ALTARE
Civiltà preistoriche. - Nello strato neolitico della grotta detta del Tamaccio, nelle Alpi Apuane, è stato rinvenuto un blocco squadrato con due cavità nella parte superiore, che è stato identificato con ogni verisimiglianza con un altare. Nell'ultimo periodo della civiltà neolitica, nei paesi del bacino del Mediterraneo e in genere nell'Europa, appaiono pietre a forma di coppa di varia grandezza, incavate nella parte superiore e spesso accuratamente levigate, destinate evidentemente a contenere le offerte alle divinità. Ne sono noti esemplari rinvenuti nelle tombe megalitiche dell'Inghilterra, che trovano affinità nelle grandi coppe di terracotta o di pietra, due delle quali furono trovate nello strato II di Troia. Invece, nello strato corrispondente alla III città, fu rinvenuto un a. a forma di piramide tronca, coperto da una lastra di granito: il tipo sembra dovuto ad influenza delle civiltà orientali. A Malta, negli strati che taluni fanno risalire all'età neolitica, appaiono esempi isolati di tali coppe o tavole di libazione (tempio di Hagiar Kim), e forse devono essere considerati a. alcuni blocchi di pietra decorati a rilievo con spirali (tempio di Hal Tarxien). Nella civiltà del Bronzo dell'Europa settentrionale e in quella del Ferro compaiono a. di pietra a forma rettangolare; sovente nell'Europa orientale essi sono collegati a condotti sotterranei per versarvi le libazioni. Nella civiltà hallstattiana sono pure frequenti le cosiddette corna di consacrazione, che erano infisse su tavole di argilla o legno e più raramente di pietra. Analoghi oggetti sono stati rinvenuti negli strati preistorici della Spagna, e probabilmente attestano un particolare culto divino e, in taluni casi, forse funerario.
Egitto e Asia Anteriore. - In Egitto, l'a. sembra principalmente destinato a ricevere le offerte alla divinità di cibi e di bevande: quindi, il tipo più diffuso segue la stessa evoluzione, per le forme e per la materia, alla quale è soggetta la mensa profana. Infatti, tavole di pietra (hotep) sono state trovate in gran numero nelle tombe: esse hanno, di solito, forma quadrata e presentano una sporgenza parimenti quadrata su di un lato; sulla superficie superiore è raffigurata una stuoia sulla quale venivano deposti i cibi e piccoli vasi per le bevande e, talvolta, si notano alcune cavità per i liquidi. Tali tavole, oltre che nelle tombe, erano poste anche dinanzi alle statue. Nei santuari sono parimenti frequenti basi quadrate, poligonali, cilindriche o a tronco di cono, sulle quali erano infisse tavole o lebeti emisferici; in altri casi, le tavole, rettangolari o quadrate, sono sorrette da quattro piedi in corrispondenza degli spigoli. Non mancano esempi di a. a più ripiani, che talvolta assumono proporzioni notevoli, elevandosi su di un podio rettangolare, come, ad esempio, quello del cortile del tempio di Medīnet Habu. In qualche caso all'altare si accedeva per mezzo di gradini; così, in quello del santuario di Deir el-Baḥrī o in quello, di poco più recente, riprodotto in un rilievo del tempio di Amenophis IV a Tell el-῾Amārnah, ma questo tipo è scarsamente diffuso in Egitto. È probabile che su alcuni di questi altari il sacrificio venisse compiuto bruciando le offerte: ma le prove finora addotte sono, invero, troppo scarse per poter affermare con sicurezza l'esistenza in Egitto di simile costume.
Nelle varie città che si svilupparono sul suolo dell'Asia Minore, l'a. non presenta varietà considerevoli di forme. Predomina, fin dai periodi più antichi, il tipo di a. a mensa, destinato alla deposizione delle offerte. Talvolta un semplice rialzo intagliato nella roccia, con fori nella parte superiore per l'offerta dei liquidi, formava l'a.: così nelle città cananee di Megiddo e di Taannak, negli strati più profondi dello scavo, e, in età più recente, a Petra. Alla funzione di a. furono anche adibite tavole con piede centrale o con quattro sostegni agli spigoli e piano di pietra, di terracotta o, più frequentemente, di legno. Di questo tipo era la tavola per la deposizione dei "pani di proposizione" del tempio di Gerusalemme. Presso i Babilonesi, l'a. principale è affiancato da un a. di foggia più o meno simile, ma di dimensioni più piccole e destinato a sorreggere un vaso per le offerte dei liquidi. Nel territorio babilonese è noto pure un a. a forma di parallelepipedo, sulla cui faccia superiore è incavata una specie di gradino in nianiera da formare un secondo ripiano: è da supporre che vi fossero deposte separatamente le varie offerte. A. a più ripiani sono noti anche a Petra, e a tale tipo si può avvicinare quello cosiddetto a trono, i cui esempi, spesso scavati nella roccia, sono piuttosto frequenti in Asia Minore (v. trono). Inoltre, fin nelle civiltà più antiche, si trova in tale regione l'a. a banco, formato, cioè, da un parallelepipedo di mediocre altezza sulla cui faccia superiore sono infisse due stele sacre, simboli della presenza del nume: tale tipo è attestato nel dominio degli Hittiti (a Boğazköy), e nella Siria. In quest'ultima regione sono anche noti a. di proporzioni modeste, talora portatili, che agli angoli della faccia superiore presentano quattro rialzi a forma di corno: secondo una ipotesi che appare fondata, essi deriverebbero da quelli che abbiamo prima ricordati: i corni vi sostituirebbero le stele e sarebbero stati spostati agli angoli per lasciare lo spazio alle offerte che dovevano essere bruciate. Anche presso gli Ebrei si parla di "corni dell'a." (Esodo, xxvii, 2; xxix, 12; xxx, 10, ecc.), ma mancano le testimonianze monumentali. Quando fu introdotto il sacrificio per mezzo del fuoco, la forma più semplice fu quella dell'a. costituito da un blocco di pietra squadrato a dado; di tale forma sono alcuni a. di Petra. Due a. trovati a Naqsh-i Rustam, non lungi da Persepoli, sono intagliati nella roccia a forma di piramide tronca con colonne agli spigoli ed incavata ad arco sulle facce; nella parte superiore, intorno all'orlo, corre una fila di merli triangolari. Né dovevano mancare a. formati di rozze pietre, anzi l'Esodo (xx, 25) prescrive appunto di costruire a. con pietre non tagliate. A. in muratura nell'Asia Anteriore sono poco attestati: di forma quadrata e di argilla era l'a. sulla fronte di un tempio in Babilonia, di età piuttosto tarda; data la collocazione all'aperto, è probabile che servisse per sacrifici col fuoco, i quali, però, non appaiono troppo frequentemente attestati nel rituale babilonese. Infine, sono attestati anche a. sorretti da un podio al quale si accedeva per mezzo di gradini: tale è l'a. di Takt-i Taus, formato da un blocco monolitico su cui poggiava l'a. vero e proprio ed al quale era addossato un secondo blocco di pietra, nel quale erano incavati sette gradini. Ancora più grandiosi sono gli a. a gradini, di cui un esemplare è stato rinvenuto presso Ur e un altro non molto lungi da Persepoli, benché soprattutto il primo non sia ricostruibile con sicurezza in tutti i suoi particolari. Tali a. erano, invece, esclusi dal culto ebraico poiché una legge dell'Esodo (xx, 20) proibiva di accedere per mezzo di gradini all'altare.
Per l'offerta dei profumi venivano usati speciali oggetti di foggia più o meno simile a candelabri: essi vengono indicati comunemente con il termine greco di thymiatèria e sono frequentemente riprodotti nei monumenti assiri. Sembra che l'uso di tali oggetti si sia propagato dall'Assiria, dove spesso venivano bruciati legni odorosi in onore della divinità, e candelabri di tale tipo sono stati trovati a Megiddo e Taannak in Palestina. Erano anche noti nel culto ebraico, come prova la descrizione del candelabro a sette bracci (mĕnōrāh) in Esodo, xxv, 31 ss. (benché non sia provato che esso esistesse prima dell'esilio), una copia del quale - probabilmente dell'esemplare che si conservava nel tempio più recente di Gerusalemme - di fattura (ἔργον) alquanto diversa dall'originale, secondo la testimonianza di Giuseppe Flavio, variamente interpretata, si trova riprodotta fra le spoglie del bottino della guerra giudaica in un rilievo dell'arco di Tito a Roma. I bruciaprofumi erano, di solito, di metallo. A. di metallo non mancavano in Asia Minore: era infatti di bronzo l'a. del tempio di Gerusalemme, eretto da Salomone, sostituito poi da un a., pure di bronzo, al tempo di re Acaz (II Re, xvi, 10 ss.) e spostato nel mezzo dell'atrio.
Abbiamo già accennato agli a. in relazione al tempio e a qualche esempio (Babilonia) di a. posto dinanzi ad esso. Di solito, nei culti asiatici, gli a. erano inclusi nel tempio stesso; ma erano anche posti in altri luoghi destinati al culto pubblico o privato ed ancora più frequenti erano quelli situati all'aperto, sulla cima delle montagne, nei boschi sacri, presso le sorgenti dei fiumi. Anzi, è da ritenere che questi a. precedano la costruzione dei templi più antichi. Erodoto (1, 131) afferma che i Persiani erano soliti sacrificare sulle cime più alte dei monti senza erigere a.; però, dopo la riforma religiosa del VII-VI sec., certamente dovettero sorgere a. su cui si consumava il fuoco sacro, che non doveva essere contaminato dalle carni delle vittime e nemmeno dal fiato dello stesso sacerdote. Infatti, ruderi di a. all'aperto sono numerosi sull'altopiano iranico e, presso la supposta tomba di Ciro, a Pasargade, sono stati rinvenuti due zoccoli monolitici quadrati, vuoti nella parte interna, che erano forse destinati a sorreggere altari. Anche presso gli Ebrei il culto ebbe luogo originariamente all'aperto sulle alture, sotto gli alberi, presso le fonti. Con Salomone ha inizio il culto nel tempio e dopo la riforma di Giosia (621 a. C.) fu ritenuto idoneo per il sacrificio soltanto l'a. del tempio di Gerusalemme, pur non escludendo che potessero sorgere altrove a. come segno di un patto affidato alla custodia di Dio (Giosuè, xxii, 28-29).
Grecia. Età cretese-micenea. - Nella poesia omerica viene detto (Hymn. Hom., iv, 30) che la divinità protettrice della famiglia ha il suo posto nel centro della casa, e nella grande sala (μέγαρον) del palazzo miceneo è il focolare che deve essere considerato come a., per lo stretto rapporto che lega in origine a. e focolare domestico: alla divinità, attraverso il fuoco ed il fumo, giungeva l'offerta. Anche nei palazzi omerici, nei cortili, sorgeva l'a. (Il., xi, 773; Odyss., xxii, 334); due a. vennero trovati nel cortile occidentale del palazzo di Cnosso a Creta ed uno in quello centrale del palazzo di Tirinto. In questa civiltà, che si protrae attraverso il lungo periodo corrispondente all'Età del Bronzo, l'a. è spesso in relazione con il culto funerario e privato (anzi, in essa il culto privato appare dominante); lo provano l'a. della quarta tomba del recinto circolare di Micene e quelli delle dimore private di Creta e di Micene. Per quanto riguarda la forma, molto frequenti sono le cosiddette tavole di libazioni o di offerta, quadrate, rettangolari o circolari, di argilla o di pietra, spesso senza piede, talvolta con piede centrale o sorrette da tre o quattro piedi, con uno maggiore nel centro. Sulla faccia superiore erano cavità per deporvi le offerte di cibi o di liquidi. Anche alcuni tripodi in terracotta o pietra, con la faccia superiore incavata, devono essere interpretati come a. portatili: infatti, su di essi venivano bruciati incenso od altre offerte rituali, in onore delle divinità. Le tavole di offerta erano, talvolta, infisse nel pavimento ed in alcune rappresentazioni esse sorreggono o circondano alberi sacri. Erano destinate anche a sacrifizi cruenti (il sacrificio in cui le carni delle vittime erano bruciate non appare ancora documentato con sicurezza nella religione cretese-micenea, per quanto tracce dell'uso del fuoco, sia pure forse limitato alla sola purificazione, non manchino in recinti funerarî micenei); sopra una delle facce del famoso sarcofago di Haghìa Triàda il toro, già sgozzato, è disteso, infatti, sulla tavola. Nella stessa scena è riprodotto un a. a forma di dado sul quale liba una sacerdotessa. A. di tale tipo non sono ignoti a Creta e nel continente; sono costruiti in un sol blocco di pietra o muratura; alcuni di essi presentano la facce laterali incavate: così nei due a. riprodotti nel rilievo della Porta dei Leoni a Micene, ma non sembra da escludere che in questi casi, più che di veri e proprî a., si tratti di basi o di sostegni di oggetti sacri. Lo stesso può essere affermato per la base a tre gradini, dipinta sull'altra faccia del sarcofago di Haghìa Triàda che, ad ogni modo, non trova altre analogie nei tipi noti di a. cretesi-micenei. Più sicuramente riconoscibili come a. sono alcune cavità rotonde, circondate da un muro formato di rozzi ciottoli; di tale tipo è l'a. della quarta fossa di Micene, già ricordato, e quello del cortile di Tirinto che, però, fu incluso in una muratura rettangolare, forse ancora verso la fine dell'età micenea. Spesso l'a., nella civiltà cretese-micenea, è sormontato dalle cosiddette corna di consacrazione; la rappresentazione è frequente nelle gemme, nei dipinti murali ed in altri monumenti.
Età greca ed ellenistica. - L'a. in Grecia viene designato con varî nomi: βωμός, ἑστία, ϑυμέλη, ἐσχάρα, τράπεζα; ma, mentre l'ultima parola ha il significato determinato di tavola per la deposizione delle offerte, non è possibile stabilire tra gli altri termini distinzioni precise. Sembra che, almeno nel significato originario, βωμός indichi l'a. che si elevava anche per piccola altezza dal suolo, mentre ἐσχάρα ed ἑστία sarebbero termini connessi soprattutto con il concetto di focolare, dove bruciava il fuoco per i bisogni domestici e del culto. Sembra anche che ἐσχάρα, oltre ad indicare l'a. poco rilevato dal suolo, a guisa di focolare, designi pure la parte dell'a. su cui venivano bruciate le carni delle vittime. Strettamente affine appare il significato di ϑυμέλη, evidentemente derivato da ϑύω, sacrificare: comunemente, la parola viene riferita all'a. situato nel centro dell'orchestra del teatro e qualche scrittore antico (Poll., ii, 123) afferma che è sinonimo di βῆμα o βωμός. Ma ϑυμέλη è riferita spesso a numerose costruzioni rotonde che sembrano in relazione con divinità sotterranee e, secondo una recente teoria, anche l'orchestra del teatro sarebbe stata originariamente il recinto circolare della ἐσχάρα di un eroe o di Dioniso, cui, in alcune città, era affidata la protezione del pubblico focolare. L'a. sorgeva nel cortile della casa, a. erano dedicati agli dèi protettori della famiglia, delle fratrie, delle associazioni religiose. Quello comune della città sorgeva nel prytanèion ed il fuoco doveva esservi permanentemente alimentato: a. sorgevano in tutti i luoghi pubblici, nelle piazze o agorài, nel bouleutèrion, nelle palestre, nei ginnasi, nello stadio, nell'ippodromo, ecc. Non mancavano nei luoghi aperti e nei recinti sacri; quivi, spesso, accanto a quello della divinità principale, sorgevano altri a. dedicati a differenti divinità: così, sull'acropoli di Atene, nel recinto sacro alla dea Atena, è l'a. di Zeus Polièus. Il culto in Grecia aveva prevalentemente carattere pubblico, quindi, con il progredire della civiltà e con l'estendersi dei centri abitati, aumentò il numero degli a.: nel IV sec. a. C., in Atene essi raggiungevano il centinaio. Nell'età ellenistica la diffusione nel mondo greco di nuovi culti, determinò il sorgere di nuovi a., ed egualmente vi concorsero il culto dei re, dei principi divinizzati e quello funerario, che nell'età ellenistica trova la massima diffusione. Ma l'a. è soprattutto in relazione al tempio: non è concepibile un tempio dinanzi al quale non sorga l'a., il βωμὸς πρόναος (Aeschyl., Suppl., 493), che deve essere posto nella continuazione dell'asse del tempio: dove tale condizione non si verifica, occorre pensare a costruzioni di età differenti. Anche nell'interno dei templi non mancavano talvolta a.: nei templi della Sicilia e dell'Italia meridionale (Selinunte, tavola di offerta nel tempio C; Locri Epizefiri, a. nel primitivo tempio ionico) se ne hanno esempî. Qualche studioso ha affermato che la inclusione di questi a. nell'interno del tempio è carattere distintivo dei templi dell'Italia meridionale; ma analogie non mancano in Grecia, come nel tempio di Zeus ad Olimpia (Paus., v, 14, 4) e in quello di Serapide a Delo. Se, in quest'ultimo caso, si può pensare a necessità particolari del culto egizio, è però logico supporre che anche in altri templi greci esistessero piccoli a. portatili o brucia-profumi (ϑυμιατήρια). Del resto, fin dall'età più antica, in alcuni templi di Creta (Dreros, Prinias) e altrove, sono state trovate fosse sacrificali (ἐσχάραι), forse destinate a sacrifici per mezzo del fuoco. Che l'uso si sia protratto a lungo, è noto da un iscrizione di Coo. L'a. è in genere orientato (Vitruv., iv, 9: arae spectent ad orientem); ma non mancano deroghe a tale legge. L'a. greco può essere dedicato ad una o più divinità, ad Olimpia era un a. dedicato a tutù gli dei (Paus., v, 15, 1): spesso una iscrizione, in genere molto breve, indica la divinità cui l'a. è dedicato e, in qualche caso, il dedicante.
L'a. fu costruito con vario materiale. Nell'età primitiva, talvolta l'a. fu formato da zolle di terreno o da un cumulo di sassi: di tale tipo era l'a. dinanzi alla grotta di Apollo sul versante settentrionale dell'acropoli di Atene, che è anche riprodotto in monumenti di età greca e romana. L'a. fu anche costituito da una fossa nel terreno, rivestita di sassi e di forma circolare, oppure rettangolare: tali erano le ἐσχάραι dei templi, delle quali già abbiamo fatto menzione; ma ἐσχάραι erano anche dette le fosse circondate da un piccolo rialzo del terreno o racchiuse da una bassa muratura, aventi al centro un foro per il versamento della libazione (Porphyr., De antro Nymphar., 6), le quali trovano antecedenti nel mondo miceneo. Vengono dette generalmente a. anche le cavità rettangolari e circolari, nelle quali erano deposte le offerte e gli avanzi dei sacrifizi; ma per esse sembrerebbe più appropriato il termine di βόϑροι, per quanto non appaia ben definita nell'uso linguistico greco la distinzione tra βόϑροι ed i comuni altari (v. Bothros).
Gli a. furono talvolta ricavati dal taglio della roccia, talaltra costruiti in muratura, in alcuni casi con pietre squadrate, in altri con tegole e terra unite da malta, e rivestiti da uno strato di intonaco che veniva più volte rinnovato. Sappiamo di a. costituiti da uno o più blocchi di pietra o marmo e, infine, non mancavano a. di terracotta (v.): di terracotta, infatti, sono la maggior parte dei piccoli a., detti con termine latino, arulae, frequenti nei santuari e necropoli ellenistici, soprattutto dell'Italia meridionale, di cui però gli esempî più antichi risalgono, tanto in Grecia quanto in Italia, al sec. VI a. C. A. di metallo, oltre a quelli portatili, ai thymiatèria ed alle tràpezai, dei quali sono noti numerosi esempî, sono menzionati nella tradizione letteraria: ad esempio, Pausania (ii, 17, 6) ricorda l'a. di argento del tempio di Hera ad Argo, probabilmente un a. di pietra rivestito di lastre d'argento; analogamente era rivestito di lastre di bronzo dorato un altro a. ricordato da uno scrittore antico (ps. Plutarch.,. Vita decem or., iii, 41, 843 B), secondo un costume non ignoto all'Oriente (Herod., i, 183). Infine, vi erano a. formati dalle ceneri e dai residui dei sacrifici. Tali a. dovevano essere impostati su un sostegno costituito dal pavimento di terra battuta o da muratura o da un podio e la loro altezza cresceva ogni arnno, aumentando il volume delle ceneri e dei residui. Tale era l'a. di Zeus ad Olimpia, le cui dimensioni, al tempo di Pausania (v, 13, 5), misuravano 125 piedi alla base e 32 alla sommità, mentre l'altezza era di 22 piedi. Anche di cenere era l'a. del tempio di Apollo a Didima, presso Mileto, quello del santuario di Hera a Samo, un a. trovato a Golgoi (Cipro) e, infine, quello di Hermes sul monte Cillene (Gemin., i, 14; Schol. Apoll. Rh., ii, 297). L'a. di Apollo a Delo, il κεράτινος βωμός, si diceva formato dalle corna degli animali uccisi da Artemide (Callim., Hymn. in Apoll., 61 ss.).
L'a. di pietra può essere quadrato, rettangolare o circolare: le forme a tronco di cono a piramide o poligonali sono rappresentate da esempi isolati. L'a. quadrato o rettangolare, secondo alcuni studiosi, deriverebbe dal trono innalzato alla divinità che, invisibile agli occhi dell'offerente, assisteva al sacrificio; ma l'ipotesi non sembra accettabile. La forma più semplice è costituità da un solo blocco di pietra più o meno accuratamente squadrato: tali erano l'a. dinanzi all'antro di Zeus Ideo a Creta e gli a. della Pnice ad Atene, ricavati dal taglio della roccia. Già nel VI sec. a. C. gli a. furono tagliati nel marmo: uno degli esempi più antichi a noi pervenuti è l'a. del santuario di Apollo Pizio di Atene, dedicato da Pisistrato figlio di Ippia,. negli ultimi decennî del VI secolo. Sovente in questi a. la parte superiore ricorda le forme del capitello ionico, con le volute ai lati. Queste costituiscono talvolta i ripari laterali dell'a., ma in qualche esemplare assumono l'aspetto di vere e proprie corna, in maniera che non è da escludere la derivazione, più volte affermata, dalle "corna di consacrazione" frequenti negli a. cretesi micenei, per quanto non sia facile indicare le tappe del processo evolutivo. L'a; a volute, detto anche ionico, appare già perfettamente costituito alla fine del VI sec., domina nel V sec. a. C. e dura a lungo in seguito: tra gli a. di questo tipo ricorderemo principalmente quello di poros dei Propilei dell'acropoli di Atene, che è del tempo della guerra del Peloponneso (431-404), e l'a. ad Afrodite Egemone e alle Canti del Museo Nazionale di Atene, il quale appartiene alla fine del sec. III a. C. In alcuni esemplari, riprodotti su vasi attici del principio del V sec. ed anche posteriori, tra le volute si eleva un ornamento a guisa di frontone triangolare. Nell'a. del tempio di Apollo al Capo Zoster; in Attica, ed in altri a. più tardi, i ripari laterali hanno forma di piccoli frontoni triangolari; spesso, negli a. della Sicilia e dell'Italia meridionale, questi ripari sono costituiti da due lastre rettangolari lisce (ad esempio: a. riprodotto nei tetradracmi di Imera della fine del sec. V a. C.). Una varietà dell'a. rettangolare può essere considerata quello detto in antis, cioè l'a. i cui lati si prolungano oltre la parete posteriore, includendo così lo spazio destinato al sacrificante. Piuttosto raro è l'a: rettangolare della forma detta dorica, quella, cioè in cui alla lastra di copertura liscia è sottoposta o una modanatura, che ricorda l'echino del capitello dorico, oppure vi corre un fregio di metope e triglifi: questa ornamentazione si svolge anche in qualcuno degli a. circolari. Questi ultimi sono poco frequenti prima del IV sec. a. C.; la forma è attestata sporadicamente da qualche esemplare più antico (Olimpia, Mileto); ma dopo il IV sec. e nell'età ellenistica, diventa frequente, soprattutto nelle isole dell'Egeo e nell'Asia Minore; per gli a. di destinazione religiosa o funeraria, non mancano esempi, però, anche nel continente greco (a. del recinto di Dioniso ad Atene, databile intorno al 100 a. C.). Se ne possono distinguere due tipi, l'uno con circonferenza molto ampia e piuttosto basso (ad esempio, l'a. dei dodici dèi del Museo Naz. di Atene); l'altro, con diametro ristretto e profilo più slanciato, che sembra preferito nel culto funerario. Isolate appaiono le altre forme: un a. di Artemide ad Olimpia (Paus., v, 14, 5) e, forse, quello di Patrae (Paus., vii, 18, 11) avevano forma di piramide tronca. A. piramidali a gradini sono stati rinvenuti a Cipro (Kition) e, forse, anche a Delo. Forma di tronco di cono avevano probabilmente gli a. di cenere già menzionati, mentre esagonali erano, oltre il κεράτιξος βωμός di Delo, un a. di Mileto, dedicato a Zeus Serapide, ed uno di Dura Europos con duplice iscrizione greca e palmirena.
Sovente gli a. erano decorati. Quando la decorazione era pittorica, il che avveniva raramente, essa era solitamente rinnovata insieme all'intonaco che rivestiva la muratura dell'altare. Più comune era la decorazione scolpita. Sappiamo che Prassitele scolpì i rilievi di un a. ad Efeso (Strab., xvi, 641) e che Kephisodoros (v.), scultore del IV sec. a. C., decorò l'a. del tempio di Zeus e Atena del Pireo (Plin., Nat. hist., xxxiv, 74). Molto più frequente è la decorazione scolpita negli a. ellenistici, spesso decorati con figure di divinità, simboli del culto e con ghirlande e festoni. Tuttavia non sembra possibile stabilire in base alla decorazione ed alla tettonica una esatta distinzione tra gli a. nei quali il sacrificio era offerto a mezzo del fuoco e del bruciamento delle vittime, e quelli su cui il sacrificio veniva compiuto con la sola libazione. È naturale che i primi dovessero avere un sostegno per il fuoco o una cavità per contenerlo e spesso, come desumiamo dai monumenti, un riparo a forma di tetto o di cupola per la fiamma. Quando nel corpo dell'a. si notano fori in comunicazione con condotti sotterranei, è evidente che vi si compivano libazioni. Non è nemmeno provata la distinzione che si suole affermare fra gli a. destinati alle divinità ctonie e gli altri. E stato infatti affermato che gli a. bassi e, in genere, quelli circolari che, come dicevamo, sono frequenti nel culto funerario, erano destinati alle divinità ctonie, ma ad Agrigento, nel santuario che sembra appartenere a queste divinità, presso il tempio detto dei Dioscuri, vediamo giustapposti a. rettangolari e circolari con una cavità nel centro. Analoga giustapposizione troviamo altrove: a Delo, nel santuario di Posidone e in quello di Hera; a Taso, nel recinto di Posidone.
L'altezza media degli a., escludendo quelli poco rilevati dal suolo, oscilla, in età classica, dai 50 cm a 1 m; leggermente più bassi appaiono quelli più arcaici. Naturalmente l'altezza, come la grandezza, dell'a. è connessa al suo uso pratico. Gli a. pubblici degli dèi principali assumono ben presto proporzioni maggiori e così gli a. dei templi sono in rapporto alla dimensione dei templi stessi. Non sempre l'a. poggiava direttamente sul suolo, spesso era sostenuto da una piattaforma formata da gradini, detta πρόϑυσις. Poiché il sacrificio doveva esser visto dalla moltitudine che vi assisteva e poiché, con il numero delle vittime, crescevano anche le dimensioni dell'a., anche la πρόϑυσις venne ampliata e resa più alta. Già abbiamo fatto cenno del basamento dell'a. di cenere di Zeus ad Olimpia, che probabilmente era di forma rettangolare. Al piano dell'a. si accedeva, di solito, per mezzo di una scala, situata nella parte posteriore o, in qualche raro caso, in uno dei lati corti del basamento rettangolare: gli esempi più antichi di quest'ultima disposizione (Priene, santuario degli dèi Egizî, Sparta, a. sull'Eurota), non sono anteriori all'età ellenistica. Gli altri a., già nel periodo arcaico, raggiungono proporzioni monumentali e devono essere distinti in a. di tipo dorico (per esempio: a. di Helios a Camiro, a. di Atena a Siracusa) e in a. di tipo ionico, frequenti in Asia Minore e nelle isole greche. Quelli del secondo tipo presentano talvolta una scala ristretta (a. di Posidone a Capo Monodendri, presso Mileto, della prima metà del VI sec.; a. di Efeso); in altri, la scala occupa gran parte del lato lungo ed è limitata dalle antae (per esempio: a., costruito verso la metà del VI sec. da Rhoikos per il tempio di Hera a Samo). L'influenza egiziana, supposta in questi altari ionici, deve forse essere limitata solo a quelli con scala stretta. Alla decorazione della parte superiore delle antae di un a. monumentale ionico è stato attribuito il rilievo del Museo Naz. di Roma, noto con il nome di Trono Ludovisi. Infine, si è creduto di poter identificare un tipo particolare, in relazione ai culti ctoni, negli a. poggianti su basamento dal quale, per mezzo di una o due porte, si accedeva ad ambienti sotterranei: gli esempi noti, però, non sono esenti da dubbi, in quanto alcuni rilievi, come quelli di Taso, addotti a testimonianza, non appartengono ad un altare. Nell'età ellenistica gli a. ebbero spesso proporzioni colossali. Misurava uno "stadio" di lunghezza l'a. di Ierone II (270-216 a. C.) a Siracusa (Diod., xvi, 83; infatti, misura m 194,95 × m 20,85) e, tra i resti, sono i frammenti di due fregi dorici di differente altezza che appartenevano alla decorazione. Uguale lunghezza misurava l'a. di Ermocreonte a Paro (Strabo, x, 418; xiii, 502). Gli a. colossali, sorti in età ellenistica in Asia Minore, sono situati su di una piattaforma piuttosto alta e, di solito, circondata da colonne: per la disposizione di questi a. a terrazza è stata supposta l'influenza dell'architettura orientale, ma le prove monumentali sono piuttosto scarse. In nessuno dei casi noti è stato possibile ricostruire con sicurezza l'a vero e proprio che era sulla piattaforma. La costruzione più famosa era quella dell'a. di Pergamo, eretto nel II sec. a. C. da Eumene II a Zeus e Atena Nikephòros, i cui resti, sino alla seconda guerra mondiale,, erano conservati nei Musei di Berlino (v.), inseriti in una ricostruzione. Su di un podio monumentale di m 37,70 per m 34,50, interrotto ad O da una larga scala e sui cui blocchi marmorei erano scolpite le scene della gigantomachia, si elevava l'a. di cenere (Paus., v, 13, 8). Intorno a questo a. correva, su tre lati, un muro compreso tra una doppia fila di colonne iòniche e, nel centro della piattaforma, l'a. per i sacrifici poggiava forse su di un basamento rettangolare. Dello stesso tipo dell'a. di Pergamo erano probabilmente quello di Artemide a Magnesia sul Meandro, che sembra appartenere al III sec., quello del santuario di Asklepios a Coo e, infine, quello del recinto in onore di Atena a Priene.
Italia. Roma. - Tavole di libazioni senza piede sono note nella civiltà dell'epoca del bronzo di Sicilia (Cannatello) e in quella protosarda (Serri): in quest'ultima, però, sono noti anche a. formati da pietre più o meno squadrate. Un a. che ricorda quello di Tirinto è stato rinvenuto sull'acropoli di Marzabotto e un altro a Vignanello.
Nel mondo romano, l'a. segue una evoluzione parallela e, per le forme, in stretta connessione con quello greco. I termini per designarlo sono: ara, focus, mensa e altaria (quest'ultimo termine è raro al singolare). Mentre focus è connesso con il focolare e mensa con la tavola, il termine altaria è adoperato anche per indicare il sostegno su cui brucia il fuoco: nelle Declamazioni, attribuite a Quintiliano (xii, 26), è infatti detto: aris altaria imponere.
In età repubblicana, sorgevano in Roma numerosi a. e il loro numero ovviamente crebbe in modo considerevole, sia nell'Urbe, sia nelle città dell'Impero, quando si diffuse il culto degli imperatori o dei membri della famiglia imperiale e quando si affermarono i culti nuovi, importati soprattutto dall'Oriente. Come in Grecia, in tutti i luoghi pubblici e perfino nel circo vennero eretti a.; a. erano dedicati ai Lares nell'atrio delle case o nelle immediate vicinanze di esso; agli incroci delle vie sorgevano gli a. dei Lares Compitales. Spesso sulle tombe era eretto un a. e, non di rado, la pietra sepolcrale o l'urna funeraria ne assunsero la forma. Che in questo abbia avuto influenza anche l'assimilazione del defunto alla divinità, non è da escludere, benché le iscrizioni di dedica (dis manibus o dis inferis) facciano pensare piuttosto ad una dedica agli dèi del mondo sotterraneo. Spesso l'a. è collegato con la camera sepolcrale sottostante; questo, nel tempo romano, appare in maniera più evidente che per la Grecia. Anche il famoso lapis niger del Foro Romano, sotto cui la leggenda poneva la tomba di Romolo, è stato interpretato da uno studioso come la copertura di un a., al di sotto del quale era la camera sepolcrale: l'ipotesi meriterebbe di essere riesaminata. Come in Grecia, così sulla fronte del tempio sorgeva l'a.; in quelli di tipo italico-romano, costruiti su podio più o meno alto, l'a. è sulla scala di accesso al tempio su un ripiano a metà di essa (tempio di Giove a Pompei), oppure più in basso (tempio della Fortuna Augusta a Pompei); talvolta invece, è ai piedi della gradinata (tempio di Apollo a Pompei). Le iscrizioni di dedica sono in genere più estese che in Grecia; oltre alla dedica al dio o agli dèi e al nome del dedicante, queste iscrizioni indicano sovente la data della dedicazione e le modalità di essa (lex arae, lex dedicationis o consecrationis); in qualche caso, è aggiunta anche la menzione della carriera politica del dedicante.
Per la forma, l'a. romano non differisce fondamentalmente da quello greco e, anche qui, non è possibile stabilire, in base alla forma, esatte distinzioni tra le divinità alle quali gli a. erano dedicati e sul modo con cui veniva compiuto il sacrifizio. Secondo una testimonianza di Vitruvio (iv, 9), l'altezza dell'a. era in rapporto alla divinità cui l'a. era dedicato: più alti erano gli a. degli dèi celesti e di Giove, più bassi quelli di Vesta e degli dèi della terra e del mare. Gli a. a forma di tavola, detti più propriamente mensae (la parola è usata, però, in senso più lato, soprattutto nell'uso poetico), non differivano dalle tavole profane. Alcune erano portatili e di bronzo: certamente a piccoli a. portatili di bronzo si riferiscono le menzioni di arae aeneae o aereae delle iscrizioni. A. di zolle di terreno, le arae gramineae o cespiticiae, durano a lungo nel culto, soprattutto delle divinità agresti. Limitato finora all'Italia appare un tipo di a., costituito da una serie di plinti e tori, separati da una gola più o meno profonda: i monumenti a noi pervenuti vanno dall'età arcaica fino all'ultimo secolo della Repubblica. Uno di tali a. è riprodotto in una lastra sepolcrale proveniente da una tomba etrusca di Cerveteri; affini sono l'ara del locus sacer di Fiesole e quella del Palatino, restaurata dal pretore Gaio Sesto Calvino nel 129 a. C., o dal figliuolo, in età sillana. La forma ricorda quella degli a. con fianchi incavati del periodo cretese-miceneo, alla quale si avvicina solo qualche esemplare tra quelli trovati in Grecia (arulae di Olinto). È stato supposto che i coronamenti di un tipo di tombe rupestri dell'Etruria meridionale rappresentino a. di questo tipo (v. Sovana). La forma dell'a. più comune nella civiltà romana è quella derivata dall'a. greco rettangolare o quadrato, coronato da volute ioniche: esempio caratteristico può essere indicato nell'a. del tempio detto di Vespasiano o del genius Augusti a Pompei. Nell'a. romano, però, i rapporti architettonici tra le varie parti divengono vaghi e le volute assumono sempre più lo scopo pratico di ripari (pulvini, ansae), mentre nel corpo dell'a. viene accentuata la decorazione degli spigoli. Talvolta fra i pulvini, nei lati lunghi, corre una fascia decorata con motivi ornamentali; in altri casi, il corpo dell'a. è decorato da un fregio dorico. L'unione della decorazione a volute e del fregio dorico è piuttosto frequente negli a. dell'Italia meridionale. In tale maniera sono decorati, ad esempio, l'a. del tempio di Ζεὺς Μειλίχιος di Pompei e anche alcuni sarcofagi, che riproducono la forma dell'a. (ad esempio il sarcofago di Cornelio Scipione Barbato dei Musei Vaticani). Alla forma dell'a. in antis deve essere riportato quello dell'Ara Pacis Augustae: in esso però le antae si prolungano notevolmente e raggiungono spessore maggiore di quelle degli analoghi a. greci. Nel mondo romano è raro l'a. rotondo, per il quale fu preferito il tipo a diametro ristretto e slanciato; isolati appaiono alcuni a. poligonali.
Per la decorazione ornamentale fu preferito il motivo dei festoni sostenuti da bucranî o da teste di montone, teste barbate con corna (del dio Ammone, v.), amorini, Vittorie, ecc. Nella decorazione figurata, oltre alle immagini di divinità ed ai simboli del culto, compaiono scene mitiche, relative alle leggende romane e, più frequentemente, scene di sacrifici. Spesso negli a. rettangolari sono rappresentate le divinità sui fianchi e nella faccia principale la scena di sacrificio; negli a. dei Lares sono raffigurate anche altre divinità (ad esempio la Vittoria in uno dei lati dell'a. dei Lares degli Uffizî a Firenze). In alcuni casi, la decorazione assume forme più complesse, come, ad esempio, nell'ara dedicata in Roma da Gneo Domizio Enobarbo (v.), o da Publio Servilio Isaurico dinanzi al tempio di Nettuno, o, secondo un'ipotesi più recente, al tempio delle Ninfe. Nell'a. dell'Ara Pacis (v.) la decorazione figurata, oltre ad estendersi su tutt'e due le facce dei ripari laterali con un fregio continuo rappresentante un suovetaurilia, orna anche il corpo dell'altare. Come è noto, l'a. poggiava su di un podio a gradini ed era racchiuso da un recinto marmoreo, aperto con due porte. Si ritiene che l'insieme, secondo i modelli ellenistici, fosse circondato da un colonnato del quale, però, le tracce non sono del tutto sicure. Ma, se le dimensioni dell'Ara Pacis (m 11,63 × 10,625) appaiono piuttosto modeste, in confronto a quelle delle grandi are ellenistiche già ricordate, non vi ha dubbio che a. colossali furono eretti anche dai Romani. Infatti, in Roma fu rinvenuto un pulvino di 8o cm di diametro e della lunghezza originaria di circa m 3,50, attribuito, ma senza prove esaurienti, all'Ara Ditis e altre are, di dimensioni più o meno eguali, sorgevano nelle città provinciali.
Bibl: Articolo Altar di varî autori, in Hastings' Encyclopaedia of Religion and Ethics, I, Edimburgo 1908. Per il periodo preistorico, per l'Egitto e l'Oriente: articolo Altar di varî autori, in Eberts Lexikon d. Vorgeschichte, I, Berlino 1924; K. Galling, Der Altar in den Kulturen d. alten Orients, Berino 1925 e articoli Altar e Tempel, in Biblisches Reallexikon, Tubinga 1937; H. M. Wiener, The Altars of the Old Testament, Lipsia 1928 (Beigabe d. Orientalistischen Literaturzeitung). A. della grotta di Tamaccio: Fr. v. Duhn, Italische Gräberkunde, I, Heidelberg 1924, pp. 26-27. A. in Malta: L. M. Ugolini, Malta, Origini della civiltà Mediterranea, Roma 1934, pp. 31, 42, 75, 170. A. in Sardegna: A. Taramelli, in Not. Scavi, 1911, p. 299 ss., e in Boll. d'Arte, 1925-26, p. 278, figg. 6, 8, 13. A. di Cannatello, di Marzabotto e di Vignanello: Mon. Ant. Lincei, I, 1892, c. 258 ss. e XVIII, 1907, c. 460 ss. Per il periodo cretese-miceneo: M. P. Nilsson, The Minoan-Mycenaean Religion and its Survival in Greek Religion, 2, ed., Lund 1950, cap. II. Per l'a. nella civiltà greco-romana: A. de Molin, De ara apud Graecos, Berlino 1884; E. Reisch, in Pauly Wissowa, I, c. 1642 ss., s. v. Altar; W. Altmann, Die römischen Grabaltäre d. Kaiserzeit, Berlino 1905; H. M. Bowerman, Roman Sacrificial Altar, Lancaster 1912; G. Hallo, Die Monumentaltäre des Altertums, in Jahrbuch, 1922, c. 22 ss.; G. Walter, in Jahrbuch, 1939, c. 23 ss.; C. G. Yavis, Greek Altars, Saint Louis University Studies n. 1, 1949; G. Hatner, in Gnomon, XXIV, 1952, p. 251 ss.; H. Hoffmann, in Amer. Journ. Arch., LVII, 1953, p. 189 ss.; W. Hahland, in Österr. Jahreshefte, XL, 1953, 2, p. 7 ss.; M. P. Nilsson, in Festschrift für B. Schweitzer, Stoccarda 1954, p. 21 ss. Per gli a. rotondi: F. Robert, Thymélé, Parigi 1939. Per gli a. con plinti e gole: W. Elderkin, The Ancient Altar with Incurved Side, in Archaeological Papers, I, 1941. A. con camere sotterranee: F. Studniczka, in Österr. Jahreshefte, VI, 1903, p. 151 ss. e VII, 1904, p. 244 ss.; Ch. Picard, in Mon. Piot, XX, 1913, p. 42 ss. Per i bòthroi: R. W. Hultchinson, in Journ. Hell. Stud., LV, 1935, p. 1 ss. Sul significato dell'a. nella religione greca: E. M. Hooker, in Proceedings of the Class. Association, XLVII, 1950, p. 31; A. V. Gerkan, Aschenaltar v. Samos, in Charites, Bonn 1957, p. 12 ss.
Il Cristianesimo. - Il cristianesimo derivò l'uso dell'a. dall'ebraismo e, in parte, dal paganesimo. Pochissimi sono gli a. paleo-cristiani pervenuti fino a noi: la maggior parte è conosciuta attraverso le iscrizioni. Le citazioni sono molto indirette: negli scritti patristici del II e III sec. non incontriamo menzione dell'a.; le testimonianze cominciano solo con il III secolo. Dei primi a. cristiani nessuno è giunto fino a noi (dubbia restando la destinazione del mobiletto ligneo interpretato come a. da A. Maiuri nella Casa del Centenario a Ercolano); ma possiamo pensare che, presso le prime comunità cristiane, l'a. non fosse altro che un tavolo comune di legno, di forma quadrata o circolare, ricordo della mensa dell'ultima cena. Ci dànno forse un'indicazione dell'aspetto di tali a. i tripodi che compaiono negli affreschi delle cosiddette cappelle dei sacramenti, nelle Catacombe di S. Callisto a Roma. La più antica raffigurazione di un sacrificio liturgico è nel celebre affresco della Fractio Panis (metà del II sec.): si svolge intorno a una tavola a tre piedi, paragonabile a quella esistente nella cosiddetta Cappella greca del cimitero di Priscilla a Roma sulla via Salaria. Anche dopo la pace della Chiesa moltissimi a., pure a forma parallelepipeda, erano di legno, specie nelle grandi basiliche nordafricane, e talora erano rivestiti di bronzo, d'argento o d'oro. Singolari sono alcuni a. che hanno agli orli della mensa una successione di incavi, simili a piccole absidi o a lobi.
Scavi condotti in Grecia, Siria, Numidia, Asia Minore, Dalmazia, Pannonia ed anche ad Ostia hanno portato alla luce un numero considerevole di a. così decorati, circolari, semicircolari o rettangolari, con prevalenza del tipo semicircolare (o a sigma). Molti di questi hanno in comune con altri a. copti - nei quali manca il motivo degli incavi sui bordi - la particolare depressione della parte centrale della mensa, terminante verso l'esterno con una specie di canale. L'aspetto di tali a. ricorda quello di antichi piatti per vivande in cui sono probabilmente da identificare quelle stoviglie ricordate dalle fonti come gradalia. Il confronto con una miniatura della Genesi di Vienna (del sec. VI, ma derivata da esempi più antichi), dove appare il faraone banchettante dinnanzi a una tavola in tutto simile agli a. ricordati, sembra dimostrare che questi erano intesi come fedeli riproduzioni di un tipo di tavola in uso nel mondo tardo-antico. Il particolare significato di tale tipo monumentale è dimostrato dall'esistenza di alcuni a. (ad esempio uno da Salona, nel museo di Zagabria), in cui gli incavi sono occupati dalle figure di Cristo e degli apostoli, chiarendosi così l'intenzione di far dell'a. il ricordo più efficace della mensa dell'ultima cena, da cui il sacrificio della messa derivava la propria origine.
Gli a. più antichi, come, ad esempio, quelli rinvenuti, frammentari, a Baccano e ad Aix, del V sec., avevano la mensa poggiata su quattro sostegni angolari - ed eventualmente uno centrale - ornata, nello spessore, di colombe e di clipei crociati. Il mosaico dell'abside di S. Ambrogio a Milano, del sec. IX e successivamente più volte restaurato, conserva il ricordo di un a. simile, ma di forma circolare, anteriore a quello, rettangolare, innalzato nel sec. IX o X (v. G. de Francovich, in Röm. Jahrbuch für Kunstgesch., VI, 1942-44, p. 177); a. più vicini a quelli descritti sono documentati da mosaici di Ravenna del battistero degli Ortodossi e di S. Vitale (sec. VI).
In ogni chiesa sorgeva un solo a., che nelle aule absidate era collocato davanti all'abside: gli altri a. di cui, secondo i documenti, poteva esser dotata una chiesa (sette a. "argentei" furono donati da Costantino alla basilica lateranense) non erano veri e proprî a., ma tavoli accessori per le necessità del culto. Nel sec. V, però, Simmaco erigeva cinque a. nella chiesa di S. Andrea, a Roma, presso S. Pietro, ma l'esempio ha un valore relativo, data la pianta circolare della chiesa.
Sin da età molto antica si iniziò un culto liturgico dei martiri (notizie dal II sec.), e quindi la messa doveva venir celebrata, talvolta, presso una sepoltura venerata, che in taluni casi poté servire essa stessa da altare. Da notizie di questa tradizione sorse poi, nella critica archeologica, l'errata opinione che le tombe ad arcosolio e a mensa fossero state costruite appositamente per celebrarvi sopra la messa e che l'introduzione dell'a. di pietra derivasse dalla tomba. L'uso di celebrare al di sopra della sepoltura del martire si affermò specialmente dal sec. IV, con la costruzione delle basiliche ad corpus, e fu da questo momento che si sviluppò il concetto dell'a.-tomba.
Nelle basiliche ad corpus, per mantenere il contatto con il sepolcro o con le reliquie del martire, poste sotto l'a., sia negli a. a blocco che in quelli a cassa, si praticò un'apertura rettangolare,fenestella confessionis, o, come nel caso dell'a. della basilica di S. Paolo fuori le mura, si praticarono fori attraverso cui venivano calate delle pezzuole (brandea) che, per essere state in contatto con il sepolcro del martire, divenivano esse stesse reliquie. Uno degli esempi più antichi di a. (a cassa) con la fenestella confessionis (confessio, memoria, martyrium sono i nomi che si dànno ai luoghi santificati dalla presenza di un martire) è a Roma l'a. eretto nella basilica di S. Alessandro sulla via Nomentana (sec. V). Più tardo è un altro a. con fenestella nelle catacombe di Panfilo. In questi due esempi il motivo della fenestella non ha alcun particolare valore architettonico o decorativo, che invece ritroviamo, altamente significativo, negli a. di S. Giovanni Evangelista a Ravenna e della basilica di Parenzo (sec. VI).
La fenestella poteva in tali casi essere tale da permettere di pregare proprio sul sepolcro del martire. A proposito dell'a. di S. Pietro in Vaticano, Gregorio di Tours descrive il fedele che "fenestella parvula patefacta, immisso introrsum capite, quae necessitas promit efflagitat" (In gloria martyrum, 27: Monum. Germ. Histor., Scriptores rerum Meroving., I, p. 504).
Bibl: Ch. Rohault de Fleury, La Messe. Étude archéol. sur ses monuments, Parigi 1883; J. Corblet, Histoire dogmatique, liturgique, archéol. du sacrement de l'Eucharestie, Parigi 1886; H. Grisar, Analecta Romana, Roma 1899, pp. 283-286 ss.; H. Leclercq, in Dict. Arch. Chrét., I, c. 3155 ss., s. v. Autel; F. Wieland, Mensa u. confessio, I: Der Altar der vorkonstantinischen Kirche, Lipsia 1906; id., Altar u. ltargrab der christlichen Kirchen im 4. Jahrh., Monaco 1912; J. Braun, Der christlische Altar in seiner geschichtlichen Entwicklung, Monaco 1924; A. Schmid, Der christliche Altar u. sein Schmuck2, Ratisbona 1928; F. Dölger, Die Heiligkeit des Altars u. ihre Begründung im christlichen Altertum, in Antike u. Christentum, II, 1930, pp. 161 ss. e 190 ss.; J. Braun, Das chrisltiche Altargerät, Monaco 1932, p. 213 ss. e passim; G. De Stefani, La Santa Messa nella liturgia romana, Torino 1935, p. 80 ss.; A. Maiuri, La Croce di Ercolano, in Saggi di varia antichità, Venezia 1954, pp. 379-408; G. Calza, in Rend. Pont. Accad., XXV-XXVI, 1949-1951, p. 123 ss.; Reall. Ant. u. Christ., I, 1942, c. 310 ss. Per gli a. con incavi sui bordi: E. Michon, in Revue Biblique, XII, 1915, pp. 485-540; XIII, 1916, pp. 121-170 e, specialmente, A. A. Barb, in Journal of the Warburg a. Courtauld Institutes, XIX, 1956, 1-2, pp. 42-44, 54-57 (con indicazione dei ritrovmenti archeologici e ampia discussione del tema).