DONA (Donati, Donato), Alvise
Nacque a Venezia il 30 marzo 1583, figlio unico di Lorenzo di Alvise, del ramo che risiedeva a Castello, e Laura Bon del procuratore Alessandro.
Il padre morì quando il D. era ancora un bambino di pochi anni: del resto Lorenzo era in età avanzata e si era accinto al matrimonio con la Bon dopo essere rimasto vedovo di Laura Tron, che non gli aveva dato figli, e dopo che l'unico fratello, Paolo, era morto senza discendenti. A dunque, con ogni probabilità, nello stesso desiderio di provvedere alla continuità della casata che si deve ricercare la spiegazione del precoce matrimonio contratto dal D. con Lisa Morosini di Silvestro di Giovanni, celebratosi a S. Cristoforo di Murano il 14 febbr. 1600; ma questo ramo della famiglia si sarebbe comunque estinto di li a qualche decennio, nel 1634, con l'unico figlio maschio nato da questa unione, Lorenzo.
Il D. non compi studi regolari né manifestò inclinazione per la cultura; politicamente si riconobbe nell'ideologia legata al gruppo dei "giovani" e del partito sarpiano, ma fu soprattutto un uomo d'azione, che avrebbe poi trovato nel terreno della pratica militare la risposta più autentica alla vocazione della propria indole.
Gli esordi della vita politica si svolsero nel solco del cursus honorum tipico delle famiglie abbienti: dopo essere stato provveditore sopra gli Atti, il 23 maggio 1611 venne eletto capitano a Vicenza, dove rimase sino a tutto l'anno seguente, occupandosi prevalentemente di mantenere in buona efficienza il complesso del ' le fortificazioni e gli alloggiamenti delle truppe; al rientro a Venezia, il 30 sett. 1612 fu eletto della zonta del Pregadi ed il 4 dicembre entrò a far parte dei sopraprovveditori alla Giustizia. L'occasione di evadere dal tranquillo esercizio assembleare si presentò in occasione della prima crisi del Monferrato, nel corso della quale la Repubblica si schierò decisamente con il duca di Mantova contro le pretese sabaude.
Non è chiara la veste con cui il D. si recò in Piemonte al seguito delle truppe venete; l'unica fonte - attendibile peraltro - di cui disponiamo è rappresentata dalla Relazione dell'Ill.mo Signor Alvise Donato, ritornato di Casal di Monferrato, ove era general dell'artiglierie del Signor cardinal duca di Mantoa, presentata a di 3 febbraio 1614 nell'eccellentissimo Collegio, in cui il D. così accenna alla propria azione: "E prima narrerò la causa che mi mosse a lasciar la quiete e la commodità della mia casa, la moglie ed il figliolo .... Mi fu senza dubbio d'incitamento e di stimolo a cotale deliberazione il desiderio ardente che vive in me di far qualche acquisto d'esperienza nell'arte militare, alla qual sento chiamarmi da certo istinto di natura ... Andai dunque ... con pensiero di starmene privato, né mi capitò mai nell'immaginazione il dover pretendere o il dover aver alcuna carica. Piacque al signor duca di voler dar un segno al mondo della sua obligata divozione verso la serenissima repubblica, e trovò bene il farlo ... con l'onorar un cittadino di essa di grado, di eminenza e di onorevolezza nella sua milizia, qual è apunto quello del generale dell'artiglieria". Insolita dunque la veste formale della relazione, che non trova copertura in alcuna commissione senatoria, ulteriore testimonianza dello stretto rapporto che costantemente fece rientrare, a Venezia, la vita privata del singolo patrizio nella sfera politica del principe; non per questo, tuttavia, documento meno completo ed acuto, nella sua stesura, di tanti altri consimili prodotti della diplomazia lagunare: anche a prescindere dalle molteplici informazioni relative all'organizzazione militare delle forze contrapposte, basterebbero i soli ritratti dei duchi di Savoia e di Mantova per rendere lo scritto meritevole di segnalazione.
Tornato in patria, il 30 sett. 1614 il D. fu nuovamente eletto della zonta del Senato e un anno più tardi (24 sett. 1615) all'incarico, certamente a lui più congeniale, di provveditore della cavalleria a Candia. Rimase nell'isola per più di tre anni, occupandosi soprattutto di inviare al Senato allarmati dispacci sulle precarie condizioni delle caserme destinate a ospitare i reparti di cavalleria, gravemente danneggiate dal terremoto avvenuto nel gennaio 1613, e contemporaneamente a sovraintendere all'opera di ricostruzione. La successiva permanenza a Venezia non durò a lungo: l'11 sett. 1620 venne infatti eletto provveditore della cavalleria croata e albanese e inviato a Romano, presso Crema, col compito di controllare le mosse degli Spagnoli in occasione della crisi della Valtellina.
Si trattava di un incarico delicato, dal momento che davvero non mancavano pretesti di incidenti e provocazioni da parte delle truppe regie che affluivano dalla pianura padana verso i valichi alpini, e il D. fu ben presto costretto a prendere posizione: il 6 marzo 1621 trenta moschettieri spagnoli attaccarono la guardia veneziana alla Bettola, presso il Serio. Furono respinti, ma nella stessa giornata il D. scrisse al provveditore generale in Terraferma, Andrea Paruta, chiedendo in termini abbastanza espliciti l'autorizzazione a compiere una rappresaglia a norma delle commissioni ricevute, "essendomi facilissimo il farlo quando comanderà …, parendomi che non si habbino a dargli più titolo d'insolenze, ma gravi offese senza alcun rispetto". Il Paruta, tuttavia, preferi lasciar cadere la cosa e secondo le previsioni del D. questa accondiscendenza fu causa di ulteriori incidenti. Il 10 maggio alcune truppe spagnole, in marcia di trasferimento da Soncino a Mozzanica, cercarono di passare per la strada detta dello Steccato, o imperiale, nel territorio cremasco. Il provveditore le aveva fermate, ma il capitano spagnolo aveva chiesto l'autorizzazione, e questa gli era stata concessa, senonché l'indomani un nuovo contingente aveva preteso il passaggio senza alcun preventivo permesso e il D. non aveva esitato a respingerlo.
Subito la questione si irrigidì: il provveditore in campo Nicolò Contarini difese di fronte al Senato la fermezza del suo sottoposto, mentre il Paruta assunse una posizione più sfumata; infine, tenuto conto anche di un consulto del Sarpi, nel corso dell'estate si giunse a un compromesso onorevole per entrambe le parti, mentre il D., in riconoscimento della ferma condotta e della capacità operativa dimostrate. era nominato provveditore straordinario in Terraferma, nella sede di Peschiera (14 dic. 1621).
Ancora provveditore della cavalleria venne eletto il 17 marzo 1623 e poi il 28 ott. 1624. Fu il suo ultimo incarico: nonostante la malferma salute, accettò di recarsi nuovamente a Romano, per difendere il territorio della Repubblica dalle prevedibili molestie degli Spagnoli; il 12 genn. '25 fu eletto censore, ma rifiutò per continuare la sua azione presso le truppe venete.
Il 18 marzo, tuttavia, inviava al Senato un certificato medico che attestava dolori e febbri continue e chiedeva il permesso di curarsi a Padova o a Venezia, in considerazione del fatto che "non posso haver forza sufficiente, né testa da poter ne anco essequire li pubblici comandi in questi posti, ben copiosi di militie tanto d'infanteria, quanto di cavalleria, tutti a me subordinati, né vi è giorno, hora, né momento che sempre mi occorre di dar ordini, et comandar altro spettante per il pubblico servitio; il che tutto come in sanità m'è stato soave et legiero, così hora mi è impossibile poter sustentare alcuna attione, et operatione". La sua richiesta fu prontamente esaudita, ma nel frattempo il D. aveva recuperato la salute e mutato parere; il 19 aprile scriveva a Venezia: "rissolvo restar fermo in questo quartiere".
La sua fibra era però ormai allo stremo e il 12 novembre chiedeva nuovamente il rimpatrio, ma nessuna sollecitazione, nessun accenno alla propria salute sono nei successivi dispacci. Morì presso le sue truppe, a Romano (l'odierno Romano di Lombardia in prov. di Bergamo), tra l'11 ed il 22 dic. 1625.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Miscell. codd., I, Storia veneta, 19: M. Barbaro-A.M. Tasca, Arbori de' patritii..., III, c. 308; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 16 (= 8305): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto..., II, c. 34r; Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun. Libro d'oro nascite, schedario 170, sub voce; Ibid., Avogaria di Comun. Libro d'oro matrimoni, schedario 185, sub voce; Ibid., Segretario alle Voci. Elez. Magg. Con s., reg. 14, c. 8; Ibid., Segretario alle Voci. Elez. Pregadi, reg. 9, cc. 39, 74; reg. 10, cc. 162r, 166v; reg. 11, c. 162r; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 835 (= 8914): Consegli, cc. 15r, 98r, 210r, 219v, 268v; la lettera del D. al Paruta del 6 marzo 1621, in Arch. di Stato di Venezia, Provveditori da Terra e da Mar, f. 61; le altre lettere del D. come provveditore straordinario in Terraferma (dal 18 dic. 1621 al 20 giugno 1622) e della cavalleria (dal 27 nov. 1624 al 10 dic. 1625), Ibid., rispettivamente ff. 186 e 248; la relazione del D. generale dell'artiglieria del duca di Mantova, in Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, a cura di A. Segarizzi, I, Bari 1912, pp. 231-278, 301. Sull'incidente della strada dello Steccato, G. Cozzi, Il doge Nicolò Contarini. Ricerche sul patriziato veneziano agli inizi del Seicento, Venezia-Roma 1958, pp. 176-179, 185, 194.