ALPI (II, p. 591; App. I, p. 99; II, 1, p. 143; III, 1, p. 74)
I progressi metodologici della geografia, non solo alpina, rendono ormai superata la distinzione tra fenomeni naturali e fatti umani relativi a questa complessa area montuosa. Mentre gli studiosi di altre discipline (geologi, soprattutto) continuano il dibattito sulle strutture geomorfologiche e fisiche in generale, i geografi cercano di valutare i problemi della regione nella prospettiva globale delle molteplici interrelazioni ecologiche e antropiche, e tenendo in sempre maggiore evidenza la sua posizione nel cuore dell'Europa.
A conferma di ciò, durante il XXI Congresso geografico italiano (Verbania 1971) dedicato proprio alle A., anche l'apparentemente consueta relazione di geografia fisica (Le calamità naturali nelle Alpi, di G. B. Castiglioni) ha preso largamente in esame le conseguenze che i dissesti di ordine naturale - fra cui possono essere ricordate le valanghe di ghiaccio (Mattmark, 1965), le alluvioni (Veneto e Trentino-Alto Adige, 1966; Alpi francesi, 1968), le frane (tragicamente memorabile quella del Vajont, 1963) - vengono a determinare rispetto agl'insediamenti e alle attività economiche.
Uno dei temi più noti della geografia alpina è quello relativo alla distribuzione - e alle sue variazioni nel tempo e nello spazio - della popolazione e delle sedi. Qui è bene tener presente l'ampia differenziazione tra le singole entità nazionali che compongono la regione alpina nel suo insieme: mentre, infatti, le A. italiane e francesi rappresentano, per i due stati, aree marginali tuttora in fase di spopolamento, nel caso dell'Austria o della Svizzera l'area alpina costituisce oltre la metà dell'intero territorio, ospitando una forte - e talora crescente - aliquota di popolazione.
Il problema demografico e sociale delle A. va affrontato, in particolare, sotto l'aspetto dell'involuzione dei generi di vita, specie da quando la crescita di regioni industriali nell'avampaese (grande delta francese, incentrato su Marsiglia; triangolo padano occidentale Torino-Milano-Genova) ha provocato la crisi delle attività tradizionali, avviando il mondo alpino verso quella condizione di sottosviluppo economico e culturale che è all'origine prima dell'esodo dalla montagna. Dalle ricerche (G. Dematteis e altri) sulla forma più evoluta e qualificante d'insediamento umano, la città, emerge chiaramente come, dall'integrazione dei secoli passati fra ambiente rurale e centri urbani alpini, questi ultimi si siano progressivamente degradati - soprattutto nelle aree periferiche - a semplici agglomerati residenziali, talora con funzioni industriali altamente specializzate e quindi pesantemente esposte alle ripercussioni congiunturali.
Si possono individuare, comunque, una serie di sistemi autonomi interni, per lo più corrispondenti a divisioni amministrative dei vari paesi (Alte Alpi, in Francia; Valle d'Aosta, Trentino-Alto Adige, province di Sondrio e Belluno, in Italia; Vallese, Grigioni e Ticino, in Svizzera; Tirolo, Carinzia e parte della Stiria, in Austria), dove le città presentano una struttura funzionale maggiormente equilibrata e in fase di sviluppo, creando i presupposti per una spiccata autonomia decisionale, che potrebbe sottrarre la regione alle pressioni esercitate dai distretti "forti" circumalpini ed esprimere un nuovo modello di cultura alpina, in contrasto con le situazioni aberranti dell'odiema vita metropolitana.
Se, dunque, le attività industriali trovano sempre più difficile la localizzazione montana, soprattutto per la tendenza alla concentrazione finanziaria, e quindi a crescenti dimensioni aziendali; e se l'imprenditorialità locale persiste solo in condizioni infrastrutturali e di mercato particolarmente favorevoli (elettrometallurgia ed elettrochimica in alcune valli francesi e italiane), il fondamentale tramite d'interscambio economico e culturale con l'esterno potrebbe divenire il turismo. A patto, però, che esso non sia interpretato esclusivamente come fenomeno consumistico, il che ha causato, negli anni recenti, gravissimi danni all'ambiente (si pensi soltanto all'urbanizzazione incontrollata di centri come Breuil-Cervinia o Cortina d'Ampezzo), evidenziando una vera e propria "colonizzazione" del mondo alpino.
A quest'ultimo discorso si ricollegano le modificazioni intervenute nel sistema delle comunicazioni: a partire dagli anni Sessanta sono entrati in esercizio numerosi trafori stradali (Gran San Bernardo, 1964; Monte Bianco, 1965; San Bernardino, 1967) e tronchi autostradali (Torino-Aosta, 1967-1970; Milano-Lugano, attraverso la Milano-Laghi, 1971; Modena-Brennero-Innsbruck, 1969-1974). Ma le nuove arterie, se hanno largamente superato le previsioni di traffico, tendono quasi a scavalcare la regione alpina: si pone, dunque, il problema di fissare la correnti commerciali e turistiche di attraversamento, dirette dalle regioni nord- e centroeuropee verso la Padania e le coste mediterranee.
Altre grandi opere viarie sono in fase di progettazione o di realizzazione: i trafori del Ciriegia, del Fréjus, del Sempione, del Gottardo, dello Spluga. Resta fondamentale, tuttavia, l'esigenza di migliorare anche la viabilità minore di penetrazione e di scorrimento interno, nel contesto di una rete di comunicazioni che si ponga "al servizio delle A." (così C. Muscarà), per favorire, con l'integrazione fra le realtà territoriali della montagna e della pianura, l'effettiva ripresa economica dell'intera regione alpina.
Bibl.: G. Dainelli, Le Alpi, Torino 1963, 2 voll.; P. e G. Veyret, Au cøur de l'Europe. Les Alpes, Parigi 1967; W. Rutz, Die Alpenquerungen, Norimberga 1969; M. P. Gewinner, Geologie der Alpen. Stratigraphie, Paläogeographie, Tektonik, Stoccarda 1971; Atti del XXI Congresso geografico italiano, Novara 1971-1974, 4 voll. Inoltre si vedano gli Atti della tavola rotonda sulla geografia della neve in Italia, Roma, Società Geografica Italiana, 1973, e i numerosissimi saggi pubblicati in Revue de géographie alpine, Grenoble 1961-1975.