), Italiano. Grammatica, sintassi, dubbi, con la collaborazione di A. Castelvecchi; glossario di G. Patota, Milano, Garzanti.