CALBO, Alvise
Nato a Venezia da Girolamo, presumibilmente nel 1481, entrò nella vita politica nel 1511, come incaricato del dazio del vino; nel 1515 è "civil novo", nel 1516 risulta capo dei Quaranta "a la banca" in sostituzione di Andrea Capello. Verso la fine di luglio del 1517 è scrutinato per l'elezione a provveditore in Cividale del Friuli; il 10 febbr. 1518 è nuovamente capo dei Quaranta "a la banca", a cui segue, nel marzo 1519 (dal 7 giugno al luglio 1519 è "dominus de note"), la partecipazione alla Quarantia nel settore "ad criminalia", occupato in problemi economici (lebiti, aste pubbliche, ecc.) e criminali. Distintosi per le capacità amministrative, nel 1523 riceve la nomina al cottimo di Damasco (11 ott. 1523-marzo 1524); segue, nel 1525, quella a podestà di Adria, a "sapiens Rivoalti" (ottobre 1525, insieme a Stefano Tiepolo) e "consul mercatorum" (luglio 1525); un insieme di impegni che ne intaccano e limano la salute al punto che, ammalatosi gravemente, egli sospese per un certo periodo l'attività. Il 29 sett. 1526, infatti, gli è permesso "varir la soa egritudine", a Venezia, e a spese dello Stato. Superato tale periodo di incertezza, e sposatosi nel frattempo con Paolina Ruzini, nel 1529 ricevette la nomina a conte di Traù in Dalmazia.
L'incarico del C. coincide con anni politicamente difficili per Venezia. Nello scontro fra le grandi monarchie europee, Francia e Spagna, scontro che investe l'intero Mediterraneo, vi è l'emergere continuo, sicuro e prorompente della potenza turca. I possedimenti veneziani in Levante sono continuamente minacciati, gli stessi traffici intralciati non solo dai Barbareschi, ma pure da una nuova figura di predone del mare, l'uscocco, che della irraggiungibile, spoglia, selvaggia Segna ha fatto un rifugio inespugnabile. è una presenza che si fa sentire pesantemente, spesso drammatica, sì da incidere sulle comunicazioni diplomatiche e sul trasporto di uomini e merci. Le lettere e i dispacci che il C. invia dal suo osservatorio dalmata sono pieni di questa presenza duplice. La Repubblica riceve da lui notizie continue ed aggiornate sugli spostamenti del Turco, sui probabili preparativi di guerra, sui pericoli che potevano derivare dalla preparazione d'una flotta, anche se di piccole proporzioni, alle proprietà veneziane, alla possibilità del mantenimento della libertà dei traffici, all'autonomia stessa del golfo sovente minacciata. Timori e paure che vengono martellati, ribattuti, spesso inascoltati anche se nel corso dei mesi si concrefizzano amaramente. è proprio dal marzo del 1530 che si accavallano le notizie della "preparation" di una spedizione turca contro Segna e l'allestimento di una "forteza su la fiumara per haver Clissa", inviando "4 some di aspri". Vengono armate ben cento galee, mentre "il bassà di la Bossina … a Obrovazo fa far 12 fuste". Nel maggio, d'altra, parte, le operazioni di guerra sono accelerate; i Turchi "vengono a l'assedio de Clissa, et già parte de lo exercito è propinquo a ditto castello", e dal mare una flotta ne impedisce qualsiasi possibilità di rifornimento. Di fronte al pericolo di un attacco turco ai possedimenti veneziani in Dalmazia il C. propone al Consiglio dei dieci, e al doge, un esame della precaria situazione in cui versavano le difese, gli approvigionamenti, il sistema delle imposte nel territorio sotto la sua giurisdizione e, più in generale, tutta la struttura militare e amministrativa della Repubblica. L'impotenza nel perseguire qualsiasi debitore, se nobile, come nel caso di Lorenzo Minio, nel maggio 1530, la mancanza di "cavalli… fanti, et quelli livrano el soldo sono terrieri et gente inutile, per non haver se non 4 paghe a l'anno et sono mesi 14 che non hanno hauto danari" costituiscono gli elementi più marcati di un quadro di disinteresse e malcostume amministrativo. Lo stesso coordinamento della flotta, osserva, è inesistente se un suo appello a che "fusse ordenato al capitanio del Golfo venisse de lì rispetto alle fuste turchesche" cade nel vuoto, mentre il reclutamento navale diviene sempre più difficile.
Nel frattempo "quelli di Segna retenivano tutte le barche capitavano de li", i Turchi effettuavano ripetuti sconfinamenti, perquisivano o mettevano a sacco qualsiasi galea, non esistendo alcuna possibilità di intervento. Se poi emissari della Porta giungevano con proposte e assicurazioni di pace, portando doni ricchissimi e favolosi, prosternandosi amici dello Zen e "prometendo se starà pacifichi et tranquili", si tratta per lo più di mosse diplomatiche alle cui spalle sta la "grandissima preparation di exercito da mar et da terra". è uno scorcio amaro quello che il C. con queste lettere apre su Venezia; un'attenzione posta sui germi che ne intaccavano il tessuto, le stesse radici, su una situazione finanziaria sempre pesante e carica di incognite: pur avendo, scrive nel marzo del 1532, fatto "publicar la parte de l'imprestedo dil clero, et niun fin hora è venuto a pagar". D'altra parte, se la piccola, indipendente Segna riesce a bruciare e annientare "le fuste del Signor turco a Obrovaz", a liberarsi dall'assedio e riaffermare la propria autonomia, quali danni, quali pericoli, si chiedeva, si sarebbero abbattuti in futuro su Venezia?
Con questo interrogativo, probabilmente ai primi del 1533, il C. lascia Traù per ritornare a Venezia, ad una vita più distesa e serena, più consona alla sua salute, resasi, nuovamente cagionevole durante il soggiorno dalmata. Tuttavia, il suo legame con il mondo e la vita politica continua ininterrotto. Dapprima "patronus arsenatus" (11 maggio 1533-ottobre 1534), nel 1539 fa parte dei Dieci savi, per poi entrare nel 1542 nel Consiglio dei pregadi, essere eletto l'anno seguente "savio sopra le nuove Tanse" e, probabilmente nel 1545, provveditore di Cefalonia. Di nuovo si trova inserito nella ridda di problemi amministrativi e commerciali (acquisto di merci, vettovagliamento della flotta, preparazione e distribuzione del biscotto… ) che caratterizzava la vita in questa fortezza. Analoghi, i problemi, a quelli affrontati dieci anni prima a Traù: stessi privilegi alla nobiltà, uguale difficoltà nel reclutamento e nell'apprestare le difese, con l'aggiunta di uno stato di ribellione continua, risse, tumulti, scontri armati. Il 26 sett. 1545, infatti, rendeva noto ai capi del Consiglio dei dieci come un certo Tommaso della famiglia "deli Crassa" e i suoi tre figliuoli (Giacomo, Dario, Cristodulo) fossero la causa di ripetuti tumulti nella fortezza, essendo "insolentissimi et fastidiosi, quali tengono continuamente questa fortezza et borgo in risa", offendendo i soldati.
Non si sa con certezza quando lascia Cefalonia. Nel 1549 ottiene il reggimento di Candia, ed è rettore a Rettimo; nel 1554 entra nei Pregadi come ordinario, per essere eletto provveditore alle biade nel 1556 e "sopra agli atti" nel 1558, partecipando pure all'elezione (1554, '59) dei dogi Francesco Veniero e Girolamo Priuli. Poi le notizie scemano, fino alla morte avvenuta il 15 maggio 1569.
Fonti e Bibl.: Per la biografia cfr. Archivio di Stato di Venezia, Segretario alle voci, regg. 7, 11; Capi del Consiglio dei dieci. Lettere di rettori, b. 287; Venezia, Civico Museo Correr, cod. Cicogna 2889: G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio, cc.115r-115v; Venezia, Bibl. naz. Marciana, ms. It.VII, 925 (8594): M. Barbaro, Genealogie delle famiglie patrizie venete, c.199v; Ibid., G. A. Capellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, I, c. 214r; M. Sanuto, Diarii, XXIV-LVI, Venezia 1889-1901, ad Indices.Per la ricostruzione della problematica politica e navale vedi A. Tenenti Venezia e i corsari 1580-1615, Bari 1961, pp. 13-47; A. Ventura, Nobiltà e popolo nella società veneta del '400 e '500, Bari 1964, pp. 375-471.