AMADIGI di Gaula
Protagonista di un notissimo romanzo cavalleresco, la cui prima edizione a noi pervenuta (Saragozza 1508) è in prosa castigliana ed è opera del regidor di Medina Garci Rodriguez (o Ordoñez) de Montalvo. Ma le origini del romanzo sono assai più antiche. Già nella prima metà del sec. XIV esso doveva essere largamente conosciuto, se, come il Montalvo stesso racconta, l'infante Alfonso (asceso al trono di Portogallo nel 1328), mosso a pietà verso l'infelice innamorata Briolanja, ordinava di modificar l'episodio (libro I, cap. 40) in modo che A. risultasse corrispondere alfine alla disperata passione di lei; e ricordo esplicito ne fanno, verso il 1350, il Castrogeriz (trad. del De Regimine Principum di F. Colonna) e l'Arciprete de Hita (Libro de buen amor, str. 1378), e, nella seconda metà del secolo, il cancelliere de Ayala (Rimado de palacio, st. 162), Pero Ferrus ed altri fra i poeti i più antichi del Cancionero de Baena. La "villanella" a Leonoreta (libro II, cap. 11):
Leonoreta, fin roseta
Blanca sobra toda flor.
(Leonoretta, piccola, fina rosetta, bianca più di ogni fiore)
ha il suo preciso riscontro in una poesia quasi letteralmente simile composta da João de Lobeira nella seconda metà del sec. XIII e compresa nel Canzoniere portoghese Colocci-Brancati. Ma, se l'esistenza di questo testo più antico è indiscussa, nessun diretto frammento di esso ci è conservato, e tutte le attribuzioni che se ne vollero fare restano incerte. Non si può, anzi, nemmeno affermare con sicurezza se esso originariamente fosse scritto in castigliano o in portoghese: buone motivazioni indiziarie sono state date per l'una e per l'altra tesi, specialmente per la portoghese, ma il problema rimane, in realtà, tuttora insoluto.
La nazionalità stessa di A., del resto, non appare, nel poema, ben chiara: mentre Gaula (Galles) e altri nomi di luogo e accenni svariati fan pensare all'Inghilterra, non mancano, d'altra parte, tracce che richiamano invece alla Francia. E la causa ne risale probabilmente alle fonti, che sono, almeno in parte, le leggende del ciclo bretone, con risonanze particolarmente numerose del Lancillotto e del Tristano.
Tutto il romanzo del Montalvo segue infatti, fondamentalmente i modi della poesia del ciclo bretone. Nella profonda riverenza per il monarca si sente bensì l'origine spagnuola dello scrittore, e anche nelle preoccupazioni moralistiche, che l'indussero a sostituire all'amore adultero dei poemi francesi l'amore legittimo e benedetto, consacrato dal matrimonio; ma la lunga vicenda di perigliose e maravigliose avventure, attraverso le quali l'amor fedele di A. e di Oriana prova la sua virtù, prima di concludersi nelle giuste nozze, presenta lo stesso succedersi di scene d'incantesimo e di magia, di battaglie con draghi e giganti, di mirifiche tenzoni, che in ogni poema cavalleresco s'incontrano, e in una continua esaltazione degli ideali della cavalleria e dell'amore si risolve l'intero poema. Perfetto guerriero è A. e perfetto amante; e la scena in cui egli s'arma cavaliere è descritta dal poeta con solennità e con manifesta ammirazione. Si capisce perciò che il fiero Curato, "escrutador de la libreria di D. Chisciotte, non dovrà sentirsi disposto a fargli troppo buon viso; ma lo salverà dalle fiamme il buon Barbiere, dichiarando che il romanzo è "el mejor de su linaie" (D. Qujote, libro I, cap. 6).
In realtà, se lo stile è troppo fiorito ed enfatico, e, nella tessitura episodica, il racconto spesso si smarrisce e si disperde, molte fra le avventure sono invece, in sé, interessanti, e taluni singoli episodî - come la storia degl'ingenui amori giovanili di A. e di Oriana, l'avventura di Briolanja, il combattimento fra A. e Galaor che non sanno di esser fratelli - hanno anche schietti accenti di umana commozione e di poesia.
"Non è opera nazionale - scrive Menéndez y Pelayo (Orígenes de la novela española, Madrid 1902, p. 199) - è opera umana, e questo è il segreto della sua popolarità senza esempio". Ed ebbe, invero, una popolarità vastissima. Francesco I e Carlo V considerarono il romanzo come lettura prediletta, Montaigne lo tenne nella sua biblioteca, il Bembo lo leggeva già nel 1512 "con entusiasmo", il Castiglione lo stimò degno di un compiacente ricordo nel Cortegiano, l'Ariosto ne trasse spunti numerosi per il suo poema (v. P. Raina, Le fonti dell'Orlando Furioso, 2ª ediz., Firenze 1900), in Francia, ai tempi di Enrico IV, era proclamato "la Bibbia del re".
E, com'era naturale, il successo fece sì che si avessero infinite continuazioni, con l'esposizione di altre avventure di A., e delle avventure dei figli suoi e dei figli dei figli e di tutta la parentela. Incominciò lo stesso Montalvo, che, non contento di aver completato gli originarî tre libri noti già anche al Ferrus (sus proesas falla redes en tres lybros..., in Canc. de Baena, I, 322) con un quarto libro assai sermoneggiante, per gran parte di sua invenzione, volle narrare ancora in un quinto anche Las Sergas de Esplandian (Siviglia 1510); e, nel volger di pochi decennî, per opera di autori diversi - fra cui il più famigerato è Feliciano de Silva, tanto caro al cuor di D. Chisciotte - nella sola Spagna, i libri si accrebbero, con fortuna diversa (l'idillico e pastorale libro IX, Amadis de Grecia, fu fortunatissimo), fino al numero di 14. In Italia, dopo una prima ristampa in spagnuolo (Roma 1519), ne uscì presto anche una prima traduzione (Venezia 1542), a cui ben tre altre seguirono; e Mambrino Roseo ne dettò nello Sferamondo una continuazione in cui A. vien fatto morire in mezzo a una grande ecatombe "come se soltanto con la morte di tre imperatori, alcuni re e cinquantamila cavalieri cristiani potesse essere data all'eroe una degna sepoltura" (Menéndez y Pelayo, op. cit.). Nella seconda metà del secolo, la traduzione francese di Herberay des Essars (Parigi 1540-1548: 8 volumi, a cui altri 16 ne aggiunsero i continuatori fino al 1615) diffuse infine l'opera per tutta l'Europa. Non era propriamente una traduzione ma un libero rifacimento, con l'aggiunta di tutti gli amminicoli cari alla prosa narrativa francese di quel tempo; e i vezzi di stile che il traduttore vi introdusse, le pastorellerie leziose, le concettose finezze, le ricercate eleganze, le sentimentali analisi psicologiche, i compiacenti dilettosi indugi su situazioni erotiche furono causa non ultima del grande favore che l'opera dappertutto incontrò: essa parve persino - e divenne - modello di educazione al bello scrivere e al leggiadro ornato parlare e ai gentili cortesi costumi per dame e cavalieri (v. Trésor de tous les livres d'Amadis de Gaule... très utile pour instruire la noblesse française à l'éloquence, vertu et generosité, Parigi 1559 segg.); e Brantôme avrebbe voluto tener tanti scudi nella scarsella quante erano le donne che la lettura del racconto aveva indotto a dolcemente peccare. Né fu favore di breve durata. Poiché compilate su questo testo, sono ancora le narrazioni riassuntive del Duverdier nel Roman des romans (Parigi 1626), e ad esso e al ricordato Trésor de tous les livres d'Amadis risalgono le traduzioni inglesi del Munday (1580-90) e dal Paynel (1568), le due traduzioni tedesche (Augsburg 1569-1578 e Francoforte 1583 segg.), e la tante volte - in Germania - ristampata Schatzkammer schöner zierlicher orationen... aus den 24 Büchern des Amadis. Ma nell'aspra semibarbara irsuta prosa del testo tedesco il racconto appare, una volta ancora, mutato di tono. Con le sue sovrapposte e visibili stratificazioni di tempi e di gusti diversi, con la sua miscela di eroismo cavalleresco e di leggerezze galanti, di razionalismo moraleggiante e di mollezze sensuali, di pathos solenne e di sdolcinature sentimentali, di enfasi spagnola, di durezza tedesca e di preziosità francese, di misticismo metafisico e di mondanità cortigiana, il lungo e complesso racconto contribuì non poco al sorgere e al propagarsi del gusto barocco in Germania.
Né furono pochi, nel corso del tempo, in Spagna, in Italia, in Germania, i poeti che nel romanzo trovarono materia e spunti per la propria opera. E il più grande di tutti è Cervantes, che la figura di Amadigi ebbe spesso presente nel creare, con amore che vince l'ironia, la figura comico-malinconica affascinante del suo "ultimo fra i cavalieri", la cui storia in più di un momento atteggiò a diretta parodia di scene dell'A. (v. D. Clemencin, Commento al D. Quijote, Madrid 1833-39, e Menéndez y Pelayo, La cultura literaria de Cervantes, nella 4ª serie degli Estudios de critica literaria, Madrid 1905). Ma già mezzo secolo prima Gil Vicente aveva trasportato la materia del romanzo in un piano di realtà, nella tragicommedia Amadis de Gaula, rappresentando con arguto sorriso gli amori di Amadigi e di Oriana e la penitenza di Beltenebroso. In Italia ne trasse argomento per il suo poema classico-cavalleresco Amadigi (1538) Bernardo Tasso, padre di Torquato, il quale, intrecciandovi altre vicende d'amore fra Mirinda e Alidoro, fra Filidora e Floridante, narrò la storia di A. e di Oriana, sulla traccia del Montalvo, in ottave diseguali ma non di rado armoniose, e fece opera alquanto verbosa e spezzettata e scarsa d'intima vita, ma non priva qua e là di un certo movimento drammatico e, ad ogni modo, sempre ispirata a nobiltà di intendimenti letterarî: fra tutti i poemi modellati in quel tempo sul Furioso, il meno indegno di stargli vicino. In Germania un primo dramma ne ricavò A. Hartmann (1587), a cui seguirono l'Oriana (1717) e l'Amadis (1720) del Beccaus; ma la creazione più viva che ne venne ispirata fu l'opera Amadigi (1715) di Händel, quadratamente costrutta, straripante di larga, ampia, multivaga, tipicamente händeliana melodia. Invece il Neuer Amadis del Wieland (1771) ha con l'antico romanzo cavalleresco poco più di comune che il nome: numerose, dirette tracce dell'Amadigi si possono riscontrare, piuttosto, nel Gandalin.
Con la nuova riduzione del Tressan (Parigi), presto tradotta dal Mylius (1782) in Germania, con i nuovi rifacimenti del Creuzé de Lesser (1813), del Rose (1807) e soprattutto del Southey (1803), sulla soglia dell'età moderna, la storia del fortunato romanzo si conchiude. Malgrado le sue simpatie per il mondo cavalleresco, Tennyson confesserà di non riuscire più, con tutta la migliore volontà, a leggerlo fino in fondo. E già Goethe aveva malinconicamente osservato in una lettera a Schiller: "È pure una vergogna, che si debba diventar vecchi senza poter conoscere un'opera così eccellente altrimenti che dalla bocca dei parodisti!". In realtà solo una semplificazione che, sfrondando il romanzo di ogni superflua divagazione, ne ritrovi la più profonda sostanza umana, può avvicinarlo ancora allo spirito moderno. Alcuni tentativi in questo senso sono stati fatti negli ultimi anni, da A. Lopes Vierra (Lisbona 1922), Ph. Lebesgue (Parigi 1924) e C. Burgos (Madrid 1924).
Bibl.: Grace S. Williams, The "Amadis" Question, in Revue hispanique, XXI (1909), p. 1 segg.; H. Thomas, The romance of Amadis of Gaul, Londra 1912; C. Moreno García, La novela de Amadis, in Revista castellana, III (1917), p. 125 segg.; IV, 148; V, 66. E v. anche C. García de la Riega, Literatura galaica: El Amadis de Gaula, Madrid 1909; Th. Braga, Historia das novellas portuguezas de cavalleria (Formação do Amadis de Gaula), Oporto 1873; id., Historia de litteratura Portugueza, I, Oporto 1909, pp. 283-346. - Sull'A. in Francia v. E. Baret, De l'Amadis de Gaule et de son influence sur les moeurs et la littérature au XVI et au XVII siècle, 2ª ed., Parigi 1873; F. Brunetière, Études critiques, Parigi 1880-97, s. 4ª; H. Vaganay, Amadis en français, essai de bibliographie et d'iconographie, Firenze 1906; W. Küchler, Empfindsamkeit und Erzählungskunst in Amadis roman, in Zeitschrift für franz. Sprache u. Lit., XXXV (1909); W. Müllert, Studien zu den letzten Büchern des Amadis, Lipsia 1923. Sull'A. in Italia, v. F. Flamini, Il Cinquecento, Milano, s. d., p. 162 segg.; F. Foffano, L'Amadigi di B. Tasso, in Giornale storico d. lett. it., XXV (1900), p. 249 segg., e H. Vaganay, Les romans de chevalerie italiens d'ispiration espagnole, in La Bibliofilia, 1907-1908. - Sull'A. in Germania v., oltre il Küchler e il Müllert cit., Braunfels, Kritischer Versuch über den Amadis, Lipsia 1876; W. Scherer, Die Anfänge d. deutschen Prosaromans, in Quellen und Forschungen, Strasburgo 1877; M. Pfeiffer, Anadissstudien, Erlangen 1905; E. Cohn, Gesellschaftsideale u. Gesellschaftsroman des 16. Jhs., Berlino 1921 (Germanische Studien, 13).