ALPI
(II, p. 591; App. I, p. 99; II, I, p. 143; III, I, p. 74; IV, I, p. 107)
Geografia fisica. - L'importanza permanente della catena alpina è testimoniata dal fatto che il tema del XXV Congresso Internazionale di Geografia (Parigi 1984) è stato proprio lo studio delle A. e delle regioni di montagna. La costante attenzione al mondo fisico alpino ha portato ad applicare alla catena, i cui problemi si pensavano in gran parte risolti, la moderna teoria della tettonica delle placche crostali, con il risultato di generare un dibattito scientifico che si può paragonare a quello degli inizi del 20° secolo sull'unitarietà della catena e famoso per gli elevati contenuti dottrinali. Nel complesso la divisione tradizionale dell'orogene in quattro grandi unità tettoniche (Elvetidi, Pennidi, Austridi e Sudalpino) rimane valida. Si ritiene ancora che le A. siano il prodotto della collisione dei continenti africano ed europeo, come avevano affermato i grandi tettonisti del passato, ma nel quadro della chiusura di un interposto oceano, la Tetide, e del sottoscorrimento per subduzione della sua stessa crosta sotto i continenti in movimento. La somma dei due eventi, sottoscorrimento e collisione, ha originato la catena alpina. Di quell'antico oceano restano dei frammenti, rimasti impigliati nelle falde di ricoprimento sovrascorse una sull'altra; si ritiene inoltre che una scaglia di crosta oceanica sia presente a poca profondità nella "zona d'Ivrea", dove si segnala una forte anomalia positiva della gravità. L'accorciamento crostale dovuto alla chiusura della Tetide può essere stimato fra 500 e 1000 km; è evidente che la maggior parte della massa litosferica compressa dev'essere stata in parte erosa dopo l'accumulo in superficie, in parte dev'essere ridiscesa e riassorbita dal mantello. La struttura attuale delle A. è in definitiva il risultato della sovrapposizione di più deformazioni del margine continentale paleoeuropeo, anche se la crosta africana è sovrascorsa su di esso per almeno 150 km nelle A. orientali.
Questi studi e quelli geofisici, che hanno preso impulso da quanto accaduto nel 1976 nel Friuli (ove il 6 maggio, con repliche in settembre, un terremoto del 10° grado della scala Mercalli=magnitudo 6,5 ha provocato 1000 vittime e gravi danni), hanno permesso di conoscere meglio il 'rischio' sismico, anche se, come in tutto il mondo, molto resta da fare. La riclassificazione sismica del territorio alpino (e nazionale) fatta dal CNR sottolinea come il Friuli, il settore nord della A. Cozie, le A. Liguri-Marittime nonché qualche territorio prossimo al Garda, siano le zone che presentano il maggior coefficiente di rischio. Le A. sono tuttora soggette a un'intensa dinamica: la collisione fra Europa e Africa ha creato delle microzolle in movimento relativo, come la microplacca adriatica, alla quale le A. orientali appartengono, e dai loro rapporti nasce l'instabilità della regione. Anche i movimenti verticali sono intensi e differenziati, come hanno mostrato gli studi sintetizzati nella Carta neotettonica d'Italia del CNR.
Un elevato rischio, documentato anche per i secoli passati, deriva dall'instabilità dei versanti alpini dovuta, oltre che alla componente gravitativa, alla deformazione causata all'inomogeneità delle strutture tettoniche e alla loro attivazione. Le grandi frane di crollo o di scivolamento in realtà non sono frequenti e la frana del Vajont, un immane slittamento in un bacino artificiale di 250 ÷ 300 milioni di m3 di roccia che nel 1963 provocò un'inondazione nella valle del Piave e 2000 vittime fra la popolazione, rimane un caso unico. Una frana particolare si è verificata nel luglio 1987 in Valtellina, ove 40 milioni di m3 di roccia, oltre a provocare lutti e rovine, hanno sbarrato il corso dell'Adda e creato un lago. Ciò che caratterizza l'attuale momento è invece una miriade di piccoli franamenti di materiali e i processi di demolizione appaiono in tutta la loro vastità. Fra i fenomeni morfologici più studiati negli ultimi anni a causa della loro frequenza e pericolosità sono quelli dei trasporti in massa del tipo colate di detrito o fangose in discesa rapida (mud flows e debris flows della letteratura inglese). Notissime sono quelle manifestatesi in occasione di alluvioni disastrose, come per esempio in Val Strona nel 1968 o in Valchiavenna, Valtellina e Val Venosta nel 1983.
Un aspetto del mondo alpino che ha continuato ad attirare l'attenzione è quello dei ghiacciai, in conseguenza delle implicazioni pratiche della loro presenza ed estensione. La serie di osservazioni a opera del Comitato Glaciologico Italiano risultanti dal controllo di ben 258 ghiacciai, ha permesso di constatare che, dopo un'intensa fase di deglaciazione, a partire dagli anni Sessanta se ne è verificata una di progresso nella maggior parte delle Alpi. Tuttavia le ultime annate sembrerebbero indicare che anche questa fase ventennale di avanzata è in via di esaurimento. Nel complesso la conoscenza sui ghiacciai alpini è ora più completa, grazie al loro rilevamento compiuto per il World Glacier Inventory e per il nuovo Catasto dei ghiacciai italiani.
Gli studi sui ghiacciai e sulla meteorologia alpina e le nuove tecniche dell'ingegneria hanno portato a una riconsiderazione della potenzialità energetica delle Alpi. Essa si calcola ora in 50.000 MW e in una producibilità annua media di 160 TWh. Da questo punto di vista le A. costituiscono un fattore d'integrazione fra i paesi confinanti, con intensi scambi di energia elettrica, valutati in oltre 46.000 Wh (Rapporto 1982 UCPTE).
L'ambiente fisico delle A. è attualmente sottoposto a nuove sollecitazioni sia nelle zone abbandonate, dove si verificano imponenti fenomeni di erosione del suolo, sia in quelle dove si sviluppano nuove attività, per i profondi cambiamenti che producono nel territorio. In particolare, l'insediamento delle stazioni sciistiche con i loro oltre 13.000 impianti di risalita costituisce una modifica dell'ambiente fisico seconda solo a quella della colonizzazione agricola e pastorale dei secoli passati.
Bibl.: H. P. Laubscher, Evoluzione e struttura delle Alpi, in Le Scienze, 72 (1974), pp. 48-59; G. V. Dal Piaz, G. Gosso, Le moderne interpretazioni tettoniche delle Alpi, in Cento anni di geologia italiana, volume giubileo 1° centenario della Società Geologica Italiana, Roma 1982, pp. 95-112; M. Chardon, G. B. Castiglioni, Géomorphologie et risques naturels dans les Alpes, in Les Alpes, 25° Congresso Geografico Internazionale, Parigi 1984, pp. 13-41; S. Belloni, G. Catasta, C. Smiraglia, Parametri climatici e oscillazioni frontali dei ghiacciai italiani nell'ultimo sessantennio, in Memorie della Società Geografica Italiana, 39 (1985), pp. 169-93.
Geografia umana. − I criteri di delimitazione dell'area alpina adottati sia dai singoli paesi a scopi statistici e amministrativi, sia dagli studiosi a fini di ricerca sono piuttosto eterogenei e forniscono risultati dissimili. Una stima accreditata valuta in circa 172.000 km2 la superficie complessiva del sistema orografico alpino, che si estende su 6 stati. Diversa è la porzione di superficie delle A. che ricade in ciascun paese, come pure diversa è la quota di popolazione ospitata (vedi tab.). Diverso è quindi anche il peso che i problemi di questo territorio assumono nella vita dei singoli stati e diversa è pure la percezione che del sistema alpino hanno popolazioni e governanti.
Dalla metà degli anni Settanta i processi insediativi verificatisi nelle A. hanno manifestato andamenti diversificati. I fenomeni di spopolamento (quando non addirittura di 'desertificazione') hanno interessato ancora vaste aree alpine e, nel contempo, si sono realizzate nuove forme di organizzazione del territorio, quali il diffondersi dell'industrializzazione leggera, di urbanizzazione delle valli principali e di rivalorizzazione territoriale di regioni anche periferiche.
Quest'ultimo fenomeno è dovuto al fiorire di nuove attività artigianali e piccolo-industriali, alla ripresa agricola, allo sviluppo turistico, e di sovente è associato al ritorno degli emigranti in conseguenza della crisi economica che ha colpito tutti i paesi europei nella prima metà degli anni Settanta.
Lo sviluppo economico trova difficoltà a consolidarsi fuori dei grandi solchi vallivi percorsi da linee di transito internazionale, dei ristretti paradisi turistici e dei maggiori bacini aperti verso l'avampaese, a cui sono inscindibilmente legati. Qualche successo si ottiene là dove è più rilevante la concentrazione di popolazione locale, ossia nei casi in cui si forma un mercato locale in qualche modo protetto dall'isolamento fisico o dove è maggiore l'incentivo dell'attività turistica.
In quest'ultimo settore produttivo va ricordato il nuovo tipo di stazione turistica, sorto in Francia e diffuso in qualche settore delle A. italiane e svizzere: la stazione integrata d'alta quota, realizzata con rilevanti capitali extravallivi (prevalentemente di imprese di notevoli dimensioni o addirittura di multinazionali), in aree appartate e favorite da un copioso innevamento. Se per il turista esse hanno il vantaggio di essere totalmente pianificate per gli sport della neve, per l'ambiente alpino sono causa di gravi forme di degrado. Esse provocano danneggiamenti alla cotica erbosa e alla copertura arborea, e causano ripercussioni negative sia sulla regolarità e sulla portata dei corsi d'acqua, sia sulla stabilità dei versanti. Scarso il reddito distribuito in loco.
Non molte le novità nel campo dei trasporti internazionali: sono stati aperti i trafori autostradali del Fréjus e del San Gottardo, e il valico di Tarvisio è ora superato dall'autostrada che collega Udine con Klagenfurt. Tuttora irrisolto è il problema del potenziamento dei trasporti ferroviari nelle A. centrali, con la costruzione di un nuovo traforo.
Ai fini dello sviluppo economico le varie politiche di riequilibrio socio-economico non si sono rivelate decisive, come pure scarso impatto hanno avuto le agevolazioni fiscali. Nell'elevare il livello e la qualità della vita delle popolazioni locali determinanti sono apparsi i trasferimenti di risorse alle Regioni là dove motivi politici (bilinguismo, rivendicazioni di autonomia) consigliavano un trattamento di particolare riguardo. Per tutte queste ragioni la situazione economico-sociale e demografica, quindi dell'insediamento e dell'uso del suolo, nelle A. appare molto più variegata di quanto non fosse nei decenni scorsi. Attualmente i processi in atto sono più vari e selettivi e agiscono sia a piccola che a grande scala.
Bibl.: P. e G. Veyret, Au coeur de l'Europe. Les Alpes, Parigi 1967; Le Alpi e l'Europa, 4 voll., Bari 1974-75; Histoire et civilisation des Alpes, a cura di P. Guichoennet, 2 voll., Losanna 1980 (trad. it. 1986-87); Les Alpes-The Alps-Die Alpen-Le Alpi, 25° Congresso Geografico Internazionale, Parigi 1984.