SCIESA, Amatore
– Nacque il 12 febbraio 1814 a Milano, nella parrocchia di S. Babila, da Ermenegildo e da Teodolinda Villa.
Nel 1838 sposò la diciannovenne Luigia Rotta, ricamatrice, con la quale nel 1840 ebbe l’unico figlio. Scarne se non nulle le notizie sulla sua vita anteriormente al 1851, l’anno fatale in cui Sciesa entrò in un gioco più grande di lui nel quale sarebbe rimasto drammaticamente impigliato.
Tempo e modo dell’epilogo della sua esistenza si collocano nella tesa atmosfera dei primi anni Cinquanta, caratterizzata dal regime di stato d’assedio e dalla giustizia stataria imposti a Milano e alla Lombardia dall’estate del 1848, al ritorno del governo austriaco nella persona del feldmaresciallo Johann-Joseph Radetzky: la seconda Restaurazione aveva di fatto blindato la vita in città e nei centri minori, inasprendo il controllo e le misure repressive a carico di chiunque venisse colto in azioni sospette. Chiusa l’Università di Pavia – ritenuta focolaio di sovversione –, duelli e omicidi politici contribuivano sporadicamente a tenere alta la tensione e il braccio di ferro soprattutto tra la gioventù e gli ufficiali e la truppa austriaci.
In quel difficile contesto, Giuseppe Mazzini aveva lanciato da Londra l’operazione di un prestito nazionale di dieci milioni di lire italiane destinati ad accelerare il conseguimento dell’indipendenza italiana: una capillare rete di comitati segreti nella Lombardia e nel Veneto avrebbe dovuto creare il tessuto connettivo per una nuova ondata rivoluzionaria, da finanziare con la sottoscrizione clandestina del prestito – da realizzarsi attraverso cedole di 25 franchi l’una ̶ messe in circolazione da comitati locali. Giudicata subito negativamente da alcuni, negli ambienti dell’emigrazione, come un’operazione tanto audace quanto improvvida, l’iniziativa riscosse tuttavia un certo successo sul territorio lombardo, dove la pressione dello stato d’assedio era più forte.
In virtù della sua professione, ‘tappezziere di carta’ con bottega e casa al n. 3124 della centrale piazza della Rosa (oggi piazza Pio XI), Sciesa rappresentava il tipico esponente di quel piccolo artigianato urbano dal cui serbatoio già la prima Giovine Italia aveva reclutato manovalanza clandestina: popolani poco o per nulla istruiti e generosi, abituati a esprimersi in dialetto, anelli piccoli ma preziosi della catena cospirativa, disponibili a esporsi e a svolgere i compiti più rischiosi. Quale appunto doveva rivelarsi per Sciesa l’incarico affidatogli dalla rete del Comitato dell’Olona, creato nell’area milanese dall’ex napoleonico Gian Battista Carta, classe 1783, cospiratore irriducibile che insieme a Carlo De Cristoforis e Giuseppe Gutierrez era riuscito a fare proseliti negli ambienti delle fratellanze artigiane e operaie milanesi, agendo con attivisti nelle osterie fuori porta (come quella della Cassoeula fuori porta Tosa) e nei caffè, in concorrenza con la rete mazziniana, più diretta verso il ceto medio. Numerosi erano infatti gli artigiani alfabetizzati tra gli agenti del Comitato, come Gaetano Assi, tintore, esaltato e pronto a tutto, già attivo nel 1848 e nel 1849 in un tentativo di sollevazione del proletariato milanese durante l’impegno delle truppe austriache contro i piemontesi, destinato a finire anch’egli sotto processo nell’agosto del 1851.
A Sciesa venne commissionata l’affissione notturna di più copie di un manifestino del Comitato, che gli vennero probabilmente consegnate in un caffè di via del Crocifisso. Redatto nello stile asciutto di Carta, con una chiara eco del lessico giacobino, il testo ricorreva ai topoi del discorso mobilizzatore risorgimentale che invitava la popolazione cittadina alla resistenza clandestina: «I nostri tiranni pongono le mani nel sangue e nella roba dei popoli, senza legge né fede; e noi ci difenderemo nell’oscurità, sinché non potremo farlo nella luce del sole. Se siete servi, rassegnatevi e servite; ma se siete uomini, resistete e un giorno vedremo i nostri figli ballare intorno agli alberi della libertà» (Pollini, 1932, pp. 42 s.).
La diffusione di quel tipo di propaganda era un’attività oggetto di alcuni dei proclami più duri emanati da Radetzky, quali quello del 10 marzo 1849 e del 2 febbraio 1851, che prevedeva giudizio statario e pena di morte mediante impiccagione da eseguirsi al Castello per chiunque fosse risultato diffusore di scritti sovversivi. Reduce dall’aver affisso sotto la pioggia battente, usando della mollica di pane, «proclami incendiarj» (così la sentenza, in Marchetti, 1960, p. 523), alle 2:30 della notte fra il 30 e il 31 luglio all’angolo tra via Spadari e corsia della Lupa (oggi via Torino), Sciesa si imbatté in una pattuglia in ronda di perlustrazione guidata dall’ufficiale Antonio Ghezzi: fermato e perquisito, indosso gli furono trovate sedici copie del manifestino diffuso sui muri nel centro della città; fogli che nel corso dei pressanti interrogatori egli provò a dichiarare un semplice giornaletto ripiegato passatogli quel giorno da un conoscente e intascato senza neppure guardarlo. Arrestato, condotto al Circondario di polizia e qui interrogato, Sciesa venne poi trasferito nei locali della Direzione generale di polizia in via S. Margherita, dove l’inesperienza e l’emozione lo fecero contraddire più volte nel corso del nuovo interrogatorio, mentre Radetzky a Monza e Ferencz Gyulai, comandante militare della Lombardia, nel suo quartier generale venivano avvisati dell’importante cattura. La voce del suo arresto corse nel frattempo in città, provocando il compiacimento della polizia e la preoccupazione negli ambienti cospirativi. Trasferito quindi al Castello nella notte del 1° agosto, alle 10:30 del 2 agosto ebbe per lui inizio il rapidissimo giudizio statario (previsto dal Codice dei delitti e delle gravi trasgressioni politiche emanato per il Regno Lombardo-Veneto nel 1815), procedimento condotto dall’auditore Carl Pichler von Deeben, in cui il nome di Sciesa venne erroneamente trascritto in Antonio. A mezzogiorno tutto era finito: condannato all’impiccagione, questa tuttavia non poté realizzarsi «per mancanza di giustiziere» (così la sentenza pubblicata nella Gazzetta ufficiale di Milano, n. 214, in quella stessa data), ovvero perché il solo boia disponibile, arrivato da Bergamo, non ritenne adeguate le attrezzature e il tempo concessogli per preparare l’esecuzione.
Gyulai, nella fretta di liquidare la vicenda e di fornire ai milanesi l’esempio voluto da Radetzky, ordinò così la fucilazione di Sciesa, eseguita il 2 agosto 1851 a Milano nel cortile del Castello.
Il 31 luglio anche la moglie era stata arrestata a seguito della perquisizione dell’abitazione – durante la quale venne sequestrato materiale propagandistico risalente al 1848 –̶, ma la donna sarebbe stata interrogata solo il 16 agosto, ancora ignara della sorte del marito, che avrebbe appresa solo dopo il rilascio.
L’esecuzione destò una forte emozione nel tessuto cittadino, già provato dal pugno di ferro del governo militare: la protesta, forzatamente silenziosa, si materializzò in una vera e propria ondata di affissioni notturne di manifesti sovversivi, alcuni camuffati da avvisi sacri, che costellarono la città. Sciesa divenne precocemente un’icona del contributo dato dal ceto artigiano al Risorgimento milanese, contributo peraltro già evidenziato dal dato professionale dei caduti delle Cinque giornate raccolto da Carlo Cattaneo: ad alimentare l’immagine di una manovalanza patriottica di animo semplice e coraggiosa stavano del resto le frasi in dialetto milanese attribuite all’arrestato e poi al condannato, sottoposto a pressione psicologica per ricavarne nomi di complici (mi parli no, mi soo nagott, quell che è faa, è faa!, tiremm inanz).
Se anche infatti quelle esatte parole non furono pronunciate, il loro senso, ben presto impostosi nel passaparola urbano e nella vulgata risorgimentista, le rende indicative del tipo del militante tutto d’un pezzo, lontano dalla propaganda ‘alta’, ma a essa necessario per la mobilitazione sul territorio. Può essere vicina al vero la testimonianza che Gian Battista Carta sentì di dover rendere: «Io vidi lo Sciesa camminare imperterrito a morte, e collo sguardo mi assicurava del suo silenzio» (Visconti Venosta, 1904, p. 233): un’immagine che richiama la scena raffigurata nella popolare litografia di Gaetano Previati, commissionata dalla vedova divenuta imprenditrice della memoria del marito, nella quale Sciesa spicca saldo a viso aperto tra due ali di soldati austriaci schierati nel ‘quadrato di esecuzione’, ma soprattutto beneficia del confronto con chi lo accompagna, un prete dallo sguardo basso e insinuante, forse tra coloro incaricati di esortarlo a confessare in extremis.
Fu lo stesso Comitato dell’Olona, come era comprensibile, il primo a esaltarne il sacrificio con un manifesto inneggiante all’Italia che, redatto da Carta e stampato dal tipografo Amodeo il 4 agosto, comparve sui muri cittadini nella notte fra il 6 e il 7 agosto. Il martirologio a caldo agì anche come strumento di provocazione nei confronti delle autorità austriache, che ricevettero copia dello scritto clandestino attraverso una rete che tuttavia la polizia non fu in grado di individuare, secondo un cliché destinato a riproporsi nel confronto tra ambiente patriottico e autorità di governo sino alla fine della dominazione austriaca. Il 7 ottobre l’esecuzione a Venezia del tipografo comasco Luigi Dottesio, coetaneo di Sciesa, accusato di importare scritti sediziosi dalla Svizzera, chiuse l’anno con un’altra profonda ferita inferta sì alle modalità cospirative di quella stagione – di cui il moto del 6 febbraio 1853 rappresentò il sussulto finale –, ma al prezzo di un sempre più profondo divorzio tra Vienna e la società lombarda. Proprio in seguito a quel tentativo rivoluzionario, la vedova di Sciesa tornò nel mirino della polizia, che le offrì invano di fingere di riconoscere alcuni cospiratori finiti in carcere in cambio della riabilitazione postuma del marito e di un premio in danaro. La casa di Sciesa, ritenuta possibile luogo di incontro di sovversivi, restò comunque sotto sorveglianza almeno fino al 1854.
L’onda emotiva delle esecuzioni del 1851 ispirò a Giuseppe Revere, profugo in Piemonte, la raccolta di sonetti I nemesii, pubblicati a Torino nel mese di novembre, vero e proprio instant book di poesia militante in cui i tre sonetti dedicati a Sciesa ne consacravano l’icona di figlio del popolo italiano, «martire modesto» che di fronte al «moschetto croato [...] non mosse ciglio, ne mutò sembiante» (pp. 17-19).
La vicenda di Sciesa fu infine oggetto di un recupero nel 1932 a opera di Leo Pollini, che la ricostruì utilizzando per primo le carte d’archivio relative all’arresto e al processo restituite dall’Austria nel primo dopoguerra, facendone il capostipite della generosità patriottica degli artigiani milanesi e dedicando i cinquecento esemplari del suo libro «Ai Camerati del Gruppo Fascista Sciesa».
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Milano, Processi politici, b. 246 (che include i proclami sequestrati, la relazione sull’arresto, l’esame politico e la sentenza). G. Revere, I nemesii. Nuovi sonetti, Torino 1851, pp. 17-19; G. Visconti Venosta, Ricordi di gioventù. Cose vedute o sapute, 1847-1860, Milano 1904, pp. 232 s. (con foto della prima pagina del verbale dell’interrogatorio); A. Luzio, Il processo ad A. S., Milano 1917; Id., I processi politici di Milano e Mantova 1851-53 restituiti dall’Austria. Comunicazioni documentate, Milano 1919, ad ind.; R. Barbiera, Nella gloria e nell’ombra. Immagini e memorie dell’Ottocento, Milano 1926, pp. 257 s.; L. Pollini, A. S. eroe popolano. Arresto, processo e supplizio, Milano 1932 (con in appendice documenti d’archivio); Id., A. S., Milano 1936; Dizionario del Risorgimento nazionale, IV, Milano 1937, s.v.; L. Marchetti, Il decennio di resistenza, in Storia di Milano, XIV, Milano 1960, pp. 518-524; G. Carcano, A. S., Torino 1961; C. Filosa, Carta, Giovanni Battista, in Dizionario biografico degli Italiani, XX, Roma 1977, pp. 776-779; F. Della Peruta, Le vicende del Regno lombardo-veneto, 1815-1866, in Id., L’Italia del Risorgimento. Problemi, momenti e figure, Milano 1997, p. 281; R. Gualtiero, Sotto un cielo di seta turchina. Gli ultimi giorni di A. S., Milano 2002; Il giornalismo lombardo nel decennio di preparazione all’Unità, a cura di N. Del Corno - A. Porati, Milano 2005, p. 311; C. Di Sante, Dizionario del Risorgimento. Cronologia, costituzioni, luoghi, protagonisti, simboli e movimenti dell’unità d’Italia, L’Aquila 2011, pp. 181 s.