ALTARE (lat. altare, ara; fr. autel; sp. altar; ted. Altar; ingl. altar)
Nel culto, l'altare ha una posizione centrale, come mezzo per presentare le offerte alla divinità e, nella religione cristiana, come luogo destinato alla celebrazione della messa. Vero è che in una religione naturistica si può fare a meno dell'altare, potendo le offerte essere portate immediatamente a destinazione: così le vittime umane offerte in sacrificio ai vulcani sono gettate nel cratere (Nicaragua); i veneratori di divinità acquatiche fanno scorrere nell'acqua il sangue delle vittime ad esse offerte; quelli che adorano divinità risiedenti negli alberi e nelle pietre sacre, hanno per costume di appendere i doni ai rami dell'albero, di fare le libazioni del vino e le unzioni dell'olio sulla pietra medesima (cfr. Genesi, XXVIII, 18). In tutti questi casi il vulcano, la fonte, l'albero e la pietra non si devono considerare, come alcuni fanno, quali altari, ma piuttosto come residenza del nume a cui il culto è indirizzato. La necessità dell'altare sorge quando l'oggetto sacro, rappresentante del nume, si trova ad una certa distanza dall'offerente e dall'offerta, ovvero quando la divinità è considerata come presente solo idealmente. Ora, siccome alla divinità sono state sempre offerte le cose che comunemente si offrono agli uomini per i loro bisogni, ma in ispecie cibi e bevande, l'altare è stato propriamente considerato come la "mensa di Dio", e pertanto ha subito nel corso dei tempi le stesse variazioni, per la materia e la forma, a cui è andata soggetta la mensa comune o profana.
Nel Mondo Orientale. - Dal costume di mangiare in terra sopra una stuoia o sopra una pietra, giacendo o sedendo accoccolati sulle calcagna, sono derivate le forme più antiche di altare. Presso gli Egiziani, le tavole di pietra (hotep) sono state trovate in gran numero nelle tombe. Sono di forma quadrata, con una sporgenza parimenti quadra da un lato, e recano incisa la stuoia con sopra raffigurati pani e piccoli vasi; ovvero hanno u̇n incavo per i liquidi. Dal secondo tipo provengono gli altari trovati negli strati più bassi e perciò più antichi delle città cananee Megiddo e Taanach, consistenti in una semplice roccia, nella quale sono stati scavati dei buchi per l'offerta delle bevande. Alla semplice pietra si dovette ricorrere, anche in tempi posteriori, tutte le volte che sorgeva improvviso il bisogno di sacrificare, come dimostra la storia dei sacrifici di Giosuè e di Manoah, raccontata nel libro dei Giudici (VI, 20; XIII, 19).
Ma quando si è preferito di mangiare seduti ad una mensa distaccata e alzata dal terreno, anche gli altari hanno preso forma di tavola, consistente in un piano di legno (più raramente di terracotta o di pietra) quadrato o anche circolare (in tal caso spesso leggermente incavato come un piatto), sostenuto da un piede nel mezzo o da quattro piedi disposti ai quattro angoli. Naturalmente le dimensioni dell'altezza e della superficie erano varie, non mai però molto grandi; perché l'altare, come la tavola, era fatto per disporvi sopra i cibi - carne, pane e frutta, talora insieme con fiori e incenso - accatastati l'uno sull'altro, e le bevande, contenute in una coppa o in una piccola anfora, e per essere all'occasione trasportato. Le bevande potevano anche essere poste vicino alla mensa, in un vaso sorretto da un sostegno di legno; anzi presso i Babilonesi questo era una specie di altare, perché nel vaso si ponevano delle frutta con un ramo di palma e qualche fiore, allo scopo di ottenere dalla divinità la fertilità dei campi e dei giardini. Inoltre a Babilonia, diversamente dall'Egitto e dall'Assiria, era in uso invece della tavola un banco rettangolare, di legno o di terracotta o di foglie di palma, alto almeno il doppio della larghezza, che per lo più terminava in un rialzo a forma di gradino ugualmente largo. La spiegazione più naturale sembra esser quella che siffatto altare servisse per esporre sui due piani distinti i cibi e le bevande destinate agli dei. Con questa si può confrontare la forma di trono, come la chiama il Reichel, che hanno preso alcuni altari della Grecia antichissima, scavati nella rupe. Nella Cananea e nella Fenicia (e anche nel regno degli Ittiti, come hanno mostrato gli ultimi scavi di Boghazköi) sopra un banco di pietra piuttosto basso si ponevano due o più stele sacre (maṣṣebhüth) quali simboli della presenza del nume. La tavola dei pani di proposizione nel tempio di Gerusalemme era fatta a guisa degli altari a tavola dell'Assiria. Queste in conclusione erano le forme più comuni di altare per imbandire le offerte.
Allorché però s'introdusse e prevalse l'uso di consumare le offerte e le vittime per mezzo del fuoco, era naturale che si cominciasse a fare l'altare di materie più stabili e di forme più ampie, perché servisse non più da semplice tavola, ma da forno crematorio per lo più fisso in un luogo determinato (in ebr. mizbeaḥ) Anche per questo si ricorse da principio a blocchi di pietra, squadrati in forma di dado, come sono gli altari che in mezzo alle rovine di Petra hanno sopravvissuto fino a noi (Dalman, Petra, 1908). Così, un altare scavato nella rupe stava innanzi alla caverna dell'Ida a Creta. Di proporzioni molto più modeste e talora anche portatili, sono gli altari a corni, che hanno, cioè, dei rialzi ai quattro angoli a forma di corno, proprî della Cananea; anche gli Ebrei parlano spesso dei "corni dell'altare" che consideravano come la parte più santa di esso (Esodo, XXVII, 2; XXIX, 12; XXX, 10, ecc.). Da ciò il Gressmann è stato indotto a credere che in origine i corni siano stati le stele sacre che, come abbiamo detto, si ponevano talora sopra l'altare, e il Galling che esse siano state trasportate ai quattro angoli, appunto per lasciar libero lo spazio di mezzo, quando si è cominciato ad incendiare le parti delle vittime poste sull'altare. Un caso consimile, ma forse di origine diversa, è quello degli altari dell'epoca minoica a Creta, i quali terminano alle estremità superiori in forma di corna molto spiccate, detti dagli archeologi "corna di consacrazione". Ma l'altare degli olocausti più facile a farsi, e più adatto ad alimentare la fiamma, era quello che consisteva in un mucchio di sassi. La legge dell'Esodo (XX, 25) ingiungeva che l'altare si costruisse con pietre non lavorate ma rozze, il che fa supporre che di già all'antico uso di un semplice ammasso di sassi si cominciasse a sostituire una regolare costruzione in muratura di pietre o di mattoni, la quale finì col prevalere. La stessa legge dell'Esodo (XX, 26), proibiva ancora di salire per mezzo di gradini all'altare; il che di nuovo presuppone che nella Palestina e altrove fossero già in uso gli altari di pietra a gradini. E in realtà troviamo in Egitto al tempo di Amenofi IV disegni di altari con gradini, quando ancora l'altare serviva semplicemente per l'esposizione delle vivande. Essi dovettero molto più crescere di numero, quando acquistarono proporzioni più grandi, per servire alla combustione delle vittime. Molti ne sono stati trovati a Petra, uno di là del Giordano, e alcuni pochi nella Frigia.
Come materiale, alla pietra è stato sostituito talvolta il metallo: così Salomone nel suo tempio a Gerusalemme fece di bronzo l'altare per gli olocausti; al quale il re Ahaz ne sostituì un altro parimenti di bronzo, a gradini, fatto sopra un disegno preso a Damasco (IV Re, XVI, 10 segg.), e lo pose nel mezzo dell'atrio, cioè sopra la grande pietra (arabo aṣ-ṣakhrah), che aveva servito a Salomone come altare pei sacrifici nella sagra del tempio, e forse anche prima di luí era stato un altare famoso.
Tra le offerte vi erano anche i profumi, che però si bruciavano, come mostrano i monumenti egiziani, in un piccolo strumento a mano sul quale erano posti carboni accesi. Ma in Assiria, dove si abbruciavano legni odorosi,, si adoperava a questo scopo uno strumento di metallo, fatto a guisa di candelabro, che si poneva sul terreno innanzi alla divinità o al suo simbolo, spesso vicino alla tavola dei sacrifici. L'uso di questi altari per i profumi (ϑιμιατήρια) s'è poi propagato anche nei paesi vicini, come nella Cananea (scavi di Megiddo e di Taanach) e a Gerusalemme, dove, al tempo della penetrazione dei numi assiri, si offrivano loro i profumi sopra i tetti delle case (Geremia, XIX, 4; XXXII, 29). Quanto al ϑιμιατήριον del secondo tempio, la sua forma ci è stata conservata nel bassorilievo dell'arco trionfale di Tito.
Gli altari, di qualunque materia e forma fossero, dovendo servire di strumento per i sacrifici e le offerte, naturalmente erano posti nei luoghi destinati al culto e principalmente al culto pubblico. E poiché nelle età più antiche il culto non era reso nei tempî, ma comunemente all'aperto, così anche gli altari erano costruiti, senza alcuna relazione a un tempio, qua e là, dovunque il divino si credeva presente: sulle alture, in mezzo ai boschi, alla sorgente dei fiumi, ecc., o anche in cavità sotterranee, quando erano destinati al culto di una divinità ctonia o di qualche personaggio defunto. Così, nelle parti più antiche dei poemi omerici, tutt'al più si parla del sacro recinto (τέμενος), in mezzo al quale l'altare era posto. Anche per la Bibbia, il culto nel Tempio comincia con Salomone; prima, e in molti luoghi anche dopo, l'altare sorgeva sulle alture sacre, sotto un albero e vicino a una fontana. Ma quando alla divinità si volle dare un'abitazione materiale, simile a quella dei grandi di questa terra, naturalmente l'altare entrò a farne parte, posto nell'interno, se doveva servire per la semplice presentazione delle offerte o per l'incenso, ovvero all'esterno, eventualmente in mezzo all'atrio, se doveva servire per bruciare le vittime nei sacrifici.
Probabilmente questa seconda forma di culto pubblico fu preceduta da una forma consimile di culto privato agli dei domestici. Essi prendevano parte alla mensa comune della famiglia; per rispetto, però, comunemente veniva loro preparata in disparte una tavola speciale; ma allorché si cominciò ad abbruciare i cibi loro offerti insieme con l'incenso, fu necessario trasportare l'altare all'aperto.
L'altare, come luogo frequentato dal dio, fu costruito talvolta precisamente per attirare la presenza della divinità. Così i Greci costruivano altari a Zeus ai confini dello stato, perché egli vi venisse e vi rimanesse a fare buona guardia. Dopo la riforma del re Giosia (621 a. C.), gli Ebrei riconobbero il solo altare del Tempio di Gerusalemme come buono per sacrificarvi; ma ammettevano che si potesse costruire anche altrove un altare, purché fosse soltanto segno di un patto, affidato alla custodia di Dio ivi presente (cfr. Giosuè, XXII, 28 seg.).
Nel zoroastrismo (v.) al culto del fuoco erano consacrati altari all'aperto di cui rimangono non rari ruderi nell'altipiano iranico. Due di questi altari (ātaè-gāh) si trovano a Naqsh-i Rustem a sinistra della necropoli; sono ricavati nella roccia, ed hanno forma quadrangolare più larga in basso che in alto; la parte superiore è costituita da un piano quadrato circondato da merli triangolari. A Pasargadae in prossimità della tomba di Ciro vi sono due zoccoli monolitici quadrati, vuoti all'interno, che hanno servito, pare, come base a due altari del fuoco.
L'altare in Grecia e a Roma. - Anche fuori del mondo orientale già per il periodo neolitico in varie contrade di Europa furono ritrovate pietre di diversa grandezza che presentano nella parte superiore un incavo a forma di coppa: in esse si deve riconoscere una delle primitive forme di altare. Allo stesso scopo servivano le grandi coppe di pietra o terracotta, forse poggiate su un sostegno di legno, delle quali due sono uscite dagli scavi del secondo strato di Troia. Un altare si è riconosciuto in un blocco squadrato con due incavi nella parte superiore, trovato nello strato neolitico della grotta, detta il Tamaccio, in Etruria. Nel periodo del bronzo, quando nel bacino dell'Egeo fiorisce la civiltà cretese-micenea, le testimonianze sono molto più numerose: questa civiltà, come si è visto, non conobbe il tempio. Nell'inno omerico ad Afrodite (Hymn. Homer., IV, v. 30) è detto che la divinità protettrice della famiglia (‛Ιστίη) aveva il suo posto al centro della casa (ἐν μέσῳ οἴκῳ). Nelle sale (μέγαρα) dei palazzi micenei v'è il focolare; esso deve considerarsi anche come altare per l'intima connessione che lega all'origine l'altare ed il focolare domestico: la divinità partecipava ai banchetti, e il cibo le giungeva per mezzo del fuoco e del fumo. Nel cortile dei palazzi omerici sorgeva l'altare (Il., XI, 773; Odyss.. XXII, 334): due vennero trovati in Cnosso (Creta) nel cortile ovest del grande palazzo; un altro, formato in origine da una cavità circolare con pietre all'intorno, più tardi incorporata in un rettangolo di muratura, sorgeva nel cortile centrale del palazzo di Tirinto; e altari erano dinnanzi alle case private di Micene. Ma l'altare, in questa civiltà, non è riservato al solo culto divino. Esso è anche destinato a quello dei morti: tale è la costruzione circolare della IV tomba del recinto funerario di Micene. Né queste forme in muratura sono le sole a noi note per questo periodo: così le tavole di libazioni, sorrette da tre o quattro colonnine con un sostegno più grande, al centro, talvolta anche senza piede (tavola di Festo). La scena di un sarcofago, trovato ad Haghia Triada in Creta, col sacrificio del toro, mostra che queste tavole erano adoperate anche pei sacrifici cruenti: il toro legato e già sgozzato è disteso sulla tavola, mentre la sacerdotessa liba dinnanzi ad un altare a forma di dado. Alle cosiddette "corna di consacrazione" si è accennato. Esse coronano spesso gli altari: s'incontrano in alcune brattee auree di Micene, nelle quali si può riconoscere la rappresentazione schematica di un altare e nelle analoghe rappresentazioni degli affreschi di Cnosso. Un'altra forma di tali monumenti che s'incontra con frequenza nella civiltà cretese-micenea, è quella costituita da due plinti separati da un'ampia gola, come nel rilievo della Porta dei leoni a Micene. Anche in Italia nel periodo del bronżo, a Cannatello in Sicilia, vennero trovate tavole di libazioni di argilla; così a Malta (Hagiarkim) ne furono trovate altre in pietra; e altari e tavole di libazioni, per quanto siano ridotte alla più semplice forma di una pietra bene squadrata senza piede, sono noti alla civiltà protosarda (Serri).
La civiltà classica eredita in parte le forme dell'altare da quelle della civiltà cretese-micenea. L'altare nella tradizione letteraria è designato con varî nomi: βωμός, ἐσχάρα, ἑστία, ϑυμέλη in greco, e in latino ara, altaria (raro il singolare altare), focus. Una forma speciale, cioè le tavole per le sacre offerte, designavano le parole τράπεξα e mensa. Ma, ad eccezione di questi due ultimi termini che hanno un significato ben chiaro, non è possibile stabilire alcuna distinzione tra questi varî nomi. Si può solo affermare che βωμος, almeno nell'originario significato, era il termine comune a tutti gli altari per poco che fossero elevati dal suolo, e ad esso corrisponde il latino altaria; mentre ἐσχάρα, ἑστία, focus sono connessi al concetto di focolare, il luogo dove bruciava il fuoco, e per i bisogni domestici e per quelli del culto.
Come nella civiltà precedente, nei tempi storici al centro della casa, nel cortile, sorgeva l'altare dedicato a Zeus ‛Εγλεῖος. Gli dei protettori della casa e quelli di cui s'invocava la protezione, avevano il loro altare (Eurip., Alcm., v. 170, Schol.; Aristoph., Plut., v. 395). Analogamente avveniva per le associazioni delle famiglie, le fratrie. Con la civiltà greca, con le nuove istituzioni politiche e religiose, sorge, nel prytaneion, l'altare comune della città (κοινὴ ἑστία τής πόλευς), dove bruciava il fuoco continuamente. Altari erano in altri luoghi pubblici: nel buleuterion, nella palestra, nel ginnasio, nell'agorà (celebre quello dei dodici dei nell'agorà di Atene, dedicato dai Pisistratidi), e anche nello stadio e nell'ippodromo. Un altare a Dioniso sorgeva nell'orchestra del teatro greco: era detto probabilmente ϑυμρλη, per quanto il significato esatto della parola, connessa con ϑυω, sacrificare, sia tutt'altro che sicuro. Fin da tempo molto antico (Hesiod., Theog., v. 5), l'altare era posto in luoghi aperti, in recinti sacri agli dei; accanto a quello dedicato alla divinità principale, ne sorgevano altri, dedicati ad altre divinità: così sull'acropoli di Atene, recinto sacro di Atena, v'è quello di Ζεὺς πολιεύς. Col progredire della civiltà greca, il numero degli altari aumenta: nella sola Atene nel quarto secolo raggiungono quasi il centinaio, e nell'epoca ellenistica si nota un aumento anche maggiore, parallelo all'abbandono dei vecchi culti e al sorgere di nuovi.
Evoluzione simile, per quanto è possibile congetturare data la mancanza di fonti letterarie e, in parte, di monumentali, è da supporre per l'altare italico. Uno molto simile a quello di Tirinto fu trovato sull'acropoli di Marzabotto e un altro ancora a Vignanello. Nell'età repubblicana, in Roma e in altre città, numerosi erano gli altari: nell'età imperiale, il numero di essi crebbe e per i nuovi culti e per quello degl'imperatori. Come in Grecia, tutti i luoghi pubblici avevano un altare, alcuni erano dedicati ai Lares nell'atrio delle case o nelle immediate vicinanze di esso agl'incroci delle vie sorgevano quelli dedicati ai Lares compitales. Spesso nelle tombe vi è l'altare, oppure la pietra sepolcrale o l'urna ha tale forma: e ciò è da mettere in relazione con la divinizzazione del defunto, per quanto l'iscrizione dis manibus o dis inferis, che questi altari presentano, possa indurre a ritenere piuttosto che essi siano dedicati alle divinità del mondo sotterraneo. L'usanza è derivata dagli Etruschi.
In intima connessione col tempio è l'altare in tutto il periodo classico: non è concepibile un tempio dinnanzi al cui pronao manchi l'altare, il βωμὸς πρόξαος (Aeschil., Suppl., v. 493). Esso è posto sulla continuazione dell'asse del tempio, e, dove non ha eguale orientazione, bisogna pensare a costruzioni di età differente. Nel tempio romano, di tipo italico, costruito sopra un alto podio, l'altare è sulla scala di accesso o su una larga piattaforma alla metà di essa (tempio di Giove a Pompei), oppure alquanto più in basso (tempio della Fortuna Augusta a Pompei).
L'altare è in genere orientato (Vitruv., IV, 9: arae spectent ad orientem). Non mancano però esempî deroganti a tale legge. Nei primi tempi esso è dedicato a una o più divinità, come l'altare di Olimpia dedicato a tutti gli dei (Paus., V, 15,1) o al morto divinizzato. Più tardi, e l'uso non è raro al tempo dei successori di Alessandro, s'innalzarono altari a re e principi.
Nella concezione originaria degli antichi l'altare era destinato a sorreggere i doni per il dio o a servire da sostegno pel fuoco. Oltre alla τράπεξα o mensa, in cui tale concetto è ancora più accentuato, vanno distinti altri tipi di altari, che però quanto alla forma si possono tutti più o meno riportare alle due più comuni, quella circolare e quella quadrilatera, che sono proprie anche della civiltà cretese-micenea. Differenza sostanziale si dovrebbe trovare fra gli altari destinati a sacrifici, nei quali la vittima era prima sgozzata e poi bruciata, e quelli che servivano pei sacrifici incruenti: ma ciò non è possibile, poiché la forma dell'altare non è stata, forse, mai connessa ad una maniera determinata di sacrificio. Si è fatta l'ipotesi che l'altare rettangolare greco, elevato su due o più gradini, sia derivato dal trono innalzato alla divinità che, invisibile agli occhi di coloro che compivano il sacrificio, assisteva ad esso, mentre l'altare, che serviva da sostegno pel fuoco, doveva esser naturalmente rotondo: i due tipi poi sarebbero stati adoperati senza distinzione, quando, sparito il concetto della divinità invisibile, nel tempio si ebbe l'immagine del culto. Tale evoluzione non è però dimostrabile. I primitivi altari furono costituiti da zolle di terreno: e tale forma si mantenne nelle arae gramineae e cespiticiae, che a lungo durarono nel culto romano per le divinità campestri. Anche un masso più o meno squadrato poté servire come altare: così dinnanzi all'antro di Zeus sul monte Ida a Creta e sulla Pnice ad Atene. Oppure l'altare è formato da un mucchio di pietre: tale era l'altare della grotta di Apollo sul versante N. dell'Acropoli d'Atene, e questo tipo è riprodotto in monumenti di età greca e romana. Sugli altari, in cui per mezzo del fuoco si compiva l'offerta alla divinità, venivano lasciati i resti del sacrificio, di maniera che si formavano dei veri altari di ceneri o di avanzi degli animali uccisi. Di questo tipo erano l'altare di Zeus ad Olimpia (Paus., V, 13, 5), quello di Apollo a Delo, il κεράτινος βωμός, che si diceva formato dalle corna degli animali uccisi dalla sorella Artemide (Callim., Hymn. Apoll., 61 seg.).
L'altare, che del resto fin dalle origini aveva avuto una vera e propria costituzione architettonica, si arricchisce nel tempo tanto nella forma quanto nella decorazione. Dapprima esso ha la forma di un parallelepipedo, il cui nucleo centrale, costituito da terra o da piccole pietre, è ricoperto di uno strato d'intonaco, ma già nel sesto secolo si trovano altari formati da blocchi perfettamente squadrati, sia che si tratti di piccoli blocchi esattamente distinti, sia che l'altare risulti formato da un solo blocco di pietra esattamente squadrato.
Quando poi si diffuse l'uso del marmo nella costruzione, l'altare venne in un primo momento rivestito di lastre marmoree e poi costruito interamente di questo materiale. Uno dei più antichi altari rivestiti di lastre marmoree è quello del Pythion d'Atene, dedicato nel tempo dei Pisistratidi. Di rado l'altare presenta nella parte superiore la forma del capitello dorico, in quanto la lastra di copertura poggia su una specie di echino, o anche l'intero blocco superiore ha tale forma; invece spesso si avvicina alla forma del capitello ionico con le volute ai lati. Queste volute, in molti casi, hanno forma di vere e proprie corna, di maniera che può sembrare ben fondata l'ipotesi che esse derivino dalle "corna di consacrazione" della civiltà cretese-micenea, per quanto non sia possibile seguire il processo evolutivo di esse nel passaggio dall'una all'altra civiltà. All'inizio del quinto secolo, questa forma appare già completamente sviluppata. Talvolta tra le volute vi è una specie di frontone. Tra i monumenti superstiti è da ricordare l'altare dei Propilei di Atene del tempo delle guerre peloponnesiache e l'altare ad Afrodite Egemone e alle Cariti del Museo nazionale di Atene.
Da questo tipo si è sviluppata la forma comune dell'altare romano: esempio caratteristico quello del tempio del Genius Augusti a Pompei. Ma i rapporti con le volute ioniche divengono sempre più vaghi, perché queste (pulvini, ansae) hanno uno scopo più pratico che ornamentale. Frequente è nei tempi imperiali romani lo sviluppo di una striscia decorata lungo i lati lunghi, che parte dalle volute angolari. In opposizione a questo tipo è l'altare detto dorico, cioè ornato con metope e triglifi. Ambedue le decorazioni si trovano riunite nell'altare del tempio di Ζεύς μειλίχιος a Pompei e in sarcofagi dell'Italia meridionale, della Sicilia e di Roma, che riproducono la forma dell'altare e che quindi sono da mettere in relazione col processo di divinizzazione del defunto, come sopra si è già accennato: tra essi il più celebre è quello di L. Cornelio Scipione Barbato nei Musei vaticani.
Limitata all'Italia appare una forma di altare costituita da una serie di plinti e tori separati da una gola più o meno profonda. I monumenti che possediamo appartengono al periodo che va dal 500 avanti Cristo circa all'ultimo secolo avanti l'era volgare: è da ricordare la lastra di Cere al Louvre che riproduce uno di tali altari, che è del secolo VI, l'ara del locus sacer di Fiesole e quella sul Palatino, ricostruita dal pretore Gaio Sestio Calvino nel 129 avanti Cristo o dal figlio in tempi sillani. Questa forma si avvicina indubbiamente a quella di altari, proprî della civiltà cretese-micenea come quello della Porta dei leoni di Micene, per quanto sia difficile provare la diretta derivazione da essi.
L'altare rotondo, invece, è raro prima del secolo IV e nel III esso è completamente evoluto. Molto spesso, specialmente nelle isole dell'Egeo, questo tipo di altare fu adoperato con destinazione funeraria e religiosa. Ma esso non manca nel continente (altare del santuario di Dioniso ad Atene). Si distinguono due tipi: uno ha la circonferenza molto larga rispetto all'altezza, e forse questo è destinato al culto di divinità: ad esempio, l'altare dei dodici dei al Museo Naz. di Atene; l'altro, dal diametro più ristretto, presenta una forma più slanciata. A questo secondo tipo si riattacca l'altare romano. La forma rotonda fu preferita per i sacrifici con libazioni e ciò spiega la sua diffusione nel culto dei morti. E in relazione a questo culto ed a quello di divinità sotterranee è l'altare formato da un basamento rettangolare più o meno grande con una o più porte, che immettono in un ambiente sottoposto. Le forme poligonali sono rare e del tempo imperiale romano. Oltre alla decorazione architettonica, l'altare fu ornato spesso con rilievi e più raramente con dipinti; la decorazione scultorica diventa frequente solo nel quarto secolo. Prassitele scolpì i rilievi di un altare ad Efeso (Strab., XVI, 641), e i suoi due figli quelli di un altare a Tebe (Paus., IX, 12, 4). Come questi rilievi fossero disposti intorno all'altare, si può desumere, con sufficiente probabilità, dalla ricostruzione dell'altare dedicato forse nel 42 a. C. da Gneo Domizio Enobarbo a Roma. Nelle feste rituali l'altare veniva adornato con festoni e ghirlande e in un primo tempo non si fece altro che tradurre in rilievo questi ornamenti; tale uso, che dura fino alla tarda età romana, è preferito negli altari funerarî greci. Ma accanto a questa decorazione non mancano scene relative alla divinità, cui è dedicato l'altare, oppure immagini e simboli del culto. Nell'altare votivo e funerario romano predominano le scene del culto e di sacrifici; le divinità vengono invece spesso rappresentate nei lati corti, dove però talvolta s'incontrano oggetti e simboli del culto. In qualche caso negli altari dedicati ai Lari sono rappresentate oltre alle divinità cui essi appartengono, anche altre figure divine: una Vittoria in uno dei lati corti dell'altare dei Lari del Museo di Firenze; Ercole e fauni sull'altare di Ostia. Quest'ultimo ha forma rotonda, molto rara in questa classe di altari. In altari votivi romani spesso la rappresentazione è inspirata a motivi della leggenda: per esempio, l'ara Casali del Vaticano o quella di Ostia, nel Museo delle Terme a Roma.
Tra gli altari, quelli destinati a sacrifici per mezzo del fuoco, specialmente se di materiale costoso, dovevano avere un sostegno pel fuoco. Nelle Declamazioni attribuite a Quintiliano è detto che tale sostegno fu adoperato anche dai Romani (XII, 26: aris altaria imponere); a protezione del fuoco vi era talvolta una specie di tetto o di riparo a cupola: esso appare su monumenti arcaici (vasi dipinti del sec. VI) e in rilievi ellenistici e romani.
Le iscrizioni ci fanno spesso conoscere il nome del dio cui l'altare è dedicato; brevi nel tempo antico e in genere in Grecia, più prolisse in età romana, esse indicano di frequente la data della dedicazione, le modalità di essa (lex arae o dedicationis o consecrationis) e perfino la carriera politica del dedicante. L'altezza dell'altare oscilla tra i 50 cm. e 1 m. e in proporzione è la sua grandezza; però numerosi sono gli esempî nei quali queste proporzioní sono ridotte o notevolmente aumentate. La grandezza era dovuta naturalmente all'estensione del culto, al numero delle divinità cui l'altare era dedicato, e anche, secondo una notizia di Vitruvio (IV, 9), al rango della divinità cui esso apparteneva. Molto maggiori sono anche le misure degli altari dei tempî in proporzione alla grandezza di essi, non solo in quelli greci, ma anche in quelli romani: l'aitare del tempio di Apollo a Pompei misura senza i gradini m. 1,20 × 2,28 di superficie ed è alto metri 1,40. Poiché il sacrificio doveva esser compiuto in vista della moltitudine, era necessario che il sacerdote avesse un posto elevato, una specie di piattaforma, detta πρόϑυσις, su cui sorgeva l'altare. Crescendo il numero delle vittime, l'altare si estese in larghezza, e di conseguenza crebbe anche l'altezza: si ebbero così altari a più ripiani, a terrazze, nei quali, sulla scorta di apparenti analogie, si è voluta vedere l'influenza dell'Oriente. A tale tipo è da riportare con ogni probabilità l'altare di Zeus ad Olimpia, che al tempo di Pausania misurava 125 piedi alla base, 32 alla sommità ed era alto 22 piedi (Paus., V, 13, 5): l'altezza cresceva ogni anno pei residui dei sacrifici, che su di esso venivano lasciati.
Di uno stadio di lunghezza era l'altare di Ierone II (270-216) a Siracusa (Diodor., XVI, 83), di cui ora restano i soli gradini scavati nella roccia e qualche frammento della decorazione: uguale dimensione aveva quello di Ermocreonte a Pario (Strab., X, 418; XIII, 503). Un tipo diverso, meno sviluppato in larghezza, ma di elevazione maggiore, ci è testimoniato in Asia Minore; in esso l'altare è collocato su un alto podio, cui si accede per mezzo di una scalinata, ed è circondato all'esterno da un peristilio: come negli altari di Priene, Coo e Magnesia. Ma tutti superava per magnificenza l'ara eretta da Eumene II a Pergamo, dedicata a Zeus e ad Atena nikephoros. Su un podio di m. 37,70 × 34,50, ad ovest interrotto da una larga scala e decorato con blocchi scolpiti di marmo con la rappresentazione della lotta degli dei contro i giganti, era l2altare, formato, come quello di Olimpia, di ceneri (Paus., V, 13, 8). Intorno, chiuso da un muro, correva un peristilio ionico, e la parete interna del muro era decorata con un fregio marmoreo, nel quale erano scolpite le imprese di Telefo. Tra queste costruzioni monumentali va annoverata l'Ara Pacis Augustae (v.), eretta in Roma tra il 13 e il 9 a. C. Se nella disposizione del colonnato esterno, supposto da molti studiosi, essa ci richiama prototipi ellenistici, manifesta però il carattere dell'architettura romana con la predilezione per lo spazio chiuso, nella disposizione del recinto che racchiudeva l'altare.
L'Altare cristiano nella storia e nell'arte. - Alcuni passi di apologisti cristiani dei primi secoli e le stesse accuse di ateismo formulate dai pagani (i quali si meravigliavano di non vedere nel culto avverso gli attributi e le suppellettili comuni alla prassi rituale delle religioni antiche) farebbero ritenere che nella primitiva liturgia cristiana non esistesse l'altare. In realtà esso esisteva, ma aveva tutt'altro tipo e diversissimo carattere. Siam qui di fronte ad una delle tipiche inversioni di valori operate dal cristianesimo. Ciò che per i pagani è il materiale strumento dell'offerta sacrificale, il cui valore non oltrepassa l'esteriorità del rito, per i cristiani è il centro di raccolta di tutto il popolo dei fedeli che, nell'intensa riaffermazione dello scambievole amore, commemora il sacrifizio di Chi lo bandì sulla terra suggellandolo col martirio. Questa commemorazione non è soltanto il ricordo di un fatto passato, ma deve costituire anche il parallelo di quella comunità celeste dove il Signore attende chi ha creduto in Lui, e dove è possibile godere dell'eterna presenza di Cristo Dio manifestantesi qui sulla terra nell'atto centrale della oblazione eucaristica (v. agape, eucaristia, messa).
Perciò la riunione della ecclesia fidelium è un festino culminante in un mistico banchetto, ove il Signore torna a sacrificarsi per tutti e a trasfondersi in tutti, rivestendo le specie incruente del pane e del vino. All'agape terrena, cui presiede l'investito del Signore, il Vescovo, che consacra le specie e le distribuisce ai fedeli, fa riscontro l'agape celeste (la mensa Patris mei), ove il Cristo frange il panis caelestis a coloro che superarono la prova terrena ottenendo la vittoriosa "corona della vita". Un dipinto non più recente dei primi decennî del sec. II, la cosiddetta fractio panis esistente nella Cappella greca del Cemeterio di Priscilla sulla Via Salaria in Roma, ci offre una chiara idea di come si concepisse il banchetto celeste, e quindi, in forza del parallelo già rilevato, ci dà pure l'immagine di un'agape eucaristica terrena. Il Cristo presidente sta nel posto d'onore in cornu dextro e spezza il pane ai fedeli situati attorno alla mensa ricurva (tavola "a sigma", stibadium) si può ritenere che le mense dell'età apostolica e sub-apostolica, quando il rito agapico eucaristico non aveva ancora attuato la separazione fra la tavola del banchetto e quella del divin sacrificio, fossero su per giù conformate su questo tipo. Ecco perché non esiste in questo primo periodo un altare vero e proprio come potevano concepirlo i pagani.
Questa mensa non è il supporto materiale del sacrificio, né tanto meno costituisce ancora uno strumento indispensabile con forme tradizionali. Prevale il fatto mistico, non l'oggetto. In questo senso più ideale deve intendersi la frase dell'epistola agli Ebrei (XIII, 10), che parla di un altare dei sacrifici (ἔχομεν ϑύσιαστήριον), designandolo col nome usato per quello del Tempio di Gerusalemme; ma si capisce che egli vuol rendere accessibile ai suoi corrispondenti il contenuto della mensa cristiana, ravvicinandolo all'altare giudaico. Anche l'Apocalissi giovannea è dominata dall'idea del sacrificio (VI, 9). In un passo della prima lettera di S. Paolo ai fedeli di Corinto si parla con minor concretezza, ma con maggiore aderenza all'idea cristiana, della "tavola del Signore" (τράπεξακυρίου, I Cor., X, 21).
S. Ignazio d'Antiochia riprende la parola ϑόσιαστήριον, ampliandone peraltro il significato, giacché parla di tutto il tempio in cui debbono riunirsi i fedeli (Ad Ephes., V, 2; Ad Trall., VII, 2). Ma una più precisa designazione dell'altare la troviamo, poco dopo la metà del sec. II, in S. Ireneo (Adv. Haeres., IV, 18, n. 6, in Migne, Patrol. Graeca, VII, col. 1029) laddove egli dichiara che il sacrificio del pane e del vino dev'essere offerto con frequenza sull'altare. Al suo tempo la tavola dell'agape era già separata da quella del sacrificio eucaristico.
Nel sec. III una pittura del cemeterio di Callisto (cubicoli cosiddetti dei Sacramenti) mostra dei pani su di una mensa tripode. Su queste offerte un uomo vestito di pallio impone le mani, e presso di lui è la defunta in attitudine d'orante. Il gesto dell'uomo ricorda un tratto della liturgia eucaristica (epiclesis super oblata). (v. Epiclesi).
La mensa tripode può dar l'idea di un altare isolato. Ma, quanto al nome, i padri greci, se usarono il termine ϑυσιαστήριον già consacrato dall'uso biblico, evitarono tuttavia i termini che potevano apparire proprî del culto pagano: non si trova prima di Sinesio (sec. V), e i Latini, in genere, quando non parlarono di mensa, preferirono altare ad ara.
L'altare non aveva dunque assunto in questi primi secoli una figura ben definita. Fosse la tavola dell'agape comune, o quella riservata alla celebrazione liturgica centrale, si trattava sempre di una mensa a carattere temporaneo, che poteva essere apportata nel momento stesso dell'azione liturgica.
Con l'ingresso di nuove masse d'adepti nella comunità, si stabiliranno ben presto apposite aule di riunioni, e in esse un luogo dove porre la mensa-altare, convenientemente protetta dalla calca dei fedeli. Nella primitiva sala per le agapi presso cui sorse la basilica aquileiense, si nota ancora l'incastro per il setto mobile che divide la zona del presbiterio dall'altra riserbata al popolo. E, nella prima, è un riquadro di mosaico privo di decorazione (avvicinato da un altro con un simbolo di sacrificio) che senza dubbio corrisponde al luogo ove soleva collocarsi l'altare mobile. L'idea di questa mensa mobile era forse perpetuata dagli altari lignei di cui si trovarono i fori d'incastro nelle basiliche africane di Morsott (al N. di Tébessa) e di Timgad. Anche nei resti lignei di altare ancora conservati in S. Prudenziana e a S. Giovanni in Laterano è forse l'eco lontana delle celebrazioni liturgiche svolte un dì privatamente. Ma queste reliquie romane sono certamente meno antiche di quanto non appaia dalla tradizione.
L'azione eucaristica non si svolge soltanto sulla mensa della basilica. Essa poteva celebrarsi sopra la tomba del fedele defunto. Sembra tuttavia che Felice I limitasse quest'uso alle sole tombe dei martiri, se in tal senso è da interpretare l'inciso del Liber Pontificalis romano contenuto nella vita di questo papa: hic constituit supra memorias martyrum missas celebrare. L'idea di questa celebrazione del sacrificio di Cristo, collegata al ricordo e alla reliquia di chi lo confessò nel sangue, la troviamo in tempo assai antico. In un passaggio dell'Apocalisse il veggente di Patmos allude alle anime di coloro che furono immolati per la testimonianza del Salvatore, e immagina di scorgerle sotto l'altare del sacrificio (ὑποκάτω τοῦ ϑυσιαστηρίου; Apocal., VI, 9). Nel sec. III l'anonimo trattato De aleatoribus (v. cipriano, san) parla dei martyribus praesentibus super mensam dominicam (in Sancti Cypriani Opera, ed. Hartel, I, III, Vienna 1870, p. 103).
Alla fine del sec. IV Prudenzio ci mostra poeticamente i fanciulli martiri che scherzano sotto l'altare, scambiandosi le corone. Lo stesso Prudenzio tuttavia notò che l'altare della cripta d'Ippolito (nel cemeterio della Via Tiburtina) era addossato e non sovrapposto alla tomba del martire (propter ubi apposita est ara sacrata Deo, in Pristeph., XI, 170). Nella cripta dei papi del cemeterio di Callisto sull'Appia, dato che le salme dei pontefici furono deposte in loculi rettangolari, e dato pure che non si trattava di un martire solo, l'altare fu collocato isolatamente, come dimostrano ancora le tracce rimaste nel terreno. Ricordi di altari veduti ancora al loro posto nelle cripte delle catacombe romane si hanno a partire dal sec. XII; se ne è trovato uno nel cemeterio di Panfilo testé riscavato. È a blocco cubico di muratura; ha nella fronte un incavo che poi si approfondisce fino alla superficie della tomba; ha poi traccia di rivestimenti con lastre di porfido e di pavonazzetto. Ma sulla grande antichità di questo altare debbono farsi molte riserve (cfr. E. Josi, in Riv. di archeol. crist., I, 1924, p. 93).
Del resto, se in origine vi fu la proibizione di seppellire entro le mura cittadine, quest'uso tuttavia si diffuse moltissimo, e le traslazioni di reliquie divennero sempre più numerose nell'alto Medioevo. E le reliquie, allorché si rese più difficile avere corpi interi di santi, poterono essere lacerti (reliquiae principales) o anche semplici brandea: pannilini, stati già a contatto della sacra spoglia di un martire. Ciò avvenne specialmente tra il sec. V e il VII; talvolta ci si accontentò anche di brani di Vangeli, e perfino di ostie consacrate poste nel sepolcro. E vicino all'altare, cioè nel luogo ubi offerre consuevit (S. Ambrogio, Ep. XXII, 15), e presso la tomba del martire, si usò, nel sec. IV e V, seppellire il vescovo. In alcuni altari di questo periodo è il loculetto per la cappella reliquiaria. In altri, a somiglianza di quelli delle basiliche cemeteriali (ove l'intera spoglia del martire è lasciata al suo posto nel tratto di cemeterio sottostante alla basilica), sotto l'altare vi è una cameretta vuota (arca o arcella), in comunicazione con la tomba del martire e con l'esterno mediante una porticina e più spesso delle grate: la fenestella confessionis, attraverso la quale si potevano immettere nuovi brandea. L'insieme si chiamò martyrium e più spesso confessione: destinata ad avere poi così grandioso e caratteristico sviluppo nelle basiliche romane del Rinascimento.
A questo punto noi siamo in grado di distinguere l'altare provvisorio ligneo (mobile) dalla mensa definitivamente collocata (fixum). Vi è poi l'altare facilmente trasportabile (portatile), di cui possiamo intuire un uso molto antico, se meditiamo sul fatto che nel tempo delle persecuzioni vi fu necessità di celebrare la liturgia eucaristica nei luoghi stessi di pena dei confessori (cfr. gli accenni in S. Cipriano, Ep. IV, 2). Perciò non poté mancare una tavola per deporvi le sacre specie. Abbiamo detto di alcuni esempî di altari lignei e del conto che si deve fare di essi. Ora aggiungiamo che in età medievale, nonostante le prescrizioni di papa Silvestro (sec. IV) e del concilio d'Epaona (a. 517), si continuò a edificare altari lignei, ma con destinazione fissa. tn bell'esempio, sfuggito alla diligenza del padre Braun, trovasi a S. Maria in Vulturella (la Mentorella) presso Tivoli, ridotto peraltro ad una sola fronte. A. Rossi (S. M. in Vulturella, Roma 1905, p. 49) attribuì al sec. XII le sculture ivi esistenti, eseguite da un altrimenti ignoto maestro Guglielmo.
Per ciò che riguarda gli altari portatili, il più antico esemplare sembra doversi ritenere la tavola di quercia rinvenuta nel sepolcro di S. Cutberto (morto nel 687) a Durham. Sul legno si può leggere a stento: in honor... S. Petru, e si scorgono due croci. La tavola è rivestita di una lamina d'argento con disegni e scritte frammentarie sbalzate. Si vuole che un altare simile fosse rinvenuto sul petto di S. Acca vescovo di Hexham (740), e Beda (Hist. eccles., V, cap. 10) racconta di due inglesi missionarî presso i Sassoni che, nel 692, portarono con sé i vasi sacri e una tabulam altaris vice dedicatam. Gli altri esempî di altari portatili sono tutti del periodo romanico. Uno, in forma di cassettina sorretta da quattro piedi, trovasi nel tesoro del duomo di Paderborn. Un altro bellissimo, con la pietra santa nel mezzo e una cornice egregiamente decorata, è custodito nel Museo del Cinquantenario di Bruxelles: proviene da Stavelot. Gli altari fissi sono dal Braun distribuiti nelle seguenti categorie: 1. altari "a mensa"; 2. altari "a cofano", 3. altari "a blocco"; 4. altari "a sarcofago".
Gli altari a mensa appartengono al tipo più antico, ricollegandosi all'idea originaria dell'altare cristiano. Essi constano di una tavola sorretta da uno o quattro piedi (stipes). Non di rado vi è un cippo centrale, che talvolta contiene le reliquie ed ha perciò la celletta reliquiaria. Vi sono esempî di piccole are pagane riadoperate per questa stipe centrale, come è il caso di un altare di S. Maria in Portico (ora S. Galla) in Roma, il quale fu sorretto da un'ara che quasi certamente servì al culto di Attis-Sabazio. Un tipico esempio di altare a mensa (forse del sec. IV) è quello scoperto in un sepolcro di Baccano (a 21 miglia da Roma; cfr. G. B. De Rossi, in Bull. di archeol. crist., 1875, tav. IX). I suoi quattro montanti sono adorni del mistico tralcio di vite e di monogrammi col nome di Cristo. La mensa ha nell'orlo delle palombe ai lati di una corona. Una mensa consimile, forse del sec. V, pure con palombe e col chrismon centrale, si conserva al Museo di Aix, e proviene da Auriol. Una stipe a cippo con fenestella confessionis, spettante a un altare a mensa, trovasi nella basilica di Parenzo, e data dal sec. VI. Una con bei fregi che simulano la porticina di un'arcella, si vede in S. Maria del Priorato; in essa lo stile degli ornati ci riporta al sec. X.
Agli artisti del Rinascimento piacque molto il tipo dell'altare a mensa. Essi peraltro ne intesero fino a un certo punto il primitivo significato. La forma più semplice ed elegante di queste mense del Rinascimento è quella dei due pilastrelli che reggono una tavola sottile. Talvolta i pilastrelli sono a forma di anfore (si veda l'esempio della SS. Annunziata di Firenze). In un caso troviamo un intero presepio sistemato sotto l'altare (basilica di S. Ambrogio in Genova). In un altro l'altare è simile a una massiccia tavola da pranzo (Firenze, S. Maria Novella). L'ed barocca si sbizzarrì ancor più. Si veda l'altare settecentesco di S. Sisto, in Piacenza.
Gli altari a cofano sono a cassa rettangolare, che permette lo svolgersi di una vasta decorazione sulle quattro facce laterali. La fenestella si apre sulla faccia posteriore. Nell'esempio molto antico (sec. V) della basilica cemeteriale di S. Alessandro sulla Via Nomentana (presso Roma) le fronti sono forate a mo' di transenna per permettere l'introduzione dei brandea. Dell'altare di S. Agnese (pure in Roma) si conserva una fronte con l'immagine della santa (sec. IV-V). Un esempio completo (databile sicuramente dalla prima metà del sec. VIII) è nella chiesa di S. Martino in Cividale. Ha nella fronte anteriore la scena dell'Ascensione, nella posteriore croce e fiorami ai lati della fenestella, nella laterale di destra l'adorazione dei Magi, nella laterale di sinistra l'incontro della Madonna e di S. Elisabetta. È un esempio magnifico di scultura del periodo longobardo. Il tardo Medioevo rivestì questi altari a cofano con fulgida decorazione musiva. Splendido saggio d'arte cosmatesca è in S. Cesario sull'Appia, in Roma. Altro magnifico esemplare è nella basilica dei Ss. Nereo ed Achilleo. Esso ha sotto di sé la transenna marmorea che dava luce alla confessione. Nel duomo di Colonia un altare gotico grandissimo ha, sotto numerosi archetti ogivali, figure di santi e, in mezzo, l'incoronazione della Vergine. Il tipo a cofano ha larghissima applicazione nel Rinascimento e in età barocca.
Fra gli altari a blocco ricordiamo (oltre il già menzionato della catacomba di Panfilo) quelli della basilica di Cimitile presso Nola. Quasi tutti gli altari a blocco sono addossati a una parete e hanno perciò la celletta reliquiaria sulla fronte anteriore. Devono forse attribuirsi al sec. V.
L'altare a sarcofago sorge in età relativamente recente. È una concezione dell'Umanesimo tardo, per cui si vuole sottoporre alla mensa l'arca con il corpo santo. Il primo esempio fu notato dal Braun nella cappella di S. Maria della Neve in S. Domenico di Napoli. Porta la data del 1536. Altri esempî sono in chiese di Magonza, di Praga e di altri luoghi.
Vi sono poi delle singolarità: così, nella chiesa di S. Bartolomeo a Roma, alla tavola dell'altare è sottoposta una vasca balneare di porfido rosso, e in S. Agata di Ravenna serve da stipe un sarcofago del sec. V. Fra gli altari ornatissimi, possiamo citare quelli con intarsî marmorei a disegni svariati, della Certosa di Pavia, e di S. Maria delle Grazie a Caponapoli (Napoli). Un insigne esempio di quegli altari rivestiti di lamine metalliche preziose con smalti e gemme, spesso menzionati nei documenti dell'alto Medioevo, è il cosiddetto Pallio ambrosiano, cioè l'altare della basilica di S. Ambrogio di Milano, il quale reca in numerose formelle a sbalzo storie di S. Ambrogio ed è fittamente costellato di gemme, di cammei e di medaglioni a smalto. L'opera, del secolo IX, ebbe per autore un Vuolvinius magister faber.
Non sempre si rivestì tutto l'altare con queste lamine preziose: bastò a volta il farlo per la sola fronte principale; e allora si ebbe l'applicazione del paliotto o antependium (v.), con decorazioni metalliche, eburnee, o con ricami in seta, come quello (con rivestimenti metallici) di Enrico II (secoli X-XI) già nel duomo di Basilea e ora nel Museo di Cluny (Parigi). Insigne cimelio della scultura in avorio è il paliotto del duomo di Salerno, spettante ad epoca romanica, le cui formelle contengono storie dell'Antico e del Nuovo Testamento; adorno di magnifici ricami in seta è quello donato da Sisto IV alla basilica di Assisi.
Nel tardo Medioevo, quando l'arte gotica avvicinò decisamente l'altare alla parete, per farlo spiccare maggiormente, si abbellì la parete posteriore, con arazzi o altri panni preziosi, e poi con una tavola con sacre figurazioni scolpite o dipinte. È questo il retroaltare (fr. rétable; ted. Retable; in italiano anche "tavola"), con una riquadratura decorata e un coronamento; se non partiva dalla mensa stessa, gli si formava un basamento. Questo membro aggiunto offrì agli artisti grandi possibilità. Il discorrere della evoluzione della retrotavola d'altare (che, quando l'altare fu addossato alla parete, si tramutò presto nelle più grandi ancone o pale [v.]) ci porterebbe a invadere buon tratto della storia artistica del Rinascimento e del Barocco. Per la stessa ragione non possiamo trattare qui delle altre suppellettili per l'addobbo dell'altare, cioè la croce, già pendente dal baldacchino (proprio degli altari basilicali) con il peristerion, entro il quale si conservava la SS. Eucarestia, e il tetravelum (v. ciborio); i candelieri, che lo affiancano; le carteglorie, che sostituiscono gli antichi dittici; il tabernacolo (v.), che fu già l'antico conditorium distaccato dall'altare e la sua copertura di stoffa (conopèo); infine la tovaglia. Da alcune rappresentazioni antiche si può desumere il tipo delle antiche tovaglie, adorne di fregi a gamma (gammadiae) sugli angoli e di una croce al centro. Gli scavi in Egitto hanno ridato molti tessuti copti del sec. V-VI, che dovettero servire come tovaglie d'altare. Uno, che ha al centro la croce, si trova nel Museo Cristiano del Vaticano.
Accenniamo appena alle iscrizioni sugli antichi altari. Una mensa quasi semicircolare di un altare copto reca una lunga iscrizione funeraria di un certo Cosma e ha la data del 786 (Crum, Coptic monuments, tav. LV, n. 8706). Il cippo riconsacrato dell'altare di S. Maria in Portico (cui accennammo) ha l'iscrizione dedicatoria di papa Gregorio VII. Un'aretta-altare di Loja in Spagna ha una lunga iscrizione forse del sec. VI o VII con il ricordo dei martiri di Cordova ricordati da Prudenzio (Fausto, Ianuario, Marziale) e d'altri molti (v. Hübner, Inscript. Hispaniae, Supplem., n. 374). Vi son poi le iscrizioni graffite quando si consacrò l'altare (spesso non hanno altro che segni a croce), o dovute a pellegrini che vollero lasciare un ricordo sull'altare ove si custodiva una famosa reliquia. Molti graffiti di questo genere appaiono sull'altare antico dei Ss. Cosma e Damiano in Roma. Altri sono sulla mensa dell'accennato altare d'Auriol. In questi proscinemi si scriveva il nome persino degli assenti e dei defunti a fine di raccomandarli al santo.
Nelle primitive basiliche uno era l'altare, né si poteva ammettere un qualsiasi raddoppiamento. L'eco delle parole di S. Ignazio d'Antiochia ("Non vi è che una eucaristia, come un solo altare e un solo vescovo", Ad Philipp., IV, 1) si risente negli scrittori cristiani posteriori; e quando S. Agostino parla dell'esistenza di altare contra altare in una città, lo fa per dimostrare l'esistenza dello scisma donatista. Eusebio, nella sua descrizione della basilica di Tiro, menziona un solo altare (St. Eccl., X, 4). Senza che si possa dire precisamente quando sia incominciato, l'uso di moltiplicare gli altari è già in pieno fiore alla fine del sec. VI, quando S. Gregorio Magno invia reliquie per la consacrazione di ben tredici altari in una chiesa di Saintes (Ep. VI, 49). La moltiplicazione degli altari fu conseguenza del moltiplicarsi delle messe, specie nelle chiese affidate a ordini monastici; e, addossati gli altari alle pareti, ne venne di conseguenza l'inversione della posizione del sacerdote. Mentre, cioè, prima il celebrante era volto verso il popolo, ora è volto abitualmente verso l'altare stesso: da ciò anche modificazioni nelle cerimonie e nella orientazione delle chiese (che ebbero la facciata a ponente). Ma l'ideale unicità dell'altare non fu perduta di vista; giacché si distingue sempre l'altar maggiore dagli altri. Nelle basiliche medievali gli altari minori sono addossati alle pareti delle navatelle; per non rompere la convergenza di tutto l'edificio all'altare centrale, alcune chiese preferirono di avere oratorî esterni; altre, nell'alto Medioevo, ebbero cappelle interne alle estremità del transetto, o disposte a raggiera intorno all'abside. E, poiché le pareti della chiesa erano ornate con storie bibliche o figure di santi, facile fu la fusione di queste con gli altari laterali, che ebbero la loro immagine, spesso anche una vera e propria cappella. Nel Rinascimento soprattutto le cappelle minori, per opera di famiglie nobili e di artisti, raggiunsero grande sviluppo e individualità propria con altari riccamente adorni. v. tavv. cxx111-cxxxiv.
L'Altare cristiano nel culto: Il rito latino. - Per la natura stessa del sacrificio eucaristico, l'altare cristiano ha la forma di una mensa. L'altare tipo è una lastra levigata di marmo o di pietra naturale, rettangolare (m. 2 di lunghezza per m. 0.60 di larghezza), sostenuta da uno stipite o base, pure lapidea, almeno negli spigoli, sì da formare un tutto con la mensa: è questo l'altare fisso o immobile nel senso stretto. Lo stipite può essere a colonnine, pilastrini, ecc. (e allora l'altare assume chiaramente la forma di tavola), oppure può risultare di quattro lastroni di pietra racchiudenti come una cameretta o cassa, o essere semplicemente un monolito (e in questi casi l'altare è ripieno ed assume la forma di un sepolcro, sopra tutto se gli si dà la sagoma di un sarcofago). Nel mezzo della superficie superiore della mensa si scava una cavità adatta per collocarvi in apposita teca reliquie di santi (almeno una deve essere di un martire): è il sepolcreto o confessione, coperto e cementato con determinato rito. Il sepolcreto, negli altari ripieni, può essere aperto anche nella parete anteriore o posteriore del sostegno, purché giunga fin sotto al mezzo della mensa e sia tutto a pareti lapidee; anche tutto l'altare può far da sepolcreto e la mensa intera da coperchio. Solo l'altare fisso in senso stretto può essere consacrato. Per quanto l'uso possa essere antico, l'obbligo della consacrazione non è documentato prima del concilio di Epaona (probabilmente l'odierno Saint Romain d'Albon) in Borgogna (517): il rito è suggestivo, con preghiere, aspersioni, turificazioni, unzioni e crismazioni susseguite dalla celebrazione della Messa.
Rotture notevoli del sepolcreto o della mensa, rimozioni dell'altare dal suo posto e altri casi determinati dal diritto liturgico dissacrano (o esecrano) l'altare; la sepoltura di un cadavere a meno di un metro e altri atti lo profanano. La dissecrazione vieta la possibilità di celebrarvi senza preventiva riconsacrazione; la profanazione ne vieta l'uso finché non si sia rimossa la causa che profana. Fuori di luoghi appositamente dedicati al culto, non si erigono altari fissi; se vi si deve celebrare, si usa l'altare portatile o mobile in senso stretto (anche pietra sacra o ara), cioè una lastra lapidea di dimensioni sufficienti a sopportare almeno l'ostia e la maggior parte del piede del calice, munita di reliquie e consacrata dal vescovo. Spesso sono convemienti altari che, senza essere fissi, presentino caratteri di fissità: si fanno allora simili di forma ai fissi, ma anche di muratura o di legno, e nella loro mensa s'incastra la pietra sacra; tali altari si dicono a modo di fissi o fissi (oppure mobili) in senso lato.
Il numero degli altari per ogni chiesa non è fisso. Il principale o maggiore deve essere diretto secondo il piano della chiesa, più ampio, più alto e più ornato degli altri; dovrebbe essere isolato, sì da poterlo circuire, ed essere orientato, ossia disposto in modo che il celebrante guardi ad oriente, e sopraelevato di tre o cinque gradini. Il gradino superiore o predella o suppedaneo deve avere un tavolato sotto i piedi del celebrante. Gli altari minori possono avere anche solo il suppedaneo ligneo. Se la chiesa è a croce, dovrebbe esservi un altare laterale ad ognuna delle estremità del transetto; se a più navate, al fondo di queste; se a sala rettangolare, preferibilmente nella stessa linea dell'altar maggiore; in ogni caso, mai in posizione tale che il celebrante volga le spalle all'altare maggiore.
Si dice titolo dell'altare il mistero o il santo a cui l'altare (eretto sempre propriamente per il sacrificio e quindi a Dio) è dedicato. L'altar maggiore deve essere sempre dedicato al titolare della chiesa. Nella stessa chiesa non si possono erigere più altari sotto lo stesso titolo. Non si devono dedicare altari ai santi dell'Antico Testamento, sebbene si tollerino quelli già dedicati.
Quando su un dato altare non possono celebrare che determinate persone, tale altare si dice riservato. Ora son riservati solo gli altari papali: p. es., l'altar maggiore di S. Giovanni in Laterano, di S. Pietro, di S. Paolo, ecc.
In seguito alla pubblicazione. del Cerimoniale di Agostino Patrizi, vescovo di Pienza (1488), si nominò (mutando la dicitura precedente) lato destro dell'altare quello che è tale rispetto al Crocifisso e quindi il lato o corno del Vangelo, che e il sinistro rispetto al popolo; e sinistro il lato dell'Epistola. Ogni altare dovrebbe essere separato dalla navata della chiesa mediante balaustra avente nel mezzo un cancello di ferro o equivalente; spesso, per maggior sicurezza, quando gli altari sono in cappelle, si chiudono con cancellata anche queste. Se l'altare è consacrato, dovrebbe avere sopra la mensa a conveniente altezza un baldacchino, tranne che vi sia un tabernacolo a colonne (l'antim ciborium o tegurium). Fuori del tempo delle funzioni all'altare, questo deve essere coperto dalla copritovaglia (o tela stragula o vesperale).
L'altare è il luogo del sacrificio eucaristico, che è ripetizione di quello della croce e dev'essere accompagnato dal saerifieio spirituale dei fedeli; perciò l'altare ricorda e significa simbolicamente la mensa dell'istituzione eucaristica, il Calvario, il sepolcro e la croce, e lo stesso corpo del Cristo; inoltre (soprattutto se vi è il Santissimo) è il Sancta Sanctorum dei Cristiani, il Monte di Dio e anagogicamente, il trono dell'Agnello e l'altare della Gerusalemme celeste.
Altare privilegiato è quello celebrando sul quale si guadagna l'indulgenza plenaria in favore di un defunto. Tale privilegio può anche annettersi a una persona per qualunque altare. Si ha quindi l'altare privilegiato locale e personale. Altare gregoriano è quello di S. Gregorio al Celio e altri ad esso assimilati (ad instar): oltre un'indulgenza plenaria come sopra, vi si crede congiunta l'intercessione di S. Gregorio Magno, che la pietà cristiana riguardò come specialmente efficace su Dio a suffragio delle anime purganti.
Uno dei sette (Unum ex septean). - Sono i sette altari di S. Pietro (Madonna di S. Gregorio, Ss. Processo e Martiniano, S. Michele, S. Petronilla, Madonna della Colonna, Ss. Simone e Giuda, S. Gregorio Magno) o altri ad essi assimilati, alla visita dei quali sono annesse speciali indulgenze.
Il rito bizantino. - Qui l'altare sorge nel mezzo del santuario separato dalla navata da un cancello in origine molto meno complicato di quello in uso attualmente, e che veniva chiuso da veli in certi momenti del sacrificio: uso crconservato ancora dagli Armeni. A mano a mano, sulla parte superiore del cancello furono disposte varie immagini o icone, e così a mano a mano, specialmente dopo il periodo delle lotte iconoclastiche, si formò la cosiddetta Iconostasis. L'altare bizantino è regolarmente di pietra: può essere sorretto da quattro colonne con una quinta nel mezzo, oppure formato di un solo blocco di pietra. La sua forma è o quadrata o leggermente rettangolare, ma non mai allungata come negli altari occidentali. Nel rito bizantino, l'altare non è mai consacrato separatamente dalla chiesa, perché dev'essere unico, se non vi sono tre navate e quindi tre iconostasi, non potendo l'altare esistere senza di questa. Nel momento della consacrazione ai quattro angoli vengono incollate le immagini dei quattro evangelisti, mantenute talvolta da larghe strisce di tela. Nel centro si depongono reliquie di santi in un piccolo incavo, chiuso a sua volta da un coperchio di pietra murato con un cemento speciale. L'altare è rivestito dapprima da una sola tovaglia bianca che deve pendere fino a terra da tutte le parti, e che simboleggia la sindone del Signore. Sopra la tovaglia si mette un altro rivestimento di seta o di stoffa preziosa, che copre interamente la tovaglia, ed è per lo più bianco; ma durante la grande quaresima è rosso, e in certi luoghi nero, specialmente durante i tre ultimi giorni della settimana santa. È tuttavia bianco tra l'Epistola e il Vangelo nella liturgia del Sabato santo. Se l'altare è stato consacrato regolarmente, i vasi sacri vengono deposti sopra un pezzo di stoffa che può essere colorata, detto iliton, corrispondente al corporale dei riti occidentali: se non è stato consacrato, tra l'iliton e il rivestimento colorato dell'altare è steso l'antimensio.
È proibito deporre sopra l'altare qualsiasi cosa oltre agli oggetti che servono al sacrificio eucaristico: Vangelo, sempre riccamente rilegato, croce di benedizione a mano, disco o patena, calice e veli, artoforio o tabernacolo. Regolarmente a fianco della croce sono le due immagini della Madonna e di S. Giovanni Evangelista, dipinte su pezzi di legno che poggiano a terra dietro l'altare senza toccarlo. Tra questi e l'altare poggia pure a terra il candeliere a sette fiamme. Nelle chiese russe, non è tollerato sopra l'altare nemmeno il libro della liturgia, posto invece sopra un leggio, a sinistra del celebrante, ma fuori dell'altare: i concelebranti ne reggono uno in mano. Sono strettamente proibiti fiori e qualsiasi altro ornamento. Dalla descrizione datane, si comprende come l'altare debba essere isolato e non mai appoggiato a un muro, per permettere le incensazioni all'intorno e altre cerimonie. Nelle chiese greche, l'altare è spesse volte sormontato da un baldacchino di forma speciale, detto Cuvuclio (κουβούκλιον), come nelle antiche basiliche dell'Occidente: nella maggior parie dei paesi slavi e romeni, il cuvuclio non è più in uso.
Il rispetto degli Orientali per l'altare è grande: le donne non possono entrare nel santuario; solo il sacerdote o il diacono dovrebbero toccar l'altare.
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