BONRIZZO, Alvise (Luigi)
Nato, in data imprecisabile, in una famiglia veneziana appartenente all'ordine cittadinesco, che aveva dato diversi funzionari alla burocrazia della Repubblica, entrò anch'egli, all'incirca nel 1555, nella cancelleria ducale come notaio straordinario, e presto manifestò l'intenzione di dedicarsi al servizio diplomatico, seguendo poco dopo lo zio paterno Daniele, inviato nel gennaio 1557 a Milano con l'ufficio di residente. Questo suo primo tirocinio fu troncato dalla morte dello zio, avvenuta il 22 genn. 1559. Dopo aver esercitato interinalmente per quattro mesi le funzioni del defunto residente, continuando col Senato un fitto carteggio, il cui interesse consiste soprattutto nelle numerose notizie sugli avvenimenti milanesi, ritornò a Venezia, per ripartire subito dopo nella veste di segretario dell'ambasciatore in Francia Michele Surian, che servì per due anni, fino al ritorno.
Nel maggio del 1562 il B. è ancora sul piede di partenza, questa volta per seguire a Costantinopoli il bailo Daniele Barbarigo: missione delicata e impegnativa, che egli assolverà per trentaquattro mesi. Ormai le sue funzioni andavano oltre le semplici mansioni burocratiche d'un segretario: lo attesta la relazione che egli presentò al Senato nel gennaio del 1565, al ritorno da Costantinopoli, facendo eccezione alla norma che prescriveva le relazioni solo ai titolari delle ambasciate.
Nel documento il B. rende conto di un minaccioso messaggio ammonitore per la Serenissima, affidatogli da Alì Pascià durante la visita di congedo, e della missione svolta sulla via del ritorno per ordine della Signoria presso il sangiacco di Clissa, allo scopo di definire alcune questioni di confine edi rassicurare il sangiacco sulla determinazione di Venezia di non aiutarein alcun modo gli Uscocchi, che molestavano allora con frequenti scorrerie quel territorio.
Il B. si era ormai guadagnato la fiducia del Senato, che gli affidò allora la sua prima missione diplomatica. L'8 febbr. 1565, infatti, egli giunse a Napoli per chiedere al viceré la revoca d'un nuovo dazio imposto - contro i privilegi sanciti dalla capitolazione di Bologna del 1529 - sulle merci dei mercanti veneziani, a danno soprattutto degli esportatori di olio e frumento dalla Puglia. L'abilità del diplomatico veneziano, tuttavia, poco poteva contro la cattiva disposizione del viceré, che voleva rinviarlo al giudizio del Magistrato della Summaria, come se si fosse trattato d'una qualsiasi lite mossa da privati. Il 15 aprile il B. dovette prender e congedo senza aver ancora visto la definizione della controversia. Le lettere che egli inviò al Senato da Napoli in questa occasione riferiscono anche interessanti notizie sulle flotte turca e spagnola, e sullo stato d'animo dei Napoletani, così esasperati per la carestia e, in seguito all'introduzione del tribunale dell'Inquisizione, che sembravano disposti a sollevarsi in armi.
In quello stesso 1565 il B. andò a Roma, segretario dell'ambasciatore Paolo Tiepolo, e vi rimase tre anni. Al ritorno pochi mesi di sosta, e poi eccolo nuovamente a Costantinopoli nell'estate del 1568, segretario del bailo Marcantonio Barbaro, M uno dei momenti più difficili dei rapporti veneto-turchi, alla vigilia della guerra di Cipro. I preparativi ottomani a partire dalla metà del dicembre 1569 rivelarono sempre più chiaramente il loro vero obiettivo, fino allora abilmente dissimulato, sinché il 29 genn. 1570 fu fatto intendere senza mezzi termini che il sultano era risoluto a impadronirsi di Cipro. L'ambasciatore veneto, cui premeva informare la Signoria di quanto si andava preparando, dal momento che i suoi dispacci erano sistematicamente intercettati, non trovò migliore espediente che proporre al sultano l'invio d'un oratore straordinario per esporre al Senato le pretese della Porta. Ebbe origine così la missione del ciaussi Cubat, che per esplicita richiesta del gran vizir fu accompagnato dal Bonrizzo. Tra i compiti dell'inviato turco vi era certamente quello di osservare e riferire ogni notizia sui preparativi in campo nemico, e il B. fece del suo meglio per dimostrargli la potenza dell'armata cristiana, "sapendo per cosa certa che ciò tornava in molto servizio" della Repubblica.
Nella relazione, presentata al Senato il 27 marzo 1570, il B., narrando diffusamente quanto s'era svolto a Costantinopoli in quegli ultimi drammatici mesi, non esita ad esprimere valutazioni personali, che in quel delicato momento acquistavano il senso d'un aperto parere in favore d'una ferma condotta diplomatica, fino ad affrontare la guerra - in armonia del resto, è il caso di sottolinearlo, con gli orientamenti ormai chiaramente emersi tra il patriziato veneto. E da quell'esperto conoscitore che era dell'Impero ottomano si diffondeva in un'ampia analisi delle deficienze militari e delle discordie tra i capi che indebolivano le forze turche, esprimendo la convinzione che in caso di guerra Venezia poteva "viver allegrissima... et consolatissima, et aspettarne desiderato fine", tanto più potendo sperare nel favore divino per uscirne vittoriosa, "o almeno per farle fare una migliore pace di quella, che ha durato fin qua...".
In quello stesso anno il Senato affidò al B. la residenza di Napoli, certo l'incarico diplomatico più importante della sua carriera, che svolse dal luglio del 1570 al novembre del 1573, durante tutto il periodo della guerra di Cipro, in cui la capitale del Regno divenne un centro di rilevante importanza strategica e politica. Il residente veneziano doveva innanzi tutto preoccuparsi di ottenere dalle autorità spagnole la licenza di arruolare fanti in Puglia e le tratte dei grani, allo scopo di rifornire l'annata e la stessa città di Venezia, ora che le consuete importazioni di cereali dalle terre dell'Impero turco erano interrotte. Queste concessioni il B. riuscì a strapparle solo parzialmente e con grande difficoltà, perché contrastavano con le esigenze dell'armata spagnola, per la quale si dovevano pure mobilitare tutte le risorse del Regno. Dei preparativi spagnoli come di tutti i movimenti militari nel Mediterraneo, i fitti dispacci del residente veneto offrono ampie e spesso minute informazioni, dimostrando che quell'ambasciata funzionava soprattutto come un centro, molto importante, di raccolta e di trasmissione di notizie.
Nell'aprile del 1573 toccò al B. l'ingrato incarico di comunicare a don Giovanni d'Austria e al viceré, cardinale di Granvelle, l'avvenuta stipulazione della pace separata tra Venezia e i Turchi, lasciandoli "tanto attoniti, che non sanno hora se siano in cielo o in terra". Fu certo quello il momento più drammatico e amaro della sua residenza napoletana, quando fu costretto a rinchiudersi in casa per evitare manifestazioni di ostilità, e nei suoi dispacci doveva registrare i propositi, manifestati da don Giovanni d'Austria e da altri autorevoli personaggi, di attuare una spedizione contro Venezia, e le voci secondo cui i preparativi per l'impresa di Tunisi erano in realtà rivolti contro la Serenissima: voci infondate, come poi si vide, ma che lasciano intendere il grado di tensione cui erano giunti i rapporti veneto-spagnoli.
Dopo il ritorno a Venezia cominciò per il B. un periodo meno movimentato, in cui svolse le funzioni di segretario prevalentemente presso la cancelleria ducale, fatta eccezione per il servizio prestato al seguito d'un provveditore generale - cui allude in una supplica - e per alcune brevi missioni straordinarie fuori dello Stato. Nel luglio del 1578 fu inviato alla contessa della Mirandola per chiedere l'estradizione del patrizio veneziano Lorenzo Bembo, che aveva sottratto 16.000 ducati alla cassa del dazio del vino, non senza prima essersi assicurato un salvacondotto dalla contessa.
Il Senato ricorse ancora all'opera del B. decidendo il 23 giugno 1582 d'inviarlo presso il granduca di Toscana, le cui galee da corsa, battenti la bandiera dei cavalieri di S. Stefano, causavano seri danni ai traffici veneziani e procuravano pericolose complicazioni politiche alla Repubblica nei suoi difficili rapporti con la Porta. Partito da Venezia il 17 luglio, arrivò a Firenze il 21 e si trattenne alla corte medicea per trentanove giorni. Oltre a dover trattare minori questioni, suo compito principale era appunto di chiedere la restituzione delle merci sequestrate dai corsari toscani alla nave "Gaiana", e soprattutto di ottenere che le galee dei cavalieri di S. Stefano non molestassero i vascelli veneziani e non si avvicinassero alle isole e alle coste dei domini della Serenissima, facendo correre a Venezia il rischio gravissimo di trovarsi coinvolta, sia pure indirettamente, in azioni belliche contro navi turche, offrendo alla Porta validi pretesti per rivolgere ancora le armi contro la Repubblica. Sul primo punto il granduca Francesco fu irremovibile per ragioni di prestigio, nonostante i buoni uffici della moglie, la gentildonna veneziana Bianca Capello, ma sul secondo e più importante problema dette al B. soddisfacenti assicurazioni.
I particolari della missione sono ampiamente documentati nei dispacci inviati al Senato e al Consiglio dei dieci, e nella relazione presentata al Senato dopo il ritorno, nella quale il B. traccia anche, com'era consuetudine, un acuto e vivace ritratto di Francesco e della sua corte, soffermandosi sulle condizioni dello Stato medicco e sui rapporti di questo con gli altri principati. Una seconda relazione, che presentò al Consiglio dei dieci, riguarda le confidenze del granduca sulla rete di informatori che teneva nelle più importanti corti straniere, ma ha per oggetto principale certi velleitari propositi del granduca, che - inserendosi evidentemente nell'analogo disegno politico perseguito in quel torno di tempo dalla diplomazia spagnola e pontificia - si presentava come possibile promotore d'una lega per la sicurezza d'Italia, contro gli "eretici ed ugonotti" e contro i Turchi, con la partecipazione del re cattolico, del papa e di Venezia, cui avrebbero dovuto aderire poi tutti i principi italiani, ponendo anche esplicitamente la propria candidatura alla carica di capitano generale.
Il B. morì tra il 28 sett. 1582, quando il Consiglio dei dieci accolse una sua supplica, trasformando in vitalizia una provvisione supplementare già attribuitagli a titolo temporaneo, e il 29 dicembre seguente, quando 1151 ducati annui dello stipendio dovuto al defunto segretario del Senato furono ripartiti tra gli altri funzionari della Cancelleria ducale.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Consiglio dei Dieci,Parti comuni, reg. 25, c. 102r, 5 maggio 1562; reg. 40, c. 48v, 29 dic. 1588; filza 174, supplica alleg. al decr., 28 sett. 1588; Archivi propri,Milano, reg. 3, nn. 138-168; Senato,Dispacci Francia, filza 4, nn. 58-60; Dispacci Napoli, filza 1, ff. 1-14; filze 2 e 2 bis; Dispacci Costantinopoli, filza 4, f. 58; Dispacci Firenze, filza I-IV, ff. 14-23 (cfr. anche alla Biblioteca Marciana di Venezia il ms. It., cl. VII, 1195, segnato 8717, in cui trovasi copia della commissione al B. e dei suoi dispacci da Firenze); Capi del Consiglio dei Dieci,Lettere di ambasciatori, busta 8, ff. 76-80; busta 17, ff. 1-13; busta 18, ff. 37-93; Senato,Relazioni, busta 1, reg. 2 delle relazioni miste, cc. 130r-141r (relazione da Costantinopoli del 1570); Relaz. degli ambasciatori veneti al Senato, a cura di A. Segarizzi, III, 2, Bari 1916, pp. 1-35; E. Alberi, Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, s. 3, II, Firenze 1844, pp. 61-76; R. Predelli, I libri commemoriali della Repubblica di Venezia,Regesti, VI, Venezia 1903, p. 313; VII, ibid. 1907, p. 20; Nunziature di Napoli, a cura di P. Villani, Roma 1962, in Fonti per la storia d'Italia, I, pp. 53, 59, 71, 80 s., 106, 108 s., 197; La corrispondenza da Madrid dell'ambasciatore Leonardo Donà (1570-1573), a cura di M. Brunetti ed E. Vitale, Venezia-Roma 1963, pp. 9, 186, 313 s., 382, 759, 774, 776; A. Morosini, Historia veneta, Venezia 1719-1720, II, p. 279; III, p. 683; E. A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, V, Venezia 1842, p. 533; Ch. Yriarte, La vie d'un patricien de Venise au sizième siècle, Paris 1874, pp. 189 s.; N. Nicolini, La città di Napoli nell'anno della battaglia di Lepanto dai dispacci del residente veneto, in Arch. stor. per le prov. napoletane, n.s., XIV (1928), pp. 388-422; A. Pino-Branca, La vita econ. degli stati ital. nei secc. XVI,XVII e XVIII,secondo le relaz. degli ambasciatori veneti, Catania 1938, pp. 314-322, passim.