ALPINISMO
. L'organizzazione alpinistica (II, p. 658). - Con decreto del capo del governo 17 settembre 1931, n. 243, è stata riconosciuta al Centro Alpinistico Italiano (già Club Alpino Italiano) la personalità giuridica; sono dunque risolte le questioni che si potevano presentare in merito alla proprietà dei rifugi alpini quando il C.A.I. non era che un'associazione di fatto. Il solo C.A.I. ha facoltà di organizzare e disciplinare il movimento alpinistico in Italia; tutte le associazioni di carattere escursionistico-alpinistico debbono rientrare nel C.A.I. per quanto ha attinenza all'attività più propriamente alpinistica.
La personalità è riconosciuta all'ente C.A.I., concepito come organismo unitario, e cioè costituito dalla sede centrale in Roma e dalle varie sezioni locali, ai sensi dell'art. 4 del nuovo statuto dell'ente, approvato in data 7 febbraio 1931.
Il Centro Alpinistico Accademico Italiano (già Club Alpino Accademico Italiano (in cui s'erano fusi il Gruppo lombardo alpinisti senza guide e il Club alpino accademico aviglianese nel 1922), sciolto durante la fase di riorganizzazione nel 1929, venne ricostituito nel 1930 sotto la presidenza di Umberto Balestreri (nato il 13 agosto 1889, perito in un crepaccio del ghiacciaio del Morteratsch il 16 aprile 1933). Il C.A.A.I. si propone di coltivare e diffondere l'esercizio del grande alpinismo e lo studio di determinate regioni di alta montagna, nelle parti più impervie, affiatando i soci fra loro, unendone le energie, l'esperienza e le cognizioni, soprattutto con indirizzo accademico, ossia di scuola di alpinismo per ghiaccio, per roccia e per neve; quest'ultima anche nelle sue manifestazioni invernali. È costituito come sezione autonoma del C.A.I.; per essere ammessi a farne parte occorre essere maggiorenni e avere compiuto importanti ascensioni di roccia o di ghiaccio o miste, che presentino particolari difficoltà, dimostrando di avere vasta capacità tecnica, doti morali ineccepibili e seria preparazione culturale.
Il C.A.A.I. ha negli ultimi tempi notevolmente intensificato la sua attività, così per quanto riguarda le pubblicazioni (principalmente l'Annuario) come per la costruzione di bivacchi fissi: nell'estate 1933 è stata ultimata la costruzione del bivacco alla Brêche Nord delle Dames Anglaises; nel 1935 quella del bivacco al Col de la Fourche de La Brenva: opere entrambe arditissime, che hanno notevolmente facilitato la salita al Monte Bianco per i suoi itinerarî più difficili e grandiosi (cresta di Peuterey, versante della Brenva).
La riorganizzazione del C.A.I. comprende anche le forze giovanili e in particolare l'elemento studentesco. Delle organizzazioni studentesche preesistenti, la S.U.C.A.I. era stata fondata come "Stazione universitaria del C.A.I." a Monza nel 1905, su iniziativa di Gaetano Scotti e trasformata, nell'immediato dopoguerra, in "sezione" la S.A.R.I., fondata nel 1908 come "Società alpina ragazzi italiani", incorporata nel 1911 nella sezione di Torino del C.A.I. come "Gruppo giovanile" della sezione stessa, e nel 1914 trasformata in Gruppo studentesco S.A.R.I., sempre a opera del suo fondatore Eugenio Ferreri.
La S.A.R.I. fu trasformata in Gruppo di Torino della S.U.C.A.I. nel 1929, quando la S.U.C.A.I., per breve tempo, funzionò come sezione alpinistica dei Gruppi Universitarî Fascisti. Nel 1930 la S.U.C.A.I. veniva sciolta e gli studenti venivano inquadrati, oltreché nelle singole sezioni del C.A.I., anche nelle sezioni alpine costituite presso ciascun G.U.F., di guisa che la preparazione e l'organizzazione alpinistica degli studenti spettano oggi congiuntamente ai G.U.F. e alle sezioni del C.A.I. Analogo accordo è stato concluso nel novembre 1937 fra il C.A.I. e il comando generale della G.I.L., e in base ad esso tutta l'organizzazione dell'attività alpinistica della G.I.L. viene affidata al C.A.I.
Il C.A.I. ha inoltre, tra i suoi organi, un comitato delle pubblicazioni, che cura la rivista mensile e l'attività editorìale del sodalizio, tra cui la nuova grande Guida dei monti d'Italia, pubblicata in seguito ad accordi con la Consociazione Turistica Italiana (già Touring Club Italiano); e un comitato scientifico, suddiviso in varie sezioni (speleologica, toponomastica, meteorologica, ecc.). Dal 1930 il C.A.I. ha ripreso a tenere annue adunate.
Nel 1937, il C.A.I. ha iniziato l'esecuzine di un piano quadriennale di lavori nelle Alpi Occidentali, con il quale saranno sistemati tutti i rifugi dal Colle di Tenda al Passo del Sempione.
Tra i club alpini dei diversi paesi sono stabiliti, in varî casi, rapporti di reciprocità per ciò che riguarda le agevolazioni nei rifugi, ecc. Congressi internazionali di alpinismo sono stati tenuti nel 1932 a Chamonix, nel 1933 a Cortina d'Ampezzo, nel 1935 a Barcellona e nel 1937 a Parigi. Nel primo venne decisa la costituzione e nel secondo approvato lo statuto dell'Unione internazionale fra le associazioni di alpinismo (U.I.A.A.) con sede in Ginevra.
Per l'organizzazione delle guide, v. sotto.
Tecnica dell'alpinismo (p. 660): Sulla roccia. - La tecnica di roccia (intendendo specialmente, per tecnica, l'impiego di mezzi tecnici, cioè chiodi da roccia, moschettoni e manovre di corda) ha segnato negli ultimi tempi un grandissimo progresso, in particolar modo per opera degli arrampicatori bavaresi del Kaisergebirge e dei "dolomitisti" italiani. Già negli anni precedenti la guerra mondiale avevano trovato nuovi sistemi di arrampicata e di assicurazione la guida Hans Fiechtl e l'alpinista Hans Dülfer. Nel dopoguerra la cosiddetta "scuola di Monaco" sviluppò ulteriormente le scoperte del Fiechtl e del Dülfer e gli arrampicatori monachesi si affermarono vittoriosamente scalando le inviolate pareti settentrionali della Furchetta, del Pelmo e del Civetta, risolvendo problemi che non si ritenevano di possibile soluzione. Gli arrampicatori dolomitici italiani, negli anni fra il 1925 e il 1929 s'impadronirono della nuova tecnica bavarese e la migliorarono, ottenendo poi mirabili risultati, fra cui eccellono, dal lato tecnico, le recenti prime salite delle pareti Nord della Cima Grande di Lavaredo (A. e G. Dimai ed E. Comici, 1933) e della vicina Cima Ovest (R. Cassin e V. Ratti, 1935); dello spigolo Nord della Cima Piccola di Lavaredo (E. Comici e P. Marzorana, 1936); della parete Sud-Ovest della Marmolada (G. Soldà e U. Conforto, 1936): oltre a una serie di salite di "sesto grado" nel gruppo del Civetta. Di questi arrampicatori italiani è caratteristica la cosiddetta assicurazione "a forbice", cioè con due corde assicurate a una doppia serie di chiodi, e il modo di superare strapiombi anche molto pronunziati per mezzo di chiodi e moschettoni, nonché l'uso frequente di "staffe" di corda e traversate in parete "alla Dülfer".
Nelle Alpi Occidentali la tecnica di roccia, dopo una notevolissima impresa compiuta fino dai tempi dell'alpinismo classico dalla guida valdostana Jean-Joseph Maquignaz con la conquista del Dente del Gigante (1882), usando chiodi sia come assicurazione, sia come mezzo di salita, era poi rimasta a un livello pressoché stazionario, per quanto si riferisce all'impiego di mezzi tecnici, fino all'immediato dopoguerra. Nel dopoguerra i più frequenti contatti fra "dolomitisti" e "occidentalisti" giovarono indubbiamente al progredire della tecnica nelle Alpi Occidentali, dove sono state realizzate negli ultimi anni imprese di pura roccia che nulla hanno da invidiare, in quanto alla tecnica più raffinata, alle maggiori salite su roccia calcarea e dolomitica (pareti Ovest dell'Aiguille Noire de Peuterey e Est dell'Aiguille de La Brenva: G. Boccalatte e N. Pietrasanta, 1935); direttissima Sud alla Punta Bich dell'Aiguille Noire de Peuterey (alpini Sandri, Chiara, Perenni e Stinico, 1937); parete NE. del Pizzo Badile (R. Cassin, V. Ratti, L. Esposito; morti M. Molteni e G. Valsecchi, 1937). Un cenno speciale merita l'ascensione alle Grandes Jorasses per la parete Nord, scalata per la prima volta, dopo una serie di tentativi protrattisi per diversi anni, dai tedeschi R. Peters e M. Mayer (27-28 giugno 1935).
Al progredire della tecnica di roccia si riconnette il problema della classificazione della difficoltà. Già nella guida del Kaisergebirge del monachese G. Leuchs, nelle edizioni del 1903 e del 1911, si proponeva l'istituzione di una "scala" di difficoltà, con la ripartizione di tutte le arrampicate in cinque categorie, cioè gradi di difficoltà, così designati: I. facile, II. mediocremente difficile, III. difficile, IV. molto difficile, V. estremamente difficile, precisando il valore di ogni grado con esempî tipici. Tale classificazione ebbe poi notevoli emendamenti da K. Plank e Hans Dülfer, e infine da W. Welzenbach, che nel 1925 presentò la nuova scala delle difficoltà, aggiungendo un altro grado ai cinque già noti, per rappresentare l'estremo progresso dell'arrampicamento, e ottenendo così la seguente progressione.
Primo grado - designazione: facile; segna l'inizio dell'arrampicamento.
Secondo grado - designazione: mediocremente difficile; segna il passaggio fra il facile il difficile, formando una classe media.
Terzo grado - designazione: difficile; nelle arrampicate di tale grado l'uso delle pedule diventa indispensabile.
Quarto grado - designazione: molto difficile; è normale in tali scalate l'uso di chiodi d'assicurazione e di corde doppie in discesa: esse presentano già carattere "accademico".
Quinto grado - designazione: oltremodo difficile; in tali scalate l'uso dei chiodi incomincia a diventare necessario anche per i migliori arrampicatori.
Sesto grado - designazione: estremamente difficile; rappresenta il limite dell'umanamente possibile, l'estremo della difficoltà.
Tale classificazione, formulata dapprima unicamente per le montagne calcaree e dolomitiche, è stata, non senza contrasti e vive discussioni, applicata anche alle salite occidentali di pura roccia, considerate nelle loro migliori condizioni e indipendentemente da qualsiasi altro fattore (altezza, lunghezza della marcia di avvicinamento, ecc.), che non sia la pura difficoltà tecnica. Secondo alcuni autorevoli occidentalisti una classificazione delle scalate occidentali dovrebbe invece tener conto non solo delle difficoltà opposte da singoli passaggi, ma anche, ed essenzialmente, della lunghezza di esse e dell'insieme di tutte le difficoltà che s'incontrano: marcia di avvicinamento notturna, ghiacciaio e crepaccio terminale in cattive condizioni, esposizione, altitudine e condizioni atmosferiche, presenza di rifugi comodi nelle vicinanze.
Il grande perfezionamento della tecnica e la graduazione delle difficoltà hanno indubbiamente contribuito all'incremento straordinario preso dall'alpinismo in questi ultimi tempi, sia nelle Alpi Orientali sia in quelle Occidentali: resta a domandarsi se con l'avvento della tecnica ad oltranza e della fredda, obiettiva e impersonale valutazione della difficoltà, l'arrampicatore non venga a perdere gran parte della sua spiritualità, diventando un puro ginnasta. Inoltre è da discutere se l'uso di chiodi e d'altri simili mezzi artificiali, che, se non altro, aiutano l'arrampicatore, sia compatibile con l'alpinismo inteso nel suo senso più puro e classico: lotta dell'uomo con la montagna, dell'uomo con i suoi soli mezzi fisici e non, come sta diventando di moda, con l'aiuto talvolta essenziale di mezzi tecnici.
Sul ghiaccio. - Alla moderna tecnica di ghiaccio basata essenzialmente sull'uso dei ramponi (p. 664) ha portato un notevole cambiamento l'invenzione (1928) dei ramponi Grivel a 12 punte. Il "12 punte" Grivel si scosta dal rampone Eckenstein a 10 punte per l'ardita innovazione di due punte anteriori, le quali consentono di salire mantenendo i piedi pressoché perpendicolari al pendio, cioè nella loro posizione normale, senza esigere un grande sforzo delle caviglie, mentre invece col vecchio rampone Eckenstein era assolutamente necessario mantenere i piedi paralleli al pendio, perché tutte le punte potessero mordere contemporaneamente. I ramponi Grivel a 12 punte hanno instaurato una nuova tecnica dei ramponi, ma per attuarla è necessario conoscere già bene anche la tecnica degli Eckenstein a 10 punte.
Inoltre gli arrampicatori bavaresi e taluni occidentalisti hanno adattato alle salite di ghiaccio la più moderna tecnica di roccia, con largo impiego di chiodi di assicurazione, staffe e manovre di corda (il chiodo da ghiaccio è alquanto diverso da quello da roccia, ma l'impiego è identico), rendendo possibile in questo modo la scalata di brevi tratti di ghiaccio anche assolutamente verticali, cosa che in passato non era neppure tentabile col solo ausilio della piccozza.
Le guide (p. 665). - Nel 1888 le sezioni del C.A.I. comprese nella zona delle Alpi Occidentali costituivano per la prima volta in Italia un Consorzio per l'arruolamento di guide e portatori, fissando norme di servizio uniformi e tariffe per le singole ascensioni. Attualmente l'organizzazione e l'inquadramento delle guide alpine sono affidati al Consorzio nazionale delle guide e portatori del C.A.I., sorto in sostituzione del surricordato Consorzio intersezionale e delle associazioni locali, precedentemente costituite nelle varie regioni di montagna.
Le guide, anche per quanto riguarda gl'interessi di categoria, dipendono unicamente dal Consorzio, poiché, con decreto ministeriale 25 marzo 1931, il ministro delle Corporazioni ha stabilito che le guide e i portatori non possano far parte di associazioni sindacali di lavoratori. Il Consorzio nazionale è retto dallo statuto emanato dal presidente del C.A.I. in data 1° gennaio 1931 e ha per scopo di elevare, materialmente e moralmente, l'attrezzatura fisica e intellettuale del corpo delle guide, proponendosi di: a) curare l'istruzione professionale degli aspiranti, guide e portatori, e controllare l'integrità morale e fisica di coloro che già esercitano; b) nominare le guide e i portatori; c) provvedere all'assicurazione contro gl'infortunî; d) vidimare, annualmente, i libretti professionali; e) verificare, pure annualmente, l'equipaggiamento e l'attrezzatura in modo da prevenire qualsiasi disgrazia derivante dall'uso di corde e ramponi logori o non efficienti, ecc.; f) escludere o espellere dal corpo quelle guide o quei portatori che siano venuti meno ai doveri loro imposti dal regolamento; g) assegnare sussidî e pensioni vitalizie a coloro che non possono più esercitare; h) assegnare premî speciali in favore di quelle guide e di quei portatori che se ne siano resi meritevoli per speciali benemerenze acquisite nell'esercizio delle loro funzioni; i) stabilire le tariffe, in base alle esigenze dei varî gruppi di montagne (art. 4 statuto del consorzio). Per esercitare la loro professione, le guide debbono altresì essere munite di speciale licenza dell'autorità di P. S., licenza la cui concessione è subordinata all'accertamento dell'idoneità tecnica dell'aspirante da parte di apposita commissione. Mercé la più stretta collaborazione fra C.A.I. e truppe alpine attuatasi con la nomina del presidente militare del C.A.I. (1936), si sono potuti finalmente realizzare presso la Scuola centrale militare di alpinismo quei corsi teorico-pratici per guide e portatori che erano stati per lunghi anni vana aspirazione del Consorzio guide. Il primo corso, svoltosi nel giugno 1936 a Prarayé (Valpelline), si è conchiuso con una brillantissima traversata di reparto della catena delle Grandes Murailles; durante il secondo (maggio-giugno 1937, al Lavachy in val Ferret) vennero salite le Grandes Jorasses, l'Aiguille de Leschaux il Colle des Hirondelles, compiendosi, infine, durante l'esercitazione tattica di chiusura, la 2ª traversata della Brèche des Monts Rouges (Triolet-Pré de Bard) per parte di un intero plotone e di notte.
Bibl.: Adunata e congresso del C.A.I., a Bolzano, in Riv. mens. C.A.I. L (1931), pp. 657-704 (novembre); D. Rudatis, La valutazione delle difficoltà, in Annuario C.A.A.I., 1927-31, p. 77 segg.; id., varî articoli in Sport fascista, 1930-31-32; E.G. Lammer, La fontana di giovinezza, trad. it., Milano 1932, voll. 2; F. Germonio, A proposito delle tendenze nuove in alpinismo, in Riv. mens. C.A.I., LII (1933); G. Mazzotti, La montagna presa in giro, 2ª ed., Milano 1933; R. Chabod e G. Gervasutti, Alpinismo, Roma 1935; A. Bonacossa, Guida Masino-Bregaglia-Disgrazia, Milano 1936.