AMAZZONI (᾿Αμαζόνες, Amazŏnes)
Mitiche guerriere che costituivano un popolo governato da una regina e localizzato, secondo la versione più comune della leggenda, sulla costa meridionale del Mar Nero, nella regione del fiume Termodonte, con capitale Temiscira. Quando i Greci cominciarono a conoscere questo territorio, spostarono la sede delle A. in zone più remote, ancora favolose, sia verso N, sia verso E o anche verso S fino in Libia. Ricordo forse di antichissime popolazioni pregreche a reggimento matriarcale, le A. ricorrono nelle saghe più antiche del popolo ellenico, così che l'illustrazione delle loro gesta appare in letteratura fin dai poemi omerici e viene a costituire, sin dal VI sec. a. C., uno dei temi prediletti delle arti figurative. Tralasciando un ciclo più antico di un'amazzonomachia omerica che sarebbe stata combattuta da Priamo e da Bellerofonte, ma di cui non rimane sicura traccia nella tradizione figurativa più antica, la presenza delle A. sui monumenti è legata sostanzialmente a tre vicende: 1) guerra di Troia, cui le A. parteciparono sotto la guida della regina Pentesilea che sarebbe stata uccisa da Achille; 2) spedizione di Eracle nella Scizia per impadronirsi della cintura della regina Ippolita o Melanippe; 3) invasione dell'Attica per vendicare la spedizione fatta da Teseo per catturare Antiope (altrimenti detta anche Ippolita, Melanippe, Glauche, secondo una frequente oscillazione onomastica corrispondente alla indeterminatezza della leggenda). Una delle più antiche rappresentazioni delle A. si ha su un alàbastron corinzio a figure nere della fine del VII secolo. Documento singolare poiché costituisce l'unico esempio del mito nella vastissima produzione corinzia. Il vaso, che reca iscrizioni che designano i personaggi, ῾Ηραχλῆς, ᾿Αλκινοϑα, ᾿Ανδρομέδα, Αἰόλας = ᾿Ιολαος (amazzonomachia di Eracle), proviene da Samotracia.
Se si devono riconoscere delle A. nelle figure di arcieri rappresentate su un frammento di vaso dazomenico da Naucrati nel British Museum (B 10228: E. Pfuhl, Mal. u. Zeichn., i, 174, 176) e su un'anfora pontica, si può fissare alla prima metà del VI sec. la comparsa delle guerriere nell'arte ionica. Ma la identificazione è stata messa in dubbio, né il colore della pelle, bianca sul vaso clazomenico e nera su quello pontico, costituisce in questo tempo un attestato per accettare nell'uno ed escludere nell'altro la presenza di un personaggio femminile invece che di uno maschile. Si tratterebbe comunque di rappresentazioni ancora lontane da qualsiasi riferimento mitologico. La caratterizzazione di scene differenti, e quindi presumibilmente, seppure con qualche riserva, il mito, appare invece nella seconda metà del secolo su vasi calcidesi, ove le A. sono raffigurate sia come arcieri a cavallo (Achille e Pentesilea? dell'Ermitage di Leningrado), sia appiedate (Eracle e le A., di Orvieto e del British Museum), sia combattenti con opliti greci. Il loro vestiario è simile in genere a quello degli avversari, seppure già sporadicamente variato dal caratteristico berretto appuntito degli arcieri frigi e da una pelle ferma. Ad un medesimo ambiente calcidese, mediato attraverso la colonia di Cuma, sono state parimenti collegate delle figurine bronzee di A. a cavallo con frecce e arco, impiegate come motivo ornamentale sul bordo di un particolare tipo di vasi in bronzo, databili intorno al 500 a. C. e provenienti dall'Italia. Ad influsso ionico è anche da riferire la prima comparsa delle A. in Etruria (rimane anche qui l'incertezza se si tratti di A. o di arcieri sciti) su lastre in terracotta appartenenti a decorazioni templari di Satricum, della metà del VI sec. La rappresentazione delle A. si sviluppa quindi in ambiente greco-orientale, e lo conferma l'assenza di scene di amazzonomachia nella ceramica corinzia, ad eccezione di quel singolare incunabolo sopra citato. Ricorrono invece rappresentazioni di A. in quella prima ceramica attica della seconda metà del VI sec. che serba ancora la tradizionale designazione di "tirrenica". Il tipo dell'A. appiedata, con armatura di oplita greco ed elmo ad alto lòphos, è proprio della ceramica attica a figure nere, mentre, come si è visto, l'Oriente greco aveva particolarmente diffuso quello dell'A. arciere a cavallo (G. Löschcke, Bonner Studien, Berlino 1890, pp. 248-260) che però compare già sporadicamente in Attica, come, ad esempio, in una hydrìa a figure nere della seconda metà del VI sec., firmata da Charitaios. I miti rappresentati in questo periodo sulla ceramica attica sono: la lotta di Achille e Pentesilea (in due anfore di Exekias); l'impresa di Eracle contro le A. (pisside Coll. Sabouroff, a Berlino; kölix di Pamphaios, al Vaticano; köatos firmato da Nikosthenes della Coll. Castellani); quella dei Greci contro le A. (vasi della Coll. Guglielmi; anfora Castellani di Nikosthenes) e, più raramente, il ratto di Antiope da parte di Teseo, in cui i personaggi sono indicati con lo schema, usuale nell'arte arcaica, della corsa "a ginocchio" e della figura della rapita seduta sul braccio del rapitore. I medesimi gruppi passeranno con scarse innovazioni nella ceramica a figure rosse della fine del secolo, ma con una maggiore varietà per la presenza di A. a cavallo e con un effetto più pittoresco per l'adozione, anche in ambiente attico, di quelle vesti scitiche che erano già da tempo apparse sui vasi ionici. (Amazzonomachia di Eracle: Arezzo, cratere di Euphronios; Bruxelles, kàntharos di Douris; Amazzonomachia di Teseo: Parigi, Cab. Méd., coppa di Kleophrades; Achille e Pentesilea; idria del Pittore di Berlino a New York; J. D. Beazley, Der Berlinermaler, Berlino 1930, tav. 22, 1). Con questi vasi si raggiunge già la soglia del V sec. ove cominciamo ad imbatterci in opere della plastica monumentale. La più antica è un torso femminile di arciere inginocchiato, in marmo insulare, rinvenuto a Roma e attualmente al Museo dei Conservatori. La guerriera, che proviene da una decorazione frontonale, veste un breve giacchetto di cuoio che doveva essere completato dalla pittura. I capelli formano sul dorso una massa unita e ondulata su cui ricade la lunga coda triangolare del berretto frigio. Il Petersen, vi riconobbe un originale arcaico (Röm. Mitt., iv, 1889, 86); la scultura, portata a Roma da un collezionista romano, faceva parte in origine della decorazione di uno dei frontoni del tempio di Apollo Daphnephoros ad Eretria. Una estesa trattazione del ciclo della amazzonomachia attica in opere di scultura appare per la prima volta nelle metope del thesauròs degli Ateniesi a Delfi (fine VI-primi V sec. a. C). In singoli combattimenti con guerrieri greci, fra cui spicca Teseo, le A. sono rappresentate a cavallo ed a piedi in armatura attica e differenziate dai loro avversari per le anaxörides, i caratteristici pantaloni scitici. Nel secondo tumulo di Pazyryk (v. altai) sono stati trovati frammenti di stoffa di lana intessuti con motivi a piccoli scacchi intramezzati da fasce di larghe linee a zig-zag operate a rete, del tutto corrispondenti ai costumi di A. sui coevi vasi greci a figure rosse. A. a cavallo ornavano anche gli acroterî del thesauròs, e accanto a queste potremo citare il coronamento fittile di un frontone etrusco di gusto ionico dello stesso periodo (G. Q. Giglioli, L'arte etr., Milano 1935, tav. clxiii, 2). Le sculture del tempietto delfico, espressione dell'arte dell'età di Clistene, aprono la serie delle grandi rappresentazioni della amazzonomachia attica che prevale su quella più antica di Eracle per l'assunzione di Teseo ad eroe nazionale della stirpe attica. La più famosa di esse fu il grande dipinto di Mikon nella stoà poikìle (470-460 a. C.) di cui si riconosce l'eco in un gruppo di vasi creati intorno alla metà del V sec. e che presentano dei caratteri innovativi. Da una citazione di Aristofane (Lysistr., 679) si è dedotto che le A. di Mikon erano rappresentate a cavallo e a questa pittura si è voluta riferire l'introduzione di tale iconografia in ambiente attico; ma si è già visto che, probabilmente per influsso del tipo ionico, essa era già nota in Attica fin dalla seconda metà del VI sec. Ricorderemo fra le opere di ceramografia i due crateri di New York, l'oinochòe pure di New York, l'anfora di Ruvo nel museo di Napoli, l'anfora nolana a New York, e la famosa coppa di Achille e Pentesilea nel museo di Monaco, ove la gentilezza patetica che lega le due figure ha fatto riconoscere, in base ad una leggenda forse più tarda, l'episodio dell'amore sorto improvviso tra i due contendenti al momento estremo della lotta. In altri vasi della fine del V sec., come, ad es., nell'anfora di New York del Pittore di Suessula, nella lèkythos del Pittore di Eretria, nell'aröballos cumano del Museo Naz. di Napoli, ecc., l'indicazione del paesaggio e la distribuzione della scena su piani diversi riconducono alla tecnica usata dal pittore Polignoto, a cui pure si doveva l'illustrazione di un grande ciclo di amazzonomachia nel Theseion ad Atene. Su suolo non attico continua l'esaltazione dell'impresa di Eracle, che ritroviamo così in una metopa del Tempio di Zeus ad Olimpia come in una del Tempio E di Selinunte (460 a. C. circa).
Secondo un passo di Plinio (Nat. hist., xxxiv, 53, ed. Ferri), verso il 440-37 i maggiori artisti del tempo, Fidia, Policleto, Kresilas e Phradmon furono chiamati in gara per fornire il tipo ufficiale di A. per il santuario di Artemide ad Efeso presso cui le guerriere godevano di particolari onori. Le statue erano in bronzo e vincitore sarebbe riuscito Policleto per voto degli stessi artisti, che, richiesti di giudicare l'opera migliore, furono concordi nel porre quella di Policleto immediatamente dopo la propria. Si è dubitato della veridicità dell'aneddoto, ma attraverso copie romane si può risalire realmente a tre diversi tipi di A. creati in questo periodo. Dai nomi delle repliche più note essi sono designati come A. di Berlino, A. Mattei e A. Capitolina; in esse si sono volute riconoscere le opere dei tre artisti più importanti menzionati da Plinio, mentre dubbia rimane l'individuazione di un quarto tipo, che potrebbe essere quello di Phradmon, identificato in una variante del tipo di Berlino (A. Doria-Pamphilj).
Si è discusso a lungo per attribuire l'uno o l'altro tipo ai varî artisti ed i pareri sono tuttora discordi. Iconograficamente le statue si somigliano tutte: le A. sono ferite al seno destro, che portano scoperto, e vestono un breve chitone. L'opera di Policleto è stata riconosciuta dai più nell'A. di Berlino appoggiata ad un pilastro, per la trattazione del nudo, per la ponderazione della figura e per i caratteri della testa, vicina a quella del Doriforo. L'atteggiamento della figura, appoggiata, alla lancia ricostruibile attraverso il confronto con una gemma e riferito da Luciano come proprio dell'A. fidiaca, ha fatto vedere una copia di questa nella statua Mattei, cui una convincente indagine di G. Becatti ha restituito la testa, nota dalle copie di Villa Adriana e di Napoli e finora sostituita da quella del tipo capitolino. E ben si addicono allo stile fidiaco il trattamento minuto e delicato del panneggio e la fluidità dei ritmi di questa figura. Nell'A. Capitolina, appoggiata anch'essa alla lancia e che si scopre il seno per osservarsi la ferita, si è riconosciuto il segno di quella corrente attica di cui Kresilas fu uno dei principali esponenti. La figura è tutta concentrata nella trepida considerazione della propria ferita, così da giustificare l'aggettivo di "vulnerata" con cui era designata la statua di Kresilas. Il gioco del panneggio sul corpo è variato dall'aggiunta sul chitone di un corto mantello ed è già presente in quest'opera un delicato e sottile psicologismo che ne farà uno dei precedenti delle opere attiche del IV sec., come, ad esempio, l'Artemide Brauronia di Prassitele. (Per il tipo di Artemide-A. costituitosi nel IV sec., vedi G. Calza, in Ausonia, x, 1921, 160-8).
Oltre che dalle numerosissime repliche romane, a cui vanno aggiunte le due rinvenute nel Canopo di Villa Adriana (S. Aurigemma, in Boll. d'Arte, 1955, i, pp. 65-69), la diffusione delle statue di A. efesie è attestata da altri documenti, come una statua-pilastro rinvenuta a Luku in Attica, ove l'A. del tipo Mattei serve da cariatide, un altorilievo trovato ad Efeso con l'A. del tipo di Berlino, opere di glittica (gemma Natter con l'A. Mattei, gemma della Bibliothèque Nationale di Parigi con l'A. Capitolina), piccoli bronzetti ecc.
Le fonti antiche citano anche un quinto tipo di A. a cavallo creato da Strongylion nell'ultimo terzo del V sec., che si è voluto riconoscere in una statua bronzea di Ercolano (mus. Napoli, inv. 4999; Catal. 1489). Il tipo iconografico fissato in questo periodo resterà pressoché invariato per tutta l'antichità. Lo stesso gusto delicato e luministico del panneggio dell'A. Mattei e una maggiore scioltezza e libertà di movimenti ricorrono nelle repliche di quell'amazzonomachia che Fidia aveva illustrato sullo scudo della Parthènos.
Ci è stata restituita da un gruppo di lastre neoattiche rinvenute al Pireo, da una conservata a Copenaghen (Ny Carlsberg, Br. Br. 646b) e da altre molto più modeste riproduzioni. Le figure sono distribuite su più piani, secondo quella innovazione che Polignoto aveva portato nella pittura e di cui qui si è voluto a ragione sentire l'influsso. Compare per la prima volta l'episodio dell'A. afferrata per i capelli che entrerà con successo nelle rappresentazioni posteriori. Lo stesso soggetto era stato ancora affrontato da Fidia nella decorazione del trono di Zeus ove, in due parti diverse era illustrata l'amazzonomachia di Eracle e quella di Teseo, e da Panainos che aveva dipinto l'episodio di Achille e Pentesilea in uno dei pannelli dello sgabello del dio.
Nella immediata sfera fidiaca, con appesantimenti provinciali ed influssi peloponnesiaci, sono le amazzonomachie delle metope del tempio di Apollo a Figalia e quelle dello Heràion di Argo, mentre nei fregi dello Heròon di Trysa (420 a. C. circa) è piuttosto da riconoscere un'opera di diretta derivazione pittorica (Mikon, Polignoto).
Su questo monumento, di gusto già orientale, e che sorge in un'area periferica della cultura greca, si ha la più vasta illustrazione delle gesta delle A. nei due cicli troiano ed attico, distribuiti su due zone diverse. Le guerriere sono rappresentate a piedi ed a cavallo e recano elementi caratteristici dell'abbigliamento tracio come l'ascia, lo scudo lunato, il berretto frigio e appaiono ancora distribuite su uno stesso piano (v. Gyölbashi).
Nel IV sec. le A. continuano a costituire uno dei temi prediletti delle arti figurative. Ricorderemo le A. a cavallo che decoravano il frontone del tempio di Asklepios ad Epidauro (375 a. C.), opera forse dello scultore Timotheos, e l'ampio fregio con amazzonomachia del Mausoleo di Alicarnasso (v.) a cui lavorarono verso il 350 a. C. Skopas, Timotheos, Bryaxis e Leochares. Vestite di un succinto chitone e di un mantello, le A. sono ritratte in violenti e concitati movimenti, a piedi ed a cavallo, in varî momenti di lotta contro guerrieri greci. Si creano singoli aggruppamenti ricchi di pateticità e di chiaroscuro, assecondato dal gioco decorativo delle vesti che frastagliano capricciosamente il fondo del rilievo. I motivi creati da questi grandi complessi monumentali continuano a necheggiare in opere di arti minori, fra cui si cita il delicato rilievo su una lamina enea sbalzata di Palestrina (già a Roma, Mus. di Villa Giulia, Coll. Barberini, ora nel Museo Archeologico Prenestino; IV-III sec. a. C.), ove il gruppo fidiaco dell'A. afferrata per i capelli è tradotto secondo quel gusto manieristico che, attraverso Taranto, si era rapidamente diffuso in Italia. Sempre in ambiente italico, il tema delle A. passa su sarcofagi (sarcofago di marmo asiatico dipinto proveniente da Tarquinia, nel Mus. Arch. di Firenze,) urne, specchi e ciste etruschi, ecc.
Dalla metà del IV sec. in poi le A. costituiscono il soggetto prevalente di una ceramica attica, detta di Kerč, dalla località dove se ne sono fatti i maggiori ritrovamenti. Probabilmente le popolazioni della Crimea, presso cui questi prodotti erano specialmente smerciati, prediligevano questo tema ove vedevano l'illustrazione di una leggenda nazionale. I vasi, spesso piuttosto rozzi, presentano una vasta gamma di colori e spesso figure in rilievo. Ai numerosi motivi di cui si era andato arricchendo il repertorio si aggiunge qui, nel III sec., la rappresentazione della lotta delle A. contro i Grifi, fiere favolose che difendevano le miniere d'oro del Caucaso. La leggenda di questa impresa non compare nell'arte monumentale ed era riferita in letteratura solo agli Arimaspi, altra mitica popolazione dell'Oriente. Fra gli altri prodotti rinvenuti in Crimea si ricorderà un tessuto col ricamo di una A. a cavallo, ancora del IV sec., e una serie di phalerae per cavalli, in bronzo dorato, ornate di battaglie fra A. e Greci, anche queste del IV secolo.
Nel III e nel II sec. a. C. comincia la serie dei sarcofagi greci di cui il più antico è quello di Vienna (Br. Br. 493) e nel quale si ritrova un'eco dell'amazzonomachia del Mausoleo. Parimenti del III sec. è l'amazzonomachia rappresentata su una stele di Apollonia. Gli ultimi due grandi complessi monumentali dell'antichità con scene di amazzonomachia sono il fregio dell'Artemision di Magnesia sul Meandro, diviso fra il Louvre ed i musei di Berlino ed Istanbul (metà del II sec. a. C.), ed il gruppo dedicato da Attalo sull'acropoli di Atene e del quale si sono rintracciate le sparse membra fra copie nel museo di Napoli, a Roma (Villa Borghese, Villa Patrizi), nel British Museum, ecc. In seguito la illustrazione delle imprese delle A. rimarrà circoscritta alle arti cosiddette minori: ceramica, ciste e soprattutto sarcofagi, che continueranno a tramandare i tipi della grande arte (sarcofagi di Atene, del Louvre, di Napoli, di Villa Albani).
In età romana, a partire dal I sec. dell'Impero, le A. entrano nel repertorio di una serie di piccoli fregi in terracotta di gusto neo-attico, ove combattono con Greci, abbeverano Grifi, o lottano con essi. La scena di Achille e Pentesilea è illustrata anche in quella specie di cronaca figurativa e summa degli epici e dei ciclici che è la Tabula Iliaca (v.) (I sec. d. C.). Una scena di amazzonomachia è raffigurata sul monumento dei Giulî a St.-Rémy (25 d. C.), e A. decorano anche la corazza di una statua dell'imperatore Adriano a Roma, Villa Albani (E. A., 3526). Fra le riproduzioni pittoriche ricorderemo i fregi pompeiani della Casa di Bellerofonte con scene della amazzonomachia troiana, i pannelli decorativi della Casa dei Vetti, con la lotta di Eracle e Teseo contro le A., quelli nella Casa del Poeta, nella Casa di Sirico, ecc. (mus. di Napoli, 1003 [120085]), e il mosaico di Borgibu Arreridi, Prefettura di Costantina in Algeria (S. Reinach, Rép. Peint., 10).
All'età romana appartengono altresì le numerose copie delle A. di Efeso. Incongruenze di stile fanno riconoscere un'opera arcaistica romana, probabilmente del periodo degli Antonini, nella statua di A. morente di Vienna (Brunn-Bruckmann, Denkmäler, 418).
La guerriera, ferita al seno sinistro, veste l'abito delle kòrai e si piega verso sinistra, dove è da ritenere con ogni probabilità che fosse la statua di un guerriero greco; un gruppo di Achille e Pentesilea, forse, ispirato più che alla gemma del British Museum, a cui si riferivano gli studiosi che vollero vedere in quest'opera un originale arcaico, a motivi pittorici frequenti nei vasi di derivazione polignotea. Nell'atteggiamento della figura è anche un sensibile ricordo dell'A. capitolina.
Nel periodo che va da Adriano a Costantino si distribuisce la numerosa serie di sarcofagi, ove, con un sempre maggiore moltiplicarsi dei piani e un sempre più ricco addensarsi di figure, sono tradotte con gusto romano le scene dei sarcofagi greci: del museo di Mantova, del Museo Capitolino, del Belvedere Vaticano, del duomo di Sorrento, ecc., finché col sarcofago Rospigliosi raggiungiamo il traguardo della tarda antichità (IV sec. d. C.).
Monumenti considerati. - Dell'alàbastron corinzio con il mito delle A. manca una pubbl. recente. V.: H. Payne, Necrocor., Oxford 1931, p. 130, n. 366; sulla ceramica clazomenica, v. A. Rumpf, in Jahrbuch, xlviii, 1933, pp. 55-83; vaso B 10228 del British Mus.: R. Zahn, in Ath. Mitt., xx, 1898, p. 52; H. Prinz, Funde aus Naukratis, in Klio, VII. Beiheft, 1908, p. 54; E. Pfuhl, Malerei u. Zeichnung, i, Monaco 1923, pp. 174, 176; anfora pontica: F. Dümmler, in Röm. Mitt., ii, 1887, pp. 172-173, tav. ix; P. Ducati, Pontische Vasen, Berlino 1932, tav. 9 a; C. Albizzati, Vasi antichi dipinti del Vaticano, Roma 1925, pp. 78-81, tavv. 25, 231; vaso calcidese 1479 dell'Ermitage: A. Rumpf, Chalk. Vasen, Berlino-Lipsia 1927, tav. cix; vaso calcidese 192 di Orvieto: A. Rumpf, Chalk. Vasen, tavola cxxxviii ss.; vaso calcidese B 154 del British Museum: A. Rumpf, Chalk. Vasen, tavv. ccii-cciii; vasi in bronzo provenienti dall'Italia del 500 a. C., con A. arciere a cavallo: W. Lamb, Greek and Roman Bronzes, Londra 1929, pp. 137-138; lastre di Satricum: A. Della Seta, Villa Giulia, Roma 1918, p. 254; W. Helbig, Führer, ii3, 1786; A. Andrén, Archit. Terracottas from Etrurian-Italic Temples, Lund-Lipsia 1940, p. 455 ss., tavv. 137 ss.; ceramiche "tirreniche" con rappresentazioni di A.: Perrot-Chipiez, Histoire de l'art, Parigi 1911-14, x, pp. 115-116, figg. 81-82; C. V. A., France, i, Louvre 1, iii Hd; E. Pfuhl, Mal. und Zeichnung, p. 250, fig. 204; J. D. Beazley-F. Magi, Coll. Guglielmi, Città del Vaticano 1939, tav. 2, 13, ecc.; hydrìa di Charitaios: Hoppin, Black-fig., p. 76; J. D. Beazley, Black-fig., p. 161; anfore di Exekias nel British Museum: Hoppin, op. cit., pp. 94, 110; W. Technau, Exekias, Lipsia 1936, tavv. 25-26; Beazley, op. cit., p. 144, 7, 8; pisside di Berlino, Coll. Sabouroff: A. Furtwängler, Coll. Sabouroff, Berlino 1883-1887, tavv. 49, 50, 1; kylix di Pamphaios nei Mus. Vaticani: Hoppin, Black-fig., pp. 308-309; Museum Etr. Gregorianum, ii, Roma 1842, tavv. 66; Albizzati, Vasi dip., Tav. 68 e p. 206; Beazley, op. cit., p. 235, 2; köatos di Nikosthenes nella Coll. Castellani: Hoppin, Black-fig., p. 267; E. Pfuhl, Malerei und Zeichnung, p. 323; Beazley, op. cit., p. 223, 60 vasi della Coll. Guglielmi con lotta dei Greci contro le A.: J. D. Beazley-F. Magi, Guglielmi, tavv. 4, 7, 15, 41; anfora di Nikosthenes della Coll. Castellani: Hoppin, Black-fig., p. 291; anfora di Monaco con Teseo che rapisce Antiope: E. Pfuhl, Malerei und Zeichnung, 325; Beazley, op. cit., p. 367, 87; cratere di Euphronios ad Arezzo: E. Pfuhl, op. cit., fig. 395; J. D. Beazley, Red-fig., p. 16, 5; kàntharos di Douris a Bruxelles: E. Pfuhl, op. cit., fig. 453; Beazley, op. cit., p. 202, 197; coppa di Kleophrades: E. Pfuhl, op. cit., fig. 371; J. D. Beazley, Der Kleophrades Maler, Berlino 1933, pp. 17-18, tavv. 8, 10 ss.; Beazley, op. cit., p. 128, 917; idria del Pittore di Berlino a New York: J. D. Beazley, Der Berliner Maler, Berlino 1930, tav. 22, 1; G. M. Richter-F. Hall, Red-fig. Ath. Vases Metrop. Mus. New York, 1936, tav. 16, 14; Beazley, op. cit., p. 140, 132; torso marmoreo a Roma nel Museo dei Conservatori: Helbig, Führer, 13, 980; Stuart Jones, Catalogue, p. 269, 12, tav. 81; J. Kostantinou, Ath. Mitt., 1954-55, pp. 41-44; crateri attici di New York: G. M. Richter, Attic Red-fig. Vases, New Haven 1946, pp. 102-103; id., Red-fig. Ath. Vases, tav. 97, n. 98 e tav. 99, n. 99; E. Pfuhl, Malerei und Zeichnung, figg. 506-507; oinochòe di New York: G. M. Richter, Attic Red-fig. Vases, tavv. 108-177; anfora di Ruvo nel Museo Naz. di Napoli attribuita al Pittore dei Niobidi: E. Pfuhl, Mal. u. Zeichnung, fig. 505; Beazley, op. cit., p. 419, 12; anfora di Nola a New York: G. M. Richter, Attic Red-fig. Vases, p. 110; coppa di Achille e Pentesilea nel museo di Monaco: E. Pfuhl, Malerei und Zeichnung, fig. 501; H. Diepolder, Der Pentesilea Maler, Lipsia 1936, tavv. 14-15; Beazley, op. cit., p. 582, 1; anfora di New York del Pittore di Suessula: G. M. Richter, Attic Red-fig. Vases, fig. 122; lèkythos del Pittore di Eretria: G. M. Richter, op. cit., tav. 144, n. 139; lèkythos piatta di Cuma nel Museo Naz. di Napoli attrib. ad Aison: Monum. Ant., xxii, 1914, tavv. lxxxvi-vii; Beazley, op. cit., p. 799, 11; A. Doria-Pamphilj: Brunn-Bruckmann, Denkmäler, 688; fregio dell'Heròon di Trysa: O. Benndorf, in Jahrb. Kunsthist. Samml., ix-xii, 1889-1891; G. Körte, Zu den Friesen von Gjölbaschi, der "jonischen" Kunst und Polygnot, in Jahrbuch, xxxi, 1916, pp. 257-285; lamina enea di Palestrina: G. Quattrocchi, Il Museo Archeologico Prenestino, Roma 1956, p. 42, n. 108; sarcofago di alabastro prov. da Tarquinia, nel Mus. Arch. di Firenze: G. Q. Giglioli, Arte etr., Milano 1935, tavole ccxxxviii-ix; urne, specchi, ciste etruschi: G. Q. Giglioli, op. cit., tavv. cclxxxiv, ccci, ccccv, 3. Sui prodotti rinvenuti in Crimea: Comptes Rendus de la Commiss. Impér. de Petersburg, i, Pietroburgo 186o ss; S. Reinach, Antiquités du Bosphore Cimmér., Parigi 1891; M. Rostowzeff, Iranians and Greeks in South Russia, Oxford 1922; K. Schefold, Kertscher Vasen, Berlino 1930, tav. 24 ss.; id., Untersuchungen zu den kertscher Vasen, Berlino-Lipsia 1937; in particolare: il ricamo con A. a cavallo è pubblicato in Comptes Rendus, 1878-1879, tav. iii, 1 e 1878, p. 113; le phalerae per cavalli, in E. H. Minns, Schythians and Greeks, Cambridge 1913, p. 378; sarcofago greco di Vienna: C. Robert, Sarkophagrel., ii, tav. xxvii, 68; stele di Apollonia: H. Möbius, Die Ornam. dergriech. Grabstelen, Berlino 1929, p. 67; gruppo dedicato da Attalo ad Atene: G. Halbich, Die Amazonengruppe des attai. Weihgesch., Berlino 1896; sarcofagi di Atene: C. Robert, Sarkophagrel., xxx, 70; del Louvre: Robert, op. cit., xxviii-ix, 69; xxx, 73; di Napoli: Robert, op. cit., xxx, 71; di Villa Albani: Robert, op. cit., xxx, 72; fregi romani in terracotta: H. B. Walters, Catal. Terrac. Brit. Mus., Londra 1903, D 611-15; V. Rohden-Winnefeld, Die ant. Terrak., Berlino 1911, iv, 1, pp. 121-128, tavv. liii, 2; xciii, 1; cxxix-xxx; cxxxiv, 2; Helbig, Führer, 13, 443 (223); statua di Adriano a Villa Albani (Roma): Helbig, op. cit., 112, 762 b; fregi della Casa di Bellerofonte: Bull. Inst., Roma 1871, p. 204; Casa dei Vettî e Casa del Poeta: W. Helbig, Wandgem. Camp., Lipsia 1868, pp. 1248-50 b; H. Heydemann, Arch. Zeitung, xxviii, 1870-71, pp. 65-67; P. Herrmann, Denkm. Malerei, Monaco 1904-1913, tavv. 45 e 243; mosaico di Borgibu Arreridi: Bull. Archeol. du Comité, Parigi 1906, p. 7, tav. 12; S. Reinach, Rép. Peint., p. 10; A. di Efeso: A. Furtwängler, Meisterwerke, Lipsia-Berlino 1893, 186-303 e 449-451; F. Noack, Amazonenstudien, in Jahrbuch, xxxiii, 1918, pp. 49-75; C. Anti, Monumenti policletei, in Mon. Ant. Linc., xxvi, 1920, pp. 600-627; H. Schrader, Phidias, Francoforte s. M. 1924, pp. 61-70. Sull'A. di Vienna Br. Br. 418 (ritenuta opera arcaica): J. Overbeck, Plastik, 1, 183; F. von Sacken u. Kenner, Die Samml. K. K. Münz u. Ant. Cab., Vienna 1866, pp. 40-41, n. 162; F. von Sacken, Die antiken Sculpt. der K. K. Münz. u. Antik. Cab., Vienna 1873, 3 ss. tav. 1; Friedrichs-Wolters, 238, 53, p. 116; E. Loewy, La scultura greca, Torino 1911, pp. 23-24. Sullo scudo della Parthènos e A. di Fidia: Ph. Stavropoullos, ῾Η ἀσπὶς τῆς Παρϑένου, Atene 1950; G. Becatti, Problemi fidiaci, Firenze 1951, p. 111 e ss.; sul trono di Zeus a Olimpia: G. Q. Giglioli, Il trono dello Zeus di Fidia in Olympia, in Mem. Acc. Linc., 5, xvi, 1920, pp. 224-376; sarcofagi del II e III sec. d. C.: R. Redlieh, Die Amazonensark. d. 2. u. 3. Jahrh. n. Chr., Würzburg 1942; G. Rodenwaldt, Zur Kunstgesch. der Jahre 220 bis 270, in Jahrb., 1936, pp. 83-113; sarcofago del museo di Mantova: C. Robert, Sarkophagrel., ii, xxxi, 75; A. Levi, Scult. Pal. Duc. Mantova, Roma 1931, n. 193, tavv. cxiii, cxv; sarcofago del Museo Capitolino: Robert, op. cit., xxxii, 77; sarcofago del British Museum: Robert, op. cit., xxxii, 78; sarcofago del Belvedere Vaticano: Robert, op. cit., xxxiv, 80, xil, 94; W. Amelung, Sculpt. Vatic. Mus., Berlino 1908, ii, pp. 120-126, n. 49, tav. 13; fot. Ist. Germ. 33.146; sarcofagi del Duomo di Sorrento: A. Rocco, in Rendic. Accad. Arch. Napoli, xxi, 1941, pp. 129-138; sarcofago Rospigliosi: C. Robert, Sarkophagrel., xli, 96; fot. Ist. Germ. 35.1971.
Bibl: E. Vinet, in Dict. Ant, I, pp. 221-223, s. v. Amazones; Roscher, I, 267-279; J. Toeppfer, in Pauly-Wissowa, I, cc. 1754-1771; B. Graef, in Pauly-Wissowa, I, cc. 1771-1789, s. v. Amazones; A. Klügmann, Die A. in der att. Litteratur u. Kunst, Stoccarda 1875; A. Corey, De A. antiquissimis figuris, Berlino 1891; C. Picard, Manuel de sculpt. gr., Parigi 1935-48; D. v. Bothmer, A. in Greek Art, Oxford 1957. Per le stoffe altaiche: M. Th. Picard, in Studia Antiqua per A. Salač, Praga 1955, p. 152 ss.