ALTINO (Altīnum)
Centro antico, posto tra le paludi vicine al fiume Sile (Silis), la cui origine, dovuta certamente a genti venete, è ignota. Attualmente frazione del comune di Quarto d'A. (prov. di Venezia). Le notizie storiche su A. non abbondano.
L'affermarsi della città fu probabilmente in dipendenza delle vie Annia e Postumia anche se questa non toccava proprio il luogo - aperte nel II sec. a. C., onde la città comunicava a E con Aquileia, con l'Istria, col Norico, a S e a O con l'Italia centrale e settentrionale. Iniziata indi da Druso e compiuta dall'imperatore Claudio, suo figlio, quella grande arteria che si chiama Claudia Augusta, A. divenne il punto di partenza dei traffici diretti al Danubio e alla Germania, funzione propria oggi in parte di Venezia, che di A. fu l'erede più immediata. Il percorso della Claudia Augusta nell'agro altinate è riconoscibilissimo, e grandioso appare ancora, malgrado i maltrattamenti subiti, il lagozzo, un potente terrapieno presso Musestre che, sopraelevando il piano stradale, sottraeva la zona bassa della via ad ogni allagamento.
È incerto se l'epigrafe C. I. L., v, 2299, relativa a templi, portici e giardini offerti da Tiberio console (13 a. C. - 4 d. C.) a un municipium, spetti ad A. o, come opina qualcuno, ad Aquileia, con la quale Tiberio ebbe più stretti rapporti. Dell'imponenza di A. e dell'incanto della sua spiaggia, quando nel I sec. d. C. la città raggiunse la maggiore floridezza, testimonia il verso il Marziale (iv, 25) aemula Baianis Altini litora villis. Contrasta con affermazioni così sonore la scarsezza dei ritrovamenti archeologici di Altino. Il che si spiega e con la vicinanza di Torcello, che per prima sfruttò la città distrutta da Attila ed abbandonata, e poi col sorgere di Venezia, che in A. ebbe la più ricca cava di materiale da costruzione. Per la dispersione delle reliquie altinati è significativo che una iscrizione marmorea di balnea, cioè di terme, finì a Grado quale ipobase di una colonna del duomo del VI sec. inoltrato. Una basilica romana è esistita ad A. (C. I. L, v, 2157). Una grande ara iscritta documenta implicitamente la presenza, nella città, di un tempio sacro a Venere. Il pezzo acroteriale di cospicuo edificio a girali di cespi d'acanto, legati tra loro, di ottima esecuzione nelle volute, nelle foglie, nel caulicolo, e lavorati a giorno, attesta le qualità d'arte delle opere pubbliche dell'antica Altino.
Del fasto delle case di A. può darci, tra l'altro, una idea il frammento di un tessellato messo parzialmente in luce durante la guerra del 1915-18, mentre si scavava una trincea e della cui ubicazione si è persa successivamente la traccia. Tessere minutissime disegnano con naturalezza un ramo di foglie gareggiando quasi con la pittura per la delicata gamma delle tinte. Il lacerto si presta anche per altri particolari al confronto con due famosi tessellati di Aquileia della fine della Repubblica, e forse agli stessi tessellarî di Aquileia risale anche questo saggio di Altino.
Nel 1952 si recuperò lungo l'Annia, in Val Pagliaga, (proprietà co. Jacopo Marcello) parte degli elementi struttivi di un grande mausoleo che, di certo su basamento quadrato, sviluppava una edicola circolare a colonne, fra le quali, nel centro, era collocata la statua del defunto, riapparsa integra.
Il tamburo circolare a sostegno dell'edicola, alto m 1,18, adorno di cornici modanate di tralci d'acanto a pieni girali con fiori, quasi in funzione di fregio e sommamente decorativo, presuppone in basso un basamento quadrato, come si vede, del resto, nel mausoleo ricostruito di Aquileia e com'è, si può dire, norma nei mausolei.
La statua togata di ignoto (nulla fu raccolto dell'epigrafe), alta ben m 2,10, di buon modellato, sempre, però, di scalpello provinciale, si data, come dal volto e dalla capigliatura ed anche dalla toga, ad età augustea o immediatamente postaugustea.
Vanno menzionati anche due tritoni a tutto tondo ora acefali e senza braccia, molto mossi e di vigoroso modellato - tale da ricordare, come fu già osservato da altri, le sculture pergamene - che poggiano su uno zoccolo e che possono aver appartenuto, come da frequenti esempi in bassorilievo, a qualche insigne monumento sepolcrale.
Sono propri di A. alcuni monumenti sepolcrali di un tipo caratteristico, con cippi poligonali per lo più decorati da motivi fitomorfi. I sepolcri, sub divo e non ipogei, avevano, come altrove, recinzioni murarie che, sulla fronte, lungo la via pubblica ricevevano più vistoso decoro. Pur non possedendo nessun prospetto integrale, non erreremo collocando alle due estremità della facciata i detti cippi. La loro funzione funeraria risulta da clipei con ritratti dei defunti di cui spesso si adornano, nonché da noti simboli sepolcrali scolpiti, quali conigli affrontati che mangiano l'uva, delfini ecc. Questi cippi derivano, probabilmente, da are di tale forma usate anzitutto in onore degli dèi, che, come appunto le are quadrangolari e quelle cilindriche, coll'affermarsi del culto degli Dei Manes, sono dedicate anche ai trapassati. E poiché i detti poliedri non sono mai iscritti, per l'epigrafe funeraria immagineremo apposita ara o stele nel centro del prospetto, come a Boretto (Reggio Emilia) nel monumento dei Concordii o, arretrata nell'area, come ad Aquileia (v.), nel sepolcro degli Statii. Uguale funzione si attribuisce ai cippi cilindrici sormontati da pigna. Il corpo del cilindro si decora di festoni annodati al di sopra di maschere muliebri. Spesso, infine, ma non soltanto qui, i monumenti sepolcrali recano nel fastigio il busto o la testa dei defunti ritratti entro medaglioni (clipei) (v., ad es., il sepolcro di Paconia Arisbe, con il clipeo sorretto da tritoni). Coronamento di un sepolcro, come le sfingi in genere, sarà stata pure la sirena ad ali spiegate col bel volto dal profilo greco, i capelli che scendono sulle spalle, e il torso nudo e che in grembo, sulla veste ch'essa si sostiene con le mani, doveva tenere dei frutti. Il sarcofago col corpo di Sant'Eliodoro, nella cattedrale di Torcello, ha, ai lati della tabella con l'epigrafe, gruppi di puttini ebbri, con in mano un cantaro di repertorio romano, e, ai lati, due figure simboliche femminili, seminude, probabilmente con kàlathos sul capo e che, con un braccio, sostengono un globo.
Bibl: C. A. Levi, Studi arch. su A., Venezia 1888; A. Gallegari, Il Museo Provinciale di Torcello, Venezia 1930; F. Forlati, L'altare maggiore della basilica di Torcello, in Boll. d'Arte, 1930, pp. 49-54; E. Ghislanzoni, Antichità inedita scoperta negli ultimi decennî, in Not. Sc., 1930, pp. 461-484; G. Brusin, Il problema archeologico di A., in Atti del R. Ist. Veneto di Scienze, Lett. ed Arti, CV, 1946-47, pp. 93-103; G. Fogolari, Recenti ritrovamenti dell'agro altinate, in Atti del Convegno per il Retroterra Veneziano, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 1956, pp. 47-56; J. Marcello, La via Annia alle porte di A., Venezia 1956; S. Ferri, in Aquileia Nostra, XXVII, 1956, p. 25 ss.