amante
Come è ben noto, nel Trecento e specie in D. il participio presente (già solo sostantivato) di ‛ amare ' non ha il significato odierno di " che ama illecitamente ", valendo semplicemente " innamorato ": perfino nel passo celeberrimo (If V 134) dove Francesca rammemora i primi attimi rivelatori della sua passione, campeggianti sullo sfondo della leggenda arturiana, e dietro il cotanto amante di Ginevra spunta pure la fisionomia di Paolo, " persona che si muove in un mondo di affetti reali " e quindi non resta, come Lancillotto, " un eroe e un amante da romanzo " (Sapegno). Insomma, D. non pensa all'adulterio, ma alla trepida aurora di un amore estraneo ancora a ogni ingorgo e assuefazione di sensi.
Meno ovvio invece è che questo luogo, unitamente alla triplicazione di Amor in If V 100 ss., pare sotteso dalla lapidaria definizione di Cv IV I 1 Amore, secondo la concordevole sentenza de li savi di lui ragionanti, e secondo quello che per esperienza continuamente vedemo, è che congiunge e unisce l'amante con la persona amata.
In Pd IV 118 il primo amante è naturalmente Dio (cfr. If III 6, ma anche I 39), in senso teologico come Spirito-Amore del Figlio al Padre; mentre Francesco e madonna Povertà sono detti amanti (Pd XI 74) in quanto uniti da eroiche e mistiche nozze, giusta la premessa dell'anonimo Sacrum commercium, dal Cosmo (1898) in poi giudicato fonte tematica dell'episodio dantesco.
Il plurale è invece utilizzato con valore solo terreno nell'esordio di un famoso sonetto della Vn VIII 4 (già anticipato nel testo in prosa: v. VIII 3) Piangete, amanti, poi che piange Amore: dove è istituita un'equivalenza sintomatica - su piano ideale, seppur autenticamente terrestre - con la glossa chiamo e sollicito li fedeli d'Amore a piangere, in VIII 7.
Nel Fiore, dove naturalmente l'Amante è protagonista della vicenda come nel Roman de la Rose, il valore positivo e medievale del termine, in senso di omaggio cavalleresco-feudale (si pensi al Trattato di Andrea Cappellano) col corteggio della sua topica terminologia, emerge da sintagmi quali fin amant'e saggio (XLIX 14), fin amante (LXXXII 11; e in Detto 56 e 162 fine amante), o al plurale fin'amanti (XLIX 7); saggio amante (LXXII 2), leal amante (CCXXVII 2; anche in Detto 33); ma altresì, senza attributi, quell'amante / ... che cotanto t'ama (XVIII 1), quell'amante (CLXXX 2), null'amante (CXC 10; ma nel Detto 263, con cliché caratteristico, a servir [Amore] amante, "dedito", "pronto"); al plurale, amanti, in XVII 1 e CCXXXII 6.
Una sola volta a. si trova in funzione aggettivale, in Cv IV I 2, là dove D. parla del reciproco compenetrarsi spirituale fra due individui mossi da un comune e intenso sentimento: E però che le cose congiunte comunicano naturalmente intra sé le loro qualitadi, in tanto che talvolta è che l'una torna del tutto ne la natura de l'altra, incontra che le passioni de la persona amata entrano ne la persona amante, sì che l'amore de l'una si comunica ne l'altra, e così l'odio e lo desiderio e ogni altra passione.