ALTICHIERO (Aldighieri, Aldigheri)
Pittore, figlio di un Domenico da Zevio, presso Verona (l'origine veronese è testimoniata da Biondo da Forli). È documentata la sua presenza in patria nel 1369, a Padova nel 1379 (non 1377), quando riceve il saldo per il lavoro compiuto al Santo, e nel 1384. Erano di lui a Verona, secondo il Vasari (del 1364 ca.), le storie della "guerra di Gerusalemme" nella sala grande del palazzo degli Scaligeri, oggi forse occultate e di cui forse è ricordo in tarde copie di ritratti, trovate dallo Schlosser agli Uffizi e nel Museo di Vienna. Probabilmente questi lavori veronesi di A. (e forse anche l'affresco rimasto in S. Anastasia) precedettero l'attività padovana (un affresco ritrovato in Castelvecchio e a lui attribuito sembra tuttavia di altra mano). La ricostruzione critica dell'opera di A. si è basata sugli affreschi che decorano la cappella di S. Giacomo (ora di S. Felice) nel Santo di Padova, ordinati da Bonifazio Lupi di Soragna; fra essi vengono concordemente riconosciuti ad A. la Crocifissione e la Battaglia di Clavigo, che denunciano, per l'equilibrio compositivo e cromatico, una personalità diversa da quella visibile in tutti gli altri affreschi. La complessa, sapiente eleganza della composizione allude a indubbie origini toscane: l'impostazione e il coordinamento, nella Crocifissione, dei gruppi affollati, il modo come, sui piani sapientemente scalati, i corpi si toccano, le masse si intersecano, definendo uno spazio che ha una invasatura quasi rinascimentale, insieme con precisi riferimenti di singole forme, ricordano la visione degli orcagneschi: come ha ben visto il Berenson. Il colorito in cui, intorno all'incarnato rosa dei volti, s'intonano grigi pallidi, lilla, violacei, rosagrigi, bianchi, velati di giallo, pallidi verdi acqua, permette di riconoscere la stessa mano nell'affresco di S. Anastasia a Verona, dove i membri della famiglia Cavalli vengon presentati alla Vergine. Ma il dipinto veronese, per i più diretti richiami a Giotto (gli angeli assistenti sono memori di quelli della Adorazione dei Magi dell'Arena) e per l'intrusione nell'opera della tomba Cavalli muratavi nel 1390 circa, sembra precedere gli affreschi della cappella di S. Giacomo. Di altro maestro sembrano invece, nella cappella di S. Giacomo il Sogno di Ramiro e il Consiglio della corona (forse lo stesso autore del ritratto del Petrarca nella reggia carrarese); laddove il cosiddetto "Maestro di S. Giacomo" autore di tutte le lunette è artista, a nostro avviso, vicino ai bolognesi (a lacopo di Paolo e al maestro delle due storie di Mosè a Mezzaratta). Nella cappella di S. Giorgio sul sagrato del Santo, eretta da Raimondino de' Lupi, fratello di Bonifazio, morto nel 1379, si ritrovano i caratteri della pittura altichieriana, se pure con qualche diffe-'renza, nell'opera di un maestro che vi lavora accanto al ben documentato Avanzo. Ivi, nella nobile Crocifissione, al grigio modellato, di un timbro tanto schiettamente lombardo da presentire addirittura Foppa e Bergognone, si accorda una gamma sensibilmente diversa da quella della Crocefissione di S. Giacomo, basata sul contrasto, quasi tomplementare, tra varietà di viola e di lilla da un lato e opachi gialli dall'altro; e resta il sospetto se costui sia A. in una fase più progredita, oppure si tratti, per quei caratteri così dichiaratamente lombardi, e anzi bresciani, di quell'Ottaviano da Brescia che il Michiel seppe attivo a Padova, accanto ad A. nella Sala dei Giganti. Certo, in S. Giorgio, sono di questa stessa mano la Decapitazione di s. Giorgio e le scene dell'infanzia di Cristo sulla parete della facciata, mentre spettanò a uno o più seguaci il quadro votivo con S. Giorgio e i Lupi di Soragna presentati alla Vergine e l'incoronazione della Vergine.
Del 1380-85 erano gli affreschi sulla tomba Dotto agli Eremitani di Padova, scomparsa sotto un bombardamento nella seconda guerra mondiale.
L'arte di A. sembra svolgersi parallelamente a quella di Avanzo, e senza dipenderne, nè influenzarla direttamente. Sul carattere cavalleresco di A., tinto di nobile malinconia, in contrasto con l'asciutto aggettivismo toscano, ha insistito lo Schubring, e tuttavia la sostanza e l'equilibrio del suo giuoco formale rivelano apporti toscani, come s'è visto, non tanto con le forme diffuse nella valle del Po (Giovanni da Milano, Giusto), di cui non mancano tuttavia tracce, quanto con gli orcagneschi; laddove non sembrano filtrare affatto, a nostro vedere, nel gusto di A. elementi bolognesi, emiliani, che avrebbero potuto provenire da un contatto con Tommaso da Modena col quale A. non ha nulla in comune (Schubring). Né, oltre agli spunti dettati dalle eleganze proprie della moda occidentale, si rintracciano qui elementi del linguaggio gotico internazionale, che pure cominciavano a diffondersi in quegli anni.
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