AMANUENSE
. Nell'antichità la scrittura dei testi era affidata esclusivamente a schiavi literati, a servizio di privati o del pubblico, riuniti in officine esercite da venditori di libri, addestrati fin dall'infanzia al lavoro calligrafico e stimati anche assai notevolmente, a seconda del loro talento e della loro cultura. Quando raggiungevano una Lerta capacità prendevano il nome di librarius (copista), di amanuensis o di servus ab epistolis (schiavo segretario); nella tarda latinità il copista prende il nome di antiquarius. Gli scavi di Pompei hanno restituito anche una libreria con annesso laboratorio di copia; talvolta erano gli stessi copisti, liberti, ad esercire tale commercio. Il copista decorava i manoscritti, ne incollava insieme le pagine, le rilegava e talora aveva anche l'ufficio di bibliotecario. La condizione servile dei copisti cessò del tutto solo col diffondersi del cristianesimo; con le invasioni barbariche però questa professione finì per essere coltivata quasi solo nei monasteri: San Girolamo fino dal sec. IV l'aveva indicata fra le più adatte alla vita monastica, seguito in ciò, due secoli dopo, da Cassiodoro: e infatti essa finì col costituire la principale attività dei monaci di molti ordini religiosi, in cui si giungeva a punire chi si rifiutasse di dare la propria opera. Lo studio della calligrafia (che comprendeva la scrittura e la miniatura) era prescritto dai concilî e dalle regole monastiche, a partire da quella benedettina, e fu incoraggiato con ogni mezzo dai più celebri fra i vescovi e fra i santi monaci di Occidente. Quest'attività, attestata in Italia fino dal sec. V, e dal VI nell'Irlanda e nella Scozia, donde si diffuse nel continente, ricevette nuovo impulso dalla rinascenza carolingica, quando Alcuino organizzò per conto di Carlo Magno laboratorî di copie e scuole di calligrafia che divennero centri di diffusione della cultura e in cui era talvolta perfino fissato il quantitativo annuale di volumi che ciascun allievo doveva produrre: famoso fra tutti il monastero di San Martino di Tours. I nomi, che talvolta i copisti apponevano alle opere da loro trascritte, ci rivelano che anche persone di elevata condizione non disdegnavano questo modesto lavoro. Anche gli ordini femminili si dedicarono fruttuosamente alla trascrizione dei testi fino dai primi tempi del Medioevo. Il locale destinato nei conventi agli amanuensi era detto scriptorium ed era attiguo alla biblioteca, o nella biblioteca stessa: vi era prescritto il silenzio, e non vi potevano entrare se non i superiori, il bibliotecario, e i copisti in determinate ore del giorno. Questi sedevano su sgabelli situati dinanzi a tavole apposite. e copiavano ciascuno un manoscritto diverso o le singole parti di un'opera, o scrivevano insieme sotto dettatura dell'armarius o bibliotecario o di un protocalligrafo; o infine, nell'epoca più tarda, attendevano l'uno a scrivere, l'altro a correggere, e gli altri ancora a rubricare, a punteggiare, a miniare, a riunire insieme e rilegare i fogli già scritti, a preparare le pergamene per la scrittura. Col sec. XIII accanto alle scuole monastiche si sviluppa l'industria degli scrittori di mestiere, chierici o laici, riuniti talvolta in corporazioni che gareggiano in attività coi monaci, i quali in quel secolo e nel successivo si dedicarono soprattutto alla trascrizione di opere teologiche e scolastiche per ritornare poi, nel Rinascimento, a copiare anche le opere letterarie. Di scrittori salariati si servirono allora anche i monasteri con sempre maggiore frequenza: in Italia del resto essi erano sempre esistiti accanto alle scuole, alle università, agli studî dei notari, che scrivevano gli atti e i diplomi e talvolta anche libri, come attestano numerosi codici letterarî dal sec. XIII in poi. Anche scolari stranieri delle nostre università copiavano per proprio uso o per commissione specialmente codici scolastici, e gli umanisti poi si scrissero da sé i codici, scambiandoseli vicendevolmente, come fecero il Petrarca, il Boccaccio, Giannozzo Manetti, Niccolò Niccoli, Poggio Bracciolini, Tommaso Parentucelli, Ambrogio Traversari.
I salarî dei copisti erano computati a στίχοι, ossia a linee presso i Greci; a peciae, ossia ogni due fogli interi, nelle università medievali, o a quaderni, e per i libri miniati anche a lettere.
Nella seconda metà del sec. XV, per la gara nata fra principi italiani nel far esemplare codici di lusso, gli amanuensi furono anche celebri calligrafi, e noi conosciamo un numero infinito di classici ordinati dalle corti di Ferrara, Napoli, Firenze, Milano e Urbino, trascritti con la maggiore perfezione ed eleganza. Alcuni di essi furono veramente famosi e i loro nomi ci sono noti o per le sottoscrizioni apposte in fine dei codici o per documenti d'archivio. A Napoli si distinsero principalmente Joan Marco Cinico, Ippolito Lunense e Giovan Rinaldo Mennio; a Firenze Antonio Sinibaldi, insuperabile nell'arte sua, celebre collaboratore di Vespasiano da Bisticci, che nella sua bottega procurava codici alle corti d'Italia e a Mattia Corvino re d'Ungheria.
Bibl.: Ch. Cahier, De la calligraphie au moyen âge, in Nouveaux mélanges d'archéologie, d'histoire et de littérature, Parigi 1877, pp. 115-143; J. W. Bradley, A dictionary of Miniaturists, Illuminators, Calligraphers and Copyists... from the establishment of Christianity to the XVIIIth century, Londra 1887-89, voll. 3; W. Wattenbach, Das Schriftwesen im Mittelalter, 3ª ed., Lipsia 1896.