AMALRICO BARLAIS
Figlio di Rinaldo Barlais, che era stato compagno e consigliere di Guido di Lusignano, re di Gerusalemme, e che nel 1197 aveva difeso senza fortuna la piazza di Giaffa sotto la bandiera del re Amalrico di Lusignano, A. fece la sua comparsa nella storia di Cipro intorno al 1220. Frequentò l'Alta Corte e fu esponente di quella nobiltà francese isolana di seconda generazione, ai cui occhi gli Ibelin apparivano degli intrusi che minacciavano la propria posizione sociale, malgrado, secondo Filippo di Novara, avesse ricevuto consistenti beni e molti segni di benevolenza dal vecchio sire di Beirut, Giovanni d'Ibelin. Al principio degli anni Venti A. fu testimone di importanti atti reali ed intrecciò legami familiari con alcuni dei futuri animatori del partito avverso agli Ibelin: fu infatti genero di Bertrando Porcelet e cugino di Almerico di Bethsan.
Il conflitto tra i due clan ciprioti cominciò a profilarsi nel 1224 in occasione della cerimonia di vestizione di due figli di Giovanni d'Ibelin. Durante un gioco detto barbadaye A. sarebbe stato colpito proditoriamente da un certo Toringuel, un cavaliere della cerchia degli Ibelin. Il giorno successivo, per vendicarsi, A. aggredì con alcuni compagni Toringuel, che rimase a terra. Condannato all'esilio da Filippo d'Ibelin, reggente di Cipro, trascorse l'inverno a Tripoli, dove Giovanni d'Ibelin lo raggiunse per cercare una riconciliazione. Il tentativo fallì, ma la rottura non si era ancora consumata, perché al vecchio signore di Cipro premeva evitare dissidi con i baroni ciprioti.
In seguito alle nuove nozze di Alice di Champagne con Boemondo V di Antiochia, A. fu tra i primi a protestare energicamente contro la volontà della regina di affidare la reggenza di Cipro al marito, pregiudicando così i diritti del giovane re Enrico I, incoronato di recente dalla nobiltà cipriota. La questione tornò d'attualità quando Alice chiese a Filippo d'Ibelin di rimettere la carica di reggente per proporla ad Amalrico. Di fronte all'opposizione dell'Alta Corte, che non era stata consultata in merito alla scelta, A. abbandonò la partita per ritirarsi nuovamente a Tripoli, mentre Filippo d'Ibelin mantenne la reggenza fino alla morte, nel 1227, allorché la carica passò al fratello, Giovanni d'Ibelin. Desideroso di vendetta, A. rientrò a Cipro e sfidò a duello un cavaliere del seguito degli Ibelin, Anseau de Brie, che l'aveva accusato di rinnegare la propria fede. A giudizio di Filippo di Novara, A., pur di evitare il combattimento, avrebbe confidato nella venuta di Federico II, con il quale erano schierati gli oppositori degli Ibelin: lo stesso A., Almerico di Bethsan, Ugo di Gibelet, Guglielmo di Rivet, Galvano di Cheneché, Filippo Chenard, Bertrando e Ugo Porcelet, seguiti da un terzo della nobiltà cipriota, all'incirca ottanta cavalieri. Il duello si svolse sul finire del 1227: A. fu salvato dall'intervento sul campo di Giovanni d'Ibelin e di Guglielmo di Cesarea, connestabile di Cipro, che obbligarono i due avversari a rappacificarsi. Filippo di Novara, nel suo racconto del duello, dava ad intendere che A. era stato un vigliacco e che quest'episodio aveva gettato su di lui un definitivo discredito.
A., umiliato, armò una galera per andare incontro all'imperatore in Morea, con il proposito di sobillarlo contro il clan degli Ibelin e di indurlo a impadronirsi di Cipro, isola che avrebbe potuto fornirgli le risorse necessarie al suo soggiorno in Siria. Si ignora se A. avesse partecipato a fianco di Federico II al banchetto di Limassol, quando Giovanni d'Ibelin fu messo sotto accusa dall'imperatore, ma Filippo di Novara lo biasimò per aver maltrattato gli ostaggi consegnati dal vecchio signore di Beirut. Alla partenza di Giovanni per la Siria, A. non riuscì a ottenere nel settembre 1228 il controllo dell'isola, perché Federico II inviò il conte Stefano con armigeri italiani per prendere possesso delle fortezze cipriote.
Al ritorno dalla Siria, il 1o maggio 1229, l'imperatore affidò il baliato dell'isola per tre anni ad A., associato a quattro reggenti, i 'bailli', che si impegnarono al pagamento di 10.000 marchi d'argento all'imperatore e a non autorizzare mai il rientro a Cipro degli Ibelin. I cinque 'bailli' confiscarono i beni degli avversari e costrinsero tutta la nobiltà cipriota a rendere loro omaggio. Filippo di Novara, avendo rifiutato l'atto di sottomissione, fu assediato dall'armata dei reggenti all'ospedale di Nicosia e invocò l'aiuto di Giovanni d'Ibelin. Il signore di Beirut organizzò una spedizione che sbarcò al forte dei Templari a Gastria, a nord di Famagosta, marciò su Nicosia e sbaragliò l'armata dei 'bailli' il 14 luglio 1229. Gli sconfitti trovarono rifugio nelle fortezze di Kyrenia, Kantara e S. Hilarion (Dieudamour), dove A. resistette per sei mesi; al momento della resa giurò di non combattere più gli Ibelin e recuperò interamente i suoi beni. Partecipò ad una corte plenaria nel 1230, ma avendo timore di Anseau de Brie e Filippo di Novara, si finse malato e chiese il perdono dei suoi nemici, che però glielo negarono. Quando giunse a Cipro la flotta inviata da Federico II, A. prese contatto con gli imperiali a Kiti e fu denunciato dagli Ibelin che lo minacciarono di morte: solo la protezione di Giovanni d'Ibelin gli permise di sfuggire alla rappresaglia.
Quando gli imperiali s'impadronirono della città e della signoria di Beirut, Giovanni d'Ibelin si presentò dinanzi all'Alta Corte per chiedere il sostegno della nobiltà cipriota al fine di recuperare il suo feudo. A. non si oppose apertamente, ma quando la spedizione del vecchio sire di Beirut raggiunse la Siria, disertò insieme ad altri ottanta cavalieri che furono ricondotti a Beirut da Riccardo Filangieri. A. rientrò quindi a Cipro, dove tentò di riprendere il controllo dell'isola con l'appoggio dell'armata imperiale: resistette soltanto il castello di S. Hilarion, difeso dai seguaci degli Ibelin. In questo frangente Giovanni d'Ibelin concluse un'alleanza con i genovesi e organizzò una spedizione che, partendo da Acri, s'impadronì di Famagosta, e il 15 giugno 1232 sconfisse le truppe di Filangieri e di Barlais ad Agridi, a nord di Nicosia. Gli sconfitti trovarono rifugio nella cittadella di Kyrenia, che capitolò nell'estate del 1233; Riccardo Filangieri, A. e il cugino Almerico di Bethsan riuscirono a raggiungere Tiro prima della resa delle loro truppe. La guerra civile, a Cipro, era ormai conclusa, ma proseguì nel Regno di Gerusalemme. In queste circostanze avverse è possibile che A. e i suoi seguaci abbiano meditato di raggiungere l'Italia per implorare l'aiuto dell'imperatore.
Dopo la resa di Kyrenia, il re di Cipro Enrico I, ormai maggiorenne, convocò l'Alta Corte: A. e i suoi sostenitori furono condannati per tradimento, i loro beni sequestrati e ceduti a cavalieri che avevano servito fedelmente la Corona. La maggiore età del sovrano privò Federico II di qualsiasi appiglio per intervenire negli affari del Regno di Cipro. Le tracce di A. si persero in Siria, dove sorprendentemente uno dei suoi figli, Guglielmo, sposò una pronipote di Giovanni d'Ibelin, Isabella, che era stata regina di Cipro dal 1265 al 1267.
Il racconto di Filippo di Novara, da cui traspare una radicale ostilità per la fazione imperiale, solleva la questione del ruolo svolto da A. nella storia cipriota al principio del XIII secolo. Fedele ad Alice di Champagne, A. aveva abbandonato il suo partito quando la nobiltà cipriota gli negò il titolo di reggente che la regina madre aveva intenzione di accordargli. La competizione fra due generazioni di baronia era all'origine dei suoi dissidi con il clan degli Ibelin: A. apparteneva alla nobiltà che si era stabilita nell'isola all'inizio della conquista franca, mentre gli avversari, avendo saputo ottenere la fiducia del giovane sovrano Enrico I, aspiravano a sostituirsi al gruppo di più antico insediamento. Non sorprende che A. e i suoi accoliti, per difendere i loro interessi, abbiano cercato il sostegno di Federico II, signore feudale della dinastia cipriota. Ma potevano contare soltanto su un esiguo contingente di baroni, su risorse in uomini e ricchezze nettamente inferiori a quelle degli Ibelin, mentre dall'imperatore era lecito attendersi unicamente un sostegno sporadico: per questo nel 1232 le forze di Filangieri non riuscirono a evitare la disfatta di Amalrico. È però senz'altro opportuno sfumare i giudizi dei contemporanei, più favorevoli ai baroni che al partito imperiale.
Fonti e Bibl.:L'Estoire d'Eracles empereur et la conqueste de la Terre d'Outre-Mer, a cura di A. Beugnot-A. Langlois, in Recueil des Historiens des Croisades, Historiens occidentaux, II, Paris 1859, pp. 361-403; Les Gestes des Chiprois, a cura di R. de Mas Latrie-G. Paris, ibid., Documents arméniens, II, ivi 1906, pp. 669-721; Filippo di Novara, Guerra di Federico II in Oriente (1223-1242), a cura di S. Melani, Napoli 1994. P.W. Edbury, The Kingdom of Cyprus and the Crusades, 1191-1374, Cambridge 1991, passim; 'Ιστοϱία τῆϚ Κύπϱου, a cura di Th. Papadopoullos, IV, Nicosia 1995, pp. 21-50.
Traduzione di Maria Paola Arena