Alt'amar
Isoletta presso la sponda sud-est del lago Van (Turchia orientale), nell'antica regione del Vaspurakan. Il principale insediamento storico (preceduto da altri meno noti) fu quello voluto dal principe Xač῾ ik-Gagik Arcruni (870 ca.-937; dal 908 re del Vaspurakan) nel travagliato periodo che vide i continui tentativi di predominio sull'Armenia occidentale sia da parte degli emiri musulmani della regione, ormai semindipendenti dal califfato, sia da parte dell'ancora stabile e vitale impero bizantino. L'isola, che ospitò la residenza reale e, dal 928, anche la sede del patriarcato, divenne allora uno dei centri più importanti dell'intero territorio, punto di incontro dei letterati e degli artisti richiamati dal mecenatismo del sovrano.
La chiesa, dedicata alla santa Croce (Surb Xač῾, in armeno), circondata in origine da altre costruzioni di cui non rimane quasi traccia e alle quali si sono sovrapposti edifici molto più recenti, resta nella sua integrità uno straordinario esempio non solo di architettura, ma anche di scultura e di pittura, fuse in un insieme unitario, unico nel contesto armeno. L'architetto Manuel, incaricato da Xač῾ ik-Gagik, scelse per questa cappella palatina una tipologia la cui matrice originaria (il problema non è però senza contrastanti interpretazioni) risale alla chiesa della Santa Croce di Albak, identificata nel Santo Eǰmiacin (Discesa dell'Unigenito) di Soradir (a S-E di Van). Si tratta di un organismo centrale a croce, cupolato, quadriabsidato e dotato di due ambienti anch'essi absidati, con precise funzioni liturgiche, ai lati della conca orientale; l'asse E-O risulta alquanto allungato per la presenza di due ridotti bracci voltati, anteposti alle due absidi. La cupola, sorretta da un tamburo quasi circolare, è impostata sul vano quadrato centrale, i cui spigoli sono smussati dall'inserzione di nicchie angolari cilindriche. Esternamente l'edificio, saldo nella sua struttura muraria in blocchi di pietra squadrati, rivela solo parzialmente l'impostazione volumetrica interna: le due conche dell'asse N-S fuoriescono in forma poligonale dai rispettivi prospetti, mentre il braccio ovest occulta l'abside dietro a una facciata rettilinea e la complessa zona presbiteriale viene raccordata da un prospetto su piano frontale unico. L'articolato volume di base, coperto da una serie di tetti a due spioventi e inciso da due coppie di alte nicchie nei prospetti ovest ed est, è dominato da un tamburo di sedici lati, sormontato da un'alta copertura cuspidata.
L'elemento caratterizzante della costruzione, al di là del suo innegabile valore architettonico, è costituito dalla straordinaria decorazione scolpita sull'intera superficie esterna. I paramenti murari (contrariamente a quanto in genere avviene nelle chiese armene, solo parcamente ornate da rilievi di ridotte dimensioni e da cornici scolpite sopra le finestre) dispiegano qui un'incomparabile raccolta di figure e motivi. I quattro prospetti risultano impaginati in modo omogeneo e paratattico: gli Evangelisti, posti immediatamente sotto la cuspide, sovrastano le facciate; due fasce, diverse tra loro per proporzioni e per stile, entrambe con immagini quasi esclusivamente zoomorfe, corrono pressoché parallele lungo tutte le articolazioni del volume; figure di animali isolati, scolpite ad altorilievo, scandiscono lo spazio tra la fascia più decorata e le scene inferiori di maggior significato; immagini di Cristo, della Madonna e di santi si alternano, solo sulle pareti nord e sud, a episodi biblici (il Peccato originale, il Sacrificio di Isacco, il Duello tra Davide e Golia, la Storia di Giona, Daniele nella fossa dei leoni, Sansone che uccide un filisteo) e sono accostate a ritratti del re Xač῾ ik-Gagik e di altri personaggi coevi, oltre che a composizioni di animali, anche fantastici, in lotta tra loro; una terza fascia con motivi fitomorfici chiude in basso tutta la composizione. Databile con precisione in base ai testi degli storici coevi, il ciclo scultoreo è stato oggetto di diversi studi iconografici comparativi, che ne hanno sottolineato da un lato le componenti iraniche e centroasiatiche nonché i parallelismi con la produzione aulica abbaside, dall'altro il possibile ruolo di veicolo verso Occidente di programmi decorativi di matrice orientale, di fatto diffusi nel Romanico europeo.
Le pareti interne della chiesa, interamente coperte da un monumentale ciclo di affreschi (fatto anch'esso raro nell'ambito della produzione armena medievale), conservano in gran parte la decorazione pittorica originale. I soggetti disposti a formare un fregio continuo su tre registri, in chiaro parallelismo con le sculture esterne, sono tratti dal Nuovo Testamento (salvo alcune scene veterotestamentarie teologicamente connesse), ma comprendono anche ritratti di vescovi. Le figure, di uno stile severo e ieratico, sono imponenti per dimensioni; la composizione, anche nelle scene più drammatiche, risulta priva di movimento e plasticità.
Resta da segnalare la presenza di una loggia reale (oggi crollata) nella conca meridionale, connessa forse con il distrutto palazzo di Xač῾ ik-Gagik; di due cappelle del sec. 14° cui si accede dall'abside nord; di una sorta di nartece (in armeno gavit῾) del sec. 18°, anteposto al lato ovest; di un portico-campanile con funzione di ingresso da S, aggiunto nel 19° secolo.
Delle altre costruzioni annesse alla cappella palatina, poi trasformata in chiesa conventuale (residenze dei monaci, ambienti comuni, edifici di culto), oggi per lo più allo stato di rudere, resta solo la semidistrutta chiesetta di S. Stefano, risalente al 13° secolo.
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