CITTADELLA, Alvise
Terzo dei tre figli maschi dei nobili Marco (1624-1666) e Beatrice (1626-1729) di Bonifacio Papafava, nacque a Padova attorno al 1650.
"Sin da' miei più teneri anni - ricorderà il C. con orgoglio - passato a Malta, m'essercitai nell'armi facendo quel giro di quattro caravane" prescritto dalla "religione" dell'isola da lui abbracciata con determinazione, ad imitazione d'un suo antenato "fra Orsino", caduto alla fine del '500, "nelle guerre di Ungheria".
Cavaliere, quindi, dell'Ordine di Malta, il C. si portò "in Ungaria" militando contro i "ribelli" nell'"armata cesarea", dapprima come "volontario a proprie spese", poi, via via, come "picchiere, alfiero, tenente e capitano d'infanteria" per "il corso di tre campagne". Ben "nove anni continui" - così sempre il C. - d'addestramento "nelle guerre straniere", sì da poter, nel 1681, accorrere, adeguatamente preparato, a "tributare le mie militari debolezze" alla Serenissima, cui, da suddito fedele, sacrifica "ogni promessa della fortuna sotto le insegne imperiali".
Venezia accoglie di buon grado la disponibilità del "genio bellicoso" di "fra Luigi cavaliere della sacra religione di Malta", apprezza le "brame ardenti d'approfittarsi nell'armi" di questo rampollo della "famiglia Cittadella nobile di Padova che ha studiato in ogni tempo di conciliarsi merito" presso di lei, che "ha sempre contribuito" al suo servizio, anche nei "secoli andati".
Sergente maggiore del reggimento "Geremia" formato "d'oltramontani", il C. arruolò, forte d'una "soventione" pubblica di 1.500 fiorini (e ci vorranno quasi vent'anni per estinguere il debito), a "proprie spese una compagnia di detta natione" militando in Dalmazia "con la medema"; divenuto tenente colonnello - faceva presente al Senato il 10 genn. 1687 - ha la responsabilità d'un reggimento, distinguendosi "nelle più vigorose fattioni" contro il Turco. "Esercitai - insiste - la carica di vicesopracomito della galera Corsina" e pure "quella di governatore di Budua"; e quando questa fu investita con un certo spiegamento di forze dai Turchi il C. si batté brillantemente nell'"incontro" del 12 ag. 1686.
Suo vanto soprattutto la partecipazione - "levandomi dal proprio reggimento, benché non comandato" - volontaria all'assedio di Signa conquistata alla fine del settembre 1686: "mi portai all'assalto riportando l'honore d'essere tra' primi ad entrarvi a fianco del conte Spolverini, rilevando colpi di sassate inimiche s. Più riduttivo il provveditore generale in Dalmazia Girolamo Corner, nel riferire il 30 settembre, del felice esito dell'impresa ("la piazza di Sign considerabile ... per la sua importante situatione e pessima natura delle genti ... rimane hoggidì finalmente sottomessa"), s'era limitato a costatare come il C. avesse ricevuto "colpo di sassata nemica". Indebita amplificazione, perciò, quella del Brunelli Bonetti - un rievocatore del C. più enfatico che accurato (al punto da inventarsi un C. che tratta, nel 1733, la capitolazione del castello di Milano assediato da Carlo Emanuele III di Savoia) - il quale lo fa rimanere addirittura "gravemente ferito". Il che, dunque, non sminuisce la prova di "coraggio", giusta l'espressione del Corner, fornita dal C., di cui il Senato tiene conto quando - rinunciando il C. alla "compagnia fatta" a sue "spese" - stabilisce, il 30 genn. 1687, venga "condotto" al servizio della Repubblica per cinque anni "di fermo" e due "di rispetto" con lo stipendio annuo di 400ducati.
È ora la volta del Levante: agli ordini del capitano generale da Mar Francesco Morosini il C. partecipò, il 24 luglio 16873 alla presa di Patrasso e alla successiva occupazione, nell'agosto, di Corinto di cui il Morosini lo nominò "sopraintendente dell'armi". E tale rimase sino all'inizio del 1696. Nel frattempo era presente alla conquista, dell'agosto 1690, di Malvasia, all'avventato e velleitario assedio della Canea del 1692; in questo si distinse ricacciando sortite turche volte a rompere il blocco, peraltro malamente guidato dal capitano generale da Mar Domenico Mocenigo.
Partecipe pure all'effimera occupazione di Chio ("fruttifera e popolata isola ... la principale tra l'isole del mar Egeo" la vanta il capitano generale da Mar Antonio Zeno, che sarà costretto, il 20 febbr. 1695, dalla "consulta" ad abbandonarla per non stornare troppe forze dall'inderogabile mantenimento della Morea), il 9sett. 1694entra - come riferisce lo Zeno il 29 - "il primo nel borgo" al comando d'un "battaglione" e "combattendo per più hore contro gl'inimici "sbarrantigli" l'avanzamento "con nutrito e "continuato" fuoco "del moschetto" li costringe, galvanizzando le truppe "col proprio valore et con l'essempio", ad arretrare "coraggiosamente inseguendoli sin alla porta della fortezza" e attestandosi "sopra la controscarpa". Sempre dallo Zeno apprendiamo inoltre che, il 15 febbr. 1695, in occasione d'uno scontro, al largo dell'isola, colla flotta turca il C. "ha sovrainteso alle milizie destinate al pressidio di questa bastarda", una specie di galea, "facendo spiccare l'esperienza sua militare non meno ch'il proprio coraggio nelli più azzardosi cimenti".
Il Senato - che già il 23 maggio 1693 "per atto spontaneo" gli aveva conferito "il titolo di sargente maggiore di battaglia con assegnamento di ducati 100 valuta corrente al mese compreso il stipendio della condotta da lui ... goduto" - riconoscendogli "li requisiti più distinti d'habilità e di merito" deliberò, il 29 dic. 1695, di fregiarlo "del titolo di sargente generale di battaglia". E, dietro richiesta del 23 luglio 1696 della famiglia, che vantava al momento pure il servizio a capo d'una compagnia di un nipote del C., figlio del fratello Francesco Maria, Alvise Cittadella (non confuso, nei documenti, collo zio ché questi viene, in genere, chiamato "Luigi"), l'11 agosto stabilì che il C., il fratello Francesco Maria (noto questo come esperto d'antichità e appassionato collezionista di lapidi, medaglie, monete e cammei) e i discendenti "in perpetuo siano decorati col titolo de' conti".
Né la pace di Carlowitz interruppe lo "impiego" del C. che anzi si sommò, col tempo, a quello di altri due figli di Francesco Maria, i nipoti Marco (questi perirà, nel 1713, nel naufragio della "publica nave Amazone, ove serviva in qualità di capitanio", dopo essere stato "volontario" presso lo zio) e Carlo, i quali lo raggiunsero in Morea, ove, come riferisce il 16 giugno 1700 il capitano generale da Mar Giacomo Corner, era uno dei cinque "capi militari" preposti alla "direttione" della fanteria. E le sue responsabilità si ampliarono ulteriormente ché, come scrive il lo luglio 1702 il provveditor generale dell'armi in Morea Giacomo da Mosto, il "corpo" della cavalleria - un totale di 1.488 uomini suddiviso in tre reggimenti di dragoni e uno di croati - fu affidato alla sovrintendenza del C., che si impegnava a tenerlo costantemente esercitato per ripristinarvi la "disciplina smarita tra l'ozio".
Pure rilevanti le sue "applicationi" nello sforzo ricognitivo finalizzato all'esigenza (ossessiva per le autorità venete desiderose di legare il proprio nome a qualche tangibile e vistoso intervento) di rafforzare ed estendere la rete delle fortificazioni: è soprattutto il C. ad esempio, a sostenere, nel 1708, che il forte, "sopra il monte Palamida" eretto a difesa di Nauplia, sia ampliato si da essere baluardo anche nei confronti d'attacchi provenienti dal mare; e, all'inizio dell'aprile del 1709, partecipa al "sopra luogo" ad Acrocorinto "piazza al confine" per valutarvi lo "stato della fortezza" onde, come informa il provveditore generale in Morea Marco Loredan, "maturar poi li propugnacoli che l'arte aggiunger potesse alle difese che senza regola lavorò la natura a quel grebanoso recinto".
Zelo di servizio che il Senato non mancò di premiare: il 16 apr. 1712, sensibile all'appello del C. alla "publica gratia", gli concesse il, "titolo di tenente general dell'infanteria hora vacante", sancendo così l'autorità che il C. aveva in Morea su tutti "li sargenti generali, sargenti maggiori di battaglia, condotti, stipendiati, colonnelli, capitani et altri officiali subalterni". Il che comportava un sensibile scatto retributivo rispetto allo stipendio di "sargente generale" percepito dal C.: quattromila ducati all'anno, mille in meno, peraltro, "del stipendio solito di tal grado".
Nel frattempo la presenza in Morea del generale dell'armi, il conte Antonio Zacco, circoscrive e delimita le incombenze del C.: il primo - così il provveditore generale Agostino Sagredo il 13 dic. 1713 - sovrintende alle "militari occorrenze" di Nauplia e di "tutto il regno", mentre il C. è, dal 1712, a Modone "sotto" di lui. Nauplia, assicura il Sagredo il 14 febbr. 1714, è ormai in fama d'essere "inespugnabile" e a Modone, scrive il 22 maggio, "il baloardo ... S. Antonio ... è alzato sino al cordone ... la sua controscarpa s'attrova perfetionata", indubbia "la solidità delle muraglie sin'ora fabricate"; basta ultimare "la groppa del monte" e la "piazza" sarà sicura. Il C., precisa il 4 nov. 1714 il successore del Sagredo Alessandro Bon. "dopo haver posto in buona disposizione le truppe di questo pressidio, ha anche il merito di haver assistito personalmente a queste fabbriche", validamente coadiuvato dal nipote Carlo e dal "marchese Orologio" trattenutisi a Modone "a loro spese in figura di volontari".
La guerra era ormai prossima a scoppiare, nel dicembre del 1714; le piazze l'anno dopo, a cominciare dalla fortificatissima Nauplia, cadranno dopo flevoli accenni di resistenza: il che fa apparire veramente patetico il fiducioso confidare delle autorità venete nello spessore dei baluardi e nel rafforzamento delle controscarpe. Lo stesso ampliamento delle fortificazioni si rivelava controproducente, ché mancavano gli effettivi per poterle presidiare adeguatamente. Ma soprattutto le truppe non avevano alcuna volontà di battersi, né la popolazione aveva da parte sua motivi sufficienti per versare il suo sangue a pro' di Venezia in un'accanita resistenza antiturca. Ciò vale anche per Modone, il cui assedio iniziò il 13 ag. 1715: il 16 i soldati rifiutarono di combattere, ricondotti a stento all'obbedienza dal provveditor straordinario Vincenzo Pasta. Quanto al C., con gran stento riuscì a far rientrare "la sollevazione" di quelli "al posto sopra la porta di S. Marco", ansiosi di "abbassare lo stendardo" per far sventolare la bandiera bianca; e pure gli ufficiali tesero ad assecondarli. Generale la fuga a un rinnovato attacco turco, per quanto il C., assieme al sergente generale "Jansich" (o "Giaxich"), si sbracciasse sulla "porta di S. Marco" per trattenere la marea dei "fuggitivi". Non restava che la resa, perfezionata il 17. Alla "fellonia" delle truppe si era aggiunta la "codardia" della "maggior parte degli officiali", scriverà, il 26 novembre, il capitano generale Daniele Dolfin a spiegazione della "caduta di Modon". Il C., il Pasta, lo "Jansich", con una decina d'altri ufficiali. di grado superiore, "legati insieme con grossa catena al collo a guisa di vilissime bestie", furono condotti prigionieri a Costantinopoli.
"Esistono - informa il Dolfin il 26 marzo 1716 - diversi nobili huomini", tra cui il C., "prigioni del Gran Signore nelle Sette Torri". L'ambasciatore francese si sforza d'alleviarne le pene, ma non è facile "per la somma rigidezza" della "loro custodia"; siccome gli spetta il "rimborso" per le eventuali spese, il Dolfin s'è premurato di scrivergli di "contenersi in misure moderate", limitatamente "a quanto potesse ricercare il loro bisogno di vito e vestito".Certo, comunque, che pel C. la Serenissima non spese molto, ché morì, tra gli stenti del carcere, nello stesso 1716, dando modo alla longeva madre, in fama di donna colta e di spirito, di fissare il suo dolore in una lettera al nobile Costanzo Papafava che, considerata esempio di fermezza, ammirata pei suoi toni virili dai contemporanei, eretta quasi a modello di dignitoso comportamento di fronte al dolore, circolò in più copie tutte, peraltro, poi smarrite.
Ancora il 25 genn. 1716 il Senato aveva da parte sua - memore soprattutto del servizio del C. "che in ogni più azzardosa atione dell'armi ha sempre contribuito effetti di singolar valore" - decretato d'accontentare la richiesta del fratello Francesco Maria, "impiegatosi coli pronta rassegnatione seben padre di numerosa famiglia" in occasione della guerra, col concedergli "in feudo da continuare ne' figli ... in perpetuo la villa" di Onara nel Padovano, col "titolo di conte con giurisdittione civile e criminale maggiore e minore in prima instanza risservate le appellationi alli rettori di Padova". E lo gratificava, inoltre, "coll'essentione reale e personale de' suoi beni essistenti nella villa predetta".
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Senato Terra, regg. 213. cc. 592v-593r; 214, c. 110v; 232, cc. 338v-339r, 64; 226, c. 138r; 231. c. 246, cc. 328-329; 263, c. 84; 270, c. 428v; Ibid., filze 1078, 1080, 1163, 1200, 1211, 1438, 1488, alle date 30 genn. 1686 m.v., 29 marzo 1687, 23 maggio 1693, 29 dic. 1695, 11ag. 1696, 16 apr. 1712, 25 genn. 1715 m.v.; Ibid., Senato. Lettere di provv. di terra e di mar, filze 393, lett. n. 37; 525, lett. n. 18; 526, "nota" allegata alla lett. n. 55; 844, "nota... per pagar le... compagnie" stesa ad Argos il 10 dic. 1690, lett. del 4 marzo 1691, lista delle milizie del 17 maggio 1691; 849, lett. del 19 ag. 1698; 851, lett. del 1º luglio 1702; 854, lett. del 10 apr. 1709; 855 lett. del 13 ag. 1712, e 15 genn. 1712 m.v.; 857: lett. del 4 nov. 1714; 859, lett. del 24 apr. 1695; 949, lett. n. 117; 950, lett. del 1º genn. 1700 m.v.; 952, lett. dell'8 maggio 1705 e del 29 maggio 1706 (allegata, questa, a lett. del 2 luglio 1706), 954. lett. del 20 dic. 1708; 958, lett. del 13 dic. 1713; 1129, lett. del 28 apr. e 29 sett. 1694 e del 15 febbr. 1694 m.v.; 1131, lett. del 13 giugno 1696; 1133, lett. del 30 nov. 1699 e 16 giugno 1700; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 656 (= 7791), cod. misc. con una rel., del 29 sett. 1694, sull'acquisto di Chio, c. 77v; The occupation of Chios... (1694)..., a c. di P. P. Argenti, Oxford 1935, pp. 56, 136; ᾿Εκϑέσεις τῶν Βενετῶν γενικῶν προνοήτων τῆς Πελοποννήσου, a c. di P. S. Lambros, Athinai 1900, p. 435; Memorie istoriogr. della Morea riacquistata..., Venezia 1687, f. 85; A. Locatelli, Racconto... della guerra in Levante..., I, Colonia 1691, p. 344; M. Rossetti, La sacra lega, Padova 1696, p. 337; Breve descriz. ... del Peloponneso..., Venezia 1704, p. 29; C. Contarini, Istoria della guerra di Leopoldo primo... contro il Turco, Venezia 1710, I, p. 714; II, p. 347; P. Garzoni, Istoria... di Venezia in tempo della... lega..., I, Venezia 1720, pp. 464, 466, 679; L. Araldi, L'Italia nobile, Venezia 1722, p. 81; G. Ferrari, Delle notizie... della legatra... Carlo VI e... Venezia..., Venezia 1723, pp. 23, 54, 62, 65; G. Graziani, Historiarum Ven. libri..., II, Patavii 1728, pp. 339, 372, 396, 532 s., 621; A. Vallisneri, Elogio di Beatrice Papafava Cittadella, Padova 1828, p. 8 (e precedentem. in Racc. d'op., a c. di A. Calogerà, III, Venezia 1730, pp. 35 s.); B. Del Pozzo, Ruolo... de' cavalieri gerosolimitani... nella lingua d'Italia..., Torino 1738, pp. 166 s. (cenno all'antenato del C. "fraOrsino"), 254 s.; G. Diedo, Storia... di Venezia, Venezia 1751, III, pp. 451 s.; IV, p. 101; A. Arrighi, De vita... Francisci Mauroceni..., Patavii 1757, p. 342; [M. Cesarotti], Lettera d'un padovano al... Denina…, Padova 1796, pp. 20, 89 s.; A. Levati, Diz. biogr. cron. degli uomini ill., III, Milano 1822, p. 68; G. Canonici Fachini, Prospetto... delle donne ital., Venezia 1824, p. 200; F. Schröder, Rep. gen. delle famiglie... nobili..., I, Venezia 1830, p. 237; G. Vedova, Biografia degli scrittori padovani, II, Padova 1836, p. 56; La guerra della sacraLega..., a cura di G. Alacevich, Zara 1900, p. 72; L. A. Maggiorotti, Architetti e architetture militari, Roma 1933, pp. 519, 592; G. Gerola, Lefortificazioni di Napoli di Romania, Bergamo 1934, p. 51; B. Brunelli Bonetti, Due nobili vite italiane. A. C. e sua madre (secc. XVII-XVIII), in Atti d. R. Ist. ven. di scienze,lettere e arti,cl. di scienze mor. e lett., XCIX (1939-40), 2, pp. 861-871; A. Valori, Condottieri e generali del Seicento, Roma 1943, p. 90.