Almohadi
Intorno al primo quarto del sec. 12°, furono chiamate al-muwaḥḥidūn ('i professanti l'Unità di Dio', al-tawḥīd 'l'unicità', il fatto di essere l'unico), da cui A., le popolazioni dell'Alto Atlante, le quali, rifacendosi al predicatore Ibn Tūmart, si rivolsero soprattutto contro coloro che davano un'interpretazione letterale delle fonti e, di conseguenza, contro gli Almoravidi che avevano permesso la diffusione di tali dottrine.
Fu quindi sotto una spinta religiosa che si mosse la nuova ondata di conquiste che ebbe come punto di partenza un piccolo villaggio dell'Atlante, Tinmal, nel territorio della potente tribù dei Maṣmūda, dove nel 515 a.E./1121-1122 Ibn Tūmart prese il titolo di al-Mahdī, 'il Ben Guidato'. Le fonti, quasi mai favorevoli agli esponenti di questo movimento e pertanto povere di particolari, non trattano chiaramente i primi aspetti di questa espansione a un tempo religiosa e politica, ma è certo che tra i primi compagni di Ibn Tūmart figura 'Abd al-Mu'min, il quale alla morte del Mahdī, avvenuta tra il 522 a.E./1128 e il 525 a.E./1130, fu riconosciuto dalla comunità Amir al-Mu'minīn 'Principe dei Credenti', divenendo di fatto il primo sovrano della dinastia almohade detta perciò anche Mu'minide. Fin dall'inizio la preoccupazione di questo sovrano, che regnò dal 525 a.E./1130 al 558 a.E./1163 e che è stato definito come la più importante figura del Medioevo berbero, fu di assicurarsi quei territori che da sempre avevano subito le dannose incursioni dei nomadi e, pertanto, si volse alla conquista del Nord Africa fino all'Ifrīqiya, attuale Tunisia, dove nel 555 a.E./1160 riprese Mahdia (alMahdiyya) ai Normanni. Per neutralizzare comunque il pericolo rappresentato dai Berberi egli si appoggiò al forte gruppo dei Maṣmūda, i quali formarono il nucleo fondamentale del suo esercito e costituirono il contingente principale che egli inviò in Spagna in risposta agli appelli dei sovrani musulmani minacciati dalla Reconquista. Come già era avvenuto per gli Almoravidi, 'Abd al-Mu'min non richiamò le sue truppe dalla penisola, annettendo di fatto ai territori africani anche quelli andalusi. Su un dominio così vasto egli stabilì due capitali, una maghrebina a Marrakech e una andalusa a Siviglia e rinnovò l'assetto amministrativo istituendo un catasto e nominando a capo di ogni provincia un cadì responsabile del controllo delle imposte.
All'inizio l'avanzata di 'Abd al-Mu'min fu caratterizzata dal quasi sistematico smantellamento delle fortificazioni delle città conquistate, ma poi, forse resosi conto del persistente pericolo costituito dai nomadi, si dedicò, come già gli Almoravidi, alla costruzione di fortezze e moschee. Nella primitiva sede di Tinmal, rimasta come necropoli dei primi sovrani, restano poche tracce di mura fortificate e di una grande torre in pietra, ma sono invece imponenti le rovine di una moschea, detta oggi moschea Bianca, che 'Abd al-Mu'min avrebbe fatto erigere intorno alla metà del sec. 12°, probabilmente sul luogo di un antico oratorio più modesto. Da Tinmal, forse troppo periferica, gli A. spostarono il centro delle operazioni a Taza, già esistente al tempo degli Idrisiti, ma non valorizzata dagli Almoravidi, rendendola tra il 530 a.E./1135 e il 537 a.E./1142 la più grande piazzaforte del Marocco orientale. L'esigenza di austerità e la conseguente condanna di tutte le manifestazioni artistiche propugnata dal rigorismo della nuova corrente religiosa si attenuarono ben presto: già 'Abd al-Mu'min volle manifestare la regalità della giovane dinastia costruendo edifici anche imponenti e aprendo la sua corte a poeti e scienziati. È negli edifici religiosi che si possono verificare sin dall'inizio gli aspetti caratteristici dell'architettura almohade. Restano comunque, tra gli edifici civili, opere di difesa e di pubblica utilità. Le prime moschee delle quali si ha notizia sono tutte in Nord Africa e segnano le tappe iniziali delle conquiste della nuova dinastia; nel probabile ordine cronologico esse sono: la Grande moschea di Taza del 530 a.E./1135 ca., la Grande moschea di Tinmal, posteriore al 540 a.E./1145, e la seconda moschea al-Kutubiyya di Marrakech degli ultimi anni di regno di 'Abd al-Mu'min. Queste moschee sono tutte caratterizzate da un impianto a T nel quale il transetto parallelo al muro qiblī, ovvero la parete con il miḥrāb, è evidenziato da due cupole alle estremità che bilanciano quella centrale, antistante il miḥrāb.In queste scelte convergono le influenze dell'architettura aghlabide di Tunisia, per l'impianto a T, e fatimide d'Egitto, per le cupole laterali. Nel cortile, non molto grande e circondato da portici su almeno tre lati, come nelle moschee almoravidi, il minareto a pianta quadrata si erge generalmente in corrispondenza di uno degli angoli. Fin dal primitivo impianto la sala di preghiera della moschea di Taza aveva la navata centrale evidenziata, all'ingresso sulla corte e davanti al miḥrāb, da due cupole secondo i modelli dell'Ifrīqiya, e aveva archi a sesto acuto e lambrecchini nel vano antistante al miḥrāb. Il minareto, in pietre appena sgrossate legate con malta di ottima qualità, era in origine completamente rivestito da intonaco e annunciava, con la sua forma slanciata (l'altezza equivale a cinque volte la base) e le ampie aperture inserite in riquadri, i successivi e anche più illustri esempi almohadi. L'accurata tecnica delle strutture sembra però che contraddistingua solo i primi edifici degli A. e in particolare quelli fatti erigere in zone sicure e in momenti di relativa calma politica, come nel caso della moschea di Tinmal. Questo edificio, costruito in pisé (terra compattata in casseforme) e mattoni, è analogo nell'impianto, nelle dimensioni e nella forma degli archi alla moschea di Taza, ma ha un minareto rettangolare che si erge eccezionalmente sopra il miḥrāb e il minbar della sala di preghiera. Un altro aspetto significativo di questo monumento è la decorazione in stucco che, seppure limitata a pochi spazi in prossimità del miḥrāb, permette di cogliere il nuovo programma estetico che gli A. vollero, almeno nella fase iniziale, contrapporre a quello dei predecessori: si ricercò la sobrietà degli ornati, di preferenza geometrici e di ampio respiro, il c.d. décor large, abbandonando l'esuberanza tematica e formale della decorazione almoravide. Fin dalla prima moschea al-Kutubiyya di Marrakech, tuttavia, si riscontra una notevole enfasi architettonica e decorativa, dovuta probabilmente alla volontà di affermare la supremazia della nuova dinastia nella vecchia capitale e in particolare sul sito stesso della qasba almoravide. Da quanto hanno rivelato gli scavi archeologici degli anni Cinquanta, in questa moschea, che comprendeva diciassette navate, furono sperimentate strutture meccaniche, come la maqṣūra mobile, e furono profuse decorazioni, parti delle quali si possono ancora scorgere all'esterno del muro di fondo della seconda redazione architettonica della Kutubiyya. Quest'ultima, che fu costruita, sembra, per correggere un errore della qibla, negli ultimi anni del regno di 'Abd al-Mu'min, conserva una sala di preghiera con diciassette navate perpendicolari al muro qiblī e mostra una interessante decorazione in parte dipinta. Essa si allinea con i modelli delle grandi moschee di Taza e di Tinmal, ma a Marrakech sono tre le navate centrali, di più ampie dimensioni, e cinque sono le cupole che evidenziano il transetto, disposte simmetricamente ai lati di quella antistante il miḥrāb e a intervalli di tre navate ciascuna. Tali cupole sono a stalattiti (muqarnas) e si impostano su ambienti quadrati, rettangolari o poligonali, con felici soluzioni di passaggio. La decorazione dipinta, che sembra ancora risentire, almeno nella tecnica, della tradizione almoravide, è realizzata in un caratteristico rosso-bruno e documenta una ricca varietà di elementi sia geometrici sia vegetali, nei quali predomina la palma, soprattutto liscia, simmetrica o più spesso asimmetrica, in una felice fusione con ornati di derivazione architettonica.
Molto più vistosa appare la decorazione del minareto, il quale manifestava al mondo esterno la grandiosità dell'opera intrapresa: a conci irregolari, su base quadrata, esso raggiunge una notevole altezza, pari a quattro volte la larghezza, e ha una rampa che circonda il nucleo centrale in cui si succedono sei sale con coperture di vario tipo.
Il minareto è concluso da una lanterna con cupola a lobi, simile a quella del minareto della grande moschea di Kairouan. Le quattro facciate che erano in origine ricoperte di intonaco hanno decorazioni diverse, sia a rilievo sia dipinte, disposte intorno ai tre ordini di aperture, ma sono coronate, alla sommità, da un'unica fascia di mosaico di ceramica.
Al successore di al-Mu'min, Abū Ya'qūb Yūsuf, che regnò dal 558 a.E./1163 al 580 a.E./1184, risale l'edificio religioso più noto e anche più grandioso nell'Andalusia del tempo: la Grande moschea di Siviglia. Essa fu eretta su una precedente moschea del sec. 9° e, sulla base di descrizioni del sec. 16°, sembra fosse di enormi dimensioni per competere con la Grande moschea di Cordova. La sala di preghiera aveva diciassette navate perpendicolari al muro qiblī e un transetto evidenziato da cinque cupole, tre al centro e due all'estremità, ed era preceduta da un largo cortile porticato. Oggi resta questo cortile, noto come patio degli Aranci, cui si accede da una porta monumentale sul lato settentrionale, e soprattutto il minareto, incorporato nella parte inferiore dell'attuale torre della Giralda. La costruzione di quest'ultimo ebbe inizio nel 580 a.E./1184 e, dopo un'interruzione dovuta alla morte del sovrano, fu terminata nel 591 a.E./1195. Si tratta di una torre quadrata in mattoni con una rampa interna che sale intorno a un nucleo centrale composto da sei vani sovrapposti, di altezza decrescente, coperti da volte a crociera e a botte; il tutto è sormontato dal campanile spagnolo del 1568. Nella decorazione delle facciate predomina il reticolo a losanghe che è racchiuso, su ciascuna parete, in tre pannelli verticali e paralleli, dei quali quello centrale è quasi completamente occupato da finestre, semplici nei piani inferiori e binate nei piani superiori, che sono sempre inscritte in un riquadro coronato da un arco a sesto acuto polilobato. Alla base sia degli archi delle finestre sia del reticolo a losanghe sono collocate colonne di spoglio. Le finestre e soprattutto il reticolo a losanghe sono due importanti innovazioni che vennero riprese anche in seguito e costituirono, insieme al mosaico di ceramica, la decorazione-tipo dei minareti ispano-moreschi del litorale nordafricano. Infatti anche la contemporanea 'torre di Ḥasan' a Rabat ripropone negli ornati delle facciate gli stessi elementi della Giralda, con la quale ha inoltre in comune l'assetto interno; tuttavia la torre-minareto di Rabat è realizzata in pietra squadrata, come del resto tutta la moschea contigua. La costruzione di questo edificio ebbe inizio negli ultimi anni di Ya 'qūb al-Manṣūr, che regnò dal 580 a.E./1184 al 595 a.E./1199, e rientrava in un grandioso progetto urbano voluto dal sovrano per esaltare la nuova città di Rabat, detta Rabāt al-Fath, e per commemorare la vittoria di Alarcos del 591 a.E./1195. Alla morte di al-Manṣūr, l'opera fu interrotta e rimasero incompleti sia la moschea sia il minareto, entrambi racchiusi entro una cinta di mura in pisé. Dai vistosi resti che raggiungono m. 44 di altezza è ancora possibile tuttavia individuare la struttura esterna del minareto che è uguale a quella della Giralda con più piani sovrapposti. Anomalo rispetto ai modelli noti sembra essere invece l'impianto della sala di preghiera con ventuno navate perpendicolari al muro qiblī, nelle quali si aprivano due cortili rettangolari disposti in senso longitudinale con lo scopo forse di illuminare meglio la vasta sala che aveva una profondità di 137 metri. Per bilanciare questa profondità il transetto antistante al muro qiblī era formato da tre navate parallele.
Una sala di preghiera che prende luce da due cortili laterali si trova anche nella Grande moschea di Salé che risale al 572 a.E./1176, ma della quale va ricordata soprattutto la monumentale mīḍā'a. Questa sala per le abluzioni, prima del genere in Nord Africa, si compone di un unico vasto ambiente rettangolare con copertura ad archi che si intersecano.
Alla fine del sec. 12° risale anche un altro imponente edificio religioso, la moschea della qasba di Marrakech di m. 70 x 77; questa moschea ha la consueta sala di preghiera a T con il transetto sormontato da tre cupole, ma è preceduta da un vastissimo cortile diviso in cinque settori disposti simmetricamente e contenenti ciascuno un bacino, secondo una sistemazione che risulta unica, almeno allo stato attuale delle conoscenze, ma che riflette molto probabilmente il gusto per il patio con corsi d'acqua proprio dell'architettura civile sia pubblica sia privata del tempo. Il minareto mostra sulle facciate due varianti della decorazione con il reticolo a losanghe ed è coronato da una fascia in maiolica bianca e verde.
Al quarto sovrano della dinastia, Muḥammad al-Nāṣir che regnò dal 595 a.E./1199 al 610 a.E./1214 si devono alcuni interventi su edifici preesistenti, primi fra tutti quelli nella città di Fez che, seppure in secondo piano da un punto di vista politico, continuava a essere un importante centro commerciale. Alla moschea al-Qarawiyyīn furono annessi un magazzino sotterraneo e, soprattutto, una sfarzosa mīḍā'a formata da una grande sala coperta da una cupola a muqarnas, che, insieme a quella della Grande moschea di Salé sopracitata, costituisce il primo esempio monumentale del genere. Inoltre tale moschea, nella quale le ricche decorazioni almoravidi in stucco erano state occultate da una spessa mano di intonaco al sopraggiungere dell'austera dinastia almohade, fu dotata di un fastoso lampadario in bronzo, che costituisce il più antico esempio islamico giunto sino a noi, e di un altrettanto significativo minbar ligneo.
Quanto all'altro grande santuario della città, la moschea alAndalusiyyīn, l'intera costruzione è attribuibile a Muḥammad al-Nāṣir - con intenti simili a quelli della seconda Kutubiyya - sulla quale però le fonti avrebbero taciuto perché forse costruita con denaro pubblico. Doni del sovrano sarebbero state invece le monumentali porte in bronzo e la sala delle abluzioni. Al tempo dello stesso sovrano si potrebbe far risalire il minareto della zāwiya (convento-oratorio) di Muḥammad 'Abdallāh a Tit, a km. 12 a S-O di Mazagan, sulla base dello stile della decorazione, simile a quella della qasba di Marrakech e di Ḥasan a Rabat. In margine all'architettura religiosa di questa dinastia si deve segnalare il curioso miḥrāb di Tozeur, all'estrema periferia dell'Ifrīqiyā. In una moschea che era stata costruita nel 418 a.E./1027 a imitazione della Grande moschea di Kairouan, esiste un miḥrāb in stucco datato al 589 a.E./1193, il quale mostra una felice fusione di elementi decorativi e stilistici attribuibili alle due dinastie: l'alternanza di pannelli modellati a rilievo più o meno profondo, che con effetti di chiaroscuro esalta gli elementi esclusivamente vegetali degli ornati, si può ben riferire all'esuberanza dell'arte almoravide, la quale si inserisce perfettamente nello schema generale della composizione del miḥrāb che risponde invece al gusto almohade. Non si esclude che la situazione politica del paese, dove per breve tempo governanti di fede almoravide soppiantarono quelli legati alla dinastia imperante, abbia indotto il committente a commissionare un'opera che, per polemica, preferisse ai modelli di Marrakech quelli di Tlemcen, anche geograficamente più vicini.
In Spagna sono state individuate tracce di moschee di epoca almohade negli impianti di alcune chiese e in alcune parti delle loro decorazioni: è questo il caso della Ermita detta di Cuatrohabitan in provincia di Siviglia e, probabilmente, del campanile di San Marcos nella stessa città.
Un notevole impulso all'urbanistica fu dato dai sovrani almohadi, non solo con la fondazione di città come Rabat, ma anche con la ristrutturazione di quelle già esistenti. Nelle due capitali del regno, la residenza del sovrano fu riportata al centro della città, in prossimità della Grande moschea, secondo esempi della prima tradizione islamica. Tuttavia in queste che furono chiamate città imperiali, ovvero Marrakech, Siviglia e Rabat, restano oggi solo poche tracce di tali palazzi reali; della grandiosità delle dimore di Ya'qūb Yūsuf I e di al-Manṣūr ci si può tuttavia rendere conto dalle dimensioni delle mura della qasba di Marrakech e della qasba di Rabat, i cui resti si intravedono all'interno della Qasba al-Oudaïa.
Si suppone, in base ad alcune fonti relative a ricchi arredi commissionati per un ospedale di Marrakech, che gli A. si siano prodigati nella costruzione di opere pubbliche, in particolare idrauliche, di cui oggi tuttavia restano pochissimi esempi. Le città venivano rifornite idricamente mediante canali coperti o a cielo aperto i quali distribuivano l'acqua sia alle fontane pubbliche, sia alle case private e acquedotti furono costruiti a Rabat, a Marrakech e a Fez.
Sembra che risalga ad Abū Ya'qūb un acquedotto di Siviglia. Sulla base della tecnica e dei materiali di costruzione - tutto calcestruzzo rivestito da calce fine e ben lisciata - nonché dello stile delle margelles in ceramica stampata, è stata attribuita agli A. un'imponente opera idraulica scoperta casualmente nel 1947 a Sīdī Bū 'Othmān, a km. 20 da Marrakech. Essa si compone principalmente di una diga sul wādī Bū 'Othmān e di un canale che convogliava le acque a un bacino di decantazione, nonché di nove cisterne rettangolari comunicanti fra loro mediante archi a tutto sesto e coperte da volte a botte, ciascuna con otto orifizi superiori circondati da margelles.
Il calcestruzzo o, più spesso, la terra compattata in casseforme, cio'e il pisé, sono materiali distintivi dell'architettura militare e, in particolare, delle mura delle città e delle fortezze, soprattutto in terra spagnola dove, del resto, tale tecnica costruttiva era già diffusa in epoca almoravide. Le strutture difensive almohadi sono dunque in pisé, ma poggiano sempre su un breve basamento in pietra non squadrata ricoperta da intonaco; anche negli angoli delle mura si trova la pietra in luogo del pisé. In conseguenza, evidentemente, dell'incombente pericolo della Reconquista l'esecuzione di queste opere risulta più solida e accurata nella penisola iberica, come si può constatare dalle superstiti cinte di Cáceres, Badajoz, della Alcalà di Guadalajara e, infine, dai resti delle mura dell'Alcazar di Siviglia con la torre del Oro. Quest'ultima è una torre albarrana, ovvero esterna, ed è una struttura tipica dell'architettura militare in terra spagnola, caratterizzata da un muro di collegamento con la fortezza più vicina. La torre del Oro, costruita tutta in mattoni, come del resto la Giralda nella stessa città, si compone di due blocchi degradanti di dodici lati ciascuno sormontati da una torre circolare più stretta. All'interno una scala circonda il nucleo centrale, che è formato da tre vani sovrapposti a pianta esagonale.
Delle fortezze almohadi nel Nord Africa quelle del Marocco sono le più note, come il ribāt di Tīt, la qaṣba di Oued Yquem e quella di Dchira, nella provincia di Rabat. Esse hanno le mura in pisé, nelle quali si aprono una o più porte quasi sempre a gomito, affiancate da bastioni aggettanti, come negli esempi almoravidi, e sono articolate da torri spesso rettangolari e in pietra.Anche le città più importanti del Marocco vennero circondate di mura: eccezionalmente la cinta di Taza è tutta in pietra non squadrata, mentre a Marrakech, Fez e Rabat le mura sono in pisé ma le porte sono rivestite in pietra. Queste ultime inoltre assurgono con gli A. a dimensioni monumentali sia per le coperture dei diversi ambienti che le compongono sia, soprattutto, per l'enfasi decorativa delle facciate. L'apertura di tali porte, che è quasi sempre troppo ampia per garantire una difesa efficace, è spesso affiancata da due bastioni in avancorpo e dà accesso a vani intermedi, coperti o a cupola o a volta oppure a muqarnas, i quali si succedono in linea retta o, più spesso, a gomito. I portali delle facciate, a volte anche quelli interni, sono, come si è detto, rivestiti di pietra - in seguito venne utilizzata la pietra appena sgrossata disposta in corsi più o meno regolari - e sono ornati da una decorazione scolpita, generalmente disposta in più archi concentrici, con elementi geometrici e vegetali racchiusi entro un riquadro formato da una banda con iscrizioni in grafia ornamentale, o cufica o naskhī.
Uno degli esempi più significativi del genere è il Bāb al-Oudaïa a Rabat, dove del resto si annoverano altre porte fastose come il Bāb al-Rouah e il Bāb al-Alou, tutte strutturate con ingresso a gomito. Delle numerose porte di Marrakech si può attribuire alla seconda dinastia berbera il Bāb Agnaou; alla stessa dinastia appartengono pure il Bāb Guissa e il Bāb al-Maḥrouq di Fez, tutte con accesso diretto.
Delle altre attività artistiche, come la lavorazione del legno, dei metalli e dei tessuti, sono giunte alcune testimonianze significative, le quali, pur continuando la tradizione precedente, denotano dei tratti nuovi che permettono di collocarle nell'ambito dell'arte ispano-moresca che proprio le due dinastie berbere hanno concorso a definire.
In linea con i modelli maghrebini e soprattutto con il minbar della moschea al-Qarawiyyīn di Fez è il minbar della moschea della qasba di Marrakech: le pareti laterali, che terminano con due archi binati, mostrano il consueto intreccio di nastri intarsiati con avorio che racchiudono poligoni vari, finemente scolpiti con elementi vegetali. Un fregio ligneo scolpito a bassorilievo, rinvenuto a Marrakech, mostra un'ampia decorazione vegetale che si combina felicemente con elementi di derivazione architettonica: esso ricorda gli ornati vegetali dello schienale del minbar di Fez, nonché alcune decorazioni dipinte della prima moschea al-Kutubiyya di Marrakech, e al tempo stesso rientra in quel décor large che è precisa scelta stilistica dell'arte almohade. Curioso e carico di senso storico è infine il minbar della moschea al-Andalusiyyīn di Fez: si tratta invero di una 'fodera' dell'antico minbar omayyade e ziride, ottenuta mediante due nuove pareti laterali ornate con i soliti poligoni determinati da nastri, i quali però sono dipinti di bianco in mancanza del prezioso avorio. Queste pareti sono delimitate, in corrispondenza dei gradini, da una fascia con iscrizioni coraniche in elegante cufico, nel quale l'espediente tipicamente maghrebino di volgere verso l'alto le terminali delle lettere che si protendono in basso è usato costantemente per formare una sequenza di coppie di aste che si intersecano o si collegano mediante archetti. Grande maestria e una accurata ricerca stilistica denota anche la decorazione vegetale che circonda l'arco polilobato d'accesso al minbar e che pure deve ritenersi un'aggiunta almohade.Sempre pertinenti ad arredi di edifici religiosi sono poi i lavori in metallo noti: in Spagna la porta della cattedrale di Siviglia è interamente ricoperta, come già la porta della moschea al-Qarawiyyīn di Fez, da una lamina di bronzo suddivisa in esagoni allungati a rilievo, che racchiudono ornati vegetali e pseudoepigrafici tra i quali sono inseriti grossi chiodi con teste lobate. Dalla moschea al-Qarawiyyīn di Fez viene poi uno dei lampadari in bronzo (lustri) più antichi che si conoscano: esso ha la tipica forma conica che, all'esterno, è marcata da più piani orizzontali digradanti che servono da sostegno ai lumi e, all'interno, cela un'ampia cupola. Quest'ultima è sorretta da dodici nervature che intersecandosi formano altrettanti settori lavorati a giorno con elementi vegetali e in particolare con la palmetta liscia, semplice o più spesso doppia, ma sempre asimmetrica. Sul piatto inferiore, anch'esso traforato, è utilizzata come incorniciatura una decorazione epigrafica nella quale predomina la scrittura corsiva accanto a un cufico che è ora complesso e ricco di intrecci.
La tradizionale manifattura tessile di epoca califfale continuò anche con gli A., cosicché dalle officine di Siviglia, Granada e Almería furono ancora prodotti tessuti dai colori vivaci, soprattutto oro e rosso, sui quali figuravano molte varianti di motivi geometrici. Vi erano anche ornati zoomorfi assai stilizzati, come animali affrontati o con due teste, e motivi epigrafici. Al sec. 13°, e molto probabilmente al periodo almohade, si può attribuire anche il famoso lampasso di Almería sul quale sono raffigurati suonatori di tamburo.
A testimonianza di un'altra antica arte di tradizione maghrebina restano infine due rilegature in pelle che risalirebbero agli ultimi anni di 'Umar al-Murtaḍā e che sarebbero servite a ricoprire un Corano copiato dallo stesso sovrano. La decorazione, ottenuta mediante punzonatura e arricchita da una doratura applicata in foglie, interessa solo la superficie esterna ed è formata da un vistoso intreccio di nastri lisci che racchiudono spazi poligonali campiti da minuti ornati geometrici e floreali.
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