CORNER, Alvise
Terzogenito di Marcantonio di Giovanni di Giorgio, fratello della celebre e sventurata regina di Cipro, Caterina, e di Cecilia Contarini di Giustiniano di Giorgio, nacque a Venezia il 29 genn. 1558.
Il padre apparteneva al ramo a S. Polo, forse il più prestigioso e ricco dei tre in cui la famiglia si era divisa all'inizio del secolo, e si era rivolto, senza brillare, alla carriera politica, che lo aveva visto senatore e podestà a Crema; morì nel 1571. Per l'educazione e la vita stessa del C. determinante apparve perciò la influenza degli zii paterni, i cardinali Alvise e Federico, i quali rivestirono un ruolo di grande rilievo nell'applicazione e diffusione dei deliberati tridentini in area veneta. Il primo di essi, in particolare, fu al centro delle relazioni veneto-pontificie nel decennio postconciliare, ed il suo parere fu apprezzato e sollecitato dalla Repubblica, quando si trattava di ottenere da Roma la nomina o la traslazione di qualche prelato. Al nipote egli suggerì di intraprendere la carriera ecclesiastica; poi, divenuto cardinale camerlengo, chiamò il giovane chierico a Roma, presso di sé, e lo introdusse negli ambienti della corte pontificia: infine, il primo giugno 1576, rinunciò in suo favore al segretariato della Camera apostolica.
Erano anni, quelli compresi tra Lepanto e la "regolazione" del Consiglio dei dieci del 1582, nei quali predominava in Senato una maggioranza favorevole all'instaurazione di rapporti di collaborazione con la S. Sede, di cui proprio la famiglia Corner era tra i principali fautori; a Roma, quindi, il giovane segretario poteva ragionevolmente presumere di vedersi schiudere le migliori prospettive di carriera, allorché la morte dello zio (1584) e la successiva elezione dell'energico Sisto V al soglio pontificio, lo indussero a ritornare in patria, presso il fratello maggiore Francesco, da poco eletto vescovo di Treviso, e lo zio paterno Federico, titolare della ricca diocesi patavina.
Questi lo volle con sé, e a Padova il C. conseguì la laurea in utroque iure;fu allora che Federico, il quale era ormai cardinale e sentiva prossima la fine, provvide ad assicurarne la carriera facendolo nominare vescovo di Pafo, il 30 genn. '89 e suo coadiutore, il 20 febbraio di quello stesso anno, "cum spe futurae successionis".
La diocesi cipriota, infatti, era occupata dai Turchi da quasi un ventennio, né vi erano indizi che potessero far sperare, perlomeno nel breve periodo, in un mutamento di tale situazione: perciò il C. ottenne l'indulto di risiedere nella diocesi padovana, della quale era appunto suffraganeo, con una pensione annua di 1.000 ducati. La città era allora un attivo e prestigioso centro di cultura, che si raccoglieva attorno allo Studio, ma in essa non mancavano attriti e tensioni sociali: perciò la nomina di un nuovo prelato, del quale erano ben conosciute la dimestichezza con l'ambiente e gli uomini, e le doti di bontà e generosità, in luogo del cardinale, ormai stanco e troppo spesso lontano dalla sua diocesi, fu accolta da parte del clero con sincere manifestazioni di gioia e di speranza.
Di lì a poco il cardinale moriva, e il 7 ott. 1590 il C. subentrava pleno iure in suo luogo: come vescovo di Padova diventava automaticamente cancelliere dello Studio, e proprio l'ambiente universitario si sarebbe rivelato la principale fonte delle sue preoccupazioni. Queste, peraltro, non gli sarebbero derivate - come pure poteva essere lecito supporre dalla presenza degli "heretici" oltramontani: da tempo, ormai, la Repubblica, gelosa custode del prestigio del suo ateneo, aveva provveduto ad assicurare anche ai tedeschi le garanzie della Patavina libertas, contro ogni ingerenza romana; neppure l'eterodossia di certe tesi predicate dal Cremonino o le innovazioni scientifiche dell'Acquapendente e del Galilei avrebbero sollecitato seriamente la vigilanza del vescovo: questi, semmai, sarebbe stato chiamato in causa dall'insidioso tentativo operato dai gesuiti per costituire un loro Gymnasium Patavinum.
La politica di monopolizzazione culturale attuata dai seguaci di Ignazio era stata, per l'addietro, favorita proprio dal cardinale Federico, che ne aveva in tutti i modi agevolato l'ingresso nel tessuto educativo della città, sia per l'attaccamento ch'egli professava alla Compagnia, sia perché era effettivamente convinto che la ratio studiorum dei loro collegi fosse in grado di offrire le migliori garanzie di disciplina razionale e spirituale che allora potevano darsi nel sistema scolastico preuniversitario. Senonché piano piano era andato prendendo corpo il disegno dei padri di costituire proprio a Padova, nella città che da secoli ospitava uno dei più illustri atenei d'Europa, una loro università; di realizzare cioè, nel più prestigioso e vivace centro culturale della Repubblica, una sorta di esperimento che, se riuscito, avrebbe potuto essere facilmente applicato altrove. Finché visse Federico, il progetto non incontrò ostacoli; la reazione degli ambienti accademici (ai quali, nella circostanza, si associarono vasti settori della nobiltà padovana e veneziana) si manifestò invece decisamente quando a lui subentrò il giovane C. ed alla carica di rettori furono chiamati patrizi decisamente ostili ai gesuiti, come il podestà Giovan Battista Vitturi e il capitano Vincenzo Gradenigo: l'ìntera città, in pratica, si pronunciò contro la Compagnia.
Durante tutta la controversia, che toccò il suo apice nel 1592, il comportamento del vescovo fu improntato alla massima prudenza: pur essendo ben disposto verso i gesuiti, il C. non osò schierarsi apertamente in loro favore, per cui il Senato veneziano ebbe buon gioco a liquidare la questione con un decreto che assicurava alle tradizionali strutture la privativa dell'istruzione universitaria.
Di lì a poco, il 20 ott. 1594, il C. morì, non ancora trentasettenne, e fu sepolto nella cattedrale di Padova, accanto allo zio. Scomparve prima di poter qualificare decisamente la sua vita (di lui le fonti ricordano quasi esclusivamente la mitezza e la generosità verso i poveri), ma nell'economia della famiglia rappresentò un elemento di continuità nella lunga e complessa successione delle dignità ecclesiastiche.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, M. Barbaro, Arboride' Patritii...,III, p. 47; Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. It., cl. VII, 15 (= 8304): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, I, cc. 325v-326r; Ibid., Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 3781: G. Priuli, Pretiosi frutti..., I, c. 187v; un sonetto in lode del C., scritto dopo la sua morte, Ibid., Cod. Cicogna 986/III; G. Pallantieri, Ad Ill.mo et Rev.mo D. D. Aloysium Cornelium Episcopum Coadiutorem Patavii ... congratulatio, et consalutatio, Patavii 1595; F. Policini, I fasti gloriosi dell'ecc.ma Casa Cornara..., Padova 1698, p. 19; Id., Ecclesiastica cronologia della Casa Cornara, Padova 1698, pp. 20-21; N. Papadopoli, Historia Gymnasii Patavini..., Venetiis 1726, p. 112; N. A. Giustinian, Serie cronologica dei vescovi di Padova, Padova 1786, p. 140; G. Liberali, La diocesi delle visite pastorali, Treviso 1976, I, p. 194; II, p. 314; G. Gulik-C. Eubel, Hierarchia catholica Medii aevi..., III, Monasterii 1923, pp. 284, 287.