Alto Adige
(ted. Süd-Tirol)
Regione dell'Italia settentrionale, corrispondente all'attuale prov. di Bolzano/Bozen. Durante il periodo medievale il territorio corrispondente all'attuale A. risentì di influssi diversi, che ne caratterizzarono l'espressione artistica e culturale. Dal 569 i Longobardi, provenienti da S, si stanziarono a Trento, fondando l'omonimo ducato, il cui confine settentrionale passava poco a meridione di Bolzano e Merano, inglobando il tratto corrispondente della Val d'Adige con le vallate laterali. Già nel 575 si trovarono però a dover affrontare, con alterne fortune, attacchi dei Franchi i quali, dopo il 590, si attestarono nella parte superiore del bacino dell'Adige. I territori tra Inn, Isarco e Rienza (Pusteria) erano occupati dai Baiuvari, provenienti da N, che, probabilmente nel 661, inglobarono anche la conca di Bolzano, mentre intorno al 610 gli Slavi lambirono i confini orientali, intorno a Brunico. Il territorio venne unificato da Carlo Magno con la sottomissione nel 774 del regno longobardo e nel 788 del ducato di Baviera, ma fu nuovamente diviso nell'843: la parte settentrionale, insieme al ducato di Baviera, passò al regno franco orientale, mentre quella meridionale, con la marca di Trento, al regno d'Italia. La nuova riunificazione politica di Ottone I nel 962, essenziale per la garanzia delle vie di comunicazione più dirette tra Italia e Germania (valichi di Resia, Brennero e Dobbiaco), si risolse nella parcellizzazione di fatto del territorio, che gli imperatori infeudarono ai vescovi e che questi affidarono amministrativamente ai loro 'avvocati'. Nel 1004 Enrico II concesse la contea di Trento al vescovo Uldarico I; nel 1027 Corrado II vi aggiunse la contea di Bolzano e la Venosta; concesse la valle dell'Inn e dell'Isarco al vescovo di Bressanone, che ricevette (1091) anche la contea della Pusteria. Divenuta ereditaria la carica di 'avvocato', tra le famiglie in lotta emerse la casata dei Tirolo, che deve a Mainardo II (1258-1295) il rafforzamento del potere e l'unificazione del territorio (Tirolo settentrionale, A. e parte del Trentino). Con la morte di Mainardo III, figlio di Margherita Maultasch, e l'estinzione della stirpe dei Tirolo-GoriziaWittelsbach, il territorio passò per donazione ereditaria a Rodolfo d'Asburgo (26 gennaio 1363) e seguì le sorti della casata.
Ovviamente più costanti furono i confini delle diocesi: quella di Trento comprendeva il territorio di Bolzano e Appiano; quella di Coira, la Venosta fino al Passirio; quella di Sabiona-Bressanone, la Val d'Isarco e la Pusteria.
La cristianizzazione dell'A., irradiatasi dai centri dell'Italia settentrionale nel sec. 4°, lasciò prime tracce abbastanza sistematiche di edifici religiosi - spesso dedicati a s. Vigilio, martirizzato in Val Rendena (Trentino) alla fine del sec. 4° - nell'ambito dei castelli di rifugio, costruiti, a partire dal sec. 6°, su dossi o alture naturalmente riparati (S. Pietro a Castelvecchio/Altenburg; Ss. Vigilio e Lorenzo, poi S. Barbara, a Castel Vetere/Castelfelder presso Egna/Neumarkt; S. Vigilio a Predonico/Perdonig). Dai resti non si ricava una tipologia comune: a Castelvecchio l'edificio è a tre navate con pastoforia e abside mediana semicircolare, a Predonico la pianta era probabilmente rettangolare e priva di abside. I recenti scavi hanno inoltre documentato l'esistenza di tre chiese e di un battistero a Sabiona/Säben, sede vescovile dal 570 ca. al 967 ca., databili tra il 5° e il 6° secolo.
Non vi sono edifici sicuramente attribuibili al sec. 7°, mentre il panorama artistico divenne più articolato nell'8°-9° secolo. In questo periodo assunse importanza particolare la Val Venosta, quale privilegiata via di comunicazione all'interno dell'impero carolingio.La chiesa di S. Procolo a Naturno/Naturns, probabilmente del sec. 8°, presenta una navata unica con abside orientale a pianta rettangolare. All'interno conserva un ciclo di dipinti murali raffiguranti, sull'arco absidale, un fregio a intreccio con simbolo trinitario, due angeli in volo con croci astili e due figure allegoriche; nella navata, delimitati da fregi a meandri prospettici, una teoria di offerenti, la fuga di s. Procolo da Verona, una mandria, cinque santi assisi e un angelo. Nel ciclo si ravvisa l'opera di due diverse personalità: il Maestro dell'arco absidale, legato a interpretazioni nordiche, e quello della navata, che si richiama alla cultura tardoromana. I numerosi tentativi di confronti proposti, con la miniatura irlandese e le sue filiazioni a San Gallo (Garber, 1923), con la miniatura continentale (Gerola, 1925-1926), con gli affreschi spagnoli di Tarrasa (Morassi, 1934), non sono convincenti, mentre i riferimenti alla cultura longobarda dell'Italia settentrionale e l'indicazione di reminescenze tardoantiche (Beyschlag, 1951; Myss, Posch, 1966; Rasmo, 1971; Eggenberger, 1974), pur non essendo conclusivi, sono indicativi di una pertinenza culturale. Anche le proposte di datazione hanno oscillato dal sec. 7° al 10°, ma potrebbero ragionevolmente attestarsi tra la fine dell'8° e gli inizi del 9° secolo.
La chiesa di S. Benedetto a Malles Venosta/Mals, probabilmente cappella gentilizia di una famiglia di dignitari carolingi o demanio regio, presenta nella pianta a navata unica, rettangolare, con tre nicchie ricavate nello spessore della parete orientale, evidenti analogie con la distrutta chiesa di S. Maria in Aurona a Milano, della prima metà dell'8° secolo.
Gli affreschi della parete settentrionale comprendono Storie di Davide e di s. Gregorio; quelli della parete orientale busti di santi e angeli, Cristo benedicente tra due angeli, i Ss. Gregorio e Stefano nelle nicchie e i committenti, un dignitario laico e un ecclesiastico. La decorazione ad affresco di questa parete era integrata da una ricca incorniciatura in stucco, di cui rimangono tracce in situ nelle sinopie e nella colonnina con capitello e animale sovrapposto; altri frammenti in stucco, conservati a Bolzano (Mus. Civ.), recano tracce dell'originaria policromia nelle parti figurate, mentre quelle decorative erano probabilmente dipinte in bianco (Peroni, 1986). I frammenti di marmo di Lasa, colonnine e capitelli, pure conservati al Mus. Civ. di Bolzano, non appartengono all'apparato decorativo della parete orientale ma, insieme ai due plutei 'a fondo di cesto', formavano un'iconostasi posta a m. 1,90 ca. dalla parete stessa, in corrispondenza del cambiamento tematico dei dipinti sul muro nord (Dannheimer, 1986, figg. 5, 6). Negli affreschi, datati con gli stucchi ai primi anni del sec. 9°, si riconoscono due differenti mani: il Maestro delle nicchie, legato alla tradizione classica, che dipinge in modo impressionista con lumeggiature sovrapposte, e il Maestro dei ritratti (cui si debbono, oltre ai ritratti dei committenti, anche le Storie di Davide), che racchiude le sue figure entro nette linee di contorno, con campiture piatte di colore. Affreschi e stucchi vengono messi in relazione con il contemporaneo ambiente lombardo e inseriti appieno nella 'rinascenza carolingia', della quale interpretano il duplice spirito di tradizione e rinnovamento.
Allo stesso ambito culturale e geografico appartiene il complesso di S. Giovanni a Müstair/Münster, oggi in Svizzera. Il ciclo di affreschi carolingi, di vaste proporzioni e in cui si nota la compresenza di varie personalità di diverso livello artistico, è conforme, dal punto di vista stilistico, alla pittura di tipo compendiario tardoantico del Maestro delle nicchie di Malles. Tale stretto rapporto, già interpretato come dipendenza stilistica e cronologica del ciclo minore da quello di più vaste proporzioni e di collocazione più prestigiosa (Garber, 1915), deve essere probabilmente rovesciato (Rasmo, 1966; 1971).
Un importante complesso di stucchi (recuperato in corso di scavo), proviene dalla chiesa venostana di S. Pietro a Quarazze/Gratsch, costruzione a navata rettangolare con abside semicircolare all'interno e poligonale all'esterno, con transetto sporgente e volta a botte. Al periodo costruttivo (secc. 8°-9°) dovrebbero risalire anche gli stucchi (Rasmo, 1981), forse in origine impiegati quale decorazione dell'arco trionfale o inseriti in un'iconostasi.I secc. 10° e 11° segnarono un notevole rallentamento dell'attività artistica e costruttiva in corrispondenza dei nuovi mutamenti politici. Testimonianze pittoriche si segnalano a S. Pietro a Quarazze/Gratsch, dove gli affreschi interni (busto di S. Paolo) e quelli esterni (Traditio legis) sono opera di un raffinato artista al corrente delle tendenze più evolute della pittura ottoniana d'Oltralpe (sec. 10°), a S. Vigilio a Morter (affreschi decorativi datati nell'iscrizione al 1080) e a Castel Firmano (fine sec. 11°).
A partire dal sec. 12° si andarono fissando anche i lineamenti stilistici romanici, che avrebbero raggiunto il loro momento più maturo e coerente non prima degli inizi del Duecento. L'architettura religiosa romanica, di influsso principalmente lombardo, non ha lasciato esempi di grandi dimensioni - se si esclude la collegiata di San Candido/Innichen - a causa dei successivi rimaneggiamenti, gotici e barocchi, delle chiese di maggiore importanza (duomo di Bolzano, duomo di Bressanone/Brixen, chiesa dell'abbazia di Novacella/Neustift, chiesa di Nostra Signora di Montemaria a Burgusio/Burgeis). La collegiata di San Candido, di fondazione baiuvara, venne completamente rinnovata in forme romaniche dopo il 1143 e modificata verso la metà del Duecento (consacrazione nel 1284). L'intervento barocco settecentesco venne eliminato nel riassetto neoromanico del 1846, a sua volta rimosso nel 1967-1969. La chiesa si presenta ora a tre navate con transetto, tiburio ottagonale all'interno e quadrato all'esterno, tre absidi precedute dalle campate del presbiterio e cripta (ricostruita) a tre navate. La navata mediana è coperta da volte a vela senza costoloni, mentre le navate laterali hanno volte a cupola; i sostegni sono pilastri ottagonali. I precedenti architettonici, così come l'effettiva provenienza delle maestranze, si situano in ambito emiliano.
All'ambiente veronese si richiamano invece il chiostro di Bressanone, ad arcatelle su colonnine binate con ampio uso di laterizio, degli inizi del Duecento, ma con volte trecentesche, e la parte romanica del chiostro dei Francescani di Bolzano.Omogeneità stilistica si riscontra nelle costruzioni di piccole dimensioni: chiesette di montagna, cappelle gentilizie, dipendenze di monasteri e abbazie. Si tratta di edifici a navata unica con soffitto piano e tre absidi orientate, sporgenti all'esterno o ricavate nello spessore del muro (S. Caterina a Castel Appiano/Hocheppan, S. Giacomo a Grissiano/Grissian, S. Giacomo a Termeno/Tramin, S. Margherita a Lana), oppure edifici a pianta circolare, generalmente con funzione di xenodochio (S. Michele a Novacella, S. Sebastiano a Chiusa/Klausen, S. Quirino a Bolzano, S. Lorenzo a Pianizza di Sotto/Unter Planitzing, S. Giorgio a Scena/Schenna). I campanili venostani ricalcano chiare tipologie lombarde nella piramide bassa e negli archetti pensili ciechi (S. Giovanni, S. Martino e S. Benedetto a Malles, S. Carpoforo a Tarces/Tartsch, S. Medardo a Tarres/Tarsch, S. Giovanni a Prato allo Stelvio/Prad am Stilfserjoch) e sono spesso impostati sulla zona absidale (S. Procolo a Naturno, S. Sisinio a Lasa/Laas, S. Nicolò a Laces/Latsch e Burgusio). Tali tipologie si radicarono fortemente nel panorama artistico locale, tanto che le modifiche dovute ai primi influssi gotici, soprattutto nelle chiese di piccole dimensioni della conca bolzanina, si limitarono alla costruzione più slanciata della piramide del campanile e al rifacimento delle volte a botte con sezione archiacuta (S. Giovanni in Villa e S. Maddalena a Bolzano, S. Martino in Campiglio/Campill, S. Barbara a Vadena/Pfatten). Nelle residenze vescovili la cappella riprendeva la tipica tipologia palatina a due piani (S. Giovanni e chiesa della Beata Vergine a Bressanone, Castel Firmiano) e tale scelta architettonica è presente anche in Castel Tirolo (seconda metà del sec. 12°). Il territorio era caratterizzato dalla presenza di numerosi insediamenti di carattere residenziale-difensivo dei ministeriali, costituiti dal mastio e dalla cinta muraria, il cui nucleo, generalmente risalente al sec. 12°, venne sviluppato e ampliato in seguito tra i secc. 13° e 16° (castelli di Castelbello/Kastelbell, Castel Montani di Sopra e Castel Montani di Sotto, Castel Taranto, Castel Coira e Castel del Principe a Burgusio, nonché molti edifici minori, soprattutto nella zona d'Oltradige). Con particolare concentrazione in Val Venosta, ma testimoniate su tutto il territorio, le torri rotonde di influsso lombardo (Castel Rotondo di Sopra e Castel Rotondo di Sotto a Tubre/Taufers im Münstertal, Castel Frölich a Malles, Tschengelsburg a Cengles/Tschengls, Torre di Druso a Bolzano, Castel Pietra a Vipiteno/Sterzing). Tale influsso, mediato probabilmente dalla Svizzera, si riscontra anche in elementi secondari, come le bifore e le trifore inserite entro arcata (Boimont, Korb, Payrsberg, Reinegg).
La decorazione scultorea in pietra ha due soli esempi di un certo rilievo: i portali e i capitelli a stampella di Castel Tirolo e la lunetta del portale meridionale della collegiata di San Candido. I due portali di Castel Tirolo, raffiguranti un bestiario, sono opera di maestranze lombarde, coadiuvate - in particolare nel portale della cappella - da lapicidi locali. Databili nella seconda metà del sec. 12°, si rifanno all'apparato decorativo del S. Michele di Pavia (Müller, 1935). Da essi dipendono le sculture ormai tarde (1300 ca.) e prive di coerenza stilistica del portale della cappella di S. Zeno. Altri esempi minori si ritrovano in Venosta a Lagundo/Algund, nell'abside della parrocchiale di Lasa, e nel portale strombato della chiesa di Montemaria a Burgusio. All'ambiente emilianoantelamico si riallaccia invece il rilievo di San Candido, Cristo in Maestà circondato dal tetramorfo, che porta la firma di maestro Ludovico (seconda metà del sec. 13°).
La scultura lignea, iconograficamente limitata al Cristo in croce con o senza i dolenti e alla Madonna in trono con il Bambino, ha tuttora conservato un notevole numero di esemplari in cui si possono distinguere due principali orientamenti stilistici (de Francovich, 1935-1936, p. 208). La scuola pusterese con il Crocifisso di Lamprechtsburg (Bressanone, Mus. Diocesano), i Dolenti di Sonnenburg (Colonia, Schnütgen-Mus.) e le numerose Madonne (Bolzano, Mus. Civ.; Bressanone, Mus. Diocesano) rielaborava elementi di area norditaliana (Rasmo, 1953), fissando la propria sigla distintiva in realizzazioni di massiccia tettonicità, animate da una lavorazione a fitte pieghe superficiali. La scuola venostana e dell'ambiente bolzanino, con realizzazioni di qualche anno più tarde di quelle della corrente pusterese (primi decenni del sec. 13°), inclinava già verso soluzioni protogotiche, nella forma 'a serpentina' del Cristo (Burgusio, Castel Reinegg, Merano/Meran, Montechiaro/Lichtenberg) e nelle superfici lisce delle vesti delle Madonne. L'impulso alla produzione locale è dato da opere di importazione o di artisti stranieri, come nel caso del Crocifisso (fine sec. 12°) in S. Maria Assunta a Fié allo Sciliar/Völs am Schlern e del raffinato Crocifisso conservato nella vecchia parrocchiale di Gries, datato 1205, forse di provenienza lombardo-francese, dal quale dipende una serie di realizzazioni minori, tra cui il Crocifisso di Tesido (Bolzano, Mus. Civ.). Iconografia e caratteri stilistici romanici perdurarono nella scultura lignea anche nel corso del Trecento.
Nella pittura tra la fine del sec. 12° e gli inizi del 13° nelle valli Venosta e Pusteria si seguirono analogamente due diverse linee di sviluppo. In particolare la scuola venostana, di cui molti esempi si sono conservati in chiese rimaste appartate rispetto al successivo evolversi artistico e culturale, mostra uno sviluppo conseguente ed estremamente vitale. Il punto di partenza è dato dalle pitture della cripta dell'abbazia benedettina di Montemaria a Burgusio, fondata da Ulrico III di Tarasp e consacrata intorno al 1156-1160 (Chronik, 1880). Il ciclo affrescato con la Maiestas Domini e il tetramorfo, gli angeli presso il trono di Dio e la Gerusalemme celeste, tradizionalmente datato verso il 1160, è da considerarsi più tardo, risalente agli anni immediatamente precedenti al 1180 (Stampfer, 1982) o verso il 1190 ca. (Rasmo, 1971). Il termine ante quem è comunque fissato dalla decorazione della sottostante chiesa di S. Nicolò a Burgusio, datata nell'iscrizione dedicatoria al 1199 e opera della stessa maestranza. Sulla provenienza e appartenenza culturale di tali artisti, che uniscono a una qualità pittorica eccellente una profonda sensibilità interpretativa, estranea, pur nell'impiego di un marcato linearismo, alle schematizzazioni formalistiche bizantine, vi sono - nell'assenza di confronti stilistici definitivi - proposte diverse. Vengono messi in relazione con l'ambiente tedesco sudorientale (Garber, 1928), con la c.d. corrente benedettina (Morassi, 1934), con la miniatura salisburghese e sveva (Egg, 1962), con la miniatura inglese e l'arte renana (Fillitz, 1969) dove, nel gruppo dei manoscritti di Colonia, vengono ravvisati più puntuali elementi di confronto (Stampfer, 1982). Unanime è il riconoscimento della loro importanza fondamentale per la successiva pittura venostana e dell'alta valle dell'Adige fino a Termeno, i cui cicli pittorici riprendono non solo l'impostazione stilistica di base, ma anche particolarità iconografiche peculiari, come le sottili crocette - di significato non chiarito - poste sulle ali degli angeli. Sotto l'influsso di Montemaria, benché opera di maestranze diverse, sono da considerarsi i cicli di Castel Appiano, S. Giacomo a Grissiano, S. Margherita a Lana, S. Giovanni a Müstair e S. Giacomo a Termeno, tutti compresi tra la fine del sec. 12° e i primi due decenni del 13°, cioè nel periodo in cui Federico Vanga, vescovo di Trento tra il 1201 e il 1208, perseguì un'abile politica di pacificazione tra le famiglie feudali locali. Tali cicli mostrano però, nell'iconografia e nelle particolarità stilistiche, elementi bizantini che non si spiegano solo con il generico influsso nella zona dell'ambiente veneto-bizantino di Aquileia (Buberl, 1909; Rasmo, 1971), ma che sono presenti nella regione, di prima mano, negli affreschi di S. Maria del Conforto a Maia Bassa/Untermais (Merano). I resti, conservatisi frammentariamente sull'arco trionfale e sulle contigue pareti, raffiguranti scene del Transito della Vergine, sono opera di due diversi artisti, di uguale formazione, la cui fedeltà agli schemi stilistici e iconografici bizantini lascia supporre una loro effettiva provenienza orientale, in relazione con gli spostamenti verso Occidente conseguenti alle crociate e alla presa di Costantinopoli (1204).
Gli elementi bizantini presenti ad Appiano, Grissiano, Lana e Termeno non escludono d'altra parte il manifestarsi, in tutti questi cicli, di un preciso interesse per una rappresentazione più aperta a suggestioni naturalistiche, di sapore già protogotico, per es. nelle 'fatue' Vergini folli di Appiano, nell'agitato bestiario di Termeno, nelle montagne coperte di neve di Grissiano. Pure agli inizi del Duecento risale il ciclo di S. Giovanni a Tubre, chiesa ospizio passata in quel periodo all'amministrazione dei Giovanniti. Nel corpo absidale a croce greca è dipinta una complessa raffigurazione (in parte lacunosa) con il Battesimo di Cristo, la Legge dell'Antico Testamento, la Trasfigurazione di Cristo e l'Esaltazione di Maria tra profeti e santi. Alcune raffigurazioni allegoriche si conservano nel corpo occidentale (stanza dell'Ospedaliere) mentre all'esterno si trova un S. Cristoforo. Il ciclo, del tutto estraneo alla scuola venostana, mostra il riflesso di forme bizantine rimaneggiate a Venezia (Rasmo, 1956; Demus, 1968), in particolare dei mosaici marciani degli inizi del Duecento. Allo stesso autore vanno probabilmente attribuiti altri sporadici lacerti (parrocchiale di Naturno, parrocchiale di Tarres).
L'ambiente di Bressanone deve le sue realizzazioni romaniche in massima parte all'impulso di Corrado di Rodank, principe-vescovo dal 1200 al 1216. Nel castello della famiglia, Castel Rodengo, si conserva un ciclo con Storie di Ivano, iconografia derivante dalla versione letteraria tedesca di Hartmann von Aue del poema di Chrétien de Troyes e risalente agli inizi del Duecento (Rasmo, 1980a). Allo stesso autore, forse identificabile con il pittore Ugo, documentato nel 1214 al seguito del vescovo, si devono gli affreschi con i Vizi e le Virtù della cappella palatina dedicata alla Madonna presso il duomo di Bressanone, e anche i pochi lacerti in S. Michele a Novacella e nella chiesa dell'ospedale a Chiusa. Le pitture, distinte da una marcata linea di contorno e da una vivace impronta espressionista, rimandano a una formazione nordica dell'artista (ambiente del Chiemsee), in seguito messosi al corrente delle realizzazioni dell'ambiente veneto con la probabile mediazione di Salisburgo. Le pitture del ciclo di Ivano a Castel Rodengo permettono anche un collegamento con il miniatore dei Carmina Burana (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 4660), dando la possibilità di ricostruire un'interessante rete di rapporti tra i manoscritti e le stesse pitture altoatesine (P. Diemer, D. Diemer, 1987).L'attività artistica si interruppe su tutto il territorio dopo il secondo decennio del sec. 13°, in concomitanza con la politica espansionistica dei conti di Tirolo, per riprendere, a egemonia consolidata, verso la fine del secolo, con caratteri ormai gotici. Il polo di interesse si trasferì sulle città, in particolare su Bolzano, ormai avviato centro commerciale. Qui si stabilirono nel 1272 i primi Domenicani che costruirono, a partire dal 1276, la loro chiesa e il relativo complesso conventuale, con caratteristiche stilistiche ormai gotiche: coro poligonale con volta a costoloni, pontile, finestroni a traforo. A essi si allinearono i Francescani con la ricostruzione del chiostro (1300 ca.), della chiesa di S. Francesco (1348 ca.) e del campanile con cella ottagona (1376, maestro Enrico). I lavori di ricostruzione della parrocchiale (oggi cattedrale), affidati agli inizi del Trecento a maestranze tardoromaniche lombarde, vennero interrotti e ripresi, verso la metà del secolo, da maestranze nordiche che seguirono il nuovo indirizzo stilistico, trasformando la chiesa in una Hallenkirche. L'alto coro della parrocchiale di Merano (1376) è opera di maestranze sveve, mentre al 1326 risale la certosa di Senales/Schnals, primo complesso architettonico articolato compiutamente gotico. A parte tale esempio, l'ambiente venostano, così come quello di Bressanone, si mostrava poco aperto al nuovo linguaggio stilistico che aveva invece maggiore riscontro nell'Oltradige (S. Nicolò a Caldaro/Kaltern). L'avvenimento più significativo fu la chiamata a Bolzano, verso il 1380, di Martin Schiche di Augusta, mastro lapicida della cerchia dei Parler, che ricostruì il coro della parrocchiale quale ambulacro prolungante le navate laterali e a cui si debbono anche i raffinati apparati decorativi lapidei del coro stesso e della c.d. 'porticina del vino'. All'opera architettonica e scultorea dello Schiche si ricollega l'arte del lapicida locale Corrado da Egna (cori delle chiese di Egna, Villa/Vill e Pinzano/Pinzon).
La scultura lapidea trecentesca è direttamente connessa con la realizzazione architettonica e ne segue pertanto l'orientamento gotico-settentrionale; la scultura in legno mostra invece influssi disparati a seconda delle singole opere. La dinamica del nuovo stile lineare è testimoniata dalla croce trionfale della chiesa dell'ospedale di Merano; la monumentale Crocifissione con i dolenti di Castel Tirolo (secondo-terzo decennio del sec. 13°) mostra l'influsso della zona renana, mentre il crocifisso, ora nella parrocchiale di Bolzano, di intenso verismo espressivo, si collega ai 'crocifissi dolorosi' di area italiana degli Ordini mendicanti. A prototipi franco-renani si rifanno la Madonna della Jöchlsturm di Vipiteno e le prime raffigurazioni di Pietà (Burgusio e Novacella, ca. 1370-1380), mentre il melodioso linearismo boemo comparve, sul finire del secolo, nel S. Pancrazio di Castel Tirolo.
Più complesse, ma più documentabili, sono le testimonianze della pittura. Verso la fine del Duecento dominava lo 'stile lineare' di schietta provenienza nordica, che cercava di trovare alternative al tardoromanico mediante una linea di contorno mobilissima ed elegante, che racchiude spazi di assoluta bidimensionalità (ciclo della Creazione nella cupola della collegiata a San Candido, lunetta del portale sud e affresco votivo Crille nella parrocchiale di Bolzano, primo strato dei dipinti della chiesa della Maddalena, sempre a Bolzano, Martìri degli apostoli e ciclo della Ruota della fortuna nel chiostro di Novacella, cappella di S. Erardo nella chiesa dei Francescani a Bolzano). A parte qualche tarda reminiscenza, soprattutto nell'ambiente di Bressanone (Storie dei Magi a S. Vittore a Novacella, presbiterio della cappella di S. Giovanni a Bressanone, cappella di Castel Cornedo presso Bolzano, 1350 ca.), tale stile venne repentinamente abbandonato con l'arrivo a Bolzano dei primi giotteschi, che non ebbero difficoltà a imporre le caratteristiche pittoriche loro peculiari: senso spaziale, recupero della fisicità della figura e rinnovato interesse per la natura. I primi esempi di pittura giottesca si ebbero a Bolzano verso il 1330, dovuti ad artisti di formazione padovana (Madonna in trono, appartenente al primo strato affrescato della cappella di S. Giovanni ai Domenicani; frammenti nel chiostro dei Francescani; affreschi frammentari delle cappelle del pontile dei Domenicani). A essi segue la completa affrescatura della cappella di S. Giovanni ai Domenicani (1330-1335 ca.) su committenza della potente famiglia fiorentina Rossi, poi detti Botsch, banchieri di Margherita Maultasch. Il ciclo è opera di una compagnia itinerante composta da almeno quattro pittori. Il maestro principale, autore delle Storie di Maria, riprende, pur con una sensibilità più settentrionale, schemi compositivi e figurazioni della cappella degli Scrovegni; il Maestro delle Storie di s. Nicolò si segnala per l'abile, raffinato colorismo; per il Maestro delle Storie di s. Giovanni Evangelista, tra le quali spicca per intensità drammatica e finezza interpretativa il riquadro con il Trionfo della Morte, sono state proposte affinità con l'ambiente bolognese (Arslan, 1935; Rasmo, 1955); mentre al pedissequo Maestro delle Storie del Battista sono da attribuire anche la Deposizione nel chiostro dei Francescani e le Storie di s. Dorotea e s. Marta nella parrocchiale. A un elemento di questa compagnia si devono in seguito (1340 ca.) il secondo strato dell'affresco Crille e l'affresco con Venceslao di Boemia nella parrocchiale di Bolzano; a una nuova compagnia padovana, di cui forse fanno parte due pittori già presenti in S. Giovanni, va ascritto il ciclo nella cappella di S. Caterina nel chiostro dei Domenicani, pure derivante dai prototipi degli Scrovegni (Rasmo, 1951).
Circa alla metà del secolo risalgono i pochi resti nella sala capitolare dello stesso convento e a un momento immediatamente precedente le pitture absidali, dell'arco trionfale e della volta di S. Giovanni in Villa, sempre a Bolzano, dovute a un modesto pittore, forse locale o nordico, che, entro i limiti di un'impostazione ancora tardoromanica, aggiorna il suo linguaggio alle novità del giottismo.
Verso il 1355-1360 nuovo impulso alla produzione artistica venne dato dalla chiamata a Bolzano di Guariento con l'aiuto Nicolò Semitecolo che affrescò, sempre su commissione dei Botsch, la cappella di S. Nicolò ai Domenicani. Gli affreschi, distrutti in parte con la demolizione ottocentesca della cappella e in parte dai bombardamenti del 1944, ma parzialmente documentati in fotografia (Rasmo, 1955, figg. 12-21), propongono un aggiornamento degli stilemi giotteschi. A tale corrente appartengono gli affreschi del registro superiore della navata di S. Giovanni in Villa, il secondo strato della chiesa di Vadena (Bolzano, Mus. Civ.) e le Storie di Maria in S. Vigilio al Virgolo (1370 ca.). A quest'ultimo maestro, che si dimostra a conoscenza delle realizzazioni neogiottesche di Giusto de' Menabuoi, si affianca un altro pittore, probabilmente tedesco, data la sua interpretazione marcatamente linearistica, cui si debbono le Storie di s. Vigilio nella stessa chiesa e una serie di lavori nelle vicinanze della città (S. Cipriano a Sarentino/Sarnthein, S. Giacomo a Oltrisarco, il registro inferiore della navata di S. Giovanni in Villa, S. Nicolò, il secondo strato di pitture in S. Maddalena e la Madonna in trono nel chiostro dei Domenicani, l'affresco esterno nella cappella di Castel Reinegg).
Negli ultimi decenni del secolo era presente in zona anche un attivo pittore emiliano-bolognese, il Maestro di S. Urbano, cui si deve un cospicuo numero di opere, contraddistinte da vivacità creativa, delicatezza di policromia unita a una vigorosa pennellata (Annunciazione in S. Valentino a Termeno; Storie di papa Urbano V nella parrocchiale di Bolzano; Leggenda di s. Sebastiano e Pietà nella cappella di S. Giovanni ai Domenicani; Battaglia di s. Maurizio e Crocifissione a Sella/Söll, presso Termeno; Adorazione dei Magi a S. Leonardo a Pianizza di Sotto). Al 1379 è datato un affresco nella navata della chiesa dei Domenicani, la Madonna Castelbarco, che nella ricercatezza del trono e nella preziosità della cornice lascia ravvisare l'influsso diretto della scuola veronese di Altichiero. Dopo il momento altichieresco cessò in pratica, se si eccettuano gli affreschi del palazzo occidentale di Castel Roncolo della fine del Trecento, gli affreschi absidali di S. Martino a Campill del 1403 e quelli coevi della facciata di S. Vigilio al Virgolo, l'attività di pittori itineranti italiani. A essi si sostituirono elementi di provenienza tedesca o artisti locali che, partendo dalla conoscenza della pittura italiana del Trecento, ne dettero un'interpretazione più consona alla propria sensibilità, creando, tra la fine del Trecento e il primo decennio del Quattrocento, un linguaggio artistico di equilibrio e sintesi fra le due culture che va sotto il nome di 'scuola di Bolzano'. Ne è principale e significativo rappresentante il pittore Hans Stotzinger da Ulma, ma residente nel capoluogo (navata di S. Martino a Campill, affresco Castelnuovo ai Domenicani, cappella di Castel Roncolo, navata della parrocchiale e cappella di S. Michele a Terlano).
L'attività artistica bolzanina non ha riscontro negli altri due centri importanti della provincia. A Merano il 'giottismo' giunse nell'ultimo quarto del secolo (S. Maria del Conforto a Maia Bassa; chiesa e convento, demoliti, delle Clarisse), mentre l'altare di Castel Tirolo (Innsbruck, Tiroler Landesmus. Ferdinandeum), opera boema del 1365, rimase fatto isolato; Bressanone si atteneva a un rigido conservatorismo.
Il Mus. Civ. di Bolzano conserva, del periodo carolingio, oltre a frammenti provenienti da S. Benedetto a Malles, i pochi frammenti di affresco, con volti e parti decorative, rinvenuti durante gli scavi nella parrocchiale di Bolzano. La collezione di scultura romanica comprende opere devozionali di piccole dimensioni, tra cui la Madonna di Gais in Pusteria (inizi sec. 13°), considerata il possibile prototipo per la vasta produzione di Madonne romaniche pusteresi (Rasmo, 1953). Sculture di transizione sono da considerarsi il Crocifisso di Castel Reinegg e la Madonnina di Villabassa. Dalla costruzione romanica della parrocchiale provengono alcuni mediocri capitelli e una lunetta figurata. La pittura trecentesca è documentata da affreschi strappati o staccati dalle chiese bolzanine o recuperati in seguito ai bombardamenti. Tra questi l'affresco con i Ss. Caterina e Antonio abate dal pontile dei Domenicani e frammenti da S. Nicolò (distrutta). Inoltre parte dei tre strati di pitture dalla chiesa di Vadena (tardoromanico, guarientesco e appartenente alla 'scuola di Bolzano') e un duplice strappo dalla chiesa della Maddalena (affreschi 'lineari' e del Maestro delle Storie di s. Vigilio). La scultura trecentesca è documentata da due piccole Madonne lignee devozionali, un Ecce Homo e un Vescovo in arenaria policroma, nonché da una Madonna con Bambino di Corrado da Egna.
Il Mus. Diocesano di Bressanone, che include anche il ricco tesoro del duomo, conserva un'importante collezione di scultura lignea. Il periodo romanico è rappresentato dal raffinato Crocifisso mutilo di Lamprechtsburg (seconda metà del sec. 12°), nonché da una serie di Madonne di piccole e medie dimensioni (provenienti da Uttenheim, Tures, Bressanone, Varna) che testimoniano la vitalità della corrente pusterese e il tramandarsi di elementi stilistici e iconografici caratterizzanti. La scultura lignea trecentesca, oltre a opere di transizione in cui l'assimilazione di elementi gotici è ancora impacciata (Crocifissi di Bressanone, Vandoies, Mauls), è testimoniata da due Madonne stanti con Bambino (Laces, Vipiteno) che seguono i prototipi franco-renani a cui si richiama anche la Pietà di Novacella.
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