VALARESSO, Alvise
– Nacque a Venezia il 6 gennaio 1588 da Zaccaria, figlio unico di Alvise, e da Elisabetta Miani di Paolo Antonio, il cui nome venne dato al gemello di Valaresso. Zaccaria percorse una modesta carriera politica, forse perché zoppo, e questo gli consentì di evitare l’elezione a cariche dispendiose come ambascerie e rettorati.
Valaresso ebbe così modo di esordire a Palazzo Ducale ricoprendo magistrature dell’ordine senatorio quali il saviato agli Ordini, cui fu eletto il 23 marzo 1613 e il 16 settembre 1614. Quindi fu inviato a Palmanova con il compito di tesoriere. L’elezione avvenne il 12 dicembre 1615, mentre era in corso la guerra di Gradisca contro gli arciducali, quindi (8 gennaio 1618) entrò rettore a Zara, dove rimase sino al 7 settembre 1619. Nuovamente a Venezia, fu provveditore alla Sanità dal 30 novembre 1620 al 29 ottobre 1621, salvo una breve interruzione (20-25 settembre 1621) dovuta a una legazione straordinaria a Firenze per porgere al granduca Ferdinando II le condoglianze del Senato a causa della morte del padre Cosimo II e, a un tempo, le congratulazioni per la successione al trono di Toscana. La missione aveva natura puramente diplomatica e tuttavia Valaresso dovette dar buona prova di sé, dal momento che di lì a poco (16 dicembre 1621) venne eletto ambasciatore in Inghilterra.
Lasciata Venezia il 7 aprile 1622, arrivò a Londra il 17 giugno via Torino; qui lo raggiunse il segretario Pietro Vico, già residente a Napoli, in cattive condizioni fisiche, sicché Valaresso gli consentì di recarsi a Venezia per curarsi, ma soltanto nel gennaio del 1623 il Senato avrebbe provveduto a sostituirlo con Pietro Dolce. Pertanto per un anno Valaresso dovette cimentarsi con messaggi cifrati dei quali non aveva alcuna pratica. Non vi erano peraltro particolari problemi nei rapporti anglo-veneti, per cui la corrispondenza di Valaresso è in gran parte incentrata sugli impopolari matrimoni che si prospettavano per il principe di Galles, il futuro Carlo I: dapprima con l’Infanta di Spagna, poi con Enrichetta Maria, figlia del re di Francia, l’una e l’altra cattoliche. Valaresso inviò l’ultimo dispaccio il 4 ottobre 1624; quindi lasciò Londra con le insegne di cavaliere, ma non si recò subito a Venezia, perché poco prima (23 settembre 1624) era stato distaccato in Valtellina per cooperare all’invasione francese in quella regione. Venezia e Parigi volevano infatti evitare il collegamento tra la Lombardia spagnola e il Trentino, la qual cosa avrebbe significato la congiunzione territoriale fra le due monarchie asburgiche.
Spedì il primo dispaccio proprio da Parigi, il 24 ottobre 1624, nel quale informava il Senato che il suo principale obiettivo sarebbe stato quello di impedire che i tumulti in atto nella Svizzera orientale si propagassero all’Italia. Quindi si spostò fra Zurigo, Coira, Poschiavo e Tirano, donde riferiva (Archivio di Stato di Venezia, Senato disp. Svizzera, Valtellina, f. 1, disp. del 22 dicembre 1624) che gli spagnoli, contro i quali si apprestavano a marciare le truppe del conte di Tilly, erano giunti a 20 miglia da Sondrio. Non vi furono scontri decisivi, ma solo manovre e contromanovre. Evitata una temuta invasione austriaca nella Terraferma veneta, il conflitto si sarebbe risolto con lo sgombero degli spagnoli dalla Valtellina, ma con clausole atte a salvaguardarne la fisionomia cattolica. Valaresso inviò l’ultimo dispaccio da Morbegno alla fine di settembre del 1625; effettuò il viaggio parte a cavallo e parte in lettiga, ma prima di rivedere la sua città si fermò «alcun giorno a Padova per consigliar con quei medici sopra la mia salute» (Archivio di Stato di Venezia, Senato disp. Svizzera, Valtellina, f. 4, disp. del 29 settembre 1625).
Fu poi savio del Consiglio per il primo semestre del 1626, dopo di che andò a Brescia (13 settembre 1626) a reggere quel capitanato; vi si fermò un anno e lesse la consueta relazione in Senato il 26 gennaio 1628. Essa, com’egli precisa, si articola in tre punti essenziali: «e sono il territorio, il castello e la camera. Chiamerò il primo un asino d’oro, il secondo la colonna del Stato di Terraferma et il terzo la più opulente borsa di Vostra Serenità», precisando subito che il termine «asino» si giustificava con il fatto che quella ricca provincia, per ventisette anni continui «ha sostenuto la maggior parte delle tante militie che V.S. ha dovuto trattenere» (Relazioni dei rettori veneti..., 1975, p. 305).
A Venezia divenne consigliere per il sestiere di S. Croce dal 1° giugno 1628, ma lasciò anticipatamente la carica il 30 novembre, non si sa per quale ragione; in precedenza, il 17 settembre, il Maggior Consiglio aveva respinto la sua proposta di rimettere al Consiglio dei dieci il giudizio sulla crisi provocata da Ranieri Zen e che sarebbe poi sfociata nella ‘correzione’ dello stesso Consiglio. Nella circostanza (Romanin, 1974, p. 162) Valaresso parlò «in modo fiacco [...] fra lo strepito del Maggior Consiglio», per cui la sua proposta, favorevole alla fazione aristocratica, fu respinta.
Successivamente divenne savio del Consiglio per il secondo semestre del 1629 e, prima ancora della scadenza del mandato, il 29 ottobre, fu nominato aggiunto ai riformatori dello Studio di Padova, senonché il 17 maggio 1630 venne eletto sopraprovveditore alla Sanità al di qua del Mincio. C’era la peste e Valaresso fu inviato nel Veronese, dove si adoperò a realizzare le fondamentali strutture sanitarie per arginare l’infierire del contagio.
Al termine dell’epidemia, qualche mese dopo essere rimpatriato, si portò a Padova per assumervi la carica di capitano, che ricoprì a partire dal 20 luglio 1631; la città, pur provata dal morbo, si stava rapidamente riprendendo, ma non nella stessa misura gli introiti fiscali, che risentivano dei troppi abusi causati dal precedente indebolimento dei controlli amministrativi.
A Venezia fu eletto savio del Consiglio per il primo semestre del 1633 e del 1634, poi le cariche si accumularono, talvolta sommandosi. Il 4 settembre 1633 entrò a far parte del Consiglio dei dieci e il 28 novembre fu eletto aggiunto ai riformatori dello Studio di Padova. Il 1° febbraio 1635 divenne consigliere per il sestiere di S. Croce, quindi (2 febbraio 1636) fu eletto conservatore delle Leggi, poi fu savio del Consiglio per il semestre da marzo a settembre dello stesso anno, la quale carica gli sarebbe stata rinnovata, ininterrottamente e per lo stesso periodo, fino al 1643. Indice di attenzione al settore culturale fu la sua presenza tra i riformatori dello Studio di Padova, tra i quali fu eletto parte come aggiunto il 28 novembre 1636, il 27 luglio 1642, il 4 agosto 1645, il 7 dicembre 1647 e come riformatore il 21 maggio 1638 e il 10 marzo 1643.
Rivestì anche numerose altre cariche, ma solo negli intervalli dell’appartenenza ai savi del Consiglio e ai riformatori dello Studio: fu pertanto savio alla Mercanzia dall’ottobre del 1637 al marzo del 1638 e così per lo stesso periodo del 1638-39; sopraprovveditore alle Biave dall’ottobre del 1639 al marzo del 1640. Due mesi dopo, il 15 maggio 1640 fu nominato procuratore di S. Marco de Ultra, poiché la famiglia risiedeva a S. Giovanni Decollato. Il titolo lo metteva al riparo dall’assumere incarichi fuori di Venezia, ma nella città questi si susseguirono incessanti. Divenne pertanto esecutore contro la Bestemmia dal dicembre del 1640 al marzo del 1641 e dal novembre del 1642 fino al marzo del 1643. In precedenza era stato anche revisore alle Entrate pubbliche (31 agosto 1641), quindi savio del Consiglio dal marzo al settembre del 1643, provveditore all’Arsenale dall’ottobre del 1643 al marzo del 1644, ancora savio del Consiglio dal marzo del 1644, ma il 29 giugno depose la carica, forse per motivi di salute.
Savio all’Eresia dal marzo al settembre del 1645, poi inquisitore all’ufficio del Sale (5 dicembre 1645), savio alle Acque dal novembre del 1646 al gennaio del 1647, quando entrò savio del Consiglio per il primo semestre del 1647, iterato nel 1648. Era in corso la guerra di Candia e si discuteva in Senato se fosse opportuno cedere l’isola, allorché il 17 gennaio Valaresso, spalleggiato da Francesco Querini, sostenne la linea dell’intransigenza; la proposta venne approvata e il conflitto si sarebbe protratto per oltre un ventennio.
Fu questo in pratica il suo ultimo atto politico; morì in Procuratia il 16 marzo 1650.
Il suo gemello era scomparso da tempo. Un omonimo pronipote (1711-1784) sarebbe stato fra i protagonisti del movimento riformatore veneto che ebbe come strumento e volano la Deputazione ad pias causas, istituita nel 1766 e di cui Valaresso fece parte nei primi e fondamentali anni iniziali, assieme a Gian Antonio Da Riva, Andrea Querini e Andrea Tron.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Misc. Codd., s. 1, 20, St. veneta: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de’ patritii veneti, VII, pp. 153, 159; Segretario alle voci. Elez. Pregadi, regg. 9, cc. 20, 103; 10, c. 164; 11, cc. 3, 12; 12, cc. 2, 60, 83, 110; 13, cc. 1-5, 60, 83, 105, 152; 14, cc. 1-4, 28, 29, 44, 60, 79, 105, 116, 154, 163; 15, cc. 1-4, 28, 29, 60, 83, 95, 105, 114, 154, 162; 16, c. 17; ibid., Elez. Maggior Consiglio, regg. 12, cc. 42, 179; 14, cc. 3, 164; 15, cc. 1, 138; 16, c. 2; 17, c. 114; Senato dispacci Firenze, f. 36, n. 270 a-b; Senato disp. Inghilterra, ff. 23-25, passim; Senato disp. Svizzera, Valtellina, ff. 1-3, 4 nn. 223-263, 270a, 281 a-b, 1bis-3; Notarile testamenti, b. 64/38 (test. di Valaresso, 18 giugno 1649); Provveditori alla Sanità. Necrologi, reg. 876, sub 16 marzo 1650; Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Mss. P.D. 701 C/II, sub Ferramosca Scipione 1633; B. Nani, Istoria della Repubblica Veneta, in Degl’istorici delle cose veneziane..., Venezia 1720, VIII, pp. 296, 457, IX, p. 170; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, VII, Venezia 1974, pp. 162, 285; Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, XI, Podestaria e capitanato di Brescia, Milano 1975, pp. 305-311; G. Candiani, Conflitti di intenti e di ragioni politiche, di ambizioni e di interessi nel patriziato veneto durante la guerra di Candia, in Studi veneziani, n.s., XXXVI (1998), pp. 156 s., 164.