Altare
di J.H. Emminghaus
Superficie piana, talvolta a livello del suolo, più spesso elevata, su cui si compiono sacrifici, semplici offerte o sacrifici di vittime alla divinità. Per la Chiesa cristiana l'a. è la struttura su cui si compie il rito eucaristico.
In età apostolica la celebrazione eucaristica, come commemorazione dell'Ultima Cena, si svolgeva come un'autentica cena (agape), ma, in seguito agli abusi che si verificarono (1 Cor. 11, 17-22; At. 6, 1-3), in epoca tardo o post-apostolica, più in generale sul finire del sec. 1°, scomparve il rapporto tra le agapi vespertine e l'eucaristia. I commensali non si riunivano più in questi particolari banchetti, accovacciati o distesi su triclini intorno a piatti comuni, ma piuttosto stavano in piedi, come circumstantes, disposti a semicerchio intorno a un tavolo (τϱάπεζα, mensa poggiante su tre o quattro sostegni) che costituì in seguito, idealmente anche se non sempre fisicamente, il punto centrale della celebrazione eucaristica (si veda, per es., il cubicolo dei Sacramenti nelle catacombe di S. Callisto a Roma). Il presbitero o il vescovo doveva stare con ogni probabilità dietro a questo tavolo, nella parte rettilinea della mensa semicircolare, rivolto verso la comunità, celebrando in questa posizione l'eucaristia. Al posto dell'originaria associazione tra agape ed eucaristia, che aveva avuto luogo all'epoca degli apostoli, si costituì un nuovo legame tra liturgia della parola (soprattutto nella funzione del primo mattino; si veda Plinio il Giovane, Ep., 10, 96) e liturgia eucaristica, dato dai tre successivi momenti: preparazione delle offerte, consacrazione e rito della comunione.
Si può presumere che la liturgia della parola, nei riti mattutini, avesse come punto di riferimento una sorta di cattedra o seggio del celebrante e che la relativa liturgia dell'eucaristia avesse come centro il suddetto piccolo tavolo; entrambi erano mobili, come risulta dai ritrovamenti nella più antica chiesa cristiana a Dura Europos, in Siria, risalente alla metà del sec. 3°, dove, sul piano di calpestio, nella parte orientale dell'aula di riunione della comunità, non si sono trovate assolutamente tracce di incassi. In seguito, l'a. a mensa e il luogo da cui si predicava (cattedra, più tardi ambone o pulpito), contrapposti, rappresentarono punti focali della liturgia della parola e dell'eucaristia, anche quando, con l'andar del tempo, ebbero diversa ubicazione.
È particolarmente significativo il fatto che l'a. cristiano derivi dal tavolo di arredo domestico e non dall'a. utilizzato per i sacrifici pagani (sub divo nel témenos del tempio). La teologia cristiana, che vede nell'eucaristia il sacrificio, non entra in contraddizione con quanto detto benché, a partire dall'epoca successiva all'età cristiana, il fatto che l'a. fosse in pietra e fissato al suolo in un punto centrale, visibile alla comunità, ha potuto talvolta suggerire associazioni di questo genere.L'a. cristiano, sviluppatosi dal tavolo su sostegni (la mensa, come si intende in epoca moderna, nell'Antichità era molto rara), alto cm. 90-100 ca., di lunghezza e larghezza variabili, spesso a forma di cubo o di parallelepipedo, costituisce l'elemento più significativo dell'arredo della zona absidale o del presbiterio di una chiesa cristiana; esso è attestato storicamente già nei testi biblici (1Cor. 10, 21: τϱάπεζα Κυϱίου, mensa Domini). In epoca precostantiniana, a causa delle anguste dimensioni degli ambienti, esso era necessariamente piccolo e mobile e, nei primi esemplari, con ogni probabilità realizzato in legno.Il nome latino altare deriva probabilmente da adolere ('bruciare essenze profumate'; si pensi all'a. dell'olocausto e anche alla derivazione della parola ara dal verbo arere, 'inaridirsi'). Nel Medioevo la derivazione etimologica di a. da altus era quella prevalente nella coscienza comune, se non altro per l'innalzamento del presbiterio rispetto alla navata della chiesa, che in seguito si accentuò ulteriormente a causa della creazione delle cripte. Il termine mensa (corrispondente a τϱάπεζα) indicò - a partire dal Medioevo - esclusivamente il piano dell'a., per distinguerlo dallo stipes di sostegno.
L'Oriente greco fino a oggi si è attenuto alla denominazione τϱάπεζα. Termini come θυσιαστήϱιον o βωμόϚ vengono usati molto di rado per distinguere l'a. cristiano da quelli pagani. L'Occidente latino conosce, accanto alla definizione di mensa - certo per influsso di una più evoluta teologia del sacrificio - quella di altare. A partire dall'età costantiniana e con l'edificazione delle grandi basiliche, la larghezza e la profondità dell'a. aumentarono; l'altezza invece dovette necessariamente mantenersi relativa alle dimensioni umane, così da permettere al celebrante, vescovo o presbitero, di muoversi presso l'a. dietro di esso, pur rimanendo visibile ai fedeli. L'aumento delle dimensioni era anche connesso con lo sforzo teso a mantenere una certa proporzione tra lo spazio della grande aula e il significato simbolico dell'a. stesso, di misure relativamente ridotte. Anche la scelta dei materiali si modificò in epoca post-costantiniana e per l'a. si preferirono sempre più la pietra o il marmo. Con il passare del tempo, in particolare dopo il periodo carolingio, si diffuse l'uso dell'a. sormontato da un ciborio.
L'a. costituiva materialmente e formalmente il punto di riferimento della celebrazione eucaristica. Participes sunt altaris (1 Cor. 10, 18) è, nel linguaggio biblico, una perifrasi della comunione con l'offerta stessa, ovvero con il Cristo. Per questa ragione si affermarono presto, nei confronti dell'a., atti devozionali quali il bacio e l'incensamento; inoltre, esso venne dotato di un arredo liturgico prezioso, coperto da tovaglie, arricchito con ornamenti: antependi e, in seguito, pale.
L'importanza dell'a. in epoca post-costantiniana si delineò anche in conseguenza dello stretto rapporto che lo legava alle reliquie dei martiri, poste in un sepolcro a nicchia nella struttura sottostante l'a. o subito sotto la mensa vera e propria - a partire dall'epoca altomedievale -, quasi sempre nella parte anteriore della stessa, punto che solitamente il sacerdote baciava in principio di messa. Paolino di Nola, nel 402 ca., ricorda reliquie della Croce all'interno dell'a. (Ep., 32, 8 e 11; CSEL, XXIX, pp. 283, 287). Si deve sottolineare che tale stretto legame tra mensa e confessio non era altrettanto obbligato nella Chiesa orientale: si sono trovati certamente in alcuni casi sarcofagi o tombe con reliquie (come in Siria centrale, a partire dal sec. 4°), tuttavia nella maggioranza dei casi, essi si trovano presso l'a. e solo di rado al di sotto o al suo interno.Nelle catacombe romane (per es. in quella di Panfilo sulla via Salaria) o in quelle di S. Gennaro a Napoli, l'a. presso la tomba del martire era del tipo 'a blocco', costruito in muratura. Fu Felice I (269-274) che stabilì l'usanza di celebrare il sacrificio eucaristico sulle tombe dei martiri; così sembra doversi interpretare il passo "hic constituit supra memorias martyrum missas celebrare" (Lib. Pont., I, p. 158). Nel sec. 3° l'anonimo trattato De aleatoribus accenna ai "martirybus praesentibus super mensam dominicam" (CSEL, I, 3, p. 103). Prudenzio, alla fine del sec. 4°, notò che l'a. della cripta di Ippolito, nel cimitero sulla via Tiburtina, era addossato e non sovrapposto alla tomba del martire: "propter ubi apposita est ara sacrata deo" (Peristeph., XI, 170; PL, LX, col. 547). Nella cripta dei papi nel cimitero di Callisto, l'a. fu invece collocato in posizione isolata, come dimostrano le tracce sul pavimento; questo perché l'ambiente conteneva più deposizioni nei loculi rettangolari aperti sulle pareti e i pontefici martiri erano più d'uno.
Questi a. naturalmente non contenevano reliquie di martiri, stante il costume della Chiesa romana (e, in generale, della Chiesa in Occidente, fatte le debite eccezioni come, per es., Milano e la Gallia) di mantenere intatta la tomba, consuetudine o usanza ancora sentita alla fine del sec. 6°, alla quale si accompagnavano leggende e superstizioni che dovevano scoraggiare i violatori dei sepolcri. Gregorio Magno (590-604) si appoggiò a questa tradizione per negare all'imperatrice di Costantinopoli, Costantina, reliquie di martiri romani (Registrum Epistularum, IV, 30; MGH Epist., I, 1887, pp. 264-265). Proprio alla intangibilità dei sepolcri venerati e allo sviluppo del culto dei martiri tramite le reliquie ex contactu si deve la nascita della confessio, un organismo architettonicamente definito cripta semianulare, che permetteva di raggiungere il luogo della tomba. L'a. ad corpus, posto cioè direttamente sopra la tomba del martire e comunicante con essa attraverso aperture (cataractae, umbilici), è anch'esso, come la confessio, un esito dell'architettura funzionale alla liturgia, con la costruzione del martirium o santuario impostato sulla tomba venerata.
A partire dal Medioevo la consacrazione obbligatoria dell'a. denota l'alta considerazione in cui esso era tenuto. Mentre nella fase iniziale della storia della Chiesa ciascun a. poteva considerarsi consacrato dopo la prima celebrazione di una messa (talvolta anche solo dopo la deposizione delle reliquie), con l'epoca carolingia divenne necessaria una vera e propria dedicazione o consacrazione (Ordo Romanus, 41; Andrieu, 1956, p. 311 ss.). Il rito riprendeva in certo modo quello dell'iniziazione dei battezzandi ai sacramenti, con la cerimonia dell'abluzione (battesimo), dell'unzione (cresima) e con la celebrazione di una messa (eucaristia). La deposizione delle reliquie era strettamente connessa, così come altri elementi cerimoniali, a questa consacrazione. Inoltre, l'unzione della parte superiore dell'a. rimaneva viva nella memoria, grazie ai segni di croce che venivano incisi (di solito quattro agli angoli e il quinto al centro del piano della mensa), così come anche grazie al panno di lino incerato e resistente all'olio (crismale) che, dall'epoca medievale, era d'obbligo porre sotto le altre tovaglie (di solito tre).
La sacralità conferita all'a. attraverso questo rito poteva nuovamente annullarsi (esacrazione), nel caso di una evidente devastazione dell'a. stesso o di una separazione arbitraria della mensa dal sostegno, con conseguente violazione della confessione o, per finire, a causa di assassinii o spargimenti di sangue avvenuti presso l'a.; esacrazioni del genere rendevano necessaria una nuova consacrazione.
Ciascun a., in particolare quello maggiore fissato al pavimento, aveva - inizialmente spesso, in seguito sempre - lo stesso titolo della chiesa. Esso non doveva corrispondere necessariamente alle reliquie deposte nell'a., poteva anche derivare dai misteri (annunciazione, assunzione di Maria) o da nomi di angeli e così via. Numerosi a. minori (laterali) della chiesa avevano il loro titulus, spesso legato al nome del patrono delle confraternite e corporazioni che li utilizzavano. Con l'introduzione del pontile (jubé) tra il presbiterio e il corpo longitudinale, l'a. comune, che si trovava di fronte a tale struttura, era quasi sempre dedicato alla santa Croce (altare della Croce), come mostra la pianta ideale dell'abbazia di San Gallo in Svizzera, di epoca carolingia. Sovente si festeggiava anche il giorno dell'anno in cui l'a. era stato consacrato, coincidente spesso con quello della consacrazione della chiesa; per quanto concerne gli a. laterali, vi si celebrava la ricorrenza del titolo del santo o del mistero a cui erano dedicati.
Nella simbologia prevalente durante il Medioevo, l'a. - soprattutto quello realizzato in pietra - era considerato quale emblema di Cristo stesso, da un lato per il suo stretto legame con l'eucaristia che vi si celebrava, dall'altro per la definizione che Cristo ha dato di sé, quale 'pietra angolare' (Mt. 21, 42; probabilmente anche in rapporto a Sal. 118, 22). Era l'onore del popolo di Dio essere in comunione con l'a. (1 Cor. 10, 18); colui che partecipava della mensa partecipava anche della divinità: nei sacrifici pagani entrava in comunione con gli idoli, nel calice della benedizione e nel pane (ivi, 10, 16-17) era in comunione con il corpo di Cristo. Tutte le forme di venerazione riservate all'a. (bacio, incenso, candele) si trasmettevano al Cristo stesso. In questo mondo simbolico anche i martiri e i santi sepolti sotto l'a. venivano considerati la sua corte celeste, certamente in relazione a quanto si legge in Ap. 6, 9.
Dal punto di vista tipologico gli a. possono essere suddivisi in tre gruppi: a mensa, a cassa e a blocco.La forma a mensa è la più antica dal punto di vista storico e liturgico; consiste di un piano con relativi sostegni (quattro o cinque e, per gli esemplari di piccole dimensioni, anche uno solo) o con due lastre ortogonali a esso (Torcello, cattedrale). Questa è la tipologia più consueta in epoca precarolingia, fino a tutto il Medioevo. Per conferire alla struttura una visione più omogenea, si inseriva tra i due sostegni anteriori un elemento mediano (antependium) così da ottenere visivamente una struttura più compatta che ricorda l'a. a cassa o a blocco.
Anche per l'a. a cassa, particolarmente adatto alla custodia di reliquie in epoca tardoantica, il punto di partenza era il tavolo. Al di sotto dell'a. partiva un incavo verticale (cataracta), che verso il basso arrivava fino alla sepoltura del santo o del martire (confessio) o al reliquiario posto in profondità. Il fedele in adorazione delle reliquie poteva vedere il reliquiario grazie a questo tipo di incavo oppure, calandovi un pezzetto di stoffa o altro materiale legato a una corda, entrare in contatto fisico con l'oggetto di culto e ottenere delle reliquie per contatto (brandea).
I piani posti tra i sostegni creavano una vera e propria struttura 'a cassa' (da cui la denominazione dell'a.) che, sulla fronte, spesso veniva corredata di un'apertura richiudibile per mezzo di una grata (fenestella confessionis), che permetteva il contatto visivo o fisico con le reliquie (per es. a Cividale del Friuli, S. Martino). Nell'incavo dell'a. di S. Pietro a Roma, di epoca post-gregoriana, è stato scoperto un perno di bronzo, al quale si poteva appendere il turibolo nei giorni di festa: l'incenso fuoriusciva dall'interno, avvolgendo l'a. nel fumo. L'a. a cassa, nella sua forma originaria, entrò in disuso con la scomparsa di questa forma di culto delle reliquie e quando si cominciò a conservarle nell'a., tra la mensa e il sostegno, e in ultimo nella mensa stessa. La struttura di alcuni antependia e paliotti medievali si rif'a ancora agli usi paleocristiani.
L'a. a blocco derivò il suo nome dal sostegno chiuso, di forma compatta, di misure coincidenti o di poco inferiori a quelle della mensa. Questa fu la tipologia più diffusa a partire dall'epoca carolingia, probabilmente grazie alla sua struttura solida o per l'impressione monumentale che dava all'interno della chiesa. Le ampie superfici del blocco, specialmente quella frontale, si adattavano bene alla decorazione ornamentale (lesene, finte colonne, motivi fitomorfi e a racemi, mosaici cosmateschi; Subiaco, Sacro Speco), oppure figurata (Ferentillo, abbazia di S. Pietro in Valle). Erano molto usati come rivestimenti anche antependia di stoffa o di metallo. Nella parte posteriore di questo tipo di a. a blocco, sin dall'Alto Medioevo - quando l'a. maggiore era già molto arretrato all'interno dell'abside - era presente una sorta di piano o struttura rialzata, dove si appoggiavano di solito lampade e reliquiari; questi ultimi, a partire dal sec. 14°, spesso avevano la forma di busti. Nel Tardo Medioevo si diffusero le grandi pale d'a. dipinte o scolpite, raffiguranti per es. una Sacra conversazione. Ampiamente diffuso a partire dall'età tardoantica e durante tutto il Medioevo, l'a. a blocco, fissato al pavimento, dotato di confessione e consacrato dal vescovo (altare fixum), costituì il luogo deputato per la celebrazione dell'eucaristia. Nel Medioevo infatti era ritenuto impossibile celebrare la messa su di un a. non consacrato. Stando alle disposizioni liturgiche o ecclesiastiche, sembra non si conoscesse nulla riguardo la storia dell'a. e la sua originaria forma mobile: l'insieme di mensa, sostegno e confessione, sviluppatosi solo nel corso del tempo, durante il Medioevo era considerato il naturale e inevitabile frutto della tradizione. Soprattutto l'a. maggiore (altare maius, summum, dominicalis, cardinalis) si atteneva a questi requisiti.
Si potevano tuttavia presentare occasioni particolari (durante i viaggi, nelle missioni) nelle quali si doveva celebrare la messa, ma non si possedeva nessuno di questi a. fissi. Per questo tipo di esigenze, si sviluppò il c.d. 'a. da viaggio' (a. portatile o mobile); un vero e proprio a. a blocco in miniatura, che potesse viaggiare con il resto del bagaglio senza grosse difficoltà. Nonostante fosse mobile, esso doveva comunque contenere delle reliquie ed essere consacrato dal vescovo. Questo tipo di altarolo portatile era dunque composto da una cassetta dell'altezza di cm. 20 ca., che eventualmente si poteva appoggiare su di un tavolo e che custodiva al suo interno le reliquie. Nella parte superiore era coperto da un piano di marmo, o di altro materiale più prezioso, che ricordava una mensa e che era necessariamente di dimensioni tali da permettere facilmente, durante la messa, l'appoggio del calice e della patena da viaggio. Questi ultimi erano all'epoca spesso relativamente piccoli, poiché, dopo la scomparsa della comunione con il calice e la sempre più rara comunione dei laici, non dovevano più contenere grandi quantità di pane e di vino. Il cofanetto stesso, che in certa misura sostituiva il sostegno dell'a., aveva per lo più un'anima in legno che, negli esempi più preziosi, veniva decorata con metalli nobili, avorio, figure a rilievo e gemme. Sono giunti fino a oggi, soprattutto a partire dall'epoca romanica, numerosi esempi di questi altaroli portatili, conservati nei musei e nei tesori delle chiese (uno fra i più significativi è conservato a Paderborn, Erzbischöfliches Diözesanmus. und Domschatzkammer). Essi tuttavia cominciarono lentamente a scomparire nel corso del Medioevo, poiché - anche nei territori di missione - sorsero ovunque numerose chiese e cappelle.
Un'altra tipologia di altarolo portatile era data dalla c.d. pietra sacra. Si trattava di un piano di pietra dello spessore di cm. 3 ca. (arenaria, marmo, spesso ardesia) con i lati lunghi dai 30 ai 50 cm., quindi di dimensioni tali da permettere di appoggiare comodamente le suppellettili necessarie. Coperta completamente da una tovaglia, tale pietra sacra rappresentava l'estrema riduzione di una normale mensa: come su quest'ultima, durante la consacrazione vi venivano incise le croci di benedizione; essa conteneva al suo interno una piccola arca per le reliquie, nel punto dove il sacerdote era solito baciare l'a. o pietra sacra. Si trattava quindi di un vero e proprio a. in miniatura, che, come l'a. normale, in caso di violazione delle reliquie era da considerarsi esacrato. In epoca medievale questo tipo di a. assunse una grande importanza, soprattutto con il diffondersi degli a. laterali e minori (altaria minora). Il costante aumento del numero degli a., il loro spostamento all'interno della chiesa, o il cambiamento della loro dedica, avrebbero portato necessariamente a un'infinità di consacrazioni da parte del vescovo, difficilmente attuabili. Si diffuse perciò l'uso di questi a. laterali, spesso lignei, sui quali grazie a una pietra sacra, facilmente trasportabile, era possibile la celebrazione della messa. La pietra sacra veniva livellata con il piano dell'a., incassata in modo da rendere il piano nuovamente uniforme, per evitare che il calice potesse rovesciarsi. Il diritto ecclesiastico definì in seguito questo tipo di a. quasi fixum.
In epoca paleocristiana e altomedievale ogni chiesa possedeva di norma un unico altare. In origine esso si trovava quale ideale punto di riferimento per l'intera comunità - in senso teologico, simbolico e sociologico - nella zona più avanzata del presbiterio verso le navate. Dietro a esso nella concavità absidale era collocata la cattedra del vescovo, fiancheggiata dagli scanni (subsellia, synthrónoi) per il clero. Questa strutturazione della zona presbiteriale tuttavia cominciò a modificarsi progressivamente già a partire dal periodo costantiniano sotto l'influsso della norma secondo cui la preghiera doveva essere rivolta verso Oriente. Questa norma era in rapporto con l'attesa del ritorno del Salvatore, che sarebbe appunto venuto da Oriente alla fine dei tempi (Mt. 24, 27; Ap. 7, 2), e distingueva i cristiani dagli ebrei che pregavano invece rivolti verso Gerusalemme in attesa dell'avvento del Messia che avrebbe ricostruito il tempio (per es. Talmūd: Jebamoth, 105; Berakhot, 4, 5).
Questa interpretazione teologica, o semplicemente ideologica, relativa al volgersi a Oriente fu di grande importanza per la costruzione delle chiese e per la disposizione dell'a. al loro interno, benché nel Medioevo non se ne avesse più una chiara coscienza. L'orientamento delle chiese in direzione E, o meglio la costruzione del presbiterio nel lato corto rivolto verso Oriente, fu sempre mantenuto, a meno che non lo impedissero motivi urbanistici o le condizioni del terreno. Non entra in contraddizione con quanto detto il fatto che alcune basiliche romane (la basilica del Salvatore al Laterano, S. Pietro in Vaticano, S. Paolo f.l.m.) avessero le loro absidi a O: il celebrante si rivolgeva comunque verso Oriente durante la preghiera. Ma dopo il 420 anche a Roma le absidi rivolte a E divennero la norma. La struttura interna della zona riservata all'a. si modificò radicalmente. Per ragioni pratiche, cioè per accorciare la distanza fra il consesso e l'a., la cattedra vescovile e i seggi per il clero vennero spostati davanti all'a. (la cattedra per lo più sul lato c.d. del Vangelo, i seggi dei chierici contrapposti frontalmente ai lati del 'coro', che assunse tale nome solo a partire da questa epoca, poiché monaci e chierici vi intonavano i salmi in coro). L'a., di conseguenza, venne situato sempre più a E all'interno dell'abside, fino a che non si trovò addossato alla parete orientale del coro e non fu quindi più possibile girarvi intorno. L'aumento del numero dei sacerdoti, dei monaci e dei canonici, che non concelebravano in un'unica messa corale, ma celebravano ogni volta la loro propria messa privata (missa lecta), portò a un tale incremento della quantità degli a. che quelli laterali (altaria minora) vennero sistemati ovunque all'interno della chiesa: lateralmente lungo le pareti della navata centrale (fattore che portò alla formazione di cappelle laterali), di fronte ai pilastri della navata e, a partire dall'epoca gotica, soprattutto nelle cappelle radiali del coro. Nel periodo carolingio, la chiesa del monastero di Centula o Saint-Riquier (Francia) poteva già contare dodici a. e nel progetto ideale dell'abbazia di San Gallo (820 ca.) ne appaiono diciannove. Le chiese parrocchiali seguirono questo modello, certo in tono minore, e in esse si costruirono - spesso più del necessario, sotto l'influsso delle confraternite, delle corporazioni o delle famiglie patrizie - a. devozionali laterali. Si tratta sovente di veri e propri capolavori dal punto di vista storico e artistico, che testimoniano di una devozione popolare frammentata, che aveva perso di vista il punto centrale, l'altare. La preferenza per le messe private presso gli a. laterali o quello maggiore, spesso celebrate contemporaneamente e quindi in 'tono basso', provocò la perdita della forma liturgica solenne della messa nella cattedrale e delle messe comuni, nonché l'indebolimento dell'aspetto scenico del rito eucaristico e di altri antichi elementi legati al culto: l'ambone - per influsso dei monaci predicatori - si trasformò in pulpito, posto in corrispondenza di un pilastro della chiesa, mentre un pontile impediva spesso la visuale verso l'antico singolo a. maggiore; inoltre con il passare del tempo scomparvero anche i solenni canti corali. Le trasformazioni subite dall'a. nel corso del Medioevo sono dunque testimonianza dei cambiamenti nella liturgia e nella sua celebrazione.
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di E. Zanini
Anche nel mondo bizantino l'a. era un arredo liturgico di fondamentale importanza: in esso si sommavano infatti sia il significato memoriale (l'a. era solitamente eretto sul luogo in cui erano custodite le spoglie mortali di un santo, o conteneva al suo stesso interno reliquie di diversa natura) sia il significato liturgico, determinato dal ruolo che la mensa e gli altri arredi del bema svolgevano nel complesso cerimoniale liturgico della Chiesa orientale. Di questi diversi significati sono testimonianza le differenti notazioni terminologiche con cui l'a. era definito nel mondo orientale: in generale τϱάπεζα, laddove si intendeva propriamente la mensa, o θυσιαστήϱιον, quando il termine si estendeva all'a., e, talvolta, all'area circostante. Significativi appaiono inoltre gli aggettivi e i traslati che spesso venivano utilizzati in associazione o in sostituzione dei termini stessi: ἁγίον θυσιαστήϱιον (Gregorio di Nissa, In Diem Luminum; PG, XLVI, coll. 581-582), μυστιϰή (Gregorio di Nazianzio, Carmina, I, parte II, 1, 11; PG, XXXVII, coll. 523-524), ἱεϱὰ τϱάπεζα o ἄσυλοϚ (Sinesio di Cirene, Catastasis; PG, LXVI, coll. 1565-1574), τίμια τϱάπεζα (Evagrio Scolastico, Hist. Eccl., 6, 21; PG, LXXXVI, coll. 2876-2878).
Le fonti antiche risultano altresì fondamentali per uno studio tipologico e funzionale degli a. bizantini, di cui peraltro si sono conservati pochi esempi integri. Arredi di così particolare significato simbolico e liturgico non subirono infatti quel processo di abbandono cui furono normalmente sottoposti i manufatti di minore importanza, ma vennero continuamente riutilizzati e adattati ai nuovi gusti ed esigenze mediante trasformazioni di lieve entità (Atanasov, 1981). Questo fatto spiega da un lato la relativa scarsità di a. rinvenuti nel corso di indagini archeologiche, dall'altro la continuità tipologica che accomuna esemplari anche di epoche assai diverse.
Le testimonianze archeologiche forniscono però informazioni interessanti circa il numero degli a. e la loro collocazione all'interno dello spazio ecclesiale. A differenza di quanto accadeva nel mondo occidentale, nelle chiese bizantine esisteva normalmente un solo a.; in alcuni casi, specialmente nell'area egiziana, potevano esistere però a. sussidiari, due o quattro, collocati anch'essi nella zona del bema. In epoca paleobizantina, l'a. era di solito posto di fronte all'abside - che era occupata dal σύνθϱονοϚ, il sedile semicircolare a uno o più livelli destinato ad accogliere i membri del clero - e al centro del santuario che si protendeva nella navata centrale fino a raggiungere l'ambone. Questa ubicazione dell'a., testimoniata per es. a Costantinopoli nelle basiliche di S. Giovanni di Studios (ca. 453) e della Theotokos Chalkoprateia (metà del sec. 5°) e nella chiesa di S. Eufemia (sec. 6°), mutò successivamente nel corso del periodo mediobizantino, quando, in relazione alla semplificazione del rituale e alla riduzione delle dimensioni del σύνθϱονοϚ, l'a. venne collocato all'interno dell'abside, separato dalla navata da una recinzione rettilinea, come è testimoniato, per es., dalle chiese meridionali dei monasteri del Pantocratore (sec. 12°) e di Costantino Lips (sec. 13°) a Costantinopoli.
Dal punto di vista tipologico gli a. bizantini non differiscono sostanzialmente da quelli in uso in ambito occidentale; le forme possono essere ricondotte a tre tipi principali: a mensa, a blocco e a cassa. Non sembra possibile indicare una successione cronologica precisa fra i tre casi; è invece plausibile che i diversi tipi di a. coesistessero nella stessa epoca e che la scelta di un tipo piuttosto che di un altro fosse dettata da tradizioni culturali e da simbologie affermate nelle diverse aree del policentrico mondo bizantino. Gli a. a blocco, costituiti da un cippo in pietra, solitamente quadrangolare, con le facce variamente decorate, di diretta derivazione classica, potevano essere in connessione con le memorie dei martiri, le cui spoglie mortali erano spesso collocate in piccole cripte poste nella zona del bema. In qualche caso il blocco poteva costituire l'unico sostegno centrale di una più ampia mensa quadrangolare, come nel caso della basilica di S. Giovanni Evangelista (ca. 430) e del battistero degli Ortodossi (metà del sec. 5°) a Ravenna, nonché della basilica Eufrasiana di Parenzo (metà del sec. 6°). A una diversa collocazione delle reliquie poteva invece essere finalizzato l'uso dell'a. a cassa, costituito da cinque lastre di pietra che delimitavano un vano centrale, il quale poteva contenere un'urna più piccola con le reliquie del santo cui l'a. e di conseguenza la chiesa erano dedicati. In questo caso, attraverso una piccola fenestella confessionis, era possibile per i fedeli raggiungere con la mano o con brandelli di stoffa il contenitore delle reliquie stesse. A un a. a cassa si riferisce una testimonianza di Costantino di Tios (Mathews, 1971, p. 67) relativa alla chiesa di S. Eufemia a Costantinopoli e a un a. di questo tipo appartiene l'unico frammento conservato a Istanbul (Arkeoloji Müz.; Mathews, 1971, fig. 53): una lastra frontale decorata con una coppia di colonnette che sorreggono un arco di foglie di acanto racchiudente una croce. A questo tipo sembrano poter essere ricondotti anche alcuni a. raffigurati in miniature su codici di epoca mediobizantina (Parigi, BN, gr. 510, c. 367v, ca. 880; Roma, BAV, gr. 1613, c. 324, ca. 985; gr. 747, c. 135v, sec. 11°), rappresentati sempre coperti da un telo, decorato talvolta con croci e gemme.
Il tipo di a. più diffuso fu però quello a mensa, nelle sue numerose varianti; il numero di sostegni poteva variare da uno, come nel caso dei già citati a. a blocco, fino a un massimo di nove, come nel caso dell'a. della basilica B di Nicopoli (Sotiriou, 1931). Nella grande maggioranza però la mensa era sorretta da quattro pilastrini o colonnette posti agli angoli, cui si aggiungeva in alcune circostanze un ulteriore sostegno centrale; sono attestati anche a. la cui mensa poggiava su due sostegni piani laterali, riproducendo così parzialmente il tipo dell'a. a cassa.
La mensa stessa poteva assumere forme assai diverse: rettangolare, la più frequente in epoca paleobizantina; circolare, documentata assai raramente; semilunata, o 'a sigma', forma diffusa sia nell'epoca protobizantina sia in quella mediobizantina. Indipendentemente dalla sua forma, la mensa presentava spesso una cornice modanata a rilievo o un bordo variamente lavorato. In un tipo caratteristico, attestato sia in area palestinese (Bagatti, 1956-1957), sia in Africa settentrionale (Duval, 1967), sia nell'area balcanica (Dyggve, 1951), il bordo presenta una decorazione ad alveoli incavati, di forma semicircolare o a ferro di cavallo che in qualche caso (per es. un frammento erratico proveniente da Salona e conservato a Zagabria, Arheološki muz.; Dyggve, 1951, fig. V, 31) contengono le immagini del Cristo e degli apostoli, riconnettendo in maniera ancora più evidente la celebrazione eucaristica che si svolge sull'a. con il ricordo dell'Ultima Cena. Sia nelle mense a sigma sia in quelle rettangolari compare talvolta una apertura, una sorta di piccolo canale, che interrompe la bordura rilevata lungo uno dei lati rettilinei, la cui interpretazione è ancora incerta, ma che poteva essere legata a particolari pratiche liturgiche (Piussi, 1980).
Tutti i tipi di a. erano realizzati, almeno a partire dal sec. 4°, in pietra, spesso in marmo, ma talvolta anche in basalto, laddove, come nell'area siriaca, esso era molto diffuso come materiale da costruzione (Lassus, 1947). Il significato simbolico della scelta di questo materiale è evidente - l'a. come simbolo cristologico, pietra angolare della fede - ed è testimoniato anche dagli scrittori antichi (Simeone di Tessalonica, Expositio de divino templo, 10; PG, CLV, coll. 705-706). Nei primi secoli del cristianesimo e in particolari aree dell'impero, la tavola per la celebrazione eucaristica era spesso di legno: Atanasio, vescovo di Alessandria d'Egitto nel sec. 4°, ricorda (Historia Arianorum ad monachos, 56; PG, XXV, coll. 759-760) l'esistenza di mense simili e un esemplare, databile al sec. 4°, è oggi conservato al Cairo (Coptic Mus.). A questa norma facevano eccezione gli a. in metalli preziosi commissionati da imperatori e patriarchi per le chiese più importanti dell'impero. Nessun frammento di essi è pervenuto, ma le fonti antiche ne riferiscono l'esistenza con una certa dovizia di particolari. Sozomeno (Hist. Eccl., IX, 1; PG, LXVII, coll. 1593-1596) descrive l'a. in oro e pietre preziose donato dall'augusta Pulcheria alla chiesa teodosiana della Santa Sofia di Costantinopoli. Dopo la distruzione durante la rivolta di Nika del 532 e la ricostruzione in epoca giustinianea, la chiesa fu dotata di un altro splendido a., composto da una mensa e da colonnette di sostegno d'oro massiccio, a loro volta poggianti su di un basamento aureo; l'insieme era decorato con pietre preziose e posto sotto un baldacchino d'argento (Paolo Silenziario, Descriptio ecclesiae Sanctae Sophiae; PG, LXXXVI, col. 2148). Un a. d'argento e oro era collocato anche nella chiesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme (Paolino di Nola, Ep., XXXII, 6; PL, LXI, coll. 333-334), mentre uno d'argento brillava, secondo Coricio di Gaza, nella chiesa dedicata a s. Sergio nella stessa Gaza (Hamilton, 1956).
Dal punto di vista della funzione liturgica, l'a. appare collegato agli altri elementi che arredavano il bema; come parte necessaria di un cerimoniale complesso che, quasi come in uno spettacolo, coinvolgeva officianti e fedeli, esso segnava quindi una delle stazioni principali della celebrazione. Costituendo una sorta di ponte, o di soglia, che al tempo stesso metteva in comunicazione e manteneva separate le sfere dell'umano e del divino, l'a. assumeva in diversi momenti un ruolo centrale nello svolgimento della liturgia. Nel corso della Prima entrata, la processione che portava l'imperatore e il celebrante (vescovo o patriarca) all'interno della chiesa, l'a. era destinato a ricevere il donativo in oro che l'imperatore lasciava per poi uscire da una porta laterale e prendere posto nella navata meridionale. Successivamente, nel corso delle letture e delle preghiere, i vangeli venivano portati in processione all'a., da dove venivano trasferiti all'ambone per la lettura. Ma il culmine del significato simbolico era raggiunto nel corso della cerimonia della Grande entrata (o Entrata dei Misteri), durante la quale il pane e il vino eucaristici, preparati negli ambienti annessi, venivano trasportati all'a. per essere consacrati e trasformati nel corpo mistico del Salvatore.
Il ruolo liturgico e il significato simbolico dell'a. andarono ulteriormente sviluppandosi nel corso del periodo mediobizantino, durante il quale una progressiva semplificazione della scenografia rituale e lo spostamento dell'a. nell'abside, delimitato e protetto dagli sguardi dei fedeli da iconostasi sempre più alte ed elaborate, conferirono all'a. stesso, in maniera sempre più spiccata, il valore simbolico di sede della divinità, dunque ormai lontano dall'agape fraterna delle prime comunità cristiane.
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